Biografia della Passione autografa di Cristo

 

 

Rivelazioni

 

Autobiografia di Cristo

 

«Queste cose vi ho detto in similitudini;

ma verrà l'ora in cui non vi parlerò

 più in similitudini,

ma apertamente vi parlerò del Padre»

(Giovanni 16, 25)

Versione dall’originale in lingua tedesca

copy©right:  Lorber verlag – Bietingheimen – D

testo dalla II edizione del marzo 2007

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Prefazione al libro

INDICE

                           

Cap.      1          Il peccato di Adamo ed Eva e l’incarnazione della Sapienza

Cap.      2          Il bambino Gesù, con lo Spirito e l’Anima da Dio, e il corpo dalla Terra

Cap.      3          La Missione di Gesù e la lotta a tutte le tentazioni della vita terrena

Cap.      4          Gesù comincia la sua Missione di evangelizzazione

Cap.      5          La pazienza di Gesù nei rapporti con il popolo e con i discepoli

Cap.      6          L’arresto di Gesù e le prime sofferenze

Cap.      7          Gesù viene condotto da Caifa, da Pilato e da Erode

Cap.      8          Flagellazione e oltraggi subiti in silenzio per redimere l’umanità a causa del peccato originale

Cap.      9          I momenti della Passione: l’interrogatorio, la condanna, da Caifa, l’ascesa al Calvario, la crocifissione

Cap.      10       Le ultime parole sulla croce

Cap.      11       Deposizione dalla croce e sepoltura

Cap.      12       Il perché della crocifissione di Gesù

                          Incarnazione o re-incarnazione? 

 

Cap. 1

Il peccato di Adamo ed Eva e l’incarnazione della Sapienza

                        1.                   Oggi daremo inizio di nuovo ad una nuova opera, e precisamente Io intendo esporre in maniera concisa, e per quanto è necessario, le vicende della Mia vita terrena fino alla Mia morte, e ciò affinché i Miei figlioli sappiano quali e quante sofferenze Io, il Signore e Dio, abbia tollerato e sopportato nell’Uomo Gesù.

                        2.                   Già dopo il peccato di Adamo era stato, da Jehova stesso, promesso all’umanità un Salvatore dalla colpa e dalla pena, ed era già stato destinato che un Uomo interamente puro avrebbe preso su di Sé la colpa e la pena per la disubbidienza commessa da Adamo ed Eva, con la prematura generazione del loro primo figlio Caino, non avendo essi atteso, come convenuto fra Jehova ed Adamo ed Eva, la benedizione del Signore e Creatore, anzi essendosi arbitrariamente azzardati d’intraprender cosa, della quale essi anticipatamente non conoscevano quali sarebbero state le conseguenze.

                        3.                   O Miei cari figli, ecco: così è accaduto ad Adamo, perché egli non conosceva le conseguenze della sua stolta azione, e quindi non poteva giudicare quale e quanto male ne sarebbe sorto in se­guito a ciò, in primo luogo per lui, il primo padre, e poi appena per tutti i suoi discendenti, fino al tempo attuale. Ma ciò sia anche a voi di esempio, cosicché vi convinciate come ben spesso una piccola imprudenza, una piccola presunzione, possa essere fonte di immense sciagure.

                        4.                   Ormai però il malanno era accaduto, e Jehova chiamò Adamo fuori dal suo nascondiglio, e così pure Eva.

                        5.                   Essi certo riconobbero di aver gravemente peccato, e piansero e fecero cordoglio; essi riconobbero altresì di aver offeso Jehova, il Santo ed il migliore dei padri, e di aver suscitato in Lui l’ira, dato che essi avevano fatto precisamente il contrario di quanto avrebbero dovuto fare, pregiudicando, così, i vantaggi che sarebbero derivati loro se si fossero mantenuti ligi alla volontà di Jehova[1].

                        6.                   Allora, però, quando videro ed udirono come su tutta la Terra veniva precipitandosi la distruzione e la rovina in seguito all’ira di Jehova, essi piansero amaramente e si dimostrarono pentiti, invocando perdono; e Jehova ne ebbe misericordia, e promise che avrebbe mandato loro un Salvatore, poiché congiunta all’ira di Jehova vi era pure la sentenza che ciascun discendente di Adamo e di Eva, come anche essi stessi, avrebbero dovuto soggiacere alla dolorosa morte sulla croce per la loro disobbedienza, poiché essi, quali discendenti di Adamo, sarebbero stati corresponsabili del suo peccato.

                        7.                   L’Amore, però, ebbe pietà di loro, e perciò disse alla Sapienza: «Questa cosa prendila Tu stessa a Tuo carico, poiché Io ho compassione dei Miei figlioli!». Allo scopo però di placare la Di­vinità irata, venne, per il futuro, presa la ferma decisione che la Sapienza avrebbe assunto la funzione di mediatrice fra l’Amore e la Divinità offesa, e che, quando il tempo fosse stato maturo, Essa sarebbe discesa sulla Terra.

[Indice]

Cap. 2

Il bambino Gesù, con lo Spirito e l’Anima da Dio,

e il corpo dalla Terra

                        1.                   E quando Io, all’epoca di Giulio Augusto Quirino Cesare, venni sulla Terra nell’uomo Gesù, fu la divina Sapienza che prese corpo nella Mia Persona, ed Io crebbi e Mi sviluppai molto rapidamente, tanto spiritualmente quanto fisicamente, dato che anche l’equilibrio fra spirito e corpo era certamente normale, ciò che assai spesso non è il caso nei soliti figli degli uomini, perché la maggior parte dei bambini, particolarmente nel tempo presente, è di solito malata, e più o meno è in uno stato di de­generazione già quando vede la luce del mondo, e ciò in conse­guenza del peccato originale che, sempre più, va sviluppandosi.

                        2.                   Durante la Mia prima infanzia, Io Mi trastullavo come ogni altro fanciullo. Tuttavia anche allora Mi era noto Chi dimorava nel cuore della Mia Anima, e Mi dava dei comandamenti, cosicché Io, quale Gesù-bambino, dovetti istintivamente già fare attenzione ai Miei sentimenti, e già da piccolo fanciullo dovetti imporMi molta abnegazione, specialmente per quanto concerne il dominio, poiché in alcuni momentanei lampi di luce, anche troppo chiaramente il Mio Io si rendeva manifesto, e in tali momenti Mi sentivo interamente Signore e Creatore e Mi presen­tavo e parlavo come Tale a coloro che si trovavano nelle Mie immediate vi­cinanze, come appunto lo si può chiaramente leggere nella ‘Storia della Mia infanzia e giovinezza’[2].

                        3.                   Così procedettero sempre avanti le cose, e, con l’approssi­marsi dell’adolescenza, sempre più andarono accrescendosi per Me le contrarietà terrene, come vi è noto dalla storia della Mia gio­vinezza, ed Io molte volte dovetti, con la violenza, imporMi dei freni, e circoscriverMi di pazienza e di umiltà, per non apportare all’umanità, con un agire precipitoso, anziché salute, sventura, poiché la Mia Parola e la Mia Volontà divenivano anche allora, all’istante, Azione, come anche più volte Io l’ho dimostrato.

                        4.                   Dunque, o Miei cari figli, potete ben immaginarvi quanto, già da piccolo fanciullo, Io sia stato molto più avanti di voi nell’abne­gazione del proprio essere. Dove è l’odierna umanità, per quanto concerne i bambini e la loro educazione, in fatto di abnega­zione, rispetto a Me! Eppure, a tal riguardo, anche nei confronti dell’umanità deve e dovrà essere di nuovo così. Riandate un po’ con la memoria alla vostra propria infanzia e fanciullezza, voi che or­mai siete già discretamente iniziati nella Mia Dottrina, e dite poi se sarebbe stato buono per voi, ancora quali piccoli fanciulli, il poter fare sempre secondo i vostri desideri e la vostra volontà.

                        5.                   Spesse volte, anche coercitivamente voi dovevate esercitarvi nell’abnegazione, in forza del comando e del divieto dei genitori. Ed è bene che sia così, perché altrimenti, a questo mondo non vi sarebbero più che degli esseri privi di volontà, e simili agli animali.

                        6.                   Fino al Mio dodicesimo anno di vita Io fui soggetto a Maria, la madre Mia, ed a Giuseppe il Mio padre nutrizio, e corrispondentemente – nonostante fossi il Figlio di Dio e mi fosse permesso spesso qualcosa - di fronte al loro divieto dovetti fare delle rinunce, appunto per rispettare il comandamento dei genitori, e dovetti così, esercitarMi nell’abnegazione, tanto più che anche il Mio padre nutrizio, da autentico e giusto Israelita, era un rigido maestro nell’abnegazione, e per questa ragione egli era anche stato eletto da Me a tale funzione.

                        7.                   Con il dodicesimo anno di vita cominciò per Me anche l’epoca della vita esteriore e del lavoro, come del resto avviene pure oggigiorno, che cioè a quest’età i figli vengono già ad­destrati ai vari altri lavori. Quella volta, specialmente per i ra­gazzi, le possibilità di esercitarsi erano molte; c’era molto da im­parare per l’anima, e l’intelletto carnale si destava e spesso pro­testava facendo opposizione, e conveniva quindi che l’abnegazione venisse sempre di più tenuta in esercizio quanto più resistenza andava facendo l’intelletto della ragione. D’altro canto, però, anche l’interiore Spirito non desisteva dal mantenere il Suo punto, cosicché ogni giorno che passava si moltiplicavano anche le tentazioni, ma conseguentemente pure le esigenze del sentimento dell’abne­gazione verso il Mio giovane animo e la Mia giovane Anima di Sapienza, che era stata posta in Me dal Mio Dio-Padre, quale Amore, quando venni chiamato a compiere l’Opera di Redenzione.

                        8.                   Miei cari figli! Pensate voi stessi a quanti attacchi è esposta una giovane anima nella vostra persona, ed appena poi considerate quali e quante lotte abbia dovuto sostenere Io, Io che di quante passioni ci sono e possono esserci mai sopra la Terra, ne celavo nel Mio corpo in misura decupla, dato che Io portavo nel Mio corpo pure il più possente Spirito di Sapienza quale Anima! E questi elementi, la Sapienza come intelletto e l’Amore come dominante Spirito di Dio, erano di continuo in conflitto con tutti questi impulsi materiali dei quali Io dovevo, senza stregua, affrontare e respingerne gli attacchi, onde non cadere in disgrazia e in peccato agli occhi del Mio Signore e Dio, che dimorava nel cuore dell’Anima Mia, e che, come un Giudice, scru­tava ogni moto del Mio cuore. Oh, figlioli Miei, quelle furono gravi lotte, che Io dovetti combattere fino alla Mia morte sulla croce.

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Cap. 3

La Missione di Gesù e la lotta a tutte le tentazioni della vita terrena

                        1.                   Immaginatevi un poco, cari figlioli Miei, cosa succederebbe se Io facessi conoscere anticipatamente all’uomo, quando e di che morte egli dovrà morire. Egli si trascinerebbe in preda ad una tristezza mortale durante tutto il tempo della sua vita, né potrebbe trovar mai un’ora di letizia, qualora sempre, ad ogni occasione, gli venisse suscitata dinanzi la visione della più cruenta morte che gli sarebbe stata riservata; ma premesso questo, considerate ora anche con quanto amore e con quanta sapienza Io Mi comporto verso di voi, e tuttavia voi non riuscite a raccoglier le vostre forze, per offrire al vostro Signore e Salvatore almeno un piccolo sacrificio, con il deporre le vostre passioni che ancora vi tengono lontani da Me e che non permettono alle vostre anime d’innal­zarsi. Oh figlioli Miei, ricordatevi bene di questa mancanza di riguardo verso di Me, vostro Signore e Creatore, e pensate alla vostra situazione quando, d’improvviso, vi sentirete chiamati dal Padre! Quale spavento non provereste, non sentendovi preparati!

                        2.                   Quanto più Io, Gesù-uomo, Mi avanzavo negli anni, con tanta maggiore energia venivano annunziandosi in Me anche le influenze delle umane passioni, poiché Io, quale Gesù, ero interamente uomo come tutti gli altri, soltanto, Io avevo la conoscenza chiara del bene e del male; cosa questa, che e posseduta bensì anche da altri uomini, i quali però, pur non di meno, non operano in conformità ai dettami del bene riconosciuto.

                        3.                   Da tutto ciò voi potrete rilevare che Io dovetti incessantemente lottare contro tutti i possibili influssi e le possibili passioni che affioravano nel Mio cuore; e la lotta risultava, per Me, tanto più aspra, in quanto Io sapevo Chi era che dimorava in Me. Quindi dovevo, senza posa, combattere tutti i pensieri impuri e sensuali, e le brame che continuamente Mi sospingevano da tutte le parti; ma poiché Io ero conscio delle loro conseguenze e della Mia Missione, non Mi era lecito desistere un solo momento dalla Mia lotta, e dovevo continuamente respingere gli assalti, al fine di non cadere, sia pure in un minutissimo peccato. Questo spiega pure il perché Io fossi esteriormente assai poco loquace durante il lavoro, persino con il Mio padre nutrizio o con i Miei fratelli e meno ancora poi con gente estranea, tanto, anzi, che nei circoli della parentela del padre Mio nutrizio, si diceva che suo figlio più giovane era una specie di scemo, e perciò non pie­namente responsabile; con ciò si voleva designar Me, dato che in primo luogo, parlavo molto poco, e quando poi venivo interro­gato, rispondevo tutt’al più con di monosillabi. Anche la madre Mia ed il padre Mio nutrizio non sapevano spiegarsi un tale cam­biamento operatosi in Me, considerato che, durante la Mia fan­ciullezza, Mi ero sempre dimostrato di carattere sereno e vivace.

                        4.                   Le figlie di Cirenio, che il padre Mio nutrizio aveva adot­tato[3], e che dimoravano anch’esse in casa di Giuseppe, erano tutte perdutamente innamorate di Me; ma Io dovetti sempre e dappertutto evitarle, e dir loro spesse volte: «Non Mi toccate!». Così Io dovetti dunque senza posa combattere e respingere ogni sorta di influenze e di passioni che Mi si stringevano intorno, onde rimanere sulla via della virtù e della purezza.

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Cap. 4

Gesù comincia la sua Missione di evangelizzazione

                        1.                   Anch’Io dovetti incessantemente combattere contro tutti i pensieri che si manifestavano in Me, ed eliminare tutto ciò che con il tempo avrebbe potuto portarMi danno. Così Io, quale Gesù-uomo, in quel periodo della Mia età vissi pregando e lavorando con il padre Mio nutrizio e con i Miei fratelli, rispettivamente figli della prima moglie di Giuseppe[4], finché egli morì.

                        2.                   Di lì a poco giunse per Me il tempo in cui dovevo iniziare la Mia missione di Maestro, e così avvenne che Io andai in un luogo solitario poco conosciuto e che veniva chiamato ‘al deserto’, posto in riva al fiume Giordano, dove Giovanni pre­dicava e battezzava i fedeli con l’acqua. E dopo trascorsi i qua­ranta giorni della preparazione, anch’Io Mi recai da lui, precisamente in un giorno nel quale si trovavano lì presenti diversi uomini del ceto dei pescatori ed altri ancora e Mi feci battez­zare nel Giordano, nella cui occasione accadde anche che essi udirono quella Voce che disse: «Questo è il Mio Figlio prediletto, nel quale Mi sono compiaciuto; Lui ascoltate».

                        3.                   In quel luogo alcuni si unirono presto a Me, ed Io li condussi anzitutto alla capanna che Mi ero edificato soltanto per quel breve tempo; ma essendo il tempo della Mia preparazione al ministero di Maestro ormai già trascorso, ritornai con loro a casa di Maria, Mia madre, e ai Miei fratelli. Ora, siccome Mia madre ed Io stesso avevamo ricevuto un invito a nozze, vi andammo, e precisamente a Cana di Galilea, dove un albergatore del luogo aveva preso moglie. Da Cana, dove già Mi pre­sentai come Maestro e operatore di prodigi, varcammo il confine per passare ai Samaritani, tanto odiati dai Giudei di Gerusalemme, e la nostra prima sosta la facemmo al pozzo di Giacobbe. Fu là che noi facemmo la prima conoscenza con una donna di nome Iraele che era in mala fama presso tutti gli abitanti di quella località e con un medico, e le cose andarono sempre avanti così. Io ammaestrai le genti, risanai gli ammalati e gli storpi, ed in­culcai a tutti, in ogni campo, dei sentimenti migliori; spiegai loro in maniera chiara ed intelligibile i Dieci Comandamenti dati e scritti a mezzo di Mosè ed insegnai loro a conoscere Jehova, il Si­gnore e Dio loro, ed a fare orazione a Lui in spirito e in verità[5].

                        4.                   Al momento in cui diedi inizio alla Mia Missione, Io avevo già combattuto e vinto il Mio proprio ‘Io’, fino al punto di aver raggiunto già un alto grado nella seconda rinascita. Se non ché, c’era ancora una terza rinascita avente per meta la com­pleta unificazione con il Mio Dio Padre, il Quale dimo­rava certamente nel Mio cuore ma, per raggiunger questa Meta, conveniva che assolvessi il compito che era stato affidato a Me, quale Gesù-uomo, esattissimamente secondo la Volontà del Padre, e quindi Io dovevo sempre stare attento, ed ascoltare quello che il Padre andava dicendo nel Mio petto, né Mi era lecito agire conformemente alla volontà umana.

                        5.                   Proprio così anche voi, o cari figli Miei, dovete prestare ascolto sempre alla Mia Voce, e non a quella dell’uomo carnale, la quale non fa che sedurvi e indurvi in errore.

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Cap. 5

La pazienza di Gesù nei rapporti con il popolo e con i discepoli

                        1.                   Ascoltate sempre la voce che parla nel più profondo dell’in­timo vostro, e saprete sempre come dovete agire. Io, quale il Rappresentante della Divinità e dell’Amore del Padre verso l’umanità, durante i Miei viaggi dovetti, come Maestro, ben spesso tollerare molte cose da parte degli uomini materiali. Essi Mi facevano talvolta i più gravi rimproveri rispetto a varie questioni che essi concepivano esclusivamente sotto la loro visuale materiale, che si ostinavano a considerare con la critica dell’intelletto e che volevano rettificare secondo il loro conoscimento.

                        2.                   Se Io non avessi fatto sempre predominare in Me la divina Pa­zienza, la Longanimità e la Mansuetudine, e se avessi invece voluto comportarmi così, per le spicce, secondo il criterio umano come per lo più avete l’abitudine di fare voi, Io avrei dovuto molte volte punire gli uo­mini e turare, in maniera assai energica, le loro sfacciate bocche. Invece Io lasciavo sempre che ciascuno desse sfogo alle storpie sofisticherie del suo intelletto, e quando egli non aveva più nulla da dire, allora Io già sapevo esattamente quale era il suo lato più debole, e Mi davo poi a spiegargli la Mia Dottrina in maniera talmente intelligibile che egli, se di sano intelletto, non poteva fare a meno di riconoscerne immediatamente la fon­datezza, né avrebbe potuto più muovere obiezione o critica alcuna.

                        3.                   E allo stesso modo dovete fare anche voi, Miei cari figli, e non dovete nutrire risentimento verso un fratello che non rie­sce ad intendervi forse con quella rapidità come vorreste voi. Fu dunque così che gli anni del Mio insegnamento trascorsero più ve­loci di quanto fosse il Mio desiderio; perché anch’Io, Gesù, amavo la Mia vita sulla Terra. Io amavo pure coloro che erano di solito con Me: i Miei apostoli e discepoli, nonché Mia madre Maria e tutti i Miei fratelli e tutta la gente di casa loro.

                        4.                   Anzi, Io amavo tutta l’umanità, a causa della quale Io avevo pro­priamente lasciato il Cielo ed ero disceso sulla Terra allo scopo di redimere tutti e salvare tutti dall’esilio dal loro Dio-Padre.

                        5.                   Così venne avvicinandosi l’ultimo inverno e subito dopo la primavera, ma con questa, anche il tempo in cui Io dovevo di­mostrare con i fatti, quello che avevo insegnato e mostrato agli uomini ed agli spiriti, come cioè essi avrebbero dovuto vivere e operare, onde pervenire alla meta da Me promessa a tutti coloro che Mi amano e che intendono osservare la Mia Parola in qualunque circostanza della loro vita, sempre con lo sguardo ri­volto a Me, in piena fede e confidenza anche nei giorni della tri­bolazione e della persecuzione.

                        6.                   Tuttavia, durante l’ultimo inverno, Io Mi ero ritirato quasi del tutto in compagnia dei Miei apostoli e discepoli, per raffor­zarci e perfezionarci nella contemplazione interiore; poiché anch’Io abbisognavo di una maggiore tranquillità, onde, in vista del grande e grave Compito che a Me, Gesù, si affacciava, non dimen­ticassi e non precipitassi nulla, bensì, sotto ogni riguardo, corri­spondessi alla santa Volontà del Mio Iddio-Padre.

                        7.                   Soltanto una volta ancora durante la Mia vita terrena Io volli visitare e rivedere i Miei amici più fidati, per fortificarli e consolarli di ciò che ormai era irrevocabilmente stabilito e che doveva accadere, onde riconciliare la Divinità offesa con l’umanità pec­catrice. Io visitai dunque di nuovo il Mio amico Lazzaro e le sue sorelle, e gli diedi ancora ogni sorta di buoni consigli, nel caso la gente del Tempio avesse voluto mostrarsi troppo insistente.

                        8.                   Così venne approssimandosi la Pasqua e, con questa, pure il tempo in cui Io dovevo offrire il Mio corpo, di Gesù, in sacrifi­cio, a riscattare i peccati dell’intera umanità. I Miei apostoli Mi chiesero se non avrei voluto anche quella volta, come negli anni pre­cedenti, mangiare con loro l’agnello pasquale, come del resto era costume fra gli Israeliti nell’occasione della solennità della Pasqua.

                        9.                   Io mangiai dunque con loro anche quella volta l’agnello, e li ammaestrai, ripetendo loro i punti principali della Dottrina, dato che alcuni di loro erano in età già avanzata e quindi anche un po’ più o meno deboli d’intendimento; perciò dovevo anche più volte ripeterMi.

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Cap. 6

L’arresto di Gesù e le prime sofferenze

                        1.                   Io qui non ripeterò quello che dissi durante l’ultima Cena, ma accennerò soltanto che, profondamente turbato nell’anima Mia, Mi alzai e andai all’orto di Getsemani, dove lasciai da parte alcuni fra i Miei discepoli che erano un po’ timidi d’animo.

                        2.                   Invece i Miei discepoli prediletti, che si tenevano sempre più degli altri vicini a Me, Io li condussi con Me anche quella volta, dicendo loro di pregare, mentre lo Mi portai ancora alcuni passi più innanzi, per fare orazione, e pregare il Mio santo Padre-Spirito.

                        3.                   «O Padre, se è possibile, fa che questo calice amaro trapassi da Me; ma sia fatta non la Mia, bensì la Tua Volontà!». - Ed il Padre Mi rispose: «Meglio è che soffra uno solo, piuttosto che abbiano a soffrire tutti».

                        4.                   E così bisognava che Io offrissi il Mio corpo umano, di Gesù, in sacrificio, se volevo assolvere il Compito secondo la Volontà del Padre e redimere l’umanità in tutto l’Universo, poiché gli esseri umani sugli altri soli, soli centrali e mondi stellari in generale, appartengono anch’essi al grande Uomo cosmico[6] e co­stituiscono una parte del grande primo spirito creato. Cosi dovevo dunque prepararMi alla sofferenza ed alla morte, poiché la schiera degli sgherri e carnefici romani veniva già avanzandosi, guidata dal dodicesimo apostolo che si era lasciato sedurre dal danaro di Satana, e si era reso reo di tradimento verso il suo Signore e Dio e verso l’Amico suo e Redentore.

                        5.                   Allora il Mio corpo, di Gesù, alla visione di tanta sofferenza e di tanto martirio che si affacciava in anticipazione con grande chiarezza alla Mia Anima, di Gesù, fu colto da una sì immensa angoscia, che Io, alla prospettiva di tanti maltrattamenti, incomin­ciai a sudar sangue; ma allora si annunziò in Me, quale angelo consolatore, la Mia divina Sapienza, la quale, prima, insieme all’Iddio-Padre, s’era del tutto ritirata; allora Io Mi alzai e andai incontro alla schiera degli sgherri e carnefici che si era nel frat­tempo avvicinata, e domandai loro chi cercassero, dopo aver detto a Giuda Iscariota, nel momento in cui avrebbe voluto abbrac­ciarMi e baciarMi: «Giuda, con un bacio tu Mi tradisci?!».

                        6.                   E gli sgherri risposero che cercavano Gesù di Nazaret; cosicché lo dissi: «Sono Io quello che cercate». Ed essendosi essi, poiché colti da spavento, arretrati di qualche passo, ripetei la domanda. -

                        7.                   Finalmente si rinfrancarono e si disposero a compiere il loro ufficio, preparandoMi a metterMi in mezzo a loro essendo essi provvisti di funi e di pertiche, allo scopo di condurMi ben legato e fra le pertiche, come in quel tempo era in uso fare con i briganti e con i ladroni. Così incominciarono a trascinarMi via, ma in modo tale che le funi penetrarono profondamente nella carne delle mani, cagionandoMi atroci dolori.

                        8.                   Camminando, essi davano di quando in quando degli strattoni alle funi di qua e di là, in maniera che sembrava avessero da fare con qualche ubriaco sfatto. Così noi giungemmo ad un sito, dove, prima di arrivare alla porta della città, era gettato un pic­colo ponte sul torrente Chedron, che si trovava allora quasi all’a­sciutto; e mentre passavamo sul ponte, essi, con uno spintone, Mi gettarono giù nel torrente, onde - essi dissero - farMi prendere un bagno. Considerato però che allora scorreva appunto pochis­sima acqua sul letto del torrente, il cui fondo era roccioso, av­venne che Io, cadendo, battei con le ginocchia con tanta violenza sulle pietre, da scorticarMele tutte, cosicché quando Mi risollevai, sanguinavano già abbondantemente.

                        9.                   Tuttavia Io non Mi lamentai, e sopportai tutto pazientemente, come anche lo esigeva la condizione posta dal Mio polo contrario, e cioè che egli Mi avrebbe abbandonato ai Miei propri figli sol­tanto qualora Io fossi stato disposto di riscattarli a qualsiasi prezzo, anche al costo di qualsiasi sofferenza e tormento e sfidando tutto: oltraggi, disprezzo, dolori e martiri.

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Cap. 7

Gesù viene condotto da Caifa, da Pilato e da Erode

                        1.                   O Miei cari figli, così era convenuto che Io non dovevo dolerMi, né lagnarMi, né meno ancora difenderMi. Io do­vevo lasciare che su di Me si rovesciassero tutte le più amare coppe dei mali, dalle più tormentose alle più ignominiose, e dovevo sopportare tutto con la massima pazienza e rassegnazione. Così quegli sgherri e carnefici Mi condussero via quella notte stessa, affinché la cosa rimanesse più nascosta al popolo. Poiché il po­polo Mi conosceva come il suo benefattore e vi si sarebbe op­posto, in quanto fra di essi ce n’erano molti che Io avevo risanato dal­l’una o dall’altra malattia, od ai quali avevo raddrizzate le membra.

                        2.                   Essi Mi condussero dunque dinanzi al tribunale del Tempio presieduto dall’allora sommo sacerdote Caifa, dottore della Legge; anche il cognato di Anna era presente ed essi M’interrogarono, e Mi avrebbero anche volentieri condannato. - Però essi non si az­zardarono a far questo, a motivo della sovranità dei Romani, e quindi Mi condussero via di là, dopo averMi, durante la notte, oltraggiato e schernito in tutti i modi, anzi, perfino battuto e in­sozzato di sputi, come un cane rognoso; eppure Io ero innocente del tutto!

                        3.                   Neppure i falsi testimoni prezzolati andavano tra di loro d’accordo, e perciò non poterono fornire alcuna prova a conferma delle accuse calunniose delle quali ero stato fatto oggetto. Allora essi Mi tradussero dinanzi al tribunale di Ponzio Pilato, governatore della provincia.

                        4.                   Là Io venni sottoposto nuovamente ad un minuzioso interrogatorio, e quando Pilato intese che Io ero galileo, se ne rallegrò, perché intendeva lasciare che tutta la questione venisse sbrigata da Erode, il tetrarca, il quale aveva giurisdizione sulla Galilea. Ma siccome tra quei due potentati regnava allora inimicizia, Erode, il re feudatario, rimase doppiamente soddisfatto che Pilato Mi avesse rinviato a lui, riconoscendo anche in quel riguardo la sua autorità. Cosicché egli se ne rallegrò, poiché egli Mi riteneva per quel potente operatore di prodigi che avevo dimostrato di essere e pensava di guadagnarMi a sé e di adoperarMi per i suoi ambiziosi piani. Egli Mi fece perciò chiamare a sé del tutto solo senza i testimoni né gli sgherri, e Mi rivolse anche delle domande a ciò relative, che Io però lasciai senza risposta.. E quando vide che i suoi tentativi non approdavano a nulla, egli Mi si scagliò contro e Mi schernì. Io però non gli rivolsi che uno sguardo pe­netrante, ed egli ne tremò fin nel suo intimo; allora richiamò la sua gente e, in segno della sua sottomissione, Mi rimandò a Ponzio Pilato.

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Cap. 8

Flagellazione e oltraggi subiti in silenzio per redimere l’umanità

a causa del peccato originale

                        1.                   Nel frattempo la moglie di Pilato aveva fatto avvertire suo marito che essa aveva visto in sogno la Mia figura tutta splen­dente e con la faccia raggiante; egli dunque doveva evitare d’immischiarsi in quella faccenda nella quale si era voluto coinvol­gere il Santo. Essa aveva visto la Mia faccia splendere come un Sole. Dal canto suo, Pilato, anch’egli non era rimasto affatto edifi­cato che Erode Mi avesse rimandato a lui, e disse al popolo che egli non trovava in Me alcuna colpa. Considerato poi che presso gli israe­liti era costume, venuta che fosse la solennità della Pasqua, di ri­donare la libertà ad uno tra i malfattori che si trovavano in carcere, Pilato ritenne per certo che, qualora Mi avesse fatto flagellare e poi presentare al popolo, questo avrebbe sicuramente richiesto che Io fossi rimesso in libertà, poiché a lui erano noti i grandi benefici che Io avevo, continuamente, reso a tutto il popolo. E così egli ordinò che venissi flagellato.

                        2.                   Allora fui condotto fuori nel cortile dove sorgeva già una robusta colonna alla quale venivano legati i delinquenti. Mi vennero strappate in fretta le vesti di dosso e Mi si legò alla colonna con delle solide funi; e subito i carnefici Mi flagellarono senza pietà con delle verghe taglienti, fino a tanto che il Mio corpo si trovò tutto ricoperto di piaghe, con brandelli di pelle che penzolavano qua e là, mentre il sangue scorreva copioso a terra. Ma questo, a quegli spietati carnefici parve che non fosse abbastanza, anzi, avendo essi risaputo che Io ero stato acclamato re dei Giudei, animati da odio contro di questi, com’erano, intrecciarono con dei vinchi d’acacia una corona di spine e Me la posero rudemente sul capo, cosicché delle 72 spine di cui era composta la corona, 30 Mi penetrarono nel capo, delle quali 3 erano mortali[7]. Queste cose, però, non erano proprio volute da Me nei loro par­ticolari, sebbene era Mia volontà che fossero adempiute tutte le profezie che Mi riguardavano. Poi essi Mi avvolsero intorno un vecchio mantello di porpora, per scherno, come se fossi un re, e gettarono ai Miei piedi le vesti, vi s’inginocchiarono su e, con parole di dileggio, Mi salutarono come re dei Giudei, oltraggiandoMi nella maniera più volgare, dopo averMi inflitto tante sofferenze e tanti dolori.

                        3.                   Ecco, o Miei cari figli, tutti questi dolori e tutte queste sofferenze dovetti sopportare Io, che ero del tutto innocente, per la ragione che ero eletto a riconciliare l’intero genere umano con il suo Iddio, Jehova-Zebaot, e a riacquistare la figliolanza di Dio che era andata perduta a causa del peccato originale.

                        4.                   O Miei cari figli, meditate spesso e devotamente sulle Mie amarissime sofferenze e sulla Mia morte! Quello che Io ho ac­quistato per voi e per l’umanità intera, v’infonderà vigore e coraggio nelle vostre proprie sofferenze, e così vi verrà, più d’una volta, mostrato qualcosa di cui voi non sareste mai stati degni, e tale cosa, nella vita spirituale v’innalzerà e vi aiuterà a proseguire sulla via della Croce, che è stata imposta all’uomo a causa dei peccati da lui stesso commessi.

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Cap. 9

I momenti della Passione: l’interrogatorio, la condanna, ancora da Caifa, l’ascesa al Calvario, la crocifissione

                        1.                   Miei cari figli! Voi potete ora immaginarvi quali terribili, indicibili dolori Io abbia dovuto sopportare in seguito alla flagel­lazione ed alla successiva imposizione della corona di spine e, oltre a ciò, quali sofferenze morali abbia dovuto tollerare in seguito agli scherni ed ai volgarissimi oltraggi che Mi furono inflitti.

                        2.                   Oh, Miei cari figli! Ma voi non potete nemmeno raffigu­rarvi le sofferenze ed i Miei martiri, nel grado come Io li ho sentiti e sopportati! Non appena Mi riportarono dinanzi al governa­tore Pilato, egli al vederMi fu colto da spavento e gettò un grido di orrore, perché Io non avevo più l’aspetto di un essere umano. Il sangue, che scorreva dalle ferite provocate dalla corona di spine in molti punti del capo, Mi scendeva sul viso, e la feb­bre pareva voler, come un fuoco, consumare il Mio corpo. Io as­sorbivo il sangue, per quel tanto che esso giungeva fino alle labbra, per calmare la febbre che Mi divorava.

                        3.                   Allora il governatore Mi rivolse la parola e Mi fece delle domande, ma Io, a mo­tivo degli atroci dolori, non potei dargli alcuna risposta, perché la grave perdita di sangue ed il tormento Mi avevano talmente indebolito, che di momento in momento ci si sarebbe do­vuto aspettare che Mi accasciassi sfinito a terra, qualora non fosse stata la Mia natura divina a mantenerMi in piedi.

                        4.                   E Pilato, poi, rivoltosi al popolo, dichiarò che egli non trovava alcuna colpa in Me e che Io ero punito abbastanza. Egli quindi intendeva rimetterMi in libertà; dunque, era il popolo stesso che doveva esprimersi e dire a quale dei due esso voleva che egli ridonasse la libertà, poiché assieme a Me era stato condotto dinanzi al popolo anche un ladrone e assassino di nome Barabba. E allora quella moltitudine si diede ad urlare: «Lascia libero Barabba!».

                        5.                   E Pilato replicò: «Ma che cosa devo fare di Gesù di Na­zaret?». - La folla gridò: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». - E Pilato: «E se venisse versato del sangue innocente, chi ne risponderà?». - La folla rispose urlando: «Ricada il suo sangue su di noi e sui nostri figli!». - Qui conviene menzionare che proprio dinanzi al tribunale era stipata una folla composta esclusivamente di elementi del Tempio, i quali non permettevano al rimanente del popolo di avvicinarsi. Ora, quelli del Tempio erano tutti dei prezzolati dai farisei e dagli scribi, ed erano stati questi a radu­narli in massa davanti al tribunale, e per conseguenza tutti re­clamarono la libertà di Barabba. Va inoltre osservato che que­st’ultimo, in segreto, era stato sempre in buoni rapporti con i fa­risei e con gli scribi, e del prodotto delle sue rapine egli aveva corrisposto sempre una congrua parte al Tempio. Questa fu la ra­gione per cui gli accoliti del Tempio preferirono aver libero Barabba.

                        6.                   Pilato, dunque, non poteva ormai far più niente per Me, e quando egli si fu convinto di ciò, montò di nuovo sul suo seggio - dopo essersi lavate le mani in presenza di tutto il popolo in segno che egli non poteva condannarMi - e dichiarò al popolo: «Prendetevi dunque il vostro delinquente, il quale però è più giusto di voi, e giudicatelo secondo la vostra legge, perché se­condo la nostra egli è innocente!».

                        7.                   Allora essi, fatteMi di nuovo indossare le vesti, Mi con­dussero dinanzi al tribunale del Tempio. Caifa non fece molti preamboli, Mi chiese solamente: «Gesù da Nazaret, sei Tu il Figlio di Dio?». - Ed Io gli risposi: «Si, tu lo dici, Io lo sono!». - E udito questo, Caifa gridò: «Che bisogno abbiamo noi di testi­moni ancora? Egli ha bestemmiato Iddio, ed è perciò reo di morte!».

                        8.                   Dopo di che egli spezzò la verga contro di Me e contro la Mia vita, e Mi condannò, come era usanza allora, a portare Io stesso lo strumento del supplizio fin sulla collina del Golgota, dove dovevo soffrire la morte sulla croce.

                        9.                   Così, nemmeno questo tormento Mi fu risparmiato. Essi Mi trascinarono via dando degli strattoni alle funi con le quali ero legato e scagliando le più tremende maledizioni contro di Me, pensando di acquistarsi in questo modo dei meriti presso il loro signore. Io fui costretto a camminare a piedi nudi proprio là dove la strada era più sassosa, per rendere - se fosse stato possi­bile - ancora più amara la Mia sorte e per accrescere le Mie soffe­renze.

                    10.                   Estenuato a causa del dolore e della debolezza, caddi a terra; tuttavia quegli spietati carnefici non si commossero affatto, anzi continuarono a trascinarMi di qua e di là, finché caddi per la seconda volta a terra.

                    11.                   Di nuovo essi Mi sollevarono con degli strattoni alle corde e Mi cacciarono avanti a forza di spintoni e di calci, fino a tanto che Mi accasciai nuovamente a terra, e questa fu la terza volta.

                    12.                   Ma essi videro che ormai soltanto poco Io po­tevo durare ancora, e che era in dubbio se avrebbero potuto con­durMi vivo sul luogo del supplizio; perciò Mi lasciarono per un breve tempo giacere a terra là dove ero caduto. Ora, av­venne che proprio in quello stesso momento passò per quella strada un amico di nome Simone, il cireneo. Essi allora lo apostrofarono malamente e gli dissero accennando a Me: «Eccolo qua il tuo Maestro!». - Ma egli rispose: «Tempo verrà in cui ma­ledirete l’ora nella quale avete fatto questo! Il mio desiderio, però, è di servirLo». - Ed essi gli dissero:  «Anzi, tu lo devi fare!». - Egli allora si avvicinò a Me, collocò la croce sulle sue robuste spalle, Mi prese sotto braccio, e così, tra sofferenze indicibili e sfi­nito a morte, Io giunsi finalmente sul Golgota.

                    13.                   Arrivati là, quei carnefici Mi strapparono con tanta brutalità di dosso le vesti, le quali a causa del peso della croce portata erano penetrate nelle piaghe, che tutte queste incominciarono di nuovo ab­bondantemente a sanguinare, traendoMi anche l’ultimo sangue fuor dalle vene. Sopraffatto dall’atroce dolore, Io caddi al suolo mezzo morto, ed i carnefici si affrettarono a portarMi ancora vivente sulla croce. Essi Mi sollevarono, e poi, quasi Mi gettarono sul le­gno della croce, e in fretta e furia si diedero a configgerMi alle mani ed ai piedi con degli acuti chiodi.

                    14.                   O figlioli Miei! Considerate, considerate quali orribili tor­menti dovetti sopportare! Prima, per esserMi state strappate di dosso le vesti già penetrate nelle carni e rimastevi appiccicate in seguito al coagulamento del sangue, e poi per la trafittura dei chiodi che Mi avevano straziato le mani ed i piedi! Finalmente essi rizzarono la croce e la sospinsero nella buca appositamente scavata, cosicché il Mio corpo ne subì una scossa talmente vio­lenta, da essere posto nel più grave pericolo di precipitare dalla croce con il capo all’ingiù, quando le ferite alle mani ven­nero a lacerarsi. Involontariamente, allora, esclamai ad alta voce: «Elì, Elì, lamà sabactanì!?». Le cui parole, interpretate, significano: «Mio Dio, Mio Dio, perché Mi hai abbandonato!?», e ciò mentre il Mio corpo, lasciato al suo destino, doveva morire.

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Cap. 10

Le ultime parole sulla croce

                        1.                   Quando i farisei e gli scribi udirono questa esclamazione dalla Mia bocca, essi credettero che Io avessi chiamato Elia, il grande profeta; ma poiché non videro venire nessuno, incomin­ciarono a schernirMi e a bestemmiare, dicendo: «Adesso è lui che chiama Elia, perché gli venga in aiuto! Ma che invochi adesso il suo Jehova, se Questi ha tanto compiacimento in lui! Agli altri ha saputo recare aiuto, sé stesso, invece, egli non è in grado di aiutare!».

                        2.                   Miei cari figli, anche tutte queste bestemmie Io le dovetti ascoltare mentre ero appeso alla croce fra i più atroci tormenti, e mentre essi, rivolti a Me, continuavano a gridare: «Se tu sei il Figlio di Dio, scendi giù, e noi allora ti crederemo!».

                        3.                   E vedete, Miei cari figli, Io invece supplicai il Mio Id­dio-Padre, e dissi: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!». Se davvero Io fossi disceso come se niente fosse accaduto, Io avrei, così, afferrato il mondo intero fin nelle sue fondamenta, e nel medesimo istante tutta la Terra, anzi tutta la Creazione sarebbe stata ridotta in atomi e disciolta.

                        4.                   Io invece Mi votai a tutto il Mio Amore, alla Mia Umiltà e alla Mia Misericordia, e resistetti anche ai più grandi dolori, e dissi: «Ho sete!», e volevano porgerMi una spugna imbevuta di un po’ di aceto e fiele; ma la respinsi, perché avevo sete soltanto di amore e di cuori umani infiammati di amore.

                        5.                   Allora uno dei due delinquenti, e precisamente quello che era stato legato alla croce alla Mia sinistra, si diede egli pure a schernirMi, mentre quello che si trovava appeso alla Mia destra gli rinfacciò le sue parole, dicendo: «Noi giustaménte soffriamo a causa dei nostri peccati, mentre Egli è innocente!». - Ed Io gli rivolsi uno sguardo mite e misericordioso, ed egli, allora, Mi supplicò: «Signore, ricordaTi di me, quando sarai giunto nel Tuo Regno». - Ed Io gli dissi: «Già oggi tu sarai con Me in Paradiso».

                        6.                   Ormai, però, sentivo che gli ul­timi minuti della Mia vita terrena erano giunti. Io rivolsi una volta lo sguardo a Maria, la madre Mia, e a Giovanni, il Mio di­scepolo prediletto, i quali si trovavano ai piedi della croce, e dissi alla madre Mia: «O donna, ecco tuo figlio», e poi a Giovanni: «Ecco tua madre». E da quel momento il Mio di­scepolo prediletto ebbe cura di Maria, la madre Mia, poiché Io conoscevo la sua fedeltà, il suo amore e la sua rettitudine. La madre Mia curò per lui le faccende domestiche, e così essi vissero assieme fino a quando la chiamai a Me.

                        7.                   Ormai ogni cosa era stata posta in ordine, ed allora, con voce forte e chiara, esclamai ancora: «E’ compiuto!», e con l’ul­timo respiro innalzai al Mio celeste Padre-Spirito anche l’ul­tima invocazione: «Padre, nelle Tue Mani, raccomando il Mio Spirito!». Dopo di ché chinai il capo, e morii: morto quale Uomo del dolore sul Golgota, per i peccati dell’intera umanità.

                        8.                   E fui levato dalla croce dai Miei amici e posto in un sepolcro nuovo, fatto scavare nella roccia, vicino al monte Cal­vario.

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Cap. 11

Deposizione dalla croce e sepoltura

                        1.                   Ecco, figlioli Miei, tale fu il decorso della Mia vita e delle Mie sofferenze sulla Terra, per la salute di tutta l’uma­nità.

                        2.                   I Miei amici, dietro loro preghiera avevano ottenuto dal governatore Pilato la licenza di togliere dalla croce il Mio corpo un po’ prima del tempo consueto, e ciò in considerazione che la vigilia del Sabato era imminente e dopo che un milite pietoso, armato di lancia, si fu convinto che Io ero veramente morto, trafig­gendoMi il cuore; mentre ai due che erano stati crocifissi con Me, secondo l’usanza di allora, dovevano prima venir fiaccate le ossa, perché talvolta accadeva che non fossero ancora morti ma soltanto caduti in un profondo deliquio.

                        3.                   I Miei amici, Giuseppe di Ari­matea e Nicodemo, che era un preposto dei cittadini di Gerusalem­me nonché dottore della Legge, tolsero il Mio corpo dalla croce, lo pulirono dal sangue e dalla polvere, e lo ravvolsero in candidi lini. Ora, Giuseppe di Arimatea possedeva, proprio confinante con il monte Calvario, una villa con qualche appezzamento di terreno intorno, che però in parte era sassoso e roccioso. Là, già da vari anni prima, egli si era fatto scavare nella roccia una nic­chia destinata a sua propria sepoltura; e fu precisamente là che essi deposero il Mio corpo. E poiché i farisei e gli scribi avevano avuto sentore di esserMi espresso dicendo che il terzo giorno sarei ri­suscitato, richiesero ed ottennero che dei militi sorvegliassero il sepolcro fino al quinto giorno, e ciò ad evitare la possibilità che i Miei discepoli venissero di notte e trafugassero la Mia Spoglia mortale.

                        4.                   A impedire un inganno di questa specie vennero apposti anche dei sigilli alla pesante pietra che copriva il sepolcro, perché anche Pilato era curioso di sapere dove e come tutta la questione si sarebbe risolta, dato che anche ai suoi orecchi era giunta la notizia dei molti avvenimenti verificatisi al momen­to della Mia morte, e così non ignorava che la nuova cortina del tempio si era lacerata da cima a fondo, che la Terra aveva tre­mato, e che il Sole aveva perduto il suo splendore. Parimenti, dei trapassati erano apparsi in spirito ai loro parenti già da lungo tempo[8], e il popolo discusse molto tra sé intorno alla Mia morte. Inoltre, i farisei e gli scribi non sapevano spiegarsi il perché essi, ora, non potevano rallegrarsene come se n’erano ralle­grati precedentemente allorquando poterono averMi in loro potere.

                        5.                   O Miei cari figli! Nessuna gioia può appunto più provare l’uomo nella sua vita, quando la Scintilla dello Spirito di Dio nel petto di un peccatore sia stata risospinta tanto indietro. Allora l’uomo non può che accedere soltanto che all’influenza dei bassi elementi della sua propria carne, e soltanto da questa egli si lascia guidare, di modo ché lo Spirito di Dio, nell’uomo, non riesce proprio più a far sentire la Sua voce. Queste parole, o Miei cari figli, vedete di prendervele molto profondamente a cuore.

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Cap. 12

Il perché della crocifissione di Gesù

                        1.                   Miei cari figli! Voi avete ora inteso di tutte le Mie sofferenze e di tutti i martiri che Io, quale uomo Gesù di Nazaret, come dappertutto Mi si chiamava, dovetti sopportare durante il tempo in cui pellegrinai sulla Terra, quale Maestro e Redentore del mondo.

                        2.                   Certo, non fu affatto un destino piacevole per la Mia na­tura umana, eppure quello era il compito che il Mio Iddio-Padre Mi aveva destinato e che Io dovevo compiere, perché già allora - quando cioè venne pronunciata la sentenza contro Adamo ed Eva ed i loro discendenti - l’Anima Mia di Sapienza era in ciò con­corde. Ma che cosa sarebbe accaduto, Miei cari figli, se Io non Mi fossi lasciato indurre a divenire il Salvatore dell’umanità?

                        3.                   Voi non avete a tal riguardo la ben che minima idea, poiché ciascun essere umano che fosse nato, avrebbe dovuto morire d’una morte violenta sulla croce.

                        4.                   Cosa credete voi? Quanti esseri umani avrebbero in tal caso raggiunto la felicità di tro­varsi riconciliati con il loro Dio-Padre? Riflettete anche una sola volta su questo problema, ma in modo maturo! Se ciascuno avesse dovuto venir crocifisso, quanti si sarebbero lasciati crocifiggere?

                        5.                   Eppure, senza questa penitenza nessuna anima sarebbe potuta apparire del tutto senza peccato, anche se, ugualmente, non fosse stata cattiva, per la ragione che su di essa sarebbe pur sempre rimasta la macchia del peccato originale. E chi di voi può ricordarsi di aver compartecipato al peccato originale? Voi tutti dite: “Noi non ne sappiamo nulla”, ed Io convengo che infatti è così, perché voi il peccato originale l’avete commesso soltanto quale conspirito nello spirito di Adamo e di Eva; ora questo peccato voi lo percepirete soltanto quando sarete rigenerati nella vostra anima, e vi sarete unificati con lo Spirito che è in voi[9], vale a dire, solamente quando il vostro spirito umano, avente origine dallo spirito dei vostri generatori terreni, padre e madre, e quando infine tutte le particelle animiche dalle quali l’anima umana viene generalmente ricavata, saranno finalmente pervenute alla percezione chiarissima.

                        6.                   Tuttavia, o Miei cari figli, prima ancora che voi foste giunti a un tal grado di lucidità di spirito, il breve tempo della vostra vita terrena sarebbe ben che trascorso, e voi dovreste cade­re in braccio alla morte sulla croce. Dite, dunque, quale sareb­be allora lo stato dell’animo vostro? Ben pochi sarebbero coloro che aspirerebbero a questa riconciliazione! Ognuno preferirebbe un genere di morte più rapido, a suo piacimento. E quale ne sa­rebbe la conclusione? Ecco: Nell’al di là non perverrebbero che dei suicidi, doppiamente gravati di colpa, e nessuna reincarnazio­ne[10] potrebbe render migliore l’anima.

                        7.                   O figlioli Miei cari! Meditate dunque spesso su quanto Io, quale Gesù di Nazaret, ho fatto e creato per voi e per l’umanità tutta; forse allora potrete sentire e impiegare più amore per Me. Questo sia detto a conclusione di questo breve trattato sulle Mie sofferenze e sulla Mia morte, e sulla Mia Opera di Redenzione, la quale, in un tempo ormai prossimo, dovrà avere il suo coronamento con il Mio ritorno su questa Terra.   -  Amen.

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  Incarnazione o Re-incarnazione?

                                                                                                

 

 



[1] (questo Nome sostituisce quello di Padre)

[2]  La prima edizione italiana di tale opera del mistico Jakob Lorber (1800-1864) fu intitolata: «L’Evangelo di Giacomo», contenente la Storia dell’Infanzia e della Fanciullezza del nostro amato Salvatore Gesù Cristo, fu pubblicata a Trieste, nel 1925; - dal 1997 è pubblicata dalle Case Editrici ‘Armenia’ e ‘Nuova Rivelazione’ col titolo: «L’infanzia di Gesù».         

[3]   Vedasi «L’infanzia di Gesù» cap. 245, 13-22 e cap. 247, 4-7.

[4]   Cfr. «Matteo» cap.13, 55-56. - «Galati» cap.1, 19 - Vedasi anche «L’infanzia di Gesù» cap. 13, 7-8 dove vengono citati i nomi dei 5 fratelli acquisiti: Gioele, Joses, Samuele, Simeone e Giacomo.

[5]   Cfr. «Vangelo di Giovanni» cap. 4, 23-24.

[6]   Vedere nell’Opera di Jakob Lorber «Le dodici Ore» tutto il cap. 12 nel quale è spiegato il significato e le caratteristiche dell’essenza del grande Uomo cosmico universale, nonché la sua essenza.

[7]  Profondo e’ il significato spirituale che, con riferimento alla vita ter­rena del divino Maestro di Galilea, acquistano qui i tre numeri: 3, 30 e 72.  Il numero 3 è l’espressione perfetta della Legge trinitaria; - Il numero 30 sta qui in relazione con gli anni vissuti sulla Terra dal divino Maestro, prima che Egli desse inizio ai tre anni messianici; - Il numero 72, infine, sta qui a rappresentare un valore intrinseco spirituale. Tenuto conto che le ore nel giorno sono dodici (cfr. «Vangelo di Giovanni» cap. 11, 9) e che il 6 è il numero della incompletezza dell’uomo-creatura in rapporto alla perfezione del numero 7 che rappresenta la perfezione in Dio, il prodotto 12 x 6 da’ 72.

[8]  Cfr. il Vangelo di Matteo, 27, 53.

[9]  Cfr. «Vangelo di Giovanni» cap. 3, 3-8 – (il dialogo con Nicodemo).

[10] Se i sacri testi non accennano che indirettamente o incidentalmente alla supposta legge universale della reincarnazione, la ragione di ciò è ben giustificata, perché altrimenti l’uomo, vivendo la sua vita in costrizione sul piano fisico, opererebbe condizionatamente, e così facendo egli perderebbe la propria libertà di azione. Infatti, se l’uomo avesse la conferma di una rinascita corporale, egli non opererebbe più per Amore, ma soltanto in subordinazione di quel timore karmico che gli si manifesterebbe, ed ogni espressione di vita perderebbe in tal caso il suo effetto. – (Sul concetto della incarnazione/reincarnazione abbiamo ritenuto di allegare a questa IIa edizione italiana un breve allegato alle ultime pagine di questa edizione).

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