Leopold Engel
(Trascrizione di una visione psicometria, dono della
chiaroveggenza)
L’apocalisse
di
Mallona
La distruzione del pianeta nella fascia degli asteroidi
Traduzione dall’originale tedesco “MALLONA - Der Untergang des Asteroiden-Planeten”
Edizione originale - Turm Verlag, 74321 Bietigheim-Bissingen Germania
Edizione italiana del 2013 a cura del gruppo: “Amici della nuova Luce”
Copertina di Cristine Scubla
Traduzione testo a cura di Antonino Izzo e Ingrid Wunderlich
Illustrazioni di Vittorio Zocco e Franz Reins
Copyright © by Turm-Verlag
Copyright © by Associazione Jakob Lorber
Casa editrice “Gesù la nuova Rivelazione”. (BG)
Altri riferimenti al pianeta Mallona: J. Lorber nell’opera “Il vescovo Martino - al cap.46”
Cap. 1) Dalla Terra all’Universo
Cap. 2) La provenienza dell’anello
Cap. 3) La pietra aurea
Cap. 4) In patria
Cap. 5) Dal passato del regno di Mallona
Cap. 6) Re Areval
Cap. 7) Alle caverne di Wirdu
Cap. 8) Le caverne di Wirdu
Cap. 9) Un figlio del re
Cap. 10) Il veleno dell’egoismo
Cap. 11) Il vicerè di Nustra
Cap. 12) A Nustra
Cap. 13) Nel tempio della bellezza
Cap. 14) Viaggio di ritorno del sutor
Cap. 15) La ribellione
Cap. 16) La vittoria di Karmuno
Cap. 17) Sutona
Cap. 18) La fine di Mallona
Cap. 19) L’ultima visione
Cap. 20) Epilogo
Citazioni da altre opere
INDICE dei PERSONAGGI
AREVAL: Secondo figlio del re Maban
ARTAYA: figlia del re Areval
ARVODO: supremo generale di Mallona
CUROPOL: sommo sacerdote di Sutona
FEDIJAH: sorella di Upal
FURO: capostipite della Stirpe di Mallona
KARMUNO: sommo sacerdote di Mallona
KSONTU: ex dittatore di Sutona
MABAN: ex re di Mallona
MANSORE: Sommo sacerdote di Nustra
MIRTO: scopritore dello sfruttamento delle forze dell’etere
Il MONNOR: titolo del vicerè di Monna
MUHAREB: primo figlio del re Maban
MURAVAL: figlio di Areval e di Fedijah allevato da Muhareb
NUMO: mistico maestro di Monna
Il NUSTROR: titolo del Governatore di Nustra
RUSAR: fratello di Arvodo, vicerè di Nustra
Il SUTOR: titolo del vicerè di Sutona
UPAL: Fratello di Fedijah, rivale di Areval
VOLTO servitore del tempio a Monna
NOMI MITOLOGICI
ANARBA: dea della bellezza
MUNGA: figlia di Usglom
NIMRI: simbolo dell’astuzia serpentina
SCHODUFALEB: nome della massima divinità
USGLOM: demone del fuoco
WEISKEE: mistica figura leggendaria
NOMI GEOGRAFICI
MALLONA: continente principale del pianeta
MARDA: vulcano nelle montagne di Wirdu
MONNA: secondo Continente
NUSTRA: terzo Continente
RESMA: città di Mallona
SUTONA: quarto Continente
WIRDU: montagna rocciosa di Mallona
NOMI DI COSE
VARIE
MAHA: propellente ottenuto dal Nimah
MANGA: sostanza chimica luminosa (luce fredda)
NIMAH: esplosivo di enorme potenza
OROSTEIN: pietra preziosa, insegna del potere del re
ROD: roccia bianca, usata come mezzo di pagamento
- - - - - -
Prima dell’esplosione, fra Marte e Giove Dopo, la fascia degli asteroidi
(dal
racconto della medium)
1.
Dai molti abitanti della
Terra che di notte guardano al cielo stellato, spesso è custodito il desiderio
di poter compenetrare lo spazio infinito e andare là, in quei lontani mondi
splendenti, nostri vicini così stupendamente adornati, per conoscere quei
sistemi solari con i loro sospettati pianeti, se su quei mondi vivano anche
esseri umani uguali a quelli della nostra Terra, e se questi stiano altrettanto
sotto le leggi della vita vegetale e intellettuale che gli uomini maturarono nella
vita sulla Terra. Mille nuove domande s’impongono a questa, alla quale mai è
riuscito il tentativo di sciogliere la questione principale, la cui risposta
definitiva nella vita terrena, che ci ha incatenato fisicamente al nostro
pianeta, mai potrà essere data. Riuscirà un giorno all’uomo di trovare mezzi e
vie per attraversare nel corpo, velocemente, lo spazio cosmico? Anche se la
tecnica porterà ancora tanto lontano, ad ogni desiderio di un temerario volo
sulla via fisica, la sfera terrestre sembra contrapporre insormontabili
impedimenti. L’arte dell’ingegneria e della fisica viene meno all’imperioso
“alt” della madre Terra: questo, esclama lei ai suoi figli che si vogliono
strappare fisicamente dal suo grembo!
2.
Altra cosa è
con lo spirito, il quale non proviene dal suo grembo; essa non lo può
incatenare, non gli può esclamare: io ti ordino di rimanere all’interno dei
confini del mio regno! Un figlio di Dio, nato dalla sostanza del Cosmo,
compenetra l’Universo – la sua eterna Patria – dal quale egli è nato e che a
lui rivelerà anche tutti i misteri una volta che si sarà strappato dalla sua
prigione materiale.
3.
Tutti noi nel
profondo dell’anima siamo esseri spirituali, figli di Dio provenienti
dall’eterno primordiale Spirito di Dio! Noi scorgiamo nell’immagine riflessa
del nostro essere l’Essenza dell’eterno Creatore del mondo, del cui dominio ben
rabbrividiamo in timore reverenziale, tuttavia non tremando di paura dinanzi
alla Sua onnipotenza. Noi, infatti, quanto più riconosciamo com’è benfatto
tutto ciò che scaturisce dal Suo Centro di Volontà, tanto più c’infiammiamo in
amore. Percepiamo che quest’Universo mai ci è ostile, se nella nostra follia
non gli opponiamo resistenza; anzi ci è benevolo, utile e salutare, se
riconosciamo la profonda verità della legge primordiale di ogni vita: Creatore
e creatura non sono esseri separati, bensì devono rappresentare un matrimonio,
il quale genera i suoi più ricchi frutti nel più costante perfezionamento!
4.
Anche il mio
spirito riconosce questo scopo del progetto universale, e così io oso penetrare
nei misteri della sua evoluzione per esplorare una piccola parte dello stesso.
Mi libero dei legami del corpo mortale, mi lancio in alto nell’eterno spazio,
lasciando profondamente indietro il mondo, luogo di sofferenze e gioie terrene.
5.
Mi alzo in volo
in spazi inondati dalla luce del Sole. Su di me s’inarca un profondo blu che,
quanto più in alto compenetro l’atmosfera della Terra, tanto più s’intensifica
in un nero impenetrabile. – Adesso ho lasciato questa dietro di me e fluttuo
liberamente nello spazio infinito. Sotto vedo stare sospeso l’imponente globo
terrestre, la cui dimensione si rimpicciolisce sempre di più, quanto più in
alto mi muovo verso una meta a me sconosciuta. Il Sole non riscalda più il
silenzio dello spazio, ma dispensa ancora la sua luce; io, infatti, non
attraverso l’ombra della Terra che, come un lungo cono, si perde nell’Infinità.
6.
L’anima umana
trema in questo vuoto ed eterno silenzio. Essa, infatti, percepisce qui
l’azione dell’invisibile Divinità, la cui Volontà costringe tutte le splendenti
costellazioni a muoversi secondo le leggi che sono stabilite dal Proprio
arbitrio. Anch’io sono soggetta ad esse, io – cui è concesso, come uno spirito
libero dalle spoglie terrene, di vedere tutte queste magnificenze, per ammirare
le Opere dell’Eterno.
7.
Sempre più in
alto prosegue il volo. Alla mia destra splende un mondo che mi viene incontro
come un disco scintillante, il quale a poco a poco s’ingrandisce e riflette nel
chiarore rossastro i raggi del Sole. Io so, è il pianeta Marte, il quale si
mostra al mio sguardo situato alla mia destra, così vicino, come nessun
astronomo l’ha mai visto. Ora anche lui sprofonda sotto i miei piedi, sempre
più in alto, infatti, procede il volo, verso un astro che si trova proprio sopra
la mia testa. Sotto di me scorgo il disco della Terra, posso riconoscere ancora
chiaramente le macchie che costituiscono i suoi mari, i continenti si
distinguono chiaramente. Riconosco l’Europa, la quale sembra come una penisola
dell’enorme Asia, l’Africa e al margine emergono i continenti dell’America.
8.
Sempre più in
alto procede il volo, reso possibile da una forza a me inspiegabile. E adesso –
adesso s’ingrandisce a vista d’occhio il pianeta che è sospeso sopra la mia
testa e verso il quale mi fa dirigere la forza trainante. Che cos’è questo? Si
mostra a me una copia della Terra? In modo evidente avevo in memoria le masse
continentali della Terra e ora vedo in rassomiglianti forme la copia delle
stesse? È questo un desiderio della mano creativa del Creatore, il quale fa
sorgere quel pianeta che si rivela sempre più al mio sguardo?
9.
Posso
riconoscere chiaramente due enormi parti continentali separate, esse somigliano
a quelle dell’America, solo che l’istmo di Panama manca e il mare si riversa
liberamente tra le due parti. Al margine sinistro emergono altri continenti. Il
volo si dirige verso di loro e, sempre più, è visibile una svolta – evidente,
per raggiungere l’altra parte dell’astro –. Ora vedo che questa somiglia alla
forma dell’Asia unita con l’Europa. La forza che mi trascina mi conduce alla
parte ancora invisibile del pianeta, la quale trovandosi dalla parte opposta al
Sole, si trova nel buio della propria ombra. Avvicinandomi sempre più alla sua
superficie, la gigantesca volta della sfera occupa l’intero orizzonte. Presto
potrò conoscere ciò che nasconde la sua superficie, ma la distanza è ancora
troppo grande per l’occhio umano.
10.
Che
stella è mai questa, verso la quale io mi dirigo? Dopo l’orbita di Marte che ho
attraversato, segue certo la zona degli asteroidi. Dopo questa, l’orbita di
Giove! Però non è Giove! Dovrei anche scorgere le sue lune; veramente questo
pianeta sembra di non possedere nessun satellite come la Terra. È forse uno dei
più grossi di quegli asteroidi che, in gran numero percorrono quello spazio nel
cui luogo, per lunghi anni, si è cercato un pianeta e non è stato trovato,
finché la potenza del telescopio scoprì, a dir il vero, dapprima solo quattro
piccoli mondi? Esso mi sembra troppo imponente nella sua massa, anche l’occhio
non trova nello spazio nessuno dei compagni che dovrebbero pur condividere con
lui quest’orbita! – Chi sei tu, mondo sconosciuto al quale io corro incontro e che
adesso mi è venuto così vicino che posso riconoscerne gradazioni colorate di
boschi, pianure, laghi, mari e fiumi? Rivelami la tua provenienza, il tuo nome!
–
11.
Allora sussulta
una risposta attraverso la mia anima: “Tu vedi nuovamente combinate in un tutto
le macerie di quello che fu un grande, stupendo mondo, le quali adesso si
spostano velocemente come asteroidi attraverso lo spazio. L’ex pianeta si è
ricostituito nella sua bellezza davanti ai tuoi occhi stupefatti, affinché tu
possa comunicare ciò che nessun occhio umano ha visto prima di te! Tu devi
contemplare ciò che migliaia di anni fa accadde su di esso! Devi dar
testimonianza del Grande Spirito dei mondi che lasciò accadere ciò che non
volle impedire per amor del grande scopo che era necessario raggiungere!”.
12.
Mi avvicino
sempre più, – ecco – una profonda oscurità mi circonda, una nera, densa notte.
Sono immersa nell’ombra del pianeta e, con velocità pazzesca, corro adesso alla
meta del mio viaggio. Respiro aria come su in alta montagna; nuvole sono da me
dissipate. Tenebrose cime di monti minacciose mi si tendono incontro, come se
volessero rifiutare che il mio piede calpesti il terreno e sveli i suoi
segreti, – ma nulla mi può ostacolare!
13.
Il mio volo
rallenta sopra monti, crepacci, lungo vulcani fumanti e in eruzione. Al mio
orecchio batte il tuono fragoroso delle nuvole. Verdi prati si estendono sopra
montagne lievemente arcuate, debolmente illuminate dallo splendore di un
meraviglioso mondo di stelle e dal primo bagliore di un mattino che sta per spuntare.
Su di una tale vetta, circondata da nebbie fluttuanti che ancora velano il
panorama sulla regione situata in basso, termina il mio meraviglioso viaggio
dalla Terra a quel lontano pianeta. Io sto sul territorio di Mallona, un mondo
del nostro Sistema solare, un giorno distrutto.
[indice]
1.
Lentamente l’Oriente si
tinge di rosso. Il Sole sale maestosamente sopra l’orizzonte e scaccia le
nebbie vaganti, le quali tutt’intorno nascondono alla vista le valli profonde,
offuscando ancora le cime dei monti. Si fa più luce, la regione diventa più
chiara. Sempre di più si svela il paesaggio che gli alti monti circondano,
sulla cui parte rivolta verso il mare era terminato il mio audace volo.
2.
Un vento
sostenuto, che soffia dal mare e increspa la sua superficie in leggere onde
coronate di schiuma, disperde gli ultimi spettrali lembi di nebbia. Adesso il
paesaggio sta chiaro dinanzi a me nel rosso di uno splendido, nascente nuovo
mattino. Questa regione è certamente in tutto simile alla Terra, solo che ogni
cosa è enorme ed esercita sull’anima una potente impressione.
3.
Là dietro,
all’orizzonte, vedo levarsi del fumo; ogni tanto guizzano fiamme, alle quali
segue un lieve tuono sotterraneo. Là devono essere attive forze vulcaniche e
conducono una lotta con il mare che qui scava una profonda insenatura nel
territorio, e anche là dal focolaio, quelle eruzioni sono separate solo
mediante quella ininterrotta, slanciata parete rocciosa.
4.
Sento il
desiderio di prendere in considerazione più da vicino questo luogo. Ed ecco, il
mio corpo si leva lieve come una piuma nell’aria e spinge alla meta del mio
desiderio. – Ora riconosco la forza trainante che ha reso possibile il mio
viaggio dalla Terra: è la mia volontà, la quale è più forte della resistenza
opposta dalla materia.
5.
Che spettacolo
terribile di forze naturali selvaggiamente violente e scatenate si offre qui!
Di simile non ce n’è sulla Terra. Adesso vedo che ho messo il piede su un mondo
diverso, su un mondo estraneo. È una voragine infernale che qui si manifesta.
Prendete tutti i vulcani della nostra Terra, ammassateli insieme in un posto,
così avrete un’immagine di ciò che si mostra qui. – Qui non c’è una sola voragine
dalle quali massi incandescenti di lava non riversino fiamme e vapori
soffocanti. No! Per quanto lontano giunga l’occhio, si susseguono crateri a
crateri, un efficace laboratorio di forze gigantesche. Qui c’è veramente il
regno di Plutone e Vulcano; essi sono qui signori assoluti. Il loro nemico,
però, il dio Nettuno, il signore di tutte le acque, si mostra in minacciosa
vicinanza. Tutto il paesaggio, così selvaggiamente dilaniato da eruzioni
vulcaniche, mostra al tempo stesso la rilevante depressione, come la conosciamo
in certi luoghi anche sulla Terra. Se non ci fosse la parete rocciosa che
delimita il mare, esso dovrebbe precipitarsi inarrestabile in quell’abisso di
fuoco. Guai allora a questa regione, non si può prevedere quale tremenda catastrofe
capiterebbe improvvisamente sulla stessa!
* * *
6.
Mi libro lungo
la cresta montuosa attraverso questa regione terrificante, dai cui crateri
salgono continuamente fiamme e lave infuocate, spesso scoppiando in aria come
bombe con assordante fragore. Adesso giungo, ad altissima velocità percorrendo
in fretta l’aria, alla fine di questo spaventoso paesaggio. Alte montagne,
scendono a picco sul mare, nude rocce si ergono lungo la costa e offrono una
sosta inospitale al povero naufrago che forse ha salvato fin qui la sua vita.
Là un vasto promontorio si tuffa nel mare; là dietro si unisce un’insenatura,
ed ecco, simile ad una ridente oasi nel deserto, nell’area di quest’insenatura,
si mostra l’immagine di un ridente paesaggio.
7.
Qui verdeggiano
e germogliano meravigliosi fiori, arbusti e alberi, un piccolo paradiso si
manifesta allo sguardo meravigliato. Esso è circondato tutt’intorno da alte,
ripide montagne a picco, dalle quali, da come sembra, è impossibile una discesa
alla costa; verso la parte del mare aperto, la paradisiaca insenatura è
protetta mediante uno strato di rocce che interrompono la forza delle onde: un
porto naturale nel quale la tranquilla superficie dell’acqua riflette gli
altissimi monti. Qui la benevola natura ha creato un luogo di pace, sicuro
dalle possenti forze del fuoco che, di tanto in tanto, si sentono strepitare
con sordi tuoni dietro le montagne, come pure dall’acqua, alla quale è
impossibile inondare la spiaggia oltre il banco di rocce con potenza
distruttiva.
8.
Nel vasto
semicerchio di quest’insenatura protetta dalle tempeste, si è sviluppata una
fiorente vegetazione. Intorno vi sono ovunque alberi carichi di frutti che
invitano ad essere gustati; una sorgente scaturisce dalla parete rocciosa e
scende scrosciando verso il mare. Nel mezzo del semicerchio, masse rocciose, un
tempo certamente precipitate a causa di terremoti, formano una specie di
terrazzo, così che è possibile salire su, fino ad un terzo della cascante
ripida montagna. Anche qui la roccia, disgregandosi, ha formato un fertile
terreno; lì tutto verdeggia e fiorisce in colori luminosi. Quest’angolo,
apparentemente abbandonato, offre in abbondanza ciò che la benigna madre natura
è capace di offrire.
9.
Nel frattempo
il giorno è diventato chiaro, il Sole si riversa con caldi raggi sul piccolo
paradiso. Qui è gradevole, qui dimora la pace. Dimorano anche uomini? Sembra
proprio di no! Ma, non si muove qualche cosa sul terrazzo?
10.
Giusto, là vedo
un giovane miseramente vestito di pelli! Dà l’impressione di trovarsi dinanzi
ad uno dei giovani germanici che un tempo dovrebbero aver abitato nelle foreste
tedesche. I blocchi di roccia precipitati hanno formato sul terrazzo una cavità
che, fittamente circondata da piante rampicanti in fiore, offre uno spettacolo
particolare. Si potrebbe credere di trovarsi davanti ad un palazzo di roccia
costruito da gnomi, cui l’arte magica dei suoi abitanti ha conferito un
ingresso adornato con fiabesca magnificenza di fiori. Tutt’intorno profuma e
fiorisce. I colori accesi dei calici rallegrano l’occhio davanti all’ingresso
della cavità nella quale ora è scomparso il giovane. Da quest’altezza si
presenta una splendida vista sul mare e sull’insenatura. Veramente una dimora
che dovrebbe entusiasmare ogni amico della natura.
11.
Adesso si muove
qualcosa nella cavità; appoggiata al giovane, viene fuori lentamente una figura
che incute profondo rispetto. È un vegliardo con lunghi capelli ondeggianti e
barba. E che occhi! Questo è lo sguardo di un uomo che si è liberato dalla pena
dell’esistenza, il quale vive nel riconoscimento del suo Dio ed è capace di
sondare le profondità della Creazione. Così sembra di somigliare ai potenti
profeti d’Israele, i quali senza paura degli uomini camminavano imperterriti,
ed erano impavidi annunciatori della Parola e della Volontà di Jehova.
12.
Una rozza,
semplice veste, avvolgendo l’intera figura – i fianchi sono tenuti da una
cintura di cuoio – copre il corpo muscoloso del vecchio, che non è per nulla un
debole vegliardo, si appoggia solo affettuosamente al fianco del giovane.
Lentamente i due vengono fuori; adesso il vecchio viene avanti da solo,
rispettosamente il giovane rimane indietro. Il vecchio tende le sue mani al
cielo e s’inginocchia. Le sue labbra si muovono in
silenziosa preghiera. Simile ad una statua egli rimane in immobile posizione.
Anche il giovane s’inginocchia, piega il capo al suo petto e le braccia
incrociate su questo.
13.
Il luogo
straordinario, il leggero mugghiare del mare che, insieme al lontano fragore di
eruzioni vulcaniche interrompe soltanto a tratti il silenzio, – e le figure
immobili dei due apparentemente gli unici abitanti di questa cavità rocciosa
sulla quale si riversa la calda, chiara luce del Sole che sale sempre più in
alto, i quali servono, immersi in profonda preghiera, il loro Dio, è
un’immagine di potente impressione! Essa mi colma col presentimento di grandi
cose che si riveleranno.
* * *
14.
Il vecchio
china la testa profondamente a terra. Le sue braccia tese in alto s’incrociano
sul petto. Egli mormora sommesse parole e sembra rispondere ad una persona che
io non riesco a vedere. A lungo dura questa conversazione con un essere
invisibile. Adesso il vecchio si alza, il suo sguardo cerca il giovane compagno
e questi corre da lui.
15.
“Muraval”,
risuona dalle sue labbra. “Dio Padre mi ha dato chiarimento sul destino cui va
incontro Mallona, se presto uno spirito migliore non farà cambiare i cuori di
coloro che si credono padroni del mondo. Saresti tu pronto ad adempiere gli
ordini che Dio Padre mi dà?”.
16.
Il giovinetto
risponde: “Padre, tutto quello che tu mi dici, lo farò, poiché io so che tu non
pretendi da me ciò che non sta nella Volontà di Dio Padre!”.
17.
“Vieni,
siediti accanto a me!”. Dice il
vecchio, e si dirige verso un pezzo di roccia piatta, una naturale panca
all’ingresso della cavità contornata di fiori.
18.
Strano, io
comprendo il linguaggio di questi uomini, sebbene essi parlino certamente un
idioma a me completamente sconosciuto! È dunque vero che il libero spirito è
indipendente dalla forma della parola, solo il concetto rivestito di questa
forma parla a lui, ed egli comprende l’impressione che le parole suscitano,
indipendentemente in quale forma esso sia nascosto. Adesso capisco cosa vuol
dire, ‘la parola è vivente’; la parola
è il concetto della lettera o del solo suono racchiuso, il quale è indipendente
dal suo morto involucro; come io sono ora indipendente dal mio corpo che
avvolge lo spirito.
19.
“Muraval”, dice ora il vecchio al giovinetto.
“È giunta l’ora in cui ti posso spiegare perché l’Iddio Padre ci fece finire in
questa regione, regione che ormai occupo solamente con te già da diciassette
rivoluzioni. Per la diciassettesima volta, oggi il Sole è salito dal mare là
alla sponda rocciosa di quest’insenatura ad arco, come se quell’arco roccioso
gli indicasse l’orbita nella volta celeste. Solo una volta l’anno esso sfiora
lentamente il suo margine, senza gettare l’ombra della roccia nell’insenatura;
che cosa accadrà, quando si avvicinerà il diciottesimo anno?
20.
Muraval, tu
certamente sai, dietro quelle montagne dimorano uomini che noi sfuggiamo. Essi
non sanno nulla di noi, ciò nonostante ti ho dimostrato come loro siano di
sentimento completamente diverso dal nostro. Tu sai che cos’è il peccato, e che
quelli dall’altra parte servono solo il peccato. Un tempo io sono vissuto in
mezzo a loro, onorato e circondato da tutto lo splendore che si possano dare.
Io però non cercavo lo splendore esteriore, io trovavo soddisfacimento solo nel
ricercare la sublime Verità, Verità che non esiste nel trambusto del mondo, e
per la quale il buon Dio, Padre universale, ha preparato una dimora solo in
noi.
21.
Io vedo dove
dovrà portare, se a quei dispotici là dietro le montagne non sarà predicata
ancora una volta la Verità, se non sarà messo davanti a loro uno specchio nel
quale possono riconoscere se stessi. Allora il loro cuore potrebbe essere
toccato e il loro sentimento cambiato.
22.
Muraval, figlio
mio, sappi che re Areval domina ormai il mondo. A lui è riuscito, con la forza
del suo generale Arvodo, di spezzare l’ultima resistenza che gli opponeva la
quarta e ultima parte della superficie di Mallona. Egli domina ormai del tutto
Mallona. Un impero, un impero mondiale illimitato gli è proprio.
23.
Egli tuttavia
non è felice. L’oppressione che i suoi sudditi devono sopportare dai grandi del
re, da molto tempo li ha resi schiavi, quasi come animali. Superbia
inconcepibile, avidità di piaceri, tutte le gioie e i godimenti dell’esistenza
tu li trovi presso gli altolocati; invece, profondissima ignominia e
umiliazione, fame e miseria presso i bassolocati. Solo l’esercito del
dominatore, per mezzo del quale egli mantiene il suo potere, vive nei piaceri e
nell’abbondanza; tutto è proprietà del guerriero, egli è il vero dominatore, il
criminale che serve il re, per servire se stesso.
24.
Come potrebbe,
come dovrebbe essere completamente diverso sul nostro stupendo mondo. Invece di
un luogo della maledizione, Mallona sarebbe un luogo di sublimi gioie se l’uomo
non fosse diventato un infame, profanato in se stesso! Invece di gettarsi nelle
braccia del Padre universale, re Areval ha preferito quelle dello spirito delle
tenebre. Il nostro compito deve essere quello di osare l’ultimo tentativo, per
strapparlo a questa morsa. – Dio Padre, io ubbidirò! Indica a noi la via e i
mezzi!”.
25.
Il giovane
ascolta attentamente le parole del vecchio, e con entusiasmo, assicura ancora
una volta la sua disponibilità a tutto.
26.
Il profeta
guarda meditando il mare luccicante e dice a bassa voce: “Non è ancora tempo,
ma presto verrà e pretenderà molto da noi, forse tutto quello che ancora
abbiamo da dare. Allora non spaventarti Muraval, poiché in confronto alla
potenza di Dio Padre, quella del re è solo un soffio, e noi saremo al sicuro
sotto la protezione del nostro eterno Signore e Padre. – Vieni adesso, cogliamo
dagli arbusti i frutti che ci serviranno per il nostro pasto”.
27.
Svelto il
vecchio si alza, ugualmente il giovane; entrambi scendono verso la riva e
scompaiono velocemente tra i fiorenti cespugli e alberi.
28.
Sono
immobilizzata con forza magnetica davanti alla grotta. Adesso essa mi spinge a
visitare l’abitazione dei due, e vi entro. Essa è grande, spaziosa, e
lateralmente conduce sotto i blocchi di roccia accatastati l’uno sopra l’altro.
Là c’è il giaciglio dei due, fatto di muschio e fogliame essiccato. Poche
suppellettili sono disposte intorno, ricavate da gusci duri di grossi frutti,
simili ai gusci delle noci di cocco e delle zucche. Vedo qui anche pelli di animali,
alcune utilizzate come tappeti, altre come tenda, e quella appesa a uno dei
giacigli, quello del vecchio, certamente serve da protezione contro il vento
che fa visita alla grotta. In capo ai giacigli vedo un grosso contenitore,
decorato con segni che non so interpretare; qualcosa mi spinge ad aprirlo per
conoscerne il contenuto.
29.
Esso contiene
splendenti gioielli, una corona reale con gemme sfavillanti, e in fondo c’è un
anello d’oro con una grossa pietra bianca. – Questa è la stessa pietra con
incisa una testa come quella che mi è stata mostrata e che porto ancora
impressa nella mente; adesso la riconosco chiaramente: da qui dunque essa
proviene, è stata a lungo qui, in questo contenitore!
[indice]
1.
Di nuovo mi sento
afferrata dalla meravigliosa forza che mi ha reso possibile liberarmi dai
vincoli della Terra e alzarmi in volo fino a questo mondo estraneo, per fare
delle indagini sulla storia dell’anello. Da qui son1o portata via da questa
forza attraverso gli spazi oltre le alte montagne all’interno del paese. Il
volo si dirige al confine di quella regione vulcanica che mi è già diventata
nota. Com’è strano: morte e vita serena, stanno qui, l’una accanto all’altra.
2.
Lì a sinistra,
sul lontano orizzonte, vedo l’imperversare di forze vulcaniche. Poi segue una
stretta fascia di nuda roccia e, senza passaggio, si chiude in questa un ameno,
fiorente paesaggio; posso abbracciare con lo sguardo boschi, fiumi, campi e
laghi, stupende graziose vallate, dolci colline arrotondate visibilmente
coltivate da diligenti mani umane. Non sono però le regioni coltivate,
l’attuale meta cui io tendo. Sembra essere invece quella fascia che separa i
floridi paesaggi dalla regione del fuoco.
3.
Noto che là
sono attivi e lavorano diligentemente uomini, creature come noi, solo
notevolmente più grandi di statura. Laggiù è sorta una miniera. Profondi
passaggi sono trivellati nella pietra, centinaia, no, migliaia di operai sono
all’opera. Da come però sono sorvegliati rigorosamente e come sembrano
oppressi, questi lavoratori non sono uomini felici! Essi sono costretti a un
lavoro cui non si sono dedicati per loro libera volontà. Spietatamente essi
sono sospinti da brutali sorveglianti – ciascuno dei quali è accompagnato da
due uomini armati – in passaggi che, profondamente, s’introducono nelle rocce,
dalle quali vedo venir fuori alcuni uomini completamente esausti con pietre
straordinariamente bianche e irregolarmente grosse. – Essi gettano via le
pietre e, respirando faticosamente, crollano a terra semi svenuti. Alcuni dei
compagni versano acqua su di loro e cercano di portarli di nuovo in sé. Quanto
sono miseri tuttavia questi uomini nel corpo, sono solo pelle e ossa!
4.
Nei profondi
passaggi essi arrivano così vicini al focolare del fuoco vulcanico e ai suoi
soffocanti vapori, che solo con costante pericolo di vita in quel posto
raggiungono le pietre bianche. Vedo il penoso lavoro di questi infelici lungo
l’intera fascia rocciosa che si estende per miglia e miglia,
5.
Quale alto
valore dovrà possedere quelle pietre, perché così tanti uomini sono sacrificati
per la loro estrazione? Tale lavoro deve mietere migliaia di vite umane. Solo
la violenza è il mezzo per costringere questi infelici a scegliere tra morte o
lavoro. Chi si rifiuta di entrare ancora per lungo tempo nelle cavità, è
spietatamente abbattuto da uomini armati per mezzo di lunghe lance. Molti
preferiscono questa morte veloce, alla lenta uccisione nei vapori dei pozzi
nella roccia.
6.
I barbari
sembrano aver compiuto già parecchie volte il loro lavoro come aiutanti del
boia. Vedo là, dietro quelle rocce, vicino ad una profonda voragine, giacere
corpi senza vita con ferite ancora sanguinanti, accanto a questi ce ne sono
altri i cui volti deformati indicano la morte per soffocamento causata dai
vapori velenosi. Un’immagine dell’orrore e della ripugnanza. Gli uomini di
questo mondo insensibile sono senza nessuna compassione nel petto?
7.
È proprio così!
I sorveglianti e i numerosi uomini armati non possiedono più, in ogni caso,
alcuna traccia di sentimento umano. Ridendo, essi gettano i cadaveri degli
infelici nella profonda voragine, la quale offre loro un ultimo luogo di
riposo. Quanti saranno quelli che già giacciono nella profondità, da cui
risuona su un cupo imperversare d’acqua? Quanta miseria, dolori e maledizioni
hanno sciacquato le mugghianti acque là, sotto il mare, nel fondo della
terribile voragine!
8.
Non lontano da
questo luogo dello strazio c’è un grande edificio. In quel luogo sono portate
dentro tutte le pietre guadagnate col sangue, esaminate con cura, selezionate
secondo la purezza del colore e immagazzinate in speciali solide stanze. Io
presumo che queste pietre rivestano lo stesso ruolo del denaro sulla nostra
Terra, che il loro valore misuri il valore degli altri prodotti di questo mondo
e, in ogni caso, sono considerate come denaro e servono come mezzo di
pagamento. L’ampio edificio, costruito con enormi pietre squadrate, somiglia ad
una fortezza. Entro e vedo dappertutto uomini laboriosi che, per mezzo di
macchine a me sconosciute, spaccano le pietre e le tagliano in maneggevoli
pezzi quadrangolari, poi questi sono nuovamente approntanti in sottili piastre
che sono imballate in casse fornite di speciali serrature e sigilli, e caricate
su grossi carri.
9.
Davanti
all’edificio inizia un’ampia strada, lastricata con estrema cura, la quale non
presenta nessun’asperità e si perde all’orizzonte, in una lontananza
indefinita. Su questa strada, guidati da due uomini, carri vuoti si avvicinano
all’edificio, mentre quelli carichi se ne allontanano. I carri si muovono da
sé, spinti da una forza a me ancora non riconoscibile. Vedo solo che dalla
parte posteriore dei carri emerge un condotto più lungo, dal quale, senza
rumore, sale un leggero vapore. Leggeri, silenziosi e straordinariamente veloci,
questi carri vanno avanti e indietro.
10.
Là da quei
luoghi di lavoro e dell’orrore, davanti all’ingresso di uno dei passaggi nella
roccia, risuona adesso un forte grido. Da tutte le parti si avvicinano
sorveglianti e lavoratori, circondano un uomo profondamente esausto che è
appena uscito dal passaggio e con cura racchiude qualcosa nelle mani. Si
sentono grida di congratulazioni e si manifesta un vivace spingere e tirare.
Voci eccitate diventano sempre più chiare, e un corteo si muove verso
l’imponente deposito dei tesori depredati.
11.
Esso si
avvicina. Dall’edificio esce un imponente personaggio, un uomo con duri,
penetranti occhi, circondato da altri uomini; essi sono i suoi impiegati
subalterni, egli stesso è il capo di quest’attività mineraria. Il corteo adesso
gli è molto vicino. Davanti a lui si presenta quell’uomo che col suo forte
grido ha provocato l’assembramento. Il duro capo, impaziente per l’attesa,
domanda: “Sei tu il fortunato?”.
12.
“Signore,
io lo sono stato”, gli risponde
l’interrogato, e inginocchiandosi gli porge una pietra piatta grande come un
pugno soltanto, la cui superficie inferiore è bianca come la neve, la superiore
invece, di colore marrone scuro.
13.
Il capo guarda
sorpreso la pietra e la prende in consegna. La gira qui e là; stupore s’imprime
nella sua espressione. Con un cenno chiama a sé i suoi sottoposti e mostra loro
l’esemplare, anche questi manifestano la massima sorpresa.
14.
“Come
ti chiami?”, domanda il severo.
15.
“Upal!”, gli risponde il fortunato trovatore.
16.
“Upal, tu sei
libero e farai rapporto al re, su dove e come hai trovato questa splendida
pietra, la più grossa che io abbia mai visto. Tu sai che per te la morte è
certa qualora ne parlassi ad altri. Preparati al viaggio!”.
17.
Il capo ritorna
con i suoi impiegati subalterni nell’edificio. La moltitudine di soldati e
lavoratori si divide di nuovo, ritornando ai luoghi del loro faticoso lavoro.
Upal con alcuni altri funzionari, i quali si congratulano vivamente con lui e
l’osservano con sguardo invidioso, si reca ad un’altra entrata dell’edificio ed
è portato in una stanza nella quale c’è una tavola preparata con cibi e
bevande. Là egli si rilassa e rinvigorisce le sue indebolite forze con le
ghiottonerie solitamente preparate per i funzionari di grado superiore.
18.
Dopo un po’ di
tempo entra un servitore e gli ordina di seguirlo dal capo supremo. È
accompagnato in una stanza che è arredata come da noi le stanze degli
orientali. Colonne, con pietre variopinte e pareti decorate adornate con tende
multicolori, sorreggono il soffitto. Tappeti ricoprono il pavimento, alte
finestre lasciano entrare la chiara luce del Sole che si riflette sulle lucenti
pareti di pietra. Il superiore porta una veste alla foggia greca, le spalle
coperte da un mantello che giunge fino a terra. Ampi pantaloni, che terminano
in ricamati stivali di cuoio color naturale, completano il suo abbigliamento;
cinto attorno ai fianchi gli pende una larga spada. Egli siede ad un tavolo,
davanti a lui ci sono degli scritti. Li controlla e ne confronta parecchi.
19.
Ad Upal che sta
entrando, egli adesso dice: “Avvicinati e ascolta le disposizioni che valgono
per il fortunato scopritore della pietra-aurea. Tu, finora uno schiavo del re,
da adesso sei un libero cittadino, esonerato da ogni tributo che i sudditi nel
regno di Mallona devono versare. A te è consegnata la somma di 10.000 tese e
potrai chiedere al re una grazia non appena ti riceverà. Cerca di riassumere
bene il tuo discorso, quando starai davanti al potente e mostrerai, a lui e ai
grandi, come hai trovato nelle profondità la pietra-aurea. Qui c’è il
certificato della tua scoperta, la lettera d’immunità e l’assegnazione del tuo
patrimonio”.
20.
Il superiore
gli porge tre documenti, essi nella loro sostanza somigliano in tutto a quelli
della nostra Terra; certamente i segni grafici sono sconosciuti, ornati di
intrecci e disordinati. Upal ringrazia con espressione cupa. Con cura infila i
documenti nel suo lacerato abito da lavoro, poi s’inchina profondamente e se ne
va! Il superiore, al suo tavolo, si rivolge ora ad altri lavori.
21.
Upal percorre
il lungo corridoio che conduce alla grande porta. Adesso esce e abbraccia con
sguardo triste quel paesaggio che, per così a lungo, è stato per lui un luogo di
sofferenze e di un durissimo lavoro da schiavo. Nei suoi tratti si riflette ciò
che l’uomo sente: odio contro gli oppressori, gioia per l’ottenuta libertà,
desiderio di vendetta per le sofferenze sopportate. Respirando profondamente,
l’uomo sta adesso all’ultimo gradino della scala esterna che dal portale
conduce verso la strada, e i suoi occhi guardano bramosi i veicoli che,
velocemente in corsa, animano la strada maestra. Ora si raccoglie e va ad una
rimessa nella quale i veicoli scompaiono.
22.
Vita operosa
c’è in questa rimessa. È uno spazio nel quale le pietre, ben imballate e già
lavorate, sono caricate sui veicoli e così portate alla meta a me ancora
sconosciuta. Un veicolo è pronto per la partenza. L’entrata di Upal ha
provocato un certo movimento tra i lavoratori. Certamente tutti sanno che lui
adesso è diventato un uomo libero e ricco, e ognuno invidia la sua fortuna,
mentre tutti loro devono rimanere ancora schiavi, schiavi di un re che, per
arricchirsi, non ha riguardo della loro vita.
23.
“Fortunato”, gli rivolge la parola un funzionario, il quale
sorveglia il caricamento dei tesori sul veicolo pronto per la partenza. “Tu puoi tornare a casa con questo mezzo, vuoi?”.
24.
“Voglio
volentieri”, risponde Upal. “Sii certo del mio ringraziamento!”.
25.
“Allora vieni,
mettiti accanto a me!”.
26.
Il funzionario
sale sul posto a sedere anteriore del veicolo, il quale offre comodamente
spazio per due persone. Egli porta via ad un uomo vicino a lui una larga
targhetta, che questi porta ad una catena attorno al collo e la porge ad Upal,
il quale se ne orna.
27.
“Tu sai
perché!”, gli sussurra.
28.
Upal silenzioso
fa cenno col capo e occupa il suo posto accanto al funzionario. Questi preme un
tasto e, leggero, silenziosamente il veicolo si muove in avanti lungo la
strada, sulla quale io già vidi l’andirivieni di molti veicoli uguali.
[indice]
1.
La strada si perde in rettilineo all’orizzonte, in
sterminata distanza. A destra e a sinistra essa è cinta da un robusto muro
costruito fino a mezza altezza d’uomo. Dopo che il veicolo ha lasciato la
stazione di partenza, subito la strada si restringe talmente che solo due
veicoli possono andare l’uno accanto all’altro; uno stretto rialzamento separa
la strada in due metà: a destra per i veicoli che partono e a sinistra per
quelli che ritornano. Ad una distanza che può forse corrispondere al nostro
chilometro terreno, vedo a destra e a sinistra avvicendarsi case adibite a
posti di guardia. Queste sono abitate da soldati, i quali sorvegliano
rigidamente ogni veicolo, soprattutto quelli provenienti dalla stazione. Le
guardie sono armate di lunghe lance, con le quali, nonostante la veloce corsa,
abbatterebbero gli occupanti di un veicolo che non sono contrassegnati da una
targhetta come la porta Upal e il funzionario. Oltre a ciò, ad ogni casa del
posto di guardia sono applicate delle saracinesche, con le quali è possibile
chiudere rapidamente la strada carrozzabile.
2.
Per mezzo di
figure segnaletiche, particolarmente formate e messe su alti piloni, i singoli posti
di guardia sono in grado di comunicare tra loro. Se un fuggiasco dovesse
superare fortunosamente anche un posto di guardia, questi segnali al posto di
guardia successivo metterebbero un termine al suo viaggio. In questo modo i
tesori ottenuti sono portati senza pericolo alla lontana capitale del re.
Nessuna possibilità di portarli via inosservati, ma anche nessuna possibilità
per i numerosi lavoratori di sgusciare inosservati! Al muro limitante, infatti,
pattugliano soldati! Dai loro volti si vede che non conoscono pietà.
3.
Silenziosamente
il viaggio prosegue verso la capitale. Il funzionario ha rivolto tutta la sua
attenzione alla guida del veicolo. Upal s’immerge nei suoi pensieri ed è
visibilmente contrario ad ogni conversazione. La strada comincia a fare delle
curve, presto si devono percorrere delle salite e superare dei dislivelli a
velocità sibilante. Il muro a destra e a sinistra diviene sempre più alto e non
permette più nessuno sguardo dal veicolo sul territorio separato. La strada
passa ora attraverso paesaggi più abitati. È vero che nelle immediate vicinanze
non si vedono abitazioni, ma ad una certa regolare distanza comincia ad
emergere qua e là traccia di attività umana: campi coltivati e case d’abitazioni
come da noi sono in uso in Oriente. In prossimità di questa strada statale
nessuno può costruire e mai un abitante potrebbe avventurarsi nelle vicinanze,
altrimenti la sua vita sarebbe perduta.
4.
All’orizzonte
emerge una città, la meta del lungo viaggio. Secondo il nostro tempo questo
viaggio può essere durato circa due ore, ma in questo tempo è stato percorso
almeno il doppio della distanza che un treno espresso della Terra percorrerebbe
nel medesimo tempo. La regione è splendida, la città è imponente. Essa sta
presso un largo fiume e si estende in parte a terrazze, su una dolce ascendente
propaggine montuosa, circondata da un maestoso muro.
* * *
5.
Una
meravigliosa fortezza si eleva su una collina in mezzo alla città, la fortezza
reale del potente dominatore. Tutto appare così affine alla Terra, e tuttavia
stranamente orientale. Così potevano aver l’aspetto le case dell’antica
Babilonia. Forse vedo dinanzi a me una specie di copia dell’antica Babilonia, nella quale
troneggiava un Nabucodonosor, non meno imponente, temuto e – scellerato, come
lo era lui.
6.
Il veicolo
entra ora in una rimessa posta alle mura della città, con copertura a volta, e
si ferma. Una ciclopica opera muraria si accalca tutt’intorno. Per quanto si
possa abbracciare al primo sguardo ci si trova in una roccaforte ben custodita,
la quale è in grado di resistere a qualsiasi forza. È la casa del tesoro del
regno, dove affluiscono tutti i tesori che sono estratti fuori. Un gran numero
di uomini sono qui occupati, ovunque si nota un animato movimento. M’interessa
l’abbigliamento che, somigliante ai costumi a noi noti degli antichi Greci,
consiste, per i lavoratori, in una corta tunica. I funzionari di più alto grado
portano, oltre a questa, ancora dei mantelli; i piedi sono protetti da alti
stivali stringati.
7.
Upal e il
funzionario adesso sono entrati all’interno. Egli ringrazia il suo
accompagnatore e si dirige ad una porta che costui gli ha indicato. Apre e si
trova in un vasto ambiente, nel quale siedono molti uomini visibilmente
occupati a scrivere. Il capo di quest’ufficio prende le carte che Upal consegna
e gli dice di aspettare. Dura a lungo prima che egli ritorni; ora lo conduce in
un’altra stanza. Upal è solo; nessun cambiamento si mostra nei suoi tratti che
riveli una qualche emozione. È silenziosamente rivolto in se stesso, solo
l’occhio talvolta risplende all’improvviso furtivamente, ma la ferrea forza di
volontà dell’uomo doma qualsiasi sentimento traditore. Un servitore entra e lo
invita a seguirlo.
8.
Lo conduce in
una stanza nella quale siedono parecchi alti funzionari di questa casa del
tesoro, i quali lo guardano interessati. Essi lo esortano, incoraggianti. Il
presidente di questa consulta gli notifica ancora una volta la piena libertà e
gli consegna un gran numero di carte; per ultimo, con particolare accento, un
documento che autorizza Upal a prelevare dalle casse reali la grossa somma che
gli spetta, come trovatore della pietra-aurea. Upal adesso è ricco, molto
ricco. – Gli si comunica con insistenza di attendere ogni giorno di essere
chiamato dal re. Egli acconsente a questo, afferma di essere pronto, ed è
rilasciato.
* * *
9.
Un servitore lo
porta fuori attraverso un lungo corridoio; adesso sta nuovamente davanti ad una
porta sulla quale c’è un’iscrizione in una scrittura a me sconosciuta. Upal la
apre. È l’ufficio cassa, una stanza a volta, separata da un muro con piccole
vetrate, dietro ad ognuna siede un uomo. Upal presenta il suo attestato ad uno
sportello e riceve un gran numero di sacchetti che nasconde nella sua veste.
Apre un sacchetto, è pieno di sottili, quadrangolari piastre bianche, ognuna
porta un segno, – è l’oro monetizzato di Mallona; per ottenerlo egli ha
rischiato più di una volta la sua vita.
10.
Mi vien da ridere. Questi sassolini
sono quindi soldi, soldi come da noi, qual è il suo valore, in che cosa sta? –
Sì, in che cosa sta, infatti, il valore del nostro oro, non è anche un prodotto
della fantasia, un’immaginazione che ci dà l’illusione che la nostra moneta
abbia valore? – Se si valutassero qui questi soldi, noi otterremmo solo una
mollica per questi sassolini quadrangolari – Che cosa dobbiamo stimare? Le cose
oneste, il lavoro utile, sono stati divorati da molto tempo dall’idolo fatto da
sé del fantasma del denaro. L’apparenza, la presunzione ha riportato la
vittoria e creato i tesori che la ruggine e le tarme divorano.
11.
Upal si è
allontanato dall’ufficio cassa e una magica potenza mi spinge a seguirlo
ancora. Egli adesso esce dall’imponente edificio e si ritrova all’interno delle
mura della città, davanti ad una piazza all’aperto che attraversa velocemente.
L’uomo trae un profondo sospiro, istintivamente afferra il tesoro nascosto
nella sua veste, getta ancora un’occhiata d’addio all’edificio appena lasciato
e, con passo veloce, si affretta per i vicoli della periferia, nella quale
presto si trova.
* * *
12.
Vedo costruite
case caratteristiche dappertutto, e posso paragonarle solo con quelle
dell’Oriente. Tetti piatti come si usa là, ma qui di regola sono ricoperti con
splendide piante in fiori, come i giardini pensili di Semiramide. Le finestre
sono alte e larghe, fornite di tende che lasciano intravedere ariosi ambienti.
Il vetro qui sembra essere sconosciuto, ma ben vedo dappertutto delle tende a rullo, di un materiale trasparente,
solido, a me sconosciuto, che sembra assicurare lo stesso servizio delle
finestre di vetro. Le case non sono costruite a caserme di molti piani, ma sono
alte solo due piani, estese in lunghezza e provviste per lo più di lati che
racchiudono un giardino. Ovunque aleggia aria mite. Gli uomini che vedo sono
tutti molto muscolosi, di robusta e grossa costituzione. Questo deve provenire
dalla particolarità di questo pianeta, le cui caratteristiche fisiche devono
essere certamente diverse da quelle della nostra Terra, già in seguito alla sua
più grande lontananza dal Sole e dal differente tempo di rotazione. Mi accorgo
adesso che l’atmosfera qui sembra essere più densa e la pressione dell’aria è
maggiore. Cercherò di esaminare questo più tardi, poiché m’interessa penetrare
più profondamente nei misteri dell’Universo che si rivelano a me.
13.
Upal è giunto
in una zona che presenta case più piccole, è sufficiente un po’ di osservazione
per riconoscere che qui c’è un luogo di povertà. Le case sono basse, strette,
molte sono solo una specie di casupole. Adesso silenzioso sta davanti ad una di
queste e si guarda intorno con sguardo scrutatore. Il vicolo è vuoto, non si
vedono uomini. Batte ad una porta bassa di robusto legno. Una voce dall’interno
s’informa sul disturbatore. Quando egli fa il suo nome, risuona dall’interno un
grido represso e, frettolosamente gli è aperto. Una donna anziana, dall’aspetto
gracile, i cui tratti del volto rivelano miseria e preoccupazione, apre e
guarda con espressione incredula di massima sorpresa per il nuovo arrivato.
Poi, quando lei vede che l’impossibile è realtà, lancia un grido e gli getta le
braccia al collo. Un cuore di madre è lo stesso, anche su questo mondo
estraneo!
* * *
14.
Upal dolcemente
si libera dalle braccia della madre piangente forte di gioia e la conduce
premurosamente verso una porta mezza aperta, dalla quale risuonano preoccupate
domande su che cosa sia successo. Entrambi entrano e Upal va rapido ad un
giaciglio sul quale giace un uomo malaticcio. Qui si ripete la medesima scena.
Upal si china sul letto di suo padre ammalato. Adesso comincia un
interrogatorio senza fine. Upal racconta, e un gioioso stupore costringe i due
anziani al silenzio, quando essi ascoltano che lui è ritornato ricco, quale
trovatore della pietra-aurea.
15.
Upal tira fuori
i suoi tesori dalla veste e mostra l’ordine di pagamento che lo autorizza a
prelevare ancora molto di più. Grande è la gioia degli anziani genitori: dunque
tutta l’amara povertà, nella quale essi si trovavano, adesso ha una fine
improvvisa. Il padre, guardandolo con sguardo interrogativo, gli domanda a
bassa voce, mentre la madre si adopera in operosa premura a preparare qualcosa
da mangiare: “Hai fatto così come ti avevo detto
io?”. Altrettanto a bassa voce risponde il figlio: “L’ho fatto; solo a te devo il ritrovamento, avvenuto però
più tardi!”. Upal dà alla madre un po’ del suo tesoro e la prega di
procurare il cibo migliore, nel frattempo lui vuol rimanere accanto al padre.
La donna acconsente volentieri e, con tante carezze, si allontana per andare a
prendere il meglio.
16.
Padre e figlio
sono adesso soli. Il vecchio si è sollevato dal suo giaciglio. Una volta questo
corpo, ormai rovinato dalla malattia e dalla miseria, deve aver avuto una forza
enorme. Solo adesso, che la gioia di avere nuovamente il figlio ha rinfrescato
le spente forze, si può intravedere come doveva essere stato quel vecchio al
tempo della sua giovinezza. Upal somiglia certamente molto a suo padre,
tuttavia egli, nonostante tutta la forza, non somiglia a quella stessa immagine
giovanile, e ciò sorge in me spontaneamente con l’osservazione di quest’uomo
anziano.
17.
Il vecchio
porge la mano al figlio e lo tira amorevolmente al suo fianco: “Hai sofferto molto nel lungo tempo che hai passato là?”.
– Così egli domanda in tono preoccupato. Negli occhi di Upal passa un lampo
selvaggio. Tutto l’odio a lungo trattenuto si rispecchia nel suo volto e dalla
più profonda, più amara anima, egli esclama: “Ho
sofferto oltre ogni dire, ma la pena non è loro condonata; dovranno pur
scontarla un giorno – che l’Iddio Padre mi possa esaudire! – Tutti dovranno
scontarla! Tutti!”. –
18.
“Figlio
mio, chi si vendica da sé, strappa al Padre la vendetta di mano. Solo Lui
esercita la ricompensa nella giusta misura. La pena sofferta è ancora troppo
fresca nel tuo cuore, lasciala mitigare col tempo, affinché pensieri di pace
entrino nel tuo cuore”.
19.
Upal si domina
e, muto, guarda in basso dinanzi a sé. Il vecchio prosegue:
20.
“È
diventato molto diverso dai tempi della mia giovinezza, così che non mi posso
certo meravigliare di sentire da te ancora parecchio su come stanno adesso le
cose nelle cave di Wirdu. Ai miei tempi, quando viveva ancora il nostro ultimo
buon re Maban, era un onore andare alla ricerca della splendida pietra aurea:
un’impresa eroica intrapresa per la propria audacia e per le energie che
possiede la pietra. La pietra-bianca si trova anche in altri luoghi di Mallona,
ma l’eccellente pietra-aurea si trova solo qui.
21.
Mai
fu cercata prima così avidamente la pietra-bianca e la pietra-aurea, mai fu
sacrificato un uomo per questo. Gli audaci uomini liberi quella volta sfidavano
il pericolo per amore del popolo e del re. Adesso sono costretti e spinti
dentro i prigionieri di guerra e i cittadini che non possono versare le pesanti
tasse.
22.
O re
Areval, quando sarà saziata la tua avidità!?”.
23.
Upal digrigna i
denti quando sente questo nome, e dall’eccitazione esprime quasi sibilando le
parole: “Mai sarà soddisfatta l’avidità di questo
mostro! Maledetto sia questo capo di Mallona che dissangua il paese, assassina
i cittadini, e per delle misere tasse che noi non potevamo pagare, m’inviò in
quegli abissi. Maledizione a lui, fino a che sarà saldato ogni delitto di cui
si è macchiato!”.
24.
Il vegliardo si
drizza in alto, con occhi tristemente seri guarda suo figlio e in tono pieno di
rimprovero, eppur pieno d’amore dice: “Upal, re Areval mi ha ucciso la cosa più
cara che avessi: tua sorella Fedijah, ed io non l’ho maledetto! L’Iddio Padre
dice: “Mia è la vendetta!”. – Non lasciarti
rubare da Areval la fede in Lui, il Signore del mondo, il Quale nella Sua
Sapienza lascia anche un simile re ancora sul trono, però ti ha fatto trovare
la pietra-aurea e ti ha riportato sicuro alla casa paterna! Figlio mio, il mio
dolore fu grande quando vidi morire Fedijah per colpa di Areval. Sarebbe ancora
più grande però se io vedessi morire la tua anima, distrutta per causa sua”.
25.
Upal afferra la
mano del padre e, in segno di profondissima devozione, se la pone sul cuore.
Con voce tranquilla dice: “Padre, solo la fede
nell’Iddio Padre mi ha sostenuto! Senza di questa non sarei qui. Io so di
essere prescelto ancora per una grande azione, e con la mia vita la compirò!”.
Egli ha parlato con occhi lampeggianti e il vecchio, preoccupato, gli domanda:
“Tu mi nascondi qualcosa, figlio mio, che cosa hai in mente?”.
26.
“Non ti
nasconderò nulla, padre mio, tu devi sapere tutto, tutto! Devo annunciarti quel
che ho scoperto nelle cave di Wirdu.
27.
Quando allora
fu deciso il mio destino che io dovessi andare come uno schiavo alla ricerca
della pietra-bianca in sostituzione delle tasse non versate, tu, padre mio, mi
rivelasti le esperienze che ti capitarono un giorno nelle cave di Wirdu; forse
sarebbero potute essermi utili. Padre mio, quanto riccamente mi ricompensò la tua
premura! Quella profondissima caverna, infatti, che tu raggiungesti e la cui
esistenza portavi rinchiuso fino allora nel tuo petto come segreto – ben
sapendo quanta poca felicità avrebbero portato i tesori che là erano nascosti –
io la ritrovai.
28.
Non fu facile
ritrovarla. Innumerevoli passaggi sono stati trivellati nella roccia, fino a
raggiungere quelle gallerie naturali, quelle ampie caverne e quelle voragini
che il fuoco ha creato e nelle quali si trova la pietra-bianca disseminata
nella roccia. Tutti i passaggi artificiali arrivano ancora oggi, come ai tuoi
tempi, ad un fiume sotterraneo, la cui superficie evapora a causa del calore
del vicino fuoco e che tu conoscesti come un confine della vita dalla morte.
Immutato è ancora l’enorme vestibolo roccioso attraverso il quale scorre il
fiume: l’unica porta per le terribili profondità che, piene di soffocanti
vapori, nasconde i tesori di Areval, la pietra-bianca e la pietra-aurea. Avevo
attentamente seguito il tuo consiglio: calcolare con precisione i tempi del
mare, perché la pericolosità dei vapori sta strettamente in relazione con
questo. In pochi giorni compresi che era possibile raggiungere le maggiori
profondità solamente quando l’alto riflusso del mare non impediva ai vapori
velenosi di uscire verso l’inaccessibile regione del cratere Marda, alla sede
del maligno demone Usglom, vincere il quale è il più grande desiderio di
Areval.
29.
Trovai il posto
da te indicato nel fiume sotterraneo e vidi, con profonda gratitudine nel
cuore, l’inosservato piccolo segno che tu un giorno scavasti nelle rocce; non
immaginando allora che sarebbe potuto diventare la salvezza per tuo figlio. Di
fronte a questo, posto sull’altra riva, trovai, quasi seppellito, l’ingresso ad
un passaggio roccioso che tu un giorno dovesti aver percorso e che non fu
notato dagli altri schiavi, i quali, come me, erano condannati al lavoro
forzato. Vapore che stordiva uscì da questo verso di me, una prova che questo
passaggio doveva condurre profondamente all’interno, così che in un primo
momento dovetti rinunciare a penetrarvi. Presto tuttavia mi accorsi come
soltanto per il tempo dell’alta marea si dileguava il vapore dal passaggio e
che, eccetto queste ore, non era pericoloso percorrerlo per la durata di quasi
una mezza giornata. Volli osare, poiché se ero al posto giusto, mi doveva
attendere la libertà. Tu certamente un giorno, da uomo libero, avevi trovato in
quel posto la pietra-aurea, ma non avevi messo al sicuro l’intero ritrovamento,
piuttosto avevi lasciato indietro una buona parte dello stesso, scacciato dai
vapori ascendenti. Ora era importante per me ritrovarla; la riuscita
racchiudeva in sé, libertà e ricchezza.
30.
Ben provvisto
di manga[1],
attrezzature e prodotti alimentari – che sono concessi con abbondanza quando lo
schiavo dichiara di intraprendere un viaggio mortale allo scopo della scoperta
– mi portai. giù, avendo cura che nessuno osservasse quale via io prendevo
Avevo ben scelto il tempo. Era quasi la fine dell’alta marea quando fui
all’ingresso del passaggio roccioso, dal quale si alzava ancora solo un leggero
vapore. Presto diminuì del tutto e, quando percorsi il passaggio, mi soffiò
contro aria pura e fresca. Solo strisciando potei avanzare, blocchi di roccia
m’impedivano la via, faticosamente dovetti rimuovere gli ostacoli. Alla fine si
allargò la ripida via che conduceva nella profondità e deviò fortemente verso
la parte opposta a quella in cui generalmente si cercano i tesori.
31.
Il passaggio si
divideva in due bracci, io scelsi quello deviante a destra; tu mi avevi
assicurato che l’altro braccio conduceva ad una voragine senza fine, dalla
quale non era più possibile nessuno scampo per chi vi fosse precipitato. Nuovamente
dovetti strisciare attraverso stretti crepacci e raggiunsi così la meravigliosa
piccola caverna che tu mi avevi descritto, dove dalle rocce spuntava la
pietra-bianca. Tu dicesti che alla fine della caverna c’era un abisso dal quale
saliva il vapore velenoso, spinto da inspiegabili correnti d’aria e, come in un
fumaiolo, veniva succhiato ad un’altezza che non ti fu possibile scorgere. Io
vidi l’abisso, ma da lì non salivano più i vapori. Le potenze sotterranee del
fuoco e dell’acqua avevano provocato dei cambiamenti nel corso degli anni;
silenzioso e quieto stava il profondo abisso davanti a me. Se guardavo su, al
margine di questo, allora brillava su di me, da enorme altezza, una stella. Era
la luce del Sole che appariva attraverso una fenditura delle rocce, e
rischiarava debolmente la terribile profondità.
32.
Riconobbi dove
mi trovavo; ero in un luogo dal quale un tempo, il fuoco fu scacciato dalla
potenza dell’acqua che ancora udivo rumoreggiare nella profondità; ero in una
conca raffreddata, strappata al dio del fuoco, il demone Usglom, che qui,
vinto, lasciò i suoi tesori in uno dei posti più straordinari il quale, libero
dai vapori, regalano allo scopritore senza alcuna fatica le ricchezze
accumulate.
33.
Io qui non
avevo più da temere i vapori che un tempo, uscendo in alto attraverso quella
fenditura rischiarata dal Sole, ti avevano scacciato, perché la profonda
mugghiante, diluviante acqua rendeva impossibile la mossa contraria. Perciò
avevo il tempo, oltre che la possibilità, di esaminare con precisione questa
caverna. Dopo breve ricerca, illuminando le pareti con il manga, trovai il
posto dal quale tu spezzasti la pietra-aurea, e trovai anche l’altra metà
ancora saldamente fissata nella pietra-bianca che Usglom non ti concesse di
portare con te. Presi l’oggetto rinvenuto e, quando consegnai la pietra,
nascosi un frammento nella mia bocca, sperando di salvarlo per te. Deve
portarti la salute, padre! Io ritengo cosa di poco valore essere un ladro alla
proprietà del re; egli ci ha rubato certamente molto di più!”.
34.
Upal prende
dalla sua veste una piccola pietra marrone scuro e la mette davanti al padre
stupito, il quale l’afferra avidamente e l’osserva con sguardo raggiante.
35.
“Sì, è questa
la rara, preziosa pietra che può darmi e mi darà di nuovo la salute. Nascondila
bene, figlio mio; anch’io non considero un delitto che tu l’abbia sottratta per
amore di tuo padre; io, infatti, ho certamente un sicuro diritto su questo
ritrovamento”.
36.
“Se lo stupore
non fosse stato così grande alla consegna della pietra-aurea, tanto che non si
pensò più di esaminare il mio corpo, essa non sarebbe tua proprietà”. Dice Upal
sorridendo. “Tuttavia, ascolta ancora. In me si mosse il desiderio di esaminare
la voragine più da vicino; mi sembrò, infatti, quasi sicuramente che questa
dovesse contenere molti più tesori di quanti ce ne fossero nella caverna in cui
mi trovavo. Trovai una discesa, mi legai alla corda portata con me, fissai
questa ad un macigno e osai lasciarmi andare ulteriormente nella voragine. A
breve profondità trovai una vasta fenditura nella ripida parete rocciosa,
strisciai dentro e giunsi in una grande caverna tondeggiante.
37.
Padre, tutto lo
splendore di re Areval non è in grado di dare neanche un luccichio di ciò che
ha creato là il demone. Un trono del principe Weiskee si aprì dinanzi a me. La
luce nella mia mano si rifletteva in migliaia di cristalli. Il soffitto e il
suolo erano coperti di pietre preziose che la terra rocciosa solidificata vi
aveva partorito. E più in là, sempre più in profondità, potevo passeggiare
nella mai vista caverna di Wirdu, che certamente per la prima volta calpestava
un figlio di Mallona. La pietra bianca e la pietra aurea stavano in questa
camera del tesoro in quantità innumerevole; le pietre più preziose che adornano
la corona di Areval, là tu ne trovi a migliaia. Tale ricchezza in possesso di
un uomo lo renderebbe signore del mondo”.
38.
“E tu hai taciuto su quello che hai trovato?”,
domanda grave il padre di Upal.
39.
“L’ho fatto, e
non rivelerò niente nemmeno ad Areval. Egli non deve godere nulla di ciò che ho
scoperto io. Non hai dovuto anche tu un giorno promettere al re, al saggio
Maban, di tacere sul tuo viaggio della morte? Lui sapeva bene quanta poca
felicità si trovava nelle ricchezze che nasconde solo la piccola caverna
conosciuta da noi solamente. Quanto più m’imporrebbe di tacere se egli vivesse
ancora e sapesse che cosa ho trovato. No! Areval non lo saprà mai, mai! Oh,
egli deve solo stare dinanzi a me, lo stolto re, deve solo domandare! Lui e il
suo ipocrita cancelliere dovranno ottenere una descrizione del viaggio della
morte che mai e poi mai farà loro trovare quello che io ho contemplato”.
40.
All’ingresso si
odono passi strascicati. La madre di Upal ritorna con i cibi che ha comprato.
Velocemente gli uomini si scambiano uno sguardo pieno di comprensione. Upal
nasconde la pietra-aurea marrone nella sua veste e lodando ad alta voce saluta
la madre che, con gioia, fruga dal cesto il cibo, per offrirlo agli affamati.
[indice]
1.
La forza che mi ha
condotto qui mi afferra nuovamente e mi porta via dalla casupola di Upal. Avevo
il desiderio di sondare quali storie fossero nascoste nella famiglia menzionata
da Upal e da suo padre. Quando il desiderio in me è diventato volontà, mi sento
sollevare in alto e vedo ora, davanti al mio sguardo, sorgere delle immagini
viventi che mi danno la risposta. – Lasciami guardare, devo tacere per comprendere
gli avvenimenti velocemente variabili e coalizzati in sé, e poi li descriverò.
2.
Molto tempo è
già passato da quando regnava re Maban, il padre dell’attuale dominante re
Areval. Fu lui che fondò il grande impero di Mallona; prima di lui, infatti,
sui quattro continenti del pianeta regnavano parecchi re. Questi quattro
continenti si chiamavano Nustra, Monna, Sutona e
Mallona. Il re di Monna fu l’ultimo della sua stirpe e per eredità Maban
divenne re anche di questa parte. I due continenti erano tuttavia separati come
lo sono l’Asia dall’America, ed era più facile giungere a Monna dalla terza
parte di Nustra – che era unita con Mallona come lo sono l’Europa e l’Asia –
che non da Mallona; come la via dall’Europa verso l’America è più vicina di
quella dell’Asia. Su questo pianeta inoltre la distanza era ancora più breve
della distanza tra l’America e l’Europa, rappresentata dall’oceano Atlantico
della Terra.
3.
Stava
nell’interesse di Maban concludere una stretta alleanza col re di Nustra; già
per il motivo che il potente regno dei sutoni, sotto il suo tiranno Ksontu,
mirava al potere assoluto e, per questo motivo, furono condotte per lungo tempo
tra Maban e il re di Sutona guerre sanguinose ed estremamente crudeli.
Quest’alleanza fu fatta perché il popolo di Nustra era diventato debole e
indolente. Il popolo sperava di poter vivere sotto Maban più sicuro e in pace,
indisturbato da Ksont oiché, secondo il suo modo di vedere, i tre imperi
insieme potevano costringere alla calma il reiterato perturbatore della pace.
4.
Tuttavia
Ksontu, nella consapevolezza della sua forza e potenza, non temeva i tre imperi
uniti, e nella sua arroganza voleva strappare a sé tutto il dominio, o perire.
Il suo paese era povero di quei tesori che Maban otteneva dal sottosuolo del
suo impero; il popolo dei Sutoni però era violento, senza esigenze, quand’anche
rozzo e ignorante.
5.
Si venne alla
guerra. Quando Maban concluse l’alleanza con l’impero di Nustra, Ksontu dal suo
impero situato a sud (come l’Africa) attaccò di sorpresa il nuovo, indebolito
alleato e lo vinse rapidamente. Maban corse in aiuto con imponenti potenziali
bellici e la fortuna della guerra a lungo ondeggiò da una parte e dall’altra.
La superiorità, l’abilità strategica di Maban giunse a prevalere sul selvatico
valore di Ksontu e delle sue schiere, e Ksontu fu costretto a divenire soggetto
a tributo. Maban seppe ben stimare il valore del re vinto e del popolo. Egli
temeva eventuali successive sollevazioni e, per ottenere un pacifico
affratellamento, ricorse a dei mezzi che, indipendentemente dalla forza della
spada, riconciliassero insieme le popolazioni.
6.
Egli sposò la
figlia di Ksontu, la innalzò a legittima regina e, con questa mossa, guadagnò
l’ex nemico a grande amico. Secondo le leggi nei quattro imperi, infatti, la
successione era concessa non solo in linea discendente ma, pienamente, nel caso
non si trovassero discendenti, anche in linea ascendente. Ksontu, con questo
passo di Maban, entrò per il momento nel rango di successore al trono, finché
non fossero nati eredi dal matrimonio con sua figlia. Egli godette la piena
fiducia e la rappresentanza del re; fu dunque, senza fatica, co-regnante per il
resto dei suoi già inoltrati anni.
7.
Riconobbe la
benevola intenzione di suo genero e poiché egli, oltre ad essere notevolmente
più vecchio di Maban, all’infuori di sua figlia non aveva eredi, si sottomise
volentieri, e rimase un buon amico dell’energico Maban, solo che il suo sangue
caldo diveniva spesso scomodo per l’attuale sovrano assoluto di Mallona.
8.
Maban non ebbe
bisogno a lungo di esercitare indulgenza verso Ksontu, il re, infatti, abituato
ad imprese belliche, a rozzi costumi, alla semplicità e perfino alle
privazioni, condivise il destino di molti despoti passati sulla Terra, i quali
s’immersero nel vortice dei piaceri e dei vizi a loro prima sconosciuti, poiché
scambiarono la loro precedente semplicità con il lusso a loro disposizione. La
natura vigorosa di Ksontu, tendente all’azione, sprofondò subito nel fango
della lussuria e, nel bel mezzo di ogni piacere sensuale, goduto in eccesso, la
morte lo colse di sorpresa.
9.
Maban era ora
l’incontrastato signore dell’intero pianeta e il nome del suo regno divenne il
nome dello stesso pianeta. Dal matrimonio di Maban con la figlia di Ksontu
nacquero due figli, Muhareb e Areval, entrambi di caratteri differenti. Il
primogenito, Muhareb, ereditò le caratteristiche più nobili di suo padre; egli
era serio, indagatore, animato da profondo senso religioso e da irremovibile
legalità e giustizia.
10.
Già negli anni
giovanili superava tutti i coetanei in intelligenza e discernimento. Poteva
piangere a dirotto per l’infelicità di un estraneo e provava la più grande
gioia per la felicità di quelli che gli erano più vicini, e perfino per il
forestiero. La sua educazione si addiceva a quella del futuro erede del potente
impero; tuttavia fu inutile volergli insegnare, nel corso degli anni, gli
intrighi di una cosiddetta politica astuta. Il suo senso di giustizia e di
verità rifiutava ogni sotterfugio. Egli voleva agire allo scoperto e, in
verità, era frequente il terrore dei consiglieri del re Maban, i quali erano
abituati ad agire con ogni sorta di stratagemma per raggiungere i loro scopi,
tanto più che Maban non era contrario al principio che la verità dovesse
talvolta essere offuscata per raggiungere tanto più sicuramente uno scopo.
11.
Il governo del
vasto impero era difficile. Governare i quattro potenti imperi principali,
equivalenti ai presenti quattro continenti di Mallona, richiedeva una saggia
ripartizione. Ciascuno dei tre imperi annessi aveva un viceré che,
completamente dipendente da Maban, non era nominato a vita, ma dipendeva solo
dalla benevolenza del sovrano. Maban poteva spodestare e incoronare a piacere.
Le entrate di tutti gli stati erano amministrate dalla sua capitale. Abilmente
egli a poco a poco organizzò le cose in modo che un regno, eccetto il suo,
nelle alte cariche amministrative mai fosse guidato da cittadini del proprio
paese, ma sempre da funzionari che erano originari e nativi di un altro paese.
Egli impedì, con un continuo cambio, la formazione dell’interesse locale, e
dopo un certo tempo spediva volentieri a casa quei funzionari che forse
sentivano nostalgia della patria.
12.
In questo modo
ottenne che i funzionari governativi stringessero, con la sede della loro
attività, solo un relativo interesse, e non arrivassero nella posizione di
trattare con il popolo con particolare riguardo ad interessi locali. A dir il
vero l’autorità crebbe, ma con ciò a poco a poco anche un governo più severo
che, posto in mani sbagliate, avrebbe potuto sviluppare conseguenze devastanti.
Maban sapeva questo e, con la sua completa autocratica posizione di forza e con
una scrupolosa formazione del carattere dei dignitari destinati alle alte
cariche, credette di poter prevenire ogni eventuale spiacevole conseguenza per
il futuro
13.
Egli proibì
l’acquisto di fondi e terreni come proprietà privata; tutto apparteneva allo
Stato, il quale distribuiva proprietà fondiarie a cittadini degni; tuttavia non
come proprietà per il proprio uso, ma solo in quanto ispettori superiori delle
singole comunità, alle quali essi erano preposti, e al cui benessere dovevano
provvedere. Costoro erano grandi amministratori che, in verità, facevano avere
ai loro sottoposti, in abbondante misura, remunerazioni secondo il valore del
lavoro fornito. Raccoglievano tutti i prodotti del loro impero, così che nessun
abitante potesse ottenere qualche cosa dalla mano del suo vicino, ma si doveva
rivolgere sempre ai grandi depositi locali di provviste, depositi che erano
costruiti dallo Stato e provvedevano per un’uguale buona fornitura di ogni
necessità. In ogni luogo si trovavano depositi di provviste e case di lavoro
che erano amministrate secondo leggi precise. Mallona era il modello di ogni futuro
sociale dello Stato che, sulla Terra, è ambito da determinati partiti.
14.
Come mezzo di
pagamento valeva già allora il bianco ‘Rod’[2]
che introdusse Maban, quella pietra-bianca che si trovava principalmente a Mallona,
l’impero vero e proprio di Maban. Questa pietra valeva solo come rarità della
natura, finché non fu riconosciuto il vero e proprio ricco luogo di
ritrovamento. Così Maban trovò i ricchi giacimenti nel suo paese e introdusse
il Rod come mezzo di pagamento. Per rendere impossibile il possesso del denaro
come moneta corrente e assicurare e proteggere il lavoro del singolo, egli
escogitò il seguente espediente:
15.
Ogni cittadino
che produceva qualcosa, sia che consegnasse i suoi prodotti ai magazzini di deposito
o che eseguisse lavori necessari nelle fabbriche statali, sia che provvedesse
anche nell’arte per il divertimento dei cittadini, era indennizzato dalle casse
pubbliche e dai molteplici posti di pagamento degl’imperi. Ogni cittadino,
infatti, era un impiegato statale. La piastra di Rod, di differente valore,
consegnatagli per una qualche prestazione, era marcata col suo nome e
contrassegno mediante un inchiostro indelebile davanti ai suoi occhi; questi
due contrassegni erano iscritti d’ufficio nei registri degli abitanti. Il
valore del suo lavoro era condizionato dalla tariffa fissata dallo Stato, così
che era esclusa l’ingiustizia. Inoltre, lavori sgradevoli o pericolosi erano
valutati maggiormente rispetto a quelli che non richiedevano troppo sacrificio
di sé.
16.
Il compenso
ricevuto aveva valore solo per l’esecutore del lavoro: soltanto costui,
infatti, poteva ricevere, per le sue piastre e nei punti di distribuzione del
suo luogo di residenza, le cose necessarie. Se voleva andare in viaggio gli era
consentito, tuttavia senza un attestato ufficiale del suo luogo d’origine egli
non poteva ricevere nulla dalle altre casse. Il Rod ritirato come pagamento,
era raccolto nei punti d’incasso e inviato di nuovo alla cassa centrale, là era
ripulito dai contrassegni d’inchiostro e poi riutilizzato (produzione e
rimozione dell’inchiostro era un segreto di Stato).
17.
Queste
condizioni monetarie crearono situazioni di vita completamente particolari.
18.
Ogni casa
apparteneva allo Stato, i cittadini prendevano in affitto i loro locali
d’abitazioni e pagavano la locazione col loro guadagno. La libera coltivazione
di un giardino appartenente ad ogni casa era permessa, così che l’abitante
poteva provvedere a se stesso per le sue necessità quotidiane. Come sulla
Terra, erano esistenti città che si sviluppavano per sedi dell’industria; e
come il contadino della Terra, altrettanto la popolazione rurale provvedeva
alla coltivazione dei prodotti del terreno. La valutazione statale del lavoro,
che ciascuno poteva scegliersi secondo libera scelta, il riconoscimento in
generale della pari utilità e necessità di tutti i lavori, difficilmente
lasciavano prosperare l’orgoglio di classe. Una cosa simile la impedivano anche
le scuole pubbliche, perché queste erano liberamente accessibili a chiunque, e
con ciò si provvedeva in generale per l’uguale formazione del sapere e capacità
conosciute su Mallona.
19.
Anche l’età era
onorata. Dopo un determinato periodo di lavoro, i cittadini avevano diritto al
mantenimento gratuito; tuttavia ne facevano uso solo ammalati e deboli. Era,
infatti, ritenuto come disonorevole trascorrere il proprio tempo in ozio,
soprattutto perché il lavoro delle persone anziane era pagato meglio che quello
dei più giovani, i quali ancora in pieno possesso di tutte le forze, potevano
lavorare più facilmente e più velocemente.
20.
Questi tratti
principali dell’amministrazione statale, che Maban introdusse, incontrarono
dapprima una forte opposizione nell’impero dei rammolliti abitanti di Nustra.
Con queste nuove leggi essi furono tuttavia costretti a rinunciare alla loro
floscia vita e a lavorare seriamente. In verità, alcuni insoddisfatti tentarono
di ribellarsi, ma Maban non ammetteva scherzi e procedette con ferrea severità
contro i ribelli, cosicché il popolo, intimidito, presto si piegò. In breve il
popolo di Nustra ricevette la benedizione del lavoro, e poiché il carattere
dello stesso era tale da seguire volentieri le abitudini nella vita regolare,
così negli anni successivi fu proprio Nustra che si attenne ostinatamente a
quest’istituzione, quando la snervata mano di Areval distrusse nuovamente
l’opera di suo padre.
21.
Maban
riconosceva molto bene che un’opera poteva durare solo quando avrebbe temprato
il carattere dei suoi sudditi, soprattutto quello dei grandi del paese; quando
avrebbe provveduto che la generazione crescente accogliesse in sé pienamente i
suoi principi; quando felicità e comodità avrebbero regnato nei vasti imperi e
con ciò sarebbero rimaste sconosciute miseria e penuria.
22.
La
nazionalizzazione di tutte le prestazioni e valutazioni del lavoro, unitamente
alla peculiarità dell’introdotto mezzo di pagamento, mise una sicura fine al
dominio di questi ultimi nominati nemici d’ogni felicità. L’educazione dei
caratteri era tuttavia un’operazione ampiamente più difficile! Maban cercò di
realizzarla riunendo frequentemente intorno a sé tutti gli uomini ai quali
aveva concesso, o pensava di concedere, i posti di maggiore responsabilità
dell’impero. Egli cercò di influire su questi col suo esempio e di imprimere in
loro, nel rapporto diretto, saldamente i suoi principi. I tre viceré degli
imperi dovevano rimanere spesso a lungo alla sua corte, affinché egli potesse
dar loro una precisa visione di tutti i progressi del governo del paese.
Spesso, del tutto inaspettatamente, con lunghi viaggi, egli stesso si
convinceva del vero stato delle cose. Allora era inesorabilmente severo se, in
tali viaggi di controllo, trovava irregolarità nei distretti amministrativi,
riconoscendo e ricompensando però anche il più piccolo dei suoi funzionari che
compisse con precisione i lavori spesso difficili. Nessuna meraviglia dunque
che egli fosse amato e onorato dappertutto, anzi lo si elogiava come il
realizzatore della pace eterna.
23.
Per elevare il
carattere del popolo all’altezza spirituale di una formazione più raffinata,
per formare e per dar prova di coraggio, valore e capacità personale dello
spirito e del corpo, erano celebrate particolari feste che, similmente ai
giochi olimpici, offrivano competizioni sportive dello spirito e del corpo.
L’arte della poesia, l’arte della parola, l’arte della rappresentazione, erano
pertanto molto sviluppate; l’agilità fisica, in seguito a queste feste, divenne
una condizione fondamentale dell’educazione giovanile. Ognuno in queste feste
poteva ottenere un premio che, sempre ricevuto dalla mano del re, conferiva
onore e molteplici benefici. I vincitori ottenevano il diritto di chiedere a
Maban una grazia, secondo le loro particolari inclinazioni, grazia che era sempre
concessa, se quanto chiesto con la preghiera si mostrava fattibile. Esistevano
speciali accademie per la realizzazione di nuove invenzioni che erano
realizzate nell’impero. Qui ad ognuno era data l’occasione di realizzare le
proprie idee, di provare il loro valore o non valore, di fabbricare modelli e
fare delle prove.
24.
Nessun serio
inventore era ostacolato per mancanza di mezzi economici; i laboratori statali,
infatti, gli offrivano tutto il necessario non appena un’idea prospettava al
comitato solo la pur minima probabilità sulla possibilità della sua
realizzazione, sebbene questo comitato, in assoluto, non esaminasse troppo
minuziosamente le proposte in arrivo. Maban aveva ordinato di esercitare, in
questa parte, la più grande tolleranza, e ottenne in tal modo enormi successi
nel campo della tecnica. – Teste geniali sulla Terra soffrono troppo spesso,
solo per l’impossibilità della realizzazione delle loro idee per mancanza di
soldi. Il governo terreno solitamente non è facile da convincere su idee scarsamente
realizzabili o su progetti non provati che porterebbero al successo solo
attraverso molteplici esperimenti. Qui era diverso: su Mallona si continuò a
sperimentare perfino progetti apparentemente senza prospettiva, da quando
importanti nuove scoperte erano state fatte per caso, in seguito al fallimento
degli esperimenti normalmente progettati. (Anche su Mallona, infatti, non
raramente c’erano inventori involontari come il bottaio, il quale voleva far
soldi e trovò la porcellana!).
25.
La scoperta più
eccellente per Maban fu l’invenzione di veicoli rotabili enormemente veloci, i
quali permettevano il collegamento per ogni dove, su strade particolarmente
spianate. L’ingegneria era giunta a non temere più ostacoli riguardo al disagio
del terreno. Le singole località erano collegate sempre in linea direttissima
per mezzo di strade sulle quali potevano viaggiare nei due sensi in pazzesca
velocità, veicoli di differente grandezza. Ovviamente anche queste strade erano
statali; i veicoli erano forniti alle comunità dallo Stato, e l’utilizzo degli
stessi spettava gratuitamente a chiunque dimostrasse di dover intraprendere un
viaggio più o meno lungo.
26.
La navigazione
sul mare non si svolgeva quasi per nulla. Essa non era necessaria per collegare
gli imperi di Nustra e Monna separati dall’acqua. Il mare, infatti, – in alcuni
punti molto ricco d’isole e senza grandi profondità – era stato superato dagli
ingegneri di Maban con la costruzione di giganteschi ponti da un’isola
all’altra e con questi, in differenti punti, si collegavano l’un con l’altro i
due continenti. Se il pianeta Mallona fosse stato esposto, come la nostra
Terra, al brusco cambiamento delle stagioni, e se queste, altrettanto avessero
agitato le sue acque causando violente tempeste in primavera e autunno, anche
l’altamente sviluppata arte degli ingegneri avrebbe presto fallito nella
resistenza contro gli elementi. Mallona tuttavia possedeva un’altra
disposizione dell’asse che la nostra Terra, e per questo le zone si
presentavano più uniformi e le stagioni meno ricche di cambiamenti, anche se
sufficienti da separare in modo considerevole l’estate e l’inverno, il tempo di
pioggia e quello di sole.
27.
Contemporaneamente
alla scoperta dei veloci veicoli rotabili, un esperto chimico aveva inventato
un esplosivo, con il quale si potevano ottenere enormi effetti. La sua
combinazione era tuttavia protetta come massimo segreto di Stato, e la sua
produzione, su ordine del re, era disposta solo per particolari scopi. Questo
segreto rese Maban invincibile per tutti i nemici: egli, infatti, grazie
all’enorme potere esplosivo, era in grado di distruggere con un colpo solo
interi territori! Nell’ultima guerra, con il suo terribile esplosivo, aveva
realmente distrutto una non insignificante montagna, cinta da una fortezza,
così che una resistenza nemica contro di lui, attrezzato con tali armi, sarebbe
stata impossibile.
28.
Questa
scoperta, stranamente, non portò ad una costruzione di armi da fuoco, la cui
forza di distruzione, a dir il vero, in confronto alla forza distruttiva di
quest’esplosivo sarebbe apparsa insignificante. Certamente però furono
inventate, per questa ragione, potenti macchine perforatrici e particolari
attrezzature di lavoro ad alta velocità, come scavatrici per la costruzione di
gallerie sotterranee. Poi catapulte che potevano scagliare l’esplosivo da
grande distanza verso un bersaglio che, esplodendo, distruggeva tutto in un
vasto raggio uguale a un fendersi di cratere.
29.
Maban custodì
questo terribile segreto con ogni cura; egli sapeva molto bene che questo lo
aveva aiutato ad ottenere la sua illimitata potenza, e gliela rendeva sicura.
30.
Sotto il suo
governo sorse anche il valore della pietra-aurea che, solo raramente si trovava
situata nel Rod, la pietra-bianca. Essendo un prodotto del fuoco, essa si
trovava solo a grandi profondità, soprattutto nelle già descritte caverne
sotterranee della regione craterica di Marda. La sua estrazione era legata a grandi
pericoli. Per questo ci voleva coraggio e forza, e proprio perciò Maban stabilì
grosse ricompense e il conseguimento di speciali onori per la sua consegna,
allo scopo di avere, attraverso questo, come pericolosa vittoria sportiva, un
ulteriore mezzo per il temperamento dei caratteri.
31.
La pietra-aurea
era ritenuta un mezzo magico che dava salute, prometteva forza e lunga vita al
possessore; polverizzata, doveva guarire ogni malattia. Era naturale che la
credenza che si attribuiva alla forza della pietra riuscisse a compiere molte
cose di cui la pietra stessa era certamente incapace. Maban lo sapeva molto
bene; ciononostante appoggiò tutto ciò che potesse servire alla sua
considerazione, poiché egli rendeva omaggio al principio economico: stabilisci
un valore altissimo e tienilo elevato al massimo; così avrai una sicura scala
per la valutazione di qualsiasi lavoro. L’esagerato ambizioso valore della
pietra-aurea favorì all’inizio certamente la buona intenzione, ma più tardi
divenne una rovina.
32.
Anni erano passati
dall’inizio del governo di Maban, e i suoi figli già menzionati Muhareb e
Areval erano diventati uomini adulti. Maban poneva tutte le speranze sul suo
degno figlio maggiore e successore al trono Muhareb, mentre Areval, dal sangue
caldo come sua madre, manifestava spesso caratteristiche caratteriali che
ricordavano al padre troppo bene il suocero Ksontu: caratteristiche che a lui
non piacevano, cosa che tuttavia, in vista dell’eventuale successione al trono
a lui sembravano meno pericolose di quanto non lo fossero.
33.
Areval era
intelligente ma perfido, avido di piaceri e, tuttavia per prudenza, di nuovo
sobrio. Egli invidiava suo fratello maggiore e temeva in lui il futuro sovrano.
Egli stesso desiderava essere sovrano e cercava di circondarsi di fedeli che
parteggiassero saldamente per lui. A poco a poco, quanto più vecchio diventava
il padre, tanto più si consolidava nella sua anima un determinato piano. Egli
assunse all’improvviso un atteggiamento di devozione e, nei confronti del
padre, finse di essere il più ardente ammiratore dei suoi progetti. Gli riuscì
così bene a tenere la maschera, che Maban ebbe sempre più fiducia in lui e
suppose che solo l’esuberante gioventù l’avesse portato in precedenza al
traviamento e che adesso, il maturando uomo, riconosceva come tale e
disprezzava quel tipo di vita. Egli gli affidò l’amministrazione di un
distretto vicino alla città residenziale e Areval riuscì ad ottenere la sua
fiducia, tanto che dopo alcuni anni lo pose come viceré di Nustra. Era questo
che Areval voleva: alla sua ambizione era offerto per il momento a sufficienza!
Nella sua residenza egli non era proprio più quel buon sovrano che sembrava, e
anche se si assoggettava per forza alle leggi amministrative stabilite da
Maban, in realtà era un uomo che restava ostinato dove solo poteva, il quale
egoisticamente e passionalmente perseguiva solo un unico scopo: servire se
stesso e le sue cupidigie!
34.
I periodi che
egli doveva trascorrere alla corte di suo padre gli apparivano come una
punizione; durante gli stessi, infatti, egli era totalmente sottomesso alla
volontà di suo padre. Sempre, dopo il ritorno nel suo regno, diventava tanto
più scatenato. Non gli fu difficile, tra gli abitanti di Nustra che, com’è
noto, erano inclini alla sensualità e all’avidità di piaceri, trovare dei
seguaci della sua vita. Costoro non desideravano nient’altro che avere Areval
per loro stabile sovrano. Il suo più vicino seguito provvedeva anche fedelmente
affinché Maban, nonostante gli fossero pervenuti alcuni rapporti, rimanesse all’oscuro
sulla vera attività di suo figlio, mentre Areval, con la vita smodata, poneva
il primo germe di una strisciante malattia che distruggeva spirito e corpo.
35.
Il contrasto
tra i due fratelli Muhareb e Areval si era ancora più rafforzato quando, nel
corso degli anni, si rivelava sempre più che le disposizioni statali di Maban
non potevano portare ai risultati sperati, sebbene la popolazione non
raggiungesse un alto ideale morale, dal quale era ancora molto lontana. Per il
momento essa si piegò soltanto alla volontà di Maban che tutto costringeva, il
quale con mano di ferro sapeva attuare ciò che riconosceva come giusto. Il
partito di quelli che erano stati fatti grandi da lui, senza distinzione di
stato sociale e culto genealogico, i quali prima avevano un altrettanto grande
ruolo in Mallona come adesso ancora sulla Terra, pendevano certamente con
esaltato amore al loro re. Quelli che si credevano volentieri dei grandi che
per mancanza di particolari meriti non erano più al vertice – derubati del
privilegio di nascita e diritto genealogico come di molti altri vantaggi –
nutrivano in sé un odio nascosto che trasmisero ai loro discendenti. A questi
ultimi, i diritti perduti spettanti ai loro padri, l’impossibilità di possesso
e dominio, l’uguaglianza e soprattutto la necessità di un lavoro per vivere,
apparivano loro come un’assurdità che sarebbe stato un giorno l’obiettivo più
ambito da eliminare.
36.
Da Muhareb non
c’era da aspettarsi un cambiamento. La sua profonda venerazione per il padre e
la conoscenza delle buone intenzioni, erano troppo profondamente radicate in
lui perché potesse un giorno rigettare le sue disposizioni. Negli ambienti
interessati si conosceva questa condizione disperata. Così i capi degli
oppositori segreti di Maban speravano che, se fosse stato Areval a salire un
giorno al trono, tutto sarebbe stato diverso.
37.
A Muhareb,
nella sua profonda consapevolezza, queste correnti non rimasero nascoste. Egli
ne soffriva; il suo cuore, infatti, che amava gli uomini, prevedeva quali lotte
dovessero sorgere nel caso fosse dovuto salire lui al trono. Rabbrividiva al
pensiero di dover versare sangue per consolidare il suo trono. Egli sapeva come
Areval si procurasse sempre più seguaci segreti, ma non era tuttavia in grado
di comunicare a suo padre le prove che possedeva, del complotto diretto contro
di lui. Sapeva certamente troppo bene che suo padre non avrebbe esitato, in
caso di necessità, a sacrificare il sangue del suo secondo figlio per salvare
la sua creazione.
38.
Muhareb aveva
da condurre in sé un’immane lotta, dalla quale venne fuori con un gioioso
sentimento di vittoria. Era deciso a non contrapporre i popoli in una violenta
guerra civile e consegnare suo fratello alla rovina, bensì a confidare
fermamente nella Forza suprema che aveva permesso a Maban di raggiungere cose
tanto grandi. Questa Forza avrebbe fatto trovare anche a lui i mezzi per
conservare e proteggere quanto era stato raggiunto.
39.
Era usanza a
Mallona che il matrimonio fosse intrapreso solo molto tardi da parte degli
uomini. Si pretendeva che ogni uomo avesse prima fornito prova del suo
dinamismo e valore del carattere, prima che fosse trovato degno di portare a
casa una moglie. La ragione stava nel sentimento religioso dei popoli, che a
questo riguardo era la stessa in tutti i quattro imperi. La Divinità si
rappresentava in due principi separati: buono e cattivo, tuttavia non
osteggiandosi reciprocamente, bensì integranti. Il più sacro insegnamento
primordiale diceva: “Ciò che giace nel grembo della Divinità è vita e forza per
la vita. L’attività della vita è il tessuto per la vita. Tutto ciò che serve a
quest’attività, è emanazione della Forza divina. Se accade che quest’emanazione
sia interrotta, allora la Divinità un giorno morirà”.
40.
Secondo questa
dottrina, anche un’azione cattiva era il risultato della Forza divina. Se non
si possedeva abbastanza forza per ostacolarla, ci si sottoponeva ad essa come
voluta dalla Divinità. A tale riguardo si vedeva perfino nel proprio nemico
come vincitore l’efflusso della Forza divina, e ci si sottometteva a lui senza
mormorazione, finché la Forza divenuta consapevole dell’oppressione fosse stata
in grado di sbarazzarsi del giogo. Su questo si basava in gran parte il
successo di Maban.
41.
Il buono, ossia
tutto ciò che era gradito all’uomo, era onorato nella forma del bello, e
precisamente come principio femminile; il duro, l’energico, che poteva
presentarsi anche come cattivo, era onorato nella figura dell’uomo. Una bella
donna dotata era considerata come speciale dalla Divinità. In lei si vedeva la
quintessenza di ciò che si doveva venerare come segno visibile del Suo operato.
42.
L’uomo, che
doveva mettersi in azione per dimostrare la sua aspirazione ad essere
l’immagine della Divinità, veniva perciò anche considerato degno di sposare una
donna solo allora, quando avesse fornito prova del suo dinamismo. Una
conseguenza di questa concezione era quella che, specialmente la bella donna,
molto facilmente fosse sottoposta al laccio della vanità. Per una donna bastava
solo essere bella per essere tenuta altamente in considerazione. Che dunque la
donna dovesse esercitare un potere nell’intera vita degli abitanti di Mallona,
e fosse in grado di evocare i più grandi pericoli, nel caso in cui avidità di
piaceri, sensualità e venalità fossero subentrate al posto dei semplici costumi,
ciò è facilmente spiegabile.
43.
Inoltre nei
templi esisteva un culto attraverso il quale era celebrato la bellezza della
donna, e che, ai tempi dei puri costumi dell’impero, si svolgeva dignitosamente
e memore del senso vero e proprio; tuttavia più tardi questo culto degenerò in
orge dissolute. Un fenomeno diffuso anche nell’antica Grecia.
44.
Gli uomini più
altolocati dello Stato potevano elevare a loro consorte, in maniera
incontrastata, la più povera fanciulla del paese. Questi casi erano molto
frequenti; tuttavia l’uomo doveva aspettarsi un rifiuto. Decisivo per la
fanciulla era il fatto che egli si guadagnasse la gloria nel suo ambito. Lei
non temeva niente di più se non che l’uomo del suo cuore potesse rendersi
ridicolo con una qualunque azione. Anche le vittorie nei giochi pubblici
valevano per lei come un eccellente onore dell’amato.
45.
Il matrimonio,
una volta concluso, era indissolubile, inoltre l’uomo poteva avere solo una
donna. Questo accadeva anche in seguito alla concezione religiosa che la dualità
della Divinità, operante in una unità, non si potesse più separare una volta
sviluppata in sé la volontà all’attività, da cui far scaturire sempre nuove
opere. Quindi anche la donna, come principio della vita latente, e l’uomo, come
quello della forza vitale attiva, non si potevano separare, per non distruggere
nuovamente la volontà di vita risvegliata in loro.
46.
Muhareb si era
guardato intorno tra le figlie del Paese e in tutta segretezza aveva trovato
una fanciulla che, per lui, personificava l’ideale di ciò che aveva sempre
desiderato. Lei era Fedijah, la sorella di Upal, il fortunato trovatore della
pietra-aurea.
47.
Tra Muhareb e
Fedijah era nato un intimo sentimento di puro amore; tuttavia Fedijah non
sapeva chi fosse Muhareb. Egli aveva finora tenuto nascosto il suo alto rango,
per essere sicuro che sarebbe stato amato per se stesso. In questa maniera si
era convinto di quale gioiello in purezza di cuore, virtù e fervido amore
avesse trovato in quella fanciulla. Egli era fermamente disposto ad elevarla a
sua sposa. Ostacoli a dare esecuzione a questo suo desiderio non ne esistevano.
Le caratteristiche già descritte autorizzavano ogni bella fanciulla all’unione
con l’uomo più altamente in vista del Paese, e Fedijah era perfettamente bella.
48.
In una festa, chiamata
“nascita della Divinità”, che rappresentava la massima festa dell’anno, le
fanciulle più belle furono stabilite per il servizio divino nel tempio. A
Fedijah fu affidata la cerimonia dell’accensione delle offerte e, in
quest’occasione, Areval, il quale trascorreva il suo tempo come di solito alla
corte di suo padre, la vide e provò una profonda passione per lei. Per mezzo
dei suoi fedeli, a lui devoti per la vita e per la morte, s’informò subito chi
fosse la bella offerente, e un giorno Fedijah scomparve senza lasciar tracce.
Muhareb, stando al fianco di suo fratello, ne sentì l’esclamazione
d’ammirazione sull’affascinante bellezza di Fedijah e subito il sospetto
penetrò in lui, poiché conosceva troppo bene la maschera virtuosa di suo
fratello Areval.
49.
Areval, dopo la
scomparsa di Fedijah, ritornò subito nel suo regno. Muhareb, sicuro che il
fratello avesse rapito la sua promessa sposa e mirasse a trascinarla con
violenza nel suo regno, si affrettò a precederlo con una vettura rotabile più
veloce, e impartì gli ordini necessari per fermare il seguito di Areval in un
luogo poco abitato.
50.
Areval giunse
in una vettura sfarzosamente mascherata e, furente per l’improvvisa
interruzione del suo viaggio, voleva imperiosamente balzare contro gli uomini
che circondarono la sua vettura. Ma si trovò di fronte suo fratello Muhareb, il
quale con la spada in mano entrò da solo nell’abitacolo della vettura e la
perquisì. Addormentata da sostanze narcotizzanti, egli trovò Fedijah in un
angolo nascosto della vettura, in uno stato che gli confermò come Areval
disprezzasse i più sacri sentimenti del popolo, compresi quelli legati al
rispetto della bellezza femminile.
51.
Folle di
collera e dolore, alzò la spada contro suo fratello, e lo avrebbe ucciso se
questi, nella sua paura per il fratello, che lo superava di molto nella forza
fisica, non avesse usato lo stratagemma di gettarsi velocissimo dietro il corpo
di Fedijah e adoperarlo come copertura. Pochi istanti bastarono a Muhareb per
tornare in sé e distogliersi dal fratricidio. Egli apostrofò Areval, lo
costrinse ad ubbidirgli e a non lasciare la vettura. Quando Areval accennò ad
opporsi, Muhareb gli saltò addosso e lo legò con forza. Subito dopo ordinò di
ritornare verso la capitale.
52.
I fedeli di
Areval e di Muhareb avevano certamente notato che all’interno del veicolo era
sorta una disputa tra i fratelli, tuttavia nessuno aveva osato andar dentro. In
silenzio fu accolto l’ordine di Muhareb e il viaggio di ritorno andò a velocità
vorticosa.
53.
Nessuna parola
scambiarono i fratelli durante il viaggio, mentre Fedijah rimaneva in profondo
stordimento. Giunto alla meta, Muhareb affidò la ancor sempre esanime fanciulla
ad un fedele servitore, il quale la portò nella casa dei genitori, poi
costrinse Areval a seguirlo da Maban per dare delle spiegazioni davanti al
padre. Questi, in verità, s’indignò per l’azione di suo figlio, che secondo le
regole vigenti era stata più che un’infamia; tuttavia cercò di conciliare i
fratelli a causa del terribile scandalo che l’episodio avrebbe suscitato nel
popolo. Muhareb insistette per una piena pubblica accusa contro suo fratello;
secondo la propria convinzione, infatti, solo una severa punizione avrebbe
potuto salvare l’usanza del popolo che, per colpa di Areval, era stata minata
nel suo più profondo significato. Lungimirante, egli comprendeva che solo con
l’eliminazione del male poteva essere impedito l’iniziante decadimento
dell’antica fede, il disprezzo dei sacri sentimenti.
54.
Maban,
diventato oramai vecchio, era invece d’altra opinione; perciò si diede da fare
per salvare l’apparenza esteriore, ritenendo di dover eliminare la sciagura
interna anche senza far chiasso. Muhareb a suo padre espose tutti i pericoli e
gli dimostrò fin dove, nell’impero, la sua indulgenza avesse già portato le
anime. Maban però rimase nella sua decisione e ordinò a suo figlio perfino di
tacere e di perdonare Areval.
55.
Appena
quest’ordine fu pronunciato dalle labbra di Maban, Muhareb si alzò, lanciò uno
sguardo a suo padre e al trionfante Areval, s’inchinò in silenzio e andò via.
Da quel momento Muhareb e poco dopo anche Fedijah, scomparvero. Nessuno vide
più i due. Passarono decenni. Maban invecchiava a vista d’occhio, poiché la
pena per il suo primogenito gli divorava il cuore. Morì, e Areval divenne re di
Mallona.
[indice]
1.
Le immagini del passato
hanno smesso di attraversare la mia anima e di nuovo vedo davanti a me la
capitale, la patria di Upal, l’ex sede della casa regnante di Maban, la residenza
dell’attuale re Areval. Sull’altura del monte sta un palazzo splendente, le sue
pareti risplendono come vetro opalino di colore bluastro. Splendidi arabeschi
di fattura assai accurata ornano le aperture e i cornicioni delle finestre. Il
tetto splende d’oro, s’innalza notevolmente inclinato e, tutt’intorno al
cornicione di chiusura, porta un’inferriata d’oro. L’intero edificio è di notevole dimensione, contiene estesi
saloni e dal suo punto d’osservazione domina l’intera città costruita a
terrazze ai piedi del monte.
2.
Un’ampia
scalinata, come unico accesso, conduce dai primi edifici della città ai
vestiboli della fortezza. Una robusta triplice muraglia, coronata di merli e
torri triangolari, cinge la sede reale. Dappertutto vedo soldati, le guardie
del corpo del re che sorvegliano particolarmente la grande scalinata e rendono
impossibile a uno straniero di poter penetrare nel palazzo. La guardia non mi è
d’impedimento, nessuna delle porte saldamente chiuse, mi è d’impedimento. In
fretta, attraverso grandi sale sfarzose colme dei grandi dell’impero radunati,
attraverso vasti vestiboli e corridoi e giungo ad una serie di ambienti
dall’alta volta preziosamente arredati. Solo di sfuggita il mio sguardo scorre
su ogni specie di suppellettili, su preziosi, luccicanti oggetti di sfoggio,
armi e decorazioni; la forza che mi trascina, infatti, non mi permette nessun
minuzioso sguardo panoramico.
3.
Ora mi trovo in
un’ampia stanza, e sotto la sua finestra aperta, su un divano, tra morbidi
cuscini, giace il corpo di un uomo vestito preziosamente che, agitato, si
rotola di qua e di là. Un diadema con una grande, sfavillante pietra adorna la
sua fronte; l’espressione del viso è sconvolta; l’uomo soffre in maniera
evidente. È Areval, il potente re di Mallona. Davanti a lui sta un grosso uomo
in lunga veste talare che, immobile, rivolge gli occhi fissi al re, e con le
mani nascoste nelle ampie maniche ne osserva le condizioni.
4.
Il malato geme
e soffre per i dolori, i suoi occhi fissano improvvisamente nel vuoto e
sembrano vedere cose strane. Bruscamente compie movimenti respingenti, si
solleva e grida:
5.
“Cacciate via
quella faccia dai miei occhi!”. –
6.
Velocemente il
grosso uomo si avvicina, pone la sua mano sulla fronte del re, mormora
incomprensibili parole e gli porge da bere da una ciotola. Avidamente questi
sorseggia la bevanda rinfrescante e ricade esausto nei cuscini. Il re chiude
gli occhi e si assopisce; un’espressione di disprezzo e di scherno si mostra
sul volto del suo consolatore. Costui allora apre la tenda davanti alla
finestra aperta, si china sull’ammalato e gli sussurra all’orecchio sommesse
parole.
7.
Profondi
respiri annunciano subito il pesante sonno del re e il soccorritore si ritira
soddisfatto. Va alla porta, la apre e ordina ai due servitori che aspettavano
fuori di sorvegliare il sonno del re. Poi attraversa tre lunghissime sale e
giunge in una stanza in cui soldati e servitori sorvegliano l’accesso alle
camere più interne del re. Pieni di profondo rispetto e d’attesa, costoro lo
guardano. Con accento tranquillo, che suona tuttavia pungente e acuto
all’orecchio, egli dice: “Il re è affaticato, oggi
non riceve!”. –
8.
Due dei
servitori vanno nella grande sala attigua, nella quale si erano radunati i
grandi del re, per annunciare la revoca. Un altro spinge indietro una tenda di
un’alta porta; si vede un lungo corridoio che sbocca in una camera aperta.
Questi attraversa il grande corridoio e, nella camera rotonda, saluta un uomo
che guarda dentro flemmatico, il quale osserva chi viene, tranquillo e gentile.
È il viceré di Monna che qui aspetta Karmuno, il sommo sacerdote e primo
confidente di re Areval.
9.
In tono
confidenziale il viceré domanda: “Come sta il
fratello nostro e signore?”.
10.
Gli viene la
sommessa risposta: “Meglio di quanto si potesse sperare. La malattia
progredisce lentamente. La testa rimane lucida, anche se la capacità di pensare
talvolta si offusca. Signore, non è ancora il momento di agire!”.
11.
Un’ombra corre
veloce sul volto del viceré. Poi, alzando la mano in segno di saluto,
sorridendo, dice tranquillamente: “Possiamo aspettare. Karmuno conosce il suo
amico e a lui confiderà. Monna è preparata nel caso che il fratello nostro e
signore vada al popolo dei morti”.
12.
Con cautela il
sommo sacerdote si avvicina al viceré: “Areval non potrà tenere né oggi né
prossimamente il consiglio del paese. Utilizzate questo tempo. Io cercherò di
disporre il re a porvi come sostituto, questo ci porterà più vicini allo scopo.
Nel caso in cui voi sarete qui correggente di Areval, potrete anche fidarvi
completamente del generale Arvodo? Nelle sue mani sta il potere dell’esercito a
Mallona. Pericolo minaccia se voi non sarete sicuro dell’uomo”.
13.
Il viceré
respinge e dice di malumore: “Karmuno, io lo so, voi non siete amico del
generale, però la diffidenza va oltre a ciò che dovrebbe essere. Arvodo è
saldamente legato a me, io ho completa fiducia in lui, ed egli, infatti, è
fedele; tuttavia non sa quali piani ci legano. Non deve neanche saperli fino a
quando l’ora non sarà vicina”.
14.
Un leggero
sorriso di difesa scorre sul magro viso del sacerdote: “Io temo che Arvodo non
si lascerà ingannare. Guai a noi se egli facesse un doppio gioco e sorgessero
nel suo petto piani ambiziosi!”.
15.
Il viceré si
alza e dice brevemente: “Noi siamo prudenti e vigilanti, Karmuno, e anche voi
lo siete, il successo quindi non ci mancherà”.
16.
Egli saluta con
la mano ed esce dalla porta che dà nella grande sala di ricevimento.
17.
Per un momento
il sacerdote rimane nella posizione servile avuta finora. Poi si alza in tutta
la sua altezza, segue con occhi velenosi colui che, allontanandosi, mormora
parole sommesse, e dopo lo segue.
18.
Nella sala di
ricevimento si è fatto il vuoto. In una nicchia stanno due uomini. L’uno è in
pieno assetto di guerra. Una specie di splendente corazza a scaglie gli copre
la parte superiore del corpo, un ondeggiante mantello bianco con ricamati degli
ornamenti pende dalle sue spalle, ai fianchi una larga spada. È un ideale del
bell’uomo secondo i nostri concetti, d’aspetto vigoroso e intelligente. Una
leggera barba piena incornicia il nobile viso, l’occhio è chiaro. Le labbra
leggermente serrate e le palpebre un po’ abbassate mostrano che egli si sforza di
celare ogni intima emozione con grande sangue freddo. Quello che sta accanto a
lui, il compagno più piccolo, vestito quasi uguale, mostra sorprendentemente
somiglianza con lui; riconosco, essi sono fratelli.
19.
Il viceré passa
davanti ai due, sorridendo benevolmente e sollevando la destra. Un saluto che è
concesso solo a persone amiche. Entrambi ringraziano, abbassando la destra a
terra e chinando il capo.
20.
Karmuno adesso
si avvicina e indirizza la parola a quello più grande:
21.
“Arvodo voglia
sempre darmi prova della sua amicizia!”.
22.
Cortesemente
l’interpellato risponde: “Karmuno sa come far felici i suoi amici con il suo
amore”.
23.
Sospirando il
sacerdote dice: “Le condizioni del re oggi non gli permettono di dare al
generale nuove prove della sua fiducia. Egli è molto malato!”.
24.
“L’arte di
Karmuno saprà allontanare, come già spesso, la sua malattia. Nelle sue mani
Areval è ben protetto”.
25.
Uno sguardo
indagatore del sacerdote e medico colpisce colui che parla, il quale tuttavia
lo guarda negli occhi sorridendo con gentilezza. Poi dice gravemente: “Arvodo dovrebbe essere nominato oggi stesso generale
superiore di Mallona; nella sua custodia il re Areval potrà dormire al sicuro
da tutti i nemici!”.
26.
Affermando,
Arvodo mette la sua destra sul petto e dice in tono assai serio: “Al nostro
signore, al re Areval, appartengono i miei servizi e la mia vita. I suoi nemici
sono i miei!”.
27.
Karmuno non sa
cosa rispondere su questo. Egli saluta e se ne va! I due fratelli si scambiano
uno sguardo d’intesa, poi anch’essi si voltano verso l’uscita della sala e
lasciano il palazzo.
28.
Quando entrambi
stanno sui gradini della grande scalinata, Arvodo guarda la città che si stende
davanti a lui e la stupenda regione montana che la circonda. Osservando con
solennità il meraviglioso panorama, dice sottovoce al fratello: “Un paesaggio splendido e leggiadro, e una città che
testimonia la potenza del nostro popolo: e tuttavia è solo un posto di anime
depravate! Potrò io riportarle indietro? Ho paura davanti ad un tal compito e
alla sua felice riuscita”.
29.
Senza attendere
una risposta dal fratello, scende in fretta i gradini. Alla base della
scalinata, oltre alle guardie, c’è Upal, in atteggiamento d’attesa che lo
osserva con inquietudine. Lo sguardo fisso di Upal induce il generale a
guardarlo più da vicino. Un particolare movimento del capo, chinante e nello
stesso tempo rotatorio, non appariscente, che Upal compie col suo saluto,
sorprende chiaramente Arvodo. Egli fa cenno di avvicinarsi e gli domanda a
bassa voce: “Chi sei?”. – Upal guarda con gioia nel
nobile volto del generale e bisbiglia: “Signore, un servitore degli infelici!
Upal è il mio nome”.
30.
“Vuoi
parlarmi?”.
31.
“Sì signore,
però in segreto, e a voi solamente!”.
32.
“Vieni quando
sarà scesa la sera”.
33.
Upal mette la
mano sul petto e si allontana in silenzio.
34.
Arvodo ora si
volta veloce dalla parte di suo fratello, a lui sussurra all’orecchio: “È un fedele!”, e va veloce a una piazza, dove ci
sono un gran numero di piccole vetture, come le ho viste nel viaggio di Upal
verso la capitale. I fratelli salgono su un veicolo preziosamente adornato che
è guidato da un servitore di Arvodo, e velocemente corre attraverso le larghe
strade della città affollata di popolo.
35.
Le case, non
molto alte, sono addobbate di fiori, sui tetti piatti sono applicati
dappertutto giardini artificiali. Vedo nei vasi ogni specie di piante
rampicanti dalle larghe foglie a me sconosciute, raggruppate a pergolati che
offrono ombreggiati luoghi di riposo. Verso la strada, troppo spesso vedo tende
colorate, tirate per proteggersi da sguardi curiosi. Tutto presenta benessere
degli abitanti, perfino ricchezza. Siamo nel quartiere dei benestanti, i quali
non devono lottare con le preoccupazioni della vita. La vettura di Arvodo si
ferma adesso davanti ad un grande edificio. I due fratelli scendono ed entrano
nella casa; questa è la loro. Sono ricevuti dai domestici e condotti nelle
stanze interne.
36.
Arvodo si
libera dell’armatura; indossa un’ampia veste da casa a forma di mantello,
simile alla toga romana. Suo fratello ha fatto la stessa cosa e adesso si
recano sul tetto della loro abitazione, dove possono intrattenersi, lontani da
orecchi indiscreti. Una stretta scala conduce su, sbarrata in alto con un
cancello. Arvodo chiude questo a chiave ed entrambi i fratelli sono ormai
indisturbati nel giardino pensile, un raffinato capolavoro di giardinaggio.
Prosperosi fiori, tutt’intorno ci sono pergolati, gli alberi piantati tra
pietre artisticamente sistemate; in nessun luogo vasi sgraziati, tutto è leggiadro,
imitato fedelmente alla natura e tuttavia non opprimendo troppo il tetto della
casa.
37.
Arvodo si siede
nella sua veranda, dalla quale si può osservare la via d’ingresso al giardino
pensile, suo fratello lo osserva preoccupato e pieno d’amore. In silenzio lo
sguardo del generale scorre sul profumato sfarzo dei fiori dei giardini
confinanti. Una buia piega si è messa tra le sue sopracciglia e, sospirando,
ora il suo sguardo incontra quello di suo fratello.
38.
“I tuoi
pensieri non sono gioiosi; per quale ragione?”. Gli domanda il giovane Rusar.
39.
“Come
potrebbero esserlo, se mi vedo ostacolato in tutto! Areval ha saputo strappare
a sé tutti i tesori, tanto che al popolo, privato di ogni proprietà, non è
rimasto nulla. Anche noi, i grandi, dipendiamo solo dalla sua grazia. Egli con
un ordine perentorio può fare di chiunque un mendicante, e l’ha anche già fatto
con molti che osarono opporsi a lui. L’esercito è, per la maggior parte, a lui
devoto; certamente esso conduce l’oziosa, sontuosa vita solo grazie ai suoi tesori.
Sì, se i tesori di Wirdu appartenessero a me, quanto presto sarebbe finita con
questo re, il quale ha portato il popolo così profondamente in basso, popolo
che un giorno Maban rese grande!”.
40.
“Mio fratello
dimentica completamente che egli è la speranza dell’esercito, il quale guarda a
lui con orgoglio come al generale più capace che si coprì di gloria bellica?”.
41.
Arvodo scoppia
in una risata: “Una bella, una splendida gloria, marciare con una potenza
superiore contro una compagnia ribelle di Nustra che, stanca del fardello, non
può più pagar le tasse e perciò si ribella! Un’opera ancora maggiore, di
vincerla; un’opera vergognosa tuttavia, fu quella di punirla e rappresentare io
il carnefice! – Da nostro padre imparammo i principi e le aspirazioni di Maban.
Con raccapriccio riconosco quanto siamo sprofondati in basso. Con dolore vedo
che forse non è più possibile nessun ritorno e che i popoli di Mallona sono
stati rovinati e distrutti da questo re che la maledizione della Divinità ci ha
dato. Io ho giurato di fare un tentativo che possa portare a un cambiamento. È
in gioco la mia vita, però non voglio tentare inutilmente”.
42.
“Perché
scoraggiarsi così, i viceré di Nustra e di Sutona sono dalla tua parte, essi
sono fedeli”.
43.
“Certo, anche
se fedeli, solo per non dovere servire Areval più a lungo. Anche il fiacco re
di Monna io non temo. I giorni del viceré di Nustra sono contati, egli è
vecchio e presto andrà agli dèi. Se per il momento mi riuscirà di regnare a
Monna al suo posto, allora mio fratello saprà conservarsi il posto che io gli
concederò”.
44.
A queste parole
gli occhi di Rusar brillano, ed egli, chinandosi al fratello sussurra: “Nessun
potere potrà separarmi da te; io con te voglio morire, o vivere per salvare il
lascito di re Maban”.
45.
“Forse questo
significherà morire”, dice malinconico Arvodo. “Se non riuscirà il colpo di
mano di raggiungere i tesori di Areval al primo tentativo, e quindi finanziare
l’esercito, siamo perduti. Tu sai com’è attento Karmuno, questo dominatore
dell’ammalato, decrepito re, il quale domina nel paese e a tutti mostra un
aspetto così remissivo da ingannare la maggioranza. Io so dove mira. Egli vuole
ottenere la mano di Artaya per assicurarsi il diritto al trono mediante la
figlia di Areval, una volta sposato con lei”.
46.
Impetuoso,
ribatte Rusar: “Artaya, moglie dell’abbietto Karmuno? Mai!”.
47.
“Artaya è così
vicina anche al tuo cuore, che il pensiero ti fa andare così in collera?”.
Domanda Arvodo.
48.
“Fratello, voi
tutti giudicate male la fanciulla! Lei non è come il padre, la falsità le è
estranea”.
49.
“Voglia Dio
Padre che tu asserisca la verità, tuttavia sorveglia il tuo cuore. Io ho notato
già da lungo tempo che i tuoi occhi non la guardano indifferente. Dimmi però,
fratello: se tu potessi ottenere la sua mano, riusciresti a prendere, per vie
pacifiche, ciò che io potrei solo con la forza? In altre parole, diventare
sovrano di Mallona? A te sta la scelta: tra tuo fratello, e Artaya!”.
50.
“Come se non
sapessi che Areval, mai mi concederebbe la mano della sua unica figlia! Anche
se lui volesse, l’opposizione di Karmuno non si potrebbe superare. Solo la
forza potrà portare anche me al traguardo desiderato. Se mio fratello sarà
sovrano di Nustra, lo sarà anche presto di Mallona. Dalla sua mano otterrei poi
la sposa”.
51.
“Se lei stessa
lo vorrà, certamente!”. Rusar guarda di malumore il fratello. Arvodo però
aggiunge: “Oppure non devo io anche restituire al popolo la libertà di
decisione concessa da Maban alla donna, libertà seppellita da lungo tempo da
Areval?”.
52.
“Perdona
l’impulso d’egoismo in me”, risponde imbarazzato Rusar. “Come sempre, tu hai
ragione”.
53.
Il suono di un
campanello risuona dai locali sottostanti. Arvodo si alza.
54.
“Siamo
disturbati, silenzio!”.
55.
Agli ultimi
gradini, prima del cancello chiuso, appare un servitore. Egli annuncia che
eminenti ospiti attendono Arvodo e aspettano nelle stanze sottostanti. In
fretta i fratelli aprono e si recano giù. In una camera preziosamente arredata,
le cui ampie finestre aperte fanno entrare liberamente l’aria mite, stanno sei
grandi del Regno, e Arvodo li saluta con gentilezza e imponenza. Il più vecchio
di loro, un uomo apparentemente di mezza età, si fa avanti e dice in tono di
sottomissione: “Signore del popolo guerriero, su
incarico e nel nome del re, del nostro signore, vi consegno il simbolo del
potere che d’ora in poi voi dovrete portare insieme con lui. L’insidioso dolore
gli ha oggi negato la gioia di consegnarvi questo segno onorifico davanti ai
grandi del Regno riuniti insieme; è tuttavia sua volontà non sottrarvelo per
lungo tempo. Egli con ciò si mette sotto la protezione del suo generale; voglia
questi portarlo quale uno dei più grandi di Mallona”.
56.
Il portavoce
consegna al generale un anello. È l’esatta riproduzione di quello che già
conosciamo; non riesco a scoprire nessuna differenza tra questo e quell’altro
già visto.
57.
Arvodo rimane
freddo, prende in consegna l’anello, lo infila al quarto dito della mano
destra, la chiude a pugno e la alza in alto: “Il
potere che Areval mi dà, non è dato ad un indegno. Attendo il momento in cui io
potrò mettere il mio ringraziamento ai piedi del re stesso! Ditegli: il suo
generale, da questo momento, farà buona guardia!”.
58.
I presenti
s’inchinano profondamente e nello stesso tempo esclamano: “Noi onoriamo in te
la potenza del nostro re Areval, salute a te e a lui!”. Nelle più cortesi
locuzioni ora Arvodo e suo fratello parlano con gli ambasciatori, i quali
mostrano la più profonda devozione all’ormai più potente uomo: al
rappresentante del re, al comandante di tutti gli eserciti di Mallona, colui che
è investito del potere regale e non deve rispondere più a nessun altro se non
soltanto al suo sovrano. – Gli ambasciatori si allontanano e i fratelli sono
soli. – Il giovane Rusar non può portare più a lungo la maschera
dell’indifferenza. Abbracciando eccitato suo fratello maggiore, esclama
trionfante. “Lo scopo è raggiunto!”.
59.
Rabbuiandosi
Arvodo guarda in basso e dice cupo: “Sì, raggiunto! Il prezzo però è alto, io
sacrifico il mio stesso animo, il mio io migliore. Ciò che il padre c’insegnò,
onestà, fedeltà, verità e lealtà sono diventate ombre in me a causa dello
scopo. Sarà possibile un giorno cogliere deliziosi frutti da questa semina
d’inganno, per salvare il lascito di Maban?”.
60.
Rusar parla
senza riflettere: “Mio fratello ci riuscirà; ora bisogna solo andare avanti, e
non lambiccarsi il cervello!”.
61.
Sul volto di
Arvodo compare un moto di fermissima risolutezza, ed egli si erge alto: “Sì, ci
riuscirò! Che cosa però ha indotto il re a compiere un passo così insolito da
inviarmi l’insegna del potere regale? Mai è stata usanza nei nostri paesi di
conferire il potere in altro modo se non personalmente dal re davanti al popolo
e alla corte radunata. Devo andare da lui! Devo sapere le ragioni e adempiere
il dovere di porgere subito il mio ringraziamento. Seguimi dal re!”.
62.
In una stanza
preziosamente arredata re Areval siede a fianco di una giovane, meravigliosa
fanciulla. È sua figlia. Essi sono totalmente immersi in un gioco strano,
simile agli scacchi. Areval sembra aver superato la crisi. Nulla, infatti,
rivela in lui che era malato. Adesso la figlia compie una mossa decisiva e,
scoppiando in una chiara risata, dichiara il padre sconfitto.
63.
Areval fa cenno
col capo e respirando profondamente si appoggia sui cuscini del divano. I suoi
occhi si posano compiacenti su Artaya, la cui splendida ma fredda bellezza,
denuncia che in questo cuore di fanciulla l’animo è stato poco sviluppato.
Artaya è consapevole del suo splendente aspetto esteriore, ma interiormente è
calcolatrice, spietata e avida; sempre pronta ad imporre i propri desideri ad
ogni costo, qualunque conseguenza ne derivi; sottomessa ai suoi stati d’animo,
senza freno interiore, è un degno germoglio del padre.
64.
Entra un
servitore e annuncia al re che il generale Arvodo è pronto ad ascoltare i suoi
desideri. Negli occhi stanchi di Areval passa improvvisamente un lampo; egli
sorride e ordina che il generale sia condotto da lui che lo attende con ansia.
Artaya si alza; lentamente mette da parte il gioco con le figure e si mostra
premurosa verso il padre. È evidente che vuol guadagnare tempo per salutare
l’atteso, nonostante vi sia l’usanza che le donne si allontanino quando è
prevista una visita maschile. Solo quando l’ospite è già stato ricevuto dal
padrone di casa, hanno loro accesso, se invitate. Il pesante tappeto appeso
davanti alla porta d’ingresso è spinto indietro e, l’alto Arvodo, vestito in
splendente corazza a scaglie, appare. Lo sguardo esigente di Artaya colpisce
Arvodo, cosa che a lui non passa inosservato, poi s’infila velocemente in una
stanza attigua. Arvodo si ferma davanti alla porta, piega le sue braccia
profondamente a terra. Il re lo guarda penetrante e fa un movimento, come per
indicare che deve venire più vicino. E così avviene.
65.
All’improvviso
Areval balza in piedi e dice:
66.
“Arvodo, voi
siete il mio primo generale, avete il dovere di proteggere la mia vita con la
vostra! Siete voi disposto a farlo?”.
67.
Arvodo
risponde: “Il mio re lo sa!”.
68.
“Io vi ho dato
il sigillo del mio potere, lo porterete voi così come lo porto io?”. Il re alza
la mano e mostra l’anello al suo dito. Esso è uguale a quello che Arvodo ha
ricevuto dagli inviati. “Mai ne farete uso indebito?”.
69.
“Se il mio re
ne dubita, allora restituisco quello che ho ricevuto!”.
70.
Arvodo fa un
movimento, come per sfilarsi l’anello dal dito.
71.
Arvodo fa un
movimento, come per sfilarsi l’anello dal dito.
72.
Il viso di
Areval è deformato dall’angoscia. Egli guarda Arvodo che, immobile dallo
stupore, con affanno ascolta attentamente le parole bisbigliate
73.
“Artaya ti ama,
lo so da molto tempo, tu devi diventare il suo consorte, tu dovrai ottenere il
trono dopo di me! Tu sei il più degno di tutte le canaglie adulatrici che si
chinano dinanzi a me. In te io voglio e riconquisterò la forza che cerco.
Hahaha, allora dovranno di nuovo tremare dinanzi a me come prima i farabutti
che ora mi deridono e mi scherniscono perché sono malato e debole! In me però
ancora vive la scintilla che tu attizzerai in fiamma! Tu dovrai essere il
braccio che guida la mia volontà!”.
74.
Areval respira
pesantemente per l’agitazione interiore, all’improvviso fissa un angolo della
stanza: “Guarda là, là, nella nebbia nera ondeggiano di nuovo, facce guardano
con occhi incandescenti. Io le conosco: questi è mio fratello e Fedijah e
altri, i quali mi maledicono! Arvodo, proteggimi da loro, si avvicinano!”.
Pieno di paura Areval si aggrappa al generale e cerca di nascondersi dietro di
lui. Questi si alza di scatto. Rapidamente pensieri frenetici germogliano nella
sua testa, mentre comprende la situazione, e coerentemente al suo deciso
carattere cerca di restare padrone del momento.
75.
Estrae la sua
spada dal fodero e dice con voce ferma, e ad alta voce: “Guarda, re Areval, così io caccio via nel nulla anche i tuoi
invisibili nemici!”. Poi vibra violenti colpi nell’aria verso l’angolo
dove il re ha visto le facce e, scoppiando in un’allegra risata, si mette egli
stesso nell’angolo estremo. Poi rivolto al re, guardandolo fisso negli occhi,
infila la spada nel fodero ed esclama: “Io ho vinto,
re Areval; mostrami dove c’è ancora un nemico, affinché lo annienti!”.
76.
Il volto di
Areval mostra stupore e ammirazione: “Un portento, Arvodo, un portento tu
sei!”. Sussurra egli balbettando: “Ha la stessa forza di Karmuno, gli spiriti
fuggono davanti alla sua spada. Egli mi proteggerà – proteggerà!”. Gli occhi di
Areval sono stanchi; come dopo ogni attacco, anche adesso subentra in lui il
bisogno di dormire. Arvodo gli corre vicino e lo adagia sul suo luogo di
riposo. – Areval mormora: “Bene, così, bene. Domani ti vedrò di nuovo, hai
capito? Domani!”. Poi si addormenta.
77.
Arvodo sta per
dirigersi alla porta per dare ordini ai servitori fuori in attesa, quando la
tenda rapida viene tirata indietro da un lato e, precipitosamente, Artaya ne
viene fuori. Arrossata e con occhi raggianti, la bella fanciulla sta davanti al
generale e dice sorridendo: “Non preoccupatevi per
il padre, il suo sonno resterà indisturbato, me ne occupo io. Arvodo non ha
nessuna risposta per il desiderio di mio padre?”.
78.
Arvodo replica
con cortesia: “Gentil donna, il re è ammalato, domani starà meglio, e allora i
suoi desideri saranno forse altri”.
79.
Artaya lo
guarda corrucciata: “Fa lo stesso se si cambiano i suoi desideri: i miei
restano e io ti voglio!”. Con passione corre incontro ad Arvodo e si getta
nelle sue braccia: “Ascolta, io voglio te, te! Tu non mi resisterai!”.
Velocemente avvinghia Arvodo e lo bacia. “Adesso sei mio, con questo bacio sono
unita a te. Rifiutami, e allora dovrai temere la mia vendetta!”.
80.
Con destrezza
Artaya scompare nella stanza attigua, lasciando Arvodo mezzo intontito. Di là
risuonano delle voci e, per evitare che qualcuno sopraggiungendo lo scorga, il
generale lascia in fretta la stanza e il palazzo reale.
[indice]
1.
Arvodo è arrivato come
stordito nel suo palazzo. Apprende col cuore alleggerito che suo fratello ha
lasciato la casa. Ora è per lui gradevole non dover sostenere discorsi; egli
vuole essere solo per riflettere su ciò che c’è da fare. Si ritira nel suo
studio solitario, malinconico guarda a terra, mentre le sensazioni più
contraddittorie attraversano il suo petto. Vede col pensiero suo fratello –
che, come lui sa, ama Artaya – nelle catene della gelosia, qualora gli
rivelasse quello che è accaduto. Vede se stesso alla meta, se cederà ad Artaya
e al desiderio del re: due personaggi che egli disprezza! A lui sorride il
volto sogghignante del sommo sacerdote Karmuno, il quale aspira egli stesso al
potere, e attraverso il clero esercita nel paese un potente influsso sui ceti
sociali. Questi, infatti, credono di vedere in lui l’uomo attraverso cui la
Divinità rivela al re Areval la Sua volontà.
2.
Arvodo non si
sente abbastanza sicuro sulla riuscita di un temerario colpo di mano, tuttavia
può scegliere solo tra questo e la nuova via che si sta aprendo: diventare
consorte di Artaya. Per il primo gli occorre l’incondizionata fedeltà
dell’esercito. Ma gli è fin troppo noto come questa dipenda dai mezzi che egli
potrà concedere all’esercito viziato dai tesori di Areval. A dir il vero, nel
grande impero non vi è nome che sia stimato dall’esercito come il suo, ma
questo rispetto da solo non gli giova a niente senza tesori propri. Sui
sorveglianti e le guardie dei depositi del tesoro nella capitale del re, così
come sulle numerose guarnigioni degli stessi, Arvodo non ha alcun potere
ufficiale; là comandano solo ed esclusivamente Areval e Karmuno.
3.
Il patrimonio
di Arvodo è enormemente insufficiente a sostenere, solo per un giorno, la paga
che la guardia del corpo del re consuma; questa, infatti, è tre volte superiore
a quella di tutti gli altri soldati nell’impero. Egli rabbrividisce al pensiero
di essere il marito di Artaya, la cui bellezza non lo rende cieco. Secondo la
legge le sarebbe sottomesso poiché non è di sangue reale. Lei resterebbe sempre
la sua padrona, e presto si dimenticherebbe di lui tra le braccia di un
favorito. Un legame con lei gli sarebbe il sicuro annientamento dei suoi santi
doveri verso il segreto di Maban, segreto che gli fu affidato dal padre
morente.
4.
Davanti agli
occhi di Arvodo affiora il volto del padre e rivive ancora una volta il momento
in cui il suo sguardo, che si sta spegnendo, gli si posa addosso nella sicura
speranza che, come figlio, egli compirà ciò che a lui non è riuscito. Nella sua
memoria sono incise profondamente le parole con le quali pronunciò al morente
la grave, solenne promessa. Egli è fermamente disposto a mantenerla. Arvodo si
alza di scatto, deciso a percorrere ulteriormente la strada una volta iniziata.
I mezzi, per giungere allo scopo, si dovranno trovare.
5.
Nel frattempo
si è fatto buio. Arvodo va alla finestra e sposta le tende, così che il caldo
soffio della sera passi attraverso la stanza. Dopo pochi istanti un servitore
entra e mette sul tavolo un sostegno metallico. Esso possiede una sfera
luminosa che irradia una luce chiara e tuttavia soave, la quale illumina
intensamente le parti oscure della stanza. È una lampada-manga che, bruciando
senza fiamma, solo per le sue caratteristiche chimiche, può irradiare una luce
più intensa di tutte le nostre sorgenti di luce artificiale.
6.
Il servitore
annuncia ad Arvodo che un uomo chiede di parlare al generale, poiché questi
l’avrebbe convocato per l’ora serale. Ad Arvodo viene in mente l’incontro col
fedele, e subito ordina di condurre a lui l’atteso. Presto Upal entra e si
ferma riverente alla porta. Il servitore che l’ha accompagnato è mandato via da
Arvodo con l’ordine di fare in modo che nessuno li disturbi. Arvodo guarda
fisso Upal, adesso ben vestito, e gli dice:
7.
“Tu mi hai dato
il segno dei fedeli, ma io non ti ho mai visto, Come posso riconoscerti?”.
8.
Upal, anziché
dare una qualsiasi risposta, cerca in una tasca segreta della sua veste e
consegna al generale una lettera chiusa. Arvodo prende la missiva, apre e legge
a lungo con crescente stupore. Poi si rivolge ad Upal con tono amichevole:
9.
“Con questa
lettera ti ho riconosciuto veramente come appartenente alla lega dei fedeli! Un
intercessore migliore come lo scrivente di questa lettera non avresti potuto
averlo. Ti credo. Ormai so che posso fidarmi di te, ma raccontami quello che,
secondo la lettera, vuoi comunicare solo ed esclusivamente a me”.
10.
Upal trae un
profondo respiro e comincia a raccontare la storia della sua vita. Descrive
come sua sorella scomparsa fu rapita da Areval e, di nuovo, liberata da
Muhareb. Egli confessa il suo intenso odio verso il re che, dopo la scomparsa
di Muhareb, scatenò tutta la sua ira contro la sua famiglia e non ebbe pace
finché questa non fu ridotta nella più grande miseria; come il padre scampò
alla persecuzione di Areval perché si consacrò al servizio del tempio, nel più
basso gradino dei servitori. Quando si ammalò, tuttavia fu dimesso anche da lì
e lasciato senza pane. Divenuto vecchio e debole, viveva solo col misero sostegno
di Upal e di alcuni amici compassionevoli che gli erano rimasti dai tempi
migliori. Upal descrive ora intensamente come divenne schiavo del re nelle
caverne di Wirdu, perché non poteva più pagare le imposte, e come là trovò la
pietra-aurea che lo rese ricco.
11.
“Areval non ti
ha riconosciuto come fratello di Fedijah, quando gli hai fatto rapporto sul tuo
ritrovamento?”. Domanda Arvodo.
12.
“Signore, io
non ho visto il re, Karmuno ascoltò il mio rapporto, il re era malato! Sono
anche passati molti anni da quando mi ha visto l’ultima volta; il mio nome è
cambiato, Areval non sa chi sia Upal. Il compito della mia vita è nascondermi
da lui, per annientarlo. Per questo divenni già molto tempo fa un membro
nell’alleanza dei fedeli. Rovinarlo è tutto per me! E tu, signore, vendicherai
in quello scellerato, anche mia sorella e la mia casa!”.
13.
Upal è chinato
in basso davanti ad Arvodo e in segno della sua indissolubile dedizione piega
profondamente la schiena davanti a lui. Arvodo gli va incontro e gli mette la
mano sul capo: “Tu ti pieghi a me! Orsù. Io accetto l’offerta, Upal. Sii dunque
uno dei miei, ormai legato a me fino all’ultimo!”.
14.
Upal afferra le
mani del generale e sussurra con voce soffocata: “Grazie, signore, di avermi
accolto! Tuttavia lo schiavo può già adesso mostrarsi riconoscente e, per
Schodufaleb[3],
signore, io lo voglio!”.
15.
Upal ora
riferisce al sempre più stupito generale, ciò che egli ha scoperto nelle
caverne di Wirdu. Che non è poi così difficile portare alla luce gli immensi
tesori. Che egli potrebbe mostrargli la via per farlo e che ad Arvodo dovrebbe
essere facile, con i mezzi di cui egli segretamente dispone, raccogliere un
immenso potere, più grande di quello del re. Egli riferisce come lui, per mezzo
di una macchina volante e col vento favorevole, abbia ricercato
instancabilmente fino a trovare l’enorme fenditura nella roccia che arriva in
profondità, fino all’interno delle caverne. Come ha poi osato abbassarsi con la
macchina e fatto così enormi scoperte.
16.
Quasi
terrificato, Arvodo fissa Upal: “Tu hai osato innalzarti nelle arie? In verità
ci sono pochi in Mallona che sono così audaci da salire sulle aeronavi. Noi
temiamo quest’elemento insicuro dell’aria e anche dell’acqua”.
17.
Sorridendo,
Upal dice: “Non è così pericoloso come lo ritengono il popolo e i grandi: non
mi sono venuti incontro demoni ostili per distruggere l’aeronave. Grande fu lo
spirito del maestro Mirto, il quale scoprì il mezzo per volare, ma troppo
piccolo fu lo spirito del popolo per apprezzare ciò che egli ci diede. Buon per
noi però, signore, che sia così, altrimenti come potresti portare alla luce
quei tesori?”.
18.
Calmo e freddo
sta Arvodo, poi dice all’improvviso: “Voglio vedere i tesori. Sei tu pronto a
mostrarmeli? A portarmi laggiù col velivolo?”
19.
Felice risponde
Upal: “Signore, io sapevo che ti saresti affidato a me! Ancora una cosa: tu osi
in maniera risoluta ciò che all’infuori di me nessuno ha mai compiuto. Ordina,
io sono pronto!”.
20.
“Dov’è il tuo
velivolo?”.
21.
“Esso sta ben
nascosto in una regione inaccessibile, in un luogo conosciuto solo a me. In
vettura si giunge facilmente quasi fin là”.
22.
“Quanto tempo
hai bisogno per riportarci indietro?”.
23.
“Signore,
sarebbe bene se tu potessi dedicare due giornate per questo, solo di notte,
infatti, possiamo, non visti, percorrere la via”.
24.
“Prepara tutto
per il viaggio domani sera. Mi aspetterai al grande lago, là, dove la strada
passa più vicina alle sue rive. Io verrò non appena cala il Sole. Adesso va,
lungo è il viaggio che dobbiamo fare. Ciò che ho ancora da dire, lo riservo per
domani”.
25.
Upal saluta in
silenzio con sguardo profondo e se ne va’.
26.
Arvodo rimane
profondamente assorto nei pensieri, i suoi occhi brillano arditamente e le sue
labbra bisbigliano: “Sarei quasi alla meta se ciò che mi ha detto quest’uomo è
completamente vero!”.
* * *
27.
È una notte
rischiarata dalle stelle. Ad Occidente s’irradia ancora lo splendore
sfolgorante del Sole che tramonta, un caldo vento serale soffia balsamico sui
campi. Nel cielo, come un meraviglioso spettacolo, splendono allo Zenit e
all’Orizzonte due lune. Esse mostrano fasi differenti. Durante la notte sorgerà
anche la terza luna, come un disco chiaramente illuminato. Queste lune però
sono più piccole dell’unica della nostra Terra. Esse insieme non offrono ancora
la luminosità che la nostra luna dispensa alla Terra. Ad Oriente si trova in
lontananza la città, circondata al lato sud da boschi e prati, mentre il lato
nord è dominato dalla superba fortezza del re.
28.
All’orizzonte
si levano alte montagne, confondendosi nel profondo blu della notte. Un vasto
lago si estende tra una catena montuosa e la città, il suo chiaro flusso è
immobile come uno specchio. Un’ampia strada conduce dalla città alla sua riva.
È la strada maestra che collega la capitale di Areval con la prossima
importante città del suo regno. Essa scorre accanto alla strada statale prima
descritta, sulla quale sono fatti arrivare i tesori dalla regione dei crateri.
29.
Una solenne
quiete si stende sull’intero paesaggio, sul quale guardano giù, col loro chiaro
luccichio, le scintillanti stelle del firmamento. Vicinissimo al lago si trova
un’alta boscaglia di cespugli fioriti che chinano i loro rami fino a terra.
Nell’ombra di questi sta nascosto Upal che, alzando di tanto in tanto solo la
testa, guarda attento lungo la strada se si avvicina Arvodo. L’ora che il
generale gli ha dichiarato è già passata e angosciosi dubbi, che degli ostacoli
rendano impossibile il suo arrivo, attraversano la sua anima.
30.
Ecco però che
in fondo, sulla strada maestra, compare un punto nero che si avvicina
velocemente. È una delle veloci vetture rotabili di cui si servono gli abitanti
di Mallona. Ora Upal sa che la sua attesa non è stata vana. Egli balza in piedi
e si mette in modo tale che il possessore della vettura che si avvicina a
velocità folle, debba notarlo. La vettura procede più lentamente. Upal
riconosce Arvodo avvolto in un mantello scuro e un servitore, il conducente del
veicolo. La vettura si ferma, Arvodo saluta colui che attende e gli ordina di
sedersi accanto a lui. Upal sale e, come spinto da una forza invisibile, il
veicolo corre di nuovo velocemente lungo la strada.
31.
Arvodo si
mantiene silenzioso. Indica con cenni a Upal di non voler parlare alla presenza
del servitore: anche se in verità gli risulta fedele, tuttavia non occorre che
sia informato sulla meta e sullo scopo del viaggio. Upal informa sottovoce
Arvodo su quanto dovranno viaggiare. Il servitore riceve gli ordini necessari
dal generale ed ora il veicolo va precipitosamente alla sua meta.
32.
Secondo il
nostro calcolo del tempo sono trascorse delle ore. La vettura si ferma in mezzo
ad alte montagne. La via qui passa per una graziosa valle, alla cui fine si
mostrano una pianura e una quantità di case. È una località di nome Resma, la
prima importante stazione sulla strada maestra. Upal e Arvodo scendono;
quest’ultimo dà al suo servitore l’ordine di aspettarlo per un certo tempo a
Resma, e comportarsi esattamente così come il suo padrone gli ha già spiegato
prima della partenza.
33.
Il veicolo
scompare dalla strada. Upal va avanti, curvando a sinistra della strada, nel
vicino bosco, Arvodo lo segue. Upal prende la sua via su sentieri appena
visibili che vanno sotto gli alberi. Egli si guarda attorno per vedere se non
ci siano uomini nelle vicinanze. Poi estrae dalla sua veste un robusto stelo,
ne toglie l’involucro e una chiara luce risplende da questa torcia-manga,
illuminando chiaramente i sentieri e le circostanti zone del bosco. Presto i
due si trovano tra frantumi di rocce e Upal dice:
34.
“Signore, il
velivolo sta nascosto lassù sull’altura. Nessuno può trovarlo; la via però è
molto faticosa. Da qui, lungo questo sentiero roccioso, parte una via verso la
pianura. Voi prendete questa, così più tardi potrò prelevarvi dalla pianura con
il velivolo, in caso diverso dovete salire con me su queste rocce”.
35.
Arvodo dice
brevemente: “Va’ avanti, io non temo alcuna fatica e ti seguo”.
36.
Upal fa cenno
col capo e si dirige ai piedi di una montagna fittamente rivestita di piante,
le cui smembrate pareti rocciose si ergono minacciose nella notte.
37.
Tenendosi
spesso con le mani alle radici degli alberi, attraverso sterpaglia e tra rocce
a forma di torre vanno per il sentiero non battuto verso la cima della
montagna. Upal aiuta il compagno illuminando i punti dove questi può mettere
con sicurezza il piede, e finalmente la vetta è raggiunta. È una roccia brulla
che domina la regione e offre una splendida vista, a sinistra nella valle, a
destra su una modesta montagna, dietro alla quale si congiunge la regione
vulcanica, che è la meta del viaggio degli uomini temerari.
38.
La sommità
della rupe è larga e disunita. Le rocce formano un groviglio, come se una forza
selvaggia le avesse scagliate disordinatamente. “Fatevi da parte”, dice Upal.
“Qui starete al sicuro, io devo aprire la caverna!”. Egli indica un posto
all’aperto davanti ad un enorme mucchio di blocchi rocciosi a forma di torre
messi uno sopra l’altro, e indica al generale il punto d’osservazione più
sicuro, per quello che ha intenzione di fare.
39.
“È qui il
velivolo?”, domanda Arvodo.
40.
“Qui, dietro quel macigno nella caverna che io
ho scoperto!”.
41.
“Come pensi di
toglierlo?”.
42.
“Col Nimah![4]”.
43.
“Tu possiedi
questo?”, chiede stupito Arvodo.
44.
“Sì signore,
tuttavia non nella sua totale potenza”.
45.
“Allora apri la
caverna”.
46.
Upal si dirige
verso le rocce, faticosamente spinge via alcuni grossi blocchi, così che si
formi una breccia; poi s’infila attraverso questa, prendendo con sé la
fiaccola-manga. Per lungo tempo non c’è alcun rumore. All’improvviso si muove
un grande macigno e Arvodo si allontana di alcuni passi dalla restante parete.
Si è creata una grande apertura che, nascosta dal blocco roccioso, costituisce
l’ingresso a un’ampia caverna. Dentro sta Upal davanti ad una strana macchina[5] e
chiama Arvodo con un cenno della mano. Questi si avvicina, prende in mano la
fiaccola manga e osserva con stupore il velivolo fermo. Parti dello stesso sono
smontate. Upal le porta nel posto all’aperto davanti alla caverna e le monta
con rapidità e sicurezza.
47.
Adesso la
macchina si presenta come un solido telaio che sotto racchiude una specie di
gondola che non tocca il suolo. Nella parte superiore una grande ruota a pale
girevoli sta sopra i viaggiatori. Anche ai lati si trovano due ruote a pale, le
cui rotazioni sono misurate precisamente con quelle della ruota di salita; esse
impediscono che la navicella si giri su se stessa quando quest’ultima rotea
vorticosamente. Queste ruote laterali causano l’avanzamento in collegamento con
una terza ruota che si trova dietro. Alla base della navicella ci sono robuste
ed elastiche molle per ammortizzare l’urto nell’atterraggio. L’intera macchina
è fatta di un metallo solido e leggero, tuttavia non si vede il vero e proprio
meccanismo di trazione che deve far girare le ruote a pale. Questo è applicato
nel doppio fondo e nascosto nelle pareti laterali.
48.
Upal ha preso
un vaso dalla caverna e versa della polvere biancastra in un’apertura al lato
della navicella.
49.
“Provvediti con
sufficiente forza motrice!”, osserva Arvodo.
50.
“Non
preoccupatevi signore”, è la risposta. “Quello che ho preso con me è
sufficiente per fare il viaggio di andata e ritorno due volte!”.
51.
Upal mette
nella navicella diversi oggetti, il cui uso è a noi sconosciuto, poi sale
dentro e invita Arvodo a fare la stessa cosa. Entrambi si siedono. Alcune mosse
di Upal, e la ruota a pale superiore comincia a girare attorno al proprio asse,
dapprima lentamente, poi a velocità pazzesca. Si fa sentire un lieve, profondo
suono che continua a poco a poco ad aumentare, prodotto dall’enorme veloce
movimento rotatorio. Upal ha la mano su una manopola che regola la velocità
della rotazione.
52.
Nel momento in
cui il velivolo comincia a muoversi, entrano in azione anche le ruote laterali
nel movimento rotatorio. C’è un breve scossone e il velivolo adesso si alza
leggero e sicuro con i suoi occupanti, salendo nella limpida aria notturna. Il
suono ronzante è uniforme, perciò la velocità è regolata. Upal mette in
movimento la ruota a pala posteriore e ora il velivolo prende velocemente il
suo volo in avanti. Nella parte anteriore della navicella si trova una
sporgenza metallica mobile, somigliante al timone di una nave: è il timone
della macchina. Il velivolo è sollevato mediante la ruota a pale superiore,
mediante le ruote laterali è tenuto stabile e con queste, unitamente alla terza
ruota, sospinto nella direzione desiderata. Tutto avviene a velocità
incredibile, come si può notare dal forte riscontro d’aria spostata. Anche il
timone, sul quale agisce la resistenza dell’aria, consente di governare il
tutto con sicurezza.
53.
Quest’invenzione
è stata possibile realizzarla su Mallona grazie a tre circostanze. In primo
luogo l’atmosfera è più densa e tranquilla, non così sferzata dalle tempeste
come sulla Terra, e per questa ragione anche stabile. In secondo luogo la forza
motrice è la sostanza chimica Nimah, il famigerato esplosivo di Maban. Simile
alla nostra dinamite essa, non mescolata, può esercitare una forza colossale
verso una direzione e, se mischiata con altre sostanze, non è esplosiva, ma
diventa regolabile, così che nel suo effetto appare simile alla più intensa
pressione che si possa pensare di ottenere dal vapore. Questa sostanza è
prodotta nelle fabbriche statali in forma innocua, e venduta. Essa, con il nome
Maha, serve per la propulsione di tutti i veicoli e anche per la forza motrice
del meccanismo nascosto nelle pareti di questa navicella. In terzo luogo, in
Mallona si dispone di una lega metallica di elevata durezza, resistente e
leggera che porta in sé, nella più giusta proporzione, tutte le caratteristiche
dell’acciaio e dell’alluminio, perciò è in grado di resistere alla grande
sollecitazione meccanica che fornisce la potente spinta alle ruote a pala.
54.
È una splendida
vista per Arvodo che, attraverso un rialzamento a forma di cupola, protetto
dalle forti correnti d’aria dai bordi della navicella, per la prima volta
volteggia sopra monti, boschi e abissi di quel superbo mondo fatto di montagne.
Egli è incapace di esprimere qualsiasi parola; Upal è interamente occupato con
la guida del velivolo, così che il discorso che Arvodo intendeva fare durante
il viaggio non avviene.
55.
Gli uomini
temerari si librano ad un’altezza tale che l’occhio degli abitanti viventi
sotto non li può scoprire nel cielo notturno. Presto essi stessi non vedono
neanche più i luoghi abitati sotto di loro. All’orizzonte il cielo si arrossa
leggermente, la regione dei crateri si avvicina: la meta del viaggio. Upal sale
più in alto. È necessario togliersi da qualsiasi portata dei vapori velenosi
che da lì salgono: essi potrebbero uccidere qualsiasi essere respirante. Con
tesa attenzione Upal fa planare lì il velivolo con volo moderato. Sotto si
mostrano le insondabili profondità di vulcani spenti, montagne di scorie
indurite, masse di lava pietrificata. Quella zona, nella quale lavorano gli
schiavi del re, è sorvolata intorno in ampio arco per precauzione, nel caso di
occhi troppo pieni di attenzione. Adesso quest’arco deve essere esteso fino ad
un semicerchio per trovare il cratere che conduce nelle caverne di Wirdu.
56.
Dopo breve
tempo Upal arresta completamente il movimento dell’elica posteriore. Fa
rientrare il timone anteriore, così che esso si pone a lato della navicella.
Ora regola anche le ruote laterali e il velivolo si libra immobile sopra una
terribile conca, la cui profondità si spalanca come un nero abisso. Upal
sussurra sommesso: “Siamo sul posto, lì c’è l’ingresso!”.
57.
Arvodo guarda
giù rabbrividendo. Il suo valoroso cuore, quando vede l’abisso sotto di sé,
batte più in fretta. Comprime saldamente le labbra, e taglia corto: “Giù! Il
Padre universale ci protegga”. Il ronzante suono della ruota a pale diviene più
profondo quando Upal gira con prudenza la manopola regolante, e il velivolo si
abbassa lentamente in verticale sull’apertura del cratere. L’orribile abisso
sembra un mostro affamato che si precipita con le fauci aperte sulla sua preda,
le rocce strappate vengono fuori sempre più distintamente. Ai lati della
navicella si sprigionano vampe come in pieno giorno. Upal ha tolto i foderi
alle fiaccole manga fissate sul velivolo e, uguale ad una meteora, il velivolo
s’inabissa nelle insondabili profondità del cratere.
[indice]
1.
Quale imponente vista mai
veduta di forze ormai solidificate di un’opera passata si presenta ora! Arvodo
è sopraffatto dalla maestosità della natura creatrice che gli si rivela.
Blocchi di lava violentemente smembrati, neri, bruciati, anneriti e bagnati
dalla rugiada cadente, lo circondano minacciosi. La luce dello splendente manga
cade scintillante sulle fantastiche formazioni di rocce laviche. Spesso queste
appaiono come spaventosi, terrificanti mostri che si ergono dagli abissi. Poi
come fantasmi di giganti circondano il velivolo che si abbassa lentamente e,
ingannando senso e occhio, cambiano spesso le loro forme e si librano verso
l’alto, dove scompaiono.
2.
Tuttavia questo
spettacolo non esercita nessun effetto su Upal. Egli già conosce gli
inoffensivi spaventi di questi dintorni, certamente non s’inabissa per la prima
volta in questa terribile conca. Con mano sicura egli guida il velivolo e
regola la rotazione della ruota di volo il cui ronzante suono riecheggia cupo e
spaventoso nelle volte delle rocce. Il cratere si allarga verso il basso,
prendendo una direzione un po’ di lato. Perciò Upal fa girare lentamente pure
la guidante elica posteriore, per evitare le rocce che, sotto, sembrano
impedirgli l’accesso.
3.
Il velivolo
s’inabissa sempre di più. Upal regola la ruota di volo in modo che la macchina
volteggi irremovibile e liberamente pacata. Egli indica verso sinistra e getta
la piena luce della fiaccola manga sulle rocce. Arvodo vede un’ampia caverna.
“Signore”, spiega Upal. “Qui è il punto sul quale mi arrampicai per trovare la
prima caverna dei tesori. Là un giorno io stavo al bordo dell’abisso sul quale
noi volteggiamo e vidi l’accesso al cratere solo come un debole spiraglio di
luce sopra di me. Se fosse giorno, allora vedreste da qui brillare la luce del Sole.
Solo più tardi mi divenne chiaro che doveva essere possibile arrivare in questo
luogo dall’alto, come l’ho mostrato adesso. Tuttavia senza velivolo è
impossibile. Ora fate attenzione, signore, si apre la prima stanza del tesoro
di Usglom”.
4.
Ansiosamente
Arvodo guarda sulla parete rocciosa mentre il velivolo si abbassa di nuovo. Si
apre una fenditura, si allarga fino a diventare spelonca, e la piena luce della
fiaccola manga cade su quel posto che Upal ha già descritto a suo padre.
5.
Arvodo emette
una forte esclamazione di stupore. Sì, qui giacciono ammucchiati i tesori tanto
cercati e aspettano solo che la mano li raccolga senza fatica. “Areval, tu
sarai vinto!”, sussurra Arvodo a bassa voce. “Vorrei entrare in questa caverna:
Upal, vi puoi condurre la navicella?”.
6.
“Signore,
rinunciatevi, più in basso giacciono ancora altri tesori, non meno ricchi di
questi, ma comodamente da raggiungere. Questi qui non si possono prendere.
Sarebbe pericoloso portare il velivolo troppo vicino alle rocce”.
7.
“Bene, ti
seguo, mostrami questi luoghi!”.
8.
Di nuovo il
velivolo si abbassa, un leggero mormorio d’acqua risuona dall’abisso. Arvodo,
alza attento la testa e rivolge uno sguardo interrogativo a Upal. Questi
spiega: “È il mare che rumoreggia sotto e s’infiltra scrosciante per il periodo
dell’alta marea. Adesso affluisce solo ancora per poco tempo al grande bacino
nell’interno, dal quale una volta Usglom l’ha respinto”.
9.
Ora le fiaccole
manga illuminano un terreno solido verso il quale il velivolo si dirige. Un
leggero urto, ed esso si posa sicuro sul fondo del cratere che, come un
gigantesco vestibolo s’inarca sopra i temerari. Il loro sguardo si perde
tutt’intorno nella più profonda oscurità. La luce delle fiaccole non è in grado
di raggiungere le confinanti pareti rocciose. Upal arresta del tutto il
movimento della ruota di volo. Solo un sordo fragore d’acqua, che riecheggia in
molti echi sulle arcate di quest’immensa volta naturale, turba la quiete in
questa tomba di ogni vita. Arvodo rabbrividisce istintivamente quando Upal lo
incoraggia a lasciare la navicella e seguirlo. È pur sempre questo veicolo
l’unico mezzo per sfuggire alla morte qui in agguato. Preoccupato egli ascolta
il fragoroso suono dell’acqua.
10.
“Il velivolo è
al sicuro qui?”, egli domanda.
11.
“Assolutamente
al sicuro! In profondità e lontano da qui, l’acqua affluisce ad un bacino
sotterraneo che l’alta marea riempie continuamente. Qui noi siamo quasi così in
basso come la sponda marina, ma sempre ancora più in alto di quanto una grande
alta marea possa raggiungere questo luogo. Fidatevi di me, signore; se non
avessi misurato e calcolato tutto, come avrei osato allora mostrarvi il regno
di Usglom!”.
12.
Arvodo fa cenno
col capo, prende una delle fiaccole manga e ordina a Upal di mostrargli la via
successiva. Upal ubbidisce e prosegue sul terreno pianeggiante. Si vede che
l’acqua, un tempo, l’ha lavato e spianato. Una gigantesca battaglia degli
elementi di fuoco e acqua deve essere avvenuta qui molto tempo fa, a discapito
di Plutone; dappertutto ci sono le tracce.
13.
Upal indica più
volte i segni incisi nella roccia che lui stesso ha scolpito come segno di
riconoscimento della via. Essi conducono verso una parete laterale del vulcano
solidificato che adesso appare nel getto della luce. Upal cammina veloce sulla
sabbia granulosa che un tempo le onde del mare ha gettato dentro, esamina
attentamente gli enormi crepacci della roccia e si ferma davanti ad una crepa
più stretta. In questa egli entra con Arvodo.
14.
Dopo pochi
passi il crepaccio si allarga fino a diventare una caverna splendente, come gli
uomini ne hanno già visto una in alto. Qui sono stati prodotti infiniti tesori.
Ovunque cristalli scintillanti, nei quali si rifrange la luce delle fiaccole
manga; il bianco Rod anche qui fa capolino dalla roccia accanto alla preziosa
pietra-aurea.
15.
Arvodo è
sopraffatto, non crede ai suoi occhi. Tocca le pietre preziose, ne stacca
alcune con l’impugnatura della sua spada e mostra un’emozione che, come uomo
dotato di forte volontà, mai ha ancora provato. Finalmente trova parole di
gratitudine per Upal. Fissandolo profondamente negli occhi dice: “Tu sei il più
fedele dei fedeli presto verificherai come saprò ringraziarti coi fatti!”.
16.
Upal si china
profondamente dinanzi a lui e in tono di vera sottomissione sussurra: “Signore,
vendicate mia sorella in Areval. Questi tesori non sono nulla per me, la
vendetta per me è tutto!”. Arvodo fa cenno col capo in silenzio, egli comprende
Upal. Poi domanda:
17.
“Ne conosci
ancora altre di tali caverne?”.
18.
“Ricche come questa,
no! Se ne trovano però ancora molte di più piccole. È possibile che ce ne siano
ancora altre a me sconosciute. Non ho esplorato tutti i passaggi qui sotto”.
19.
“Mostrami anche
le altre che tu conosci!”.
20.
Upal,
attraverso la crepa, va di nuovo sulla via precedente. Lungo la parete rocciosa
si aprono spesso delle caverne più piccole nelle quali egli fa luce. Ovunque
spunta la pietra-bianca oppure si mostrano preziosi cristalli nelle pietre: una
camera del tesoro che cela in sé incommensurabili valori. Camminando lungo le
rocce, adesso devono deviare in curva quasi ad angolo retto; gli audaci intrusi
sono giunti alla rotonda interna dell’ex cratere.
21.
“Signore, più
lontano io non sono mai andato, torniamo indietro”, esorta Upal.
22.
Arvodo, la cui
intraprendenza è ora fortemente aumentata, dice: “Abbiamo tempo, andiamo
avanti. Forse scopriremo ancora di più: un’occasione così favorevole deve
essere sfruttata. La via per il ritorno non possiamo perderla!”.
23.
“Come voi
comandate, signore!”.
24.
I due uomini
proseguono con prudenza. Il terreno non è più così piano, lo coprono pietre e
detriti. Un silenzio mortale li circonda, il mugghiare dell’acqua è cessato
totalmente. Il mare non spinge le sue onde nel bacino nella fase di bassa marea
che subentra a quest’ora. Al lato delle rocce si apre un nuovo passaggio, la
cui fine è a perdita d’occhio. Arvodo alza la lampada, vi entra e vede che è
praticabile. Il suolo è coperto di sabbia bianca frammista a conchiglie.
25.
“Attraverso
questo passaggio un tempo fluttuava il mare e doveva condurre fuori, fino allo
stesso mare!”.
26.
Upal si guarda
intorno stupito: “Signore, avete ragione, ci sono conchiglie. Qui lateralmente
la via va in profondità. Lì un giorno i flutti del mare presero il loro corso,
essi vennero da questo passaggio!”.
27.
Arvodo,
meditabondo, guarda la caverna: “Upal, dobbiamo sapere dove conduce questa via.
Se da qui si può raggiungere il mare, allora sarà facile per noi portare in
salvo i tesori segretamente. Ci dobbiamo però anche assicurare di non essere
scoperti. La non conoscenza di un accesso all’interno ci potrebbe rovinare”. –
Upal approva quest’opinione ed entrambi si voltano decisi verso la caverna
sconosciuta.
28.
Entrano in un
vasto spazio a forma di galleria. Alle sue pareti si riconoscono chiaramente
gli effetti dell’acqua che, un tempo, con grande forza penetrante le ha
levigate. È facile camminare sulla soffice sabbia marina. I due uomini
procedono a lungo in avanti. Il tortuoso passaggio, che talvolta si allarga
molto, non mostra nessuna fine, i blocchi di roccia non lo sbarrano e la sua
origine per loro è un mistero.
29.
Finalmente il
passaggio si allarga fino a diventare una grande caverna, la via cessa
all’improvviso e un caos di blocchi rocciosi compare dinanzi a loro. Su questi
devono arrampicarsi per passare, se vogliono raggiungere il fondo che adesso si
estende davanti a loro. Per un momento esitano se proseguire o tornare
indietro. Entrambi, tuttavia, sanno che il desiderio di conquistar chiarezza li
dovrà assolutamente condurre oltre. La discesa non è senza pericoli, ma è
compiuta, poiché notevole è l’altezza dalla quale essi scendono.
30.
Adesso si
trovano sul fondo di un bacino di lago sotterraneo ormai asciutto. Fantastiche
alte formazioni rocciose non permettono di scoprire dove dirigersi per trovare
l’antico punto d’accesso dell’acqua. Profonda sabbia copre il suolo dal quale
si levano alti blocchi di roccia. Immense conchiglie, un tempo dimore degli
abitanti del mare, si trovano incastrate tra gli scogli, e un gran numero di
più piccole giacciono sparse dappertutto. Mentre proseguono trovano scheletri
di grandi animali acquatici che un tempo abitavano il lago. Millenni devono
essere passati, quando essi animavano i flutti.
31.
Meravigliati
gli uomini si guardano intorno, perplessi su dove dirigersi: davvero il caos
delle rocce impedisce la visione d’insieme. All’improvviso un suono leggero e
lamentoso vibra nel mortale silenzio di questo luogo, poi ancora un altro. I
suoni si susseguono uno all’altro in una melodia che, apparentemente, giunge da
grande distanza. Istintivamente Arvodo ha messo mano alla spada, Upal tiene la
fiaccola raggiante abbassata a terra e, a testa protesa, i due uomini ascoltano
attentamente i sommessi suoni.
32.
Upal dapprima
trova parole di stupore: “Canta Munga, la figlia di Usglom, per metterci in
guardia!”.
33.
Arvodo risponde
sinistro: “Non sono né Munga, né Usglom, li disprezzo entrambi. È un uomo che
canta il lamento funebre della casa reale. Dobbiamo sapere chi è. Abbassa la
fiaccola, così che illumini solo la via, e ora, verso la risonanza della
voce!”.
34.
Non è facile
trovare la direzione. In queste cupole di roccia gli echi ingannano. Arvodo
tuttavia ha un orecchio fine e trova la giusta via, nonostante tutti gli
ostacoli. Dietro le rocce, che essi devono aggirare, risuona la voce lamentosa
più forte e più piena, un segno che si stanno avvicinando.
35.
Ora sono presso
la ripida sponda dall’altra parte del bacino dell’ex lago; chiaro risuona il
canto giù dall’altura. Camminando carponi con precauzione sui blocchi di
roccia, gli uomini si arrampicano. S’ingannano? Là splende della luce!
Velocemente essi coprono le fiaccole manga con gli involucri di protezione;
un’oscurità impenetrabile li circonda. Presto l’occhio vi si abitua e si vede
splendere su di loro un chiaro bagliore di luce.
36.
Prudenti come
gatti, gli uomini continuano ad avanzare piano piano. Arvodo porta la spada
sotto il braccio, pronta all’uso. Ora sentono chiaramente il canto di due voci.
Comprendono le parole: è il lamento per un morto, cantato solo per i membri
della casa reale, e suoi ultimi versi vanno smorzandosi. Essi dicono:
“Amata
in vita, la morte non ci può separare,
la
tua anima, infatti, vive grazie alle sue azioni
che
splendono tutte piene di gloria e meravigliose.
Va’
dal Padre di tutto il vivente;
l’amore
ti custodisca e un giorno ci riunirà!”.
37.
Durante questo
canto i due uomini si sono arrampicati fino al margine e intravedono un
toccante gruppo di persone.
38.
In una grotta
rocciosa giace, elevato, il cadavere disteso di una donna meravigliosamente
bella vestita con una veste celeste. La grotta è piena di cangianti cristalli,
come quelli già visti da Arvodo. All’ingresso sono appese lampade accese che
gettano una chiara luce sullo spazio circostante. Al capo del cadavere sta la
figura venerante dell’eremita del mare; ai piedi il giovane uomo che egli ha
chiamato Muraval. Entrambi avevano fatto risuonare il canto funebre, le cui
note avevano guidato Arvodo e Upal.
39.
Quando Upal
vede il gruppo che, lontano solo circa venti passi, si offre allo sguardo
meravigliato, il suo volto s’irrigidisce in un indicibile spavento. Arvodo lo
nota e sussurra all’immobile compagno: “Tu conosci questi uomini?”. Allora un
grido acuto risuona dalla sua bocca. Prima che Arvodo lo possa impedire, Upal
salta su e, con l’esclamazione di: “Fedijah, sorella!”, si precipita sul
cadavere stupendo.
40.
Egli vuole
abbracciarla, ma la sua mano tocca una fredda pietra. Il cadavere della donna,
che un giorno era attraversato di calda vita, ora è irrigidito nel marmo,
pietrificato dai vapori mummificanti di questa caverna. Confuso, guarda in alto
al volto del venerabile vegliardo, il cui sguardo si posa penetrante
sull’intruso, e con una forte esclamazione: “Muhareb, mio re!”, cade privo di
coscienza tra le braccia del giovane Muraval che gli è accorso accanto.
41.
Quando Arvodo
vede che non può trattenere il compagno, si porta anche lui al bordo della
sponda. Egli ode le esclamazioni di Upal e guarda stupito la nobile figura del
vegliardo.
42.
Costui è dunque
il legittimo re scomparso e a lungo cercato, il fratello di Areval? Egli non
riesce a comprenderlo. Confuso il suo occhio vaga intorno sul singolare
ambiente, la bella salma pietrificata, l’imponente vegliardo, lo svenuto Upal.
Egli è confuso e non riesce a prendere nessuna ferma decisione.
43.
Quieta risuona
all’improvviso la voce del vegliardo al suo orecchio. Pienamente convincente
egli ordina di seguirlo. Il vegliardo ha preso la fiaccola manga caduta di mano
a Upal. Un appiglio, e tutte le lampade nella grotta che nasconde il cadavere,
si spengono. Poi fa un cenno al giovane. Entrambi afferrano Upal ancora privo
di sensi, lo alzano e vanno veloci verso una buia caverna, il proseguimento di
quel passaggio che Arvodo e Upal avevano tentato di trovare.
44.
Il silenzioso
corteo va a passo veloce attraverso una galleria. All’improvviso splende in
lontananza una debole luce. Ancora un breve tratto e soffia loro incontro aria
fresca, addolcita dal vapore del mare. Il passaggio che prosegue verso il basso
ora si allarga velocemente. La caverna si trasforma in una stretta gola, nella
quale dall’alto guardano giù le stelle raggianti. Davanti a loro si estende il
mare, il cui orizzonte è bordato di rosso splendente, il primo saluto mattutino
del nuovo giorno nascente.
[indice]
1.
Il corteo si è allontanato
dal mare, va su al terrazzo che noi già conosciamo. L’occhio di Arvodo guarda
meravigliato la grandiosità fiorente tutt’intorno. È il paradiso nascosto che
circonda la residenza dei due eremiti presso il mare. Con Upal ancora senza
sensi sono giunti nel loro rifugio e lo mettono giù su un giaciglio di muschio.
Il vegliardo pone le sue mani sul capo dello svenuto e lievemente le sue labbra
si muovono in silenziosa preghiera. Poi si avvicina ad Arvodo, gli fa un cenno
ed entrambi si mettono in disparte per non disturbare il sonno di Upal,
prostrato dalla potenza degli avvenimenti. Alla fine Arvodo trova le parole, e
tra i due si sviluppa il seguente dialogo:
2.
“Il mio
compagno ti ha chiamato col nome dello scomparso figlio del re Muhareb. Sei tu
il legittimo re di Mallona?”.
3.
“Io sono
Muhareb, figlio di Maban. Sono il legittimo re, ma ora troneggia Areval, nella
sua capitale!”.
4.
In urgente, emozionato
tono, e con gesti imploranti, Arvodo si avvicina:
5.
“Signore, dammi
una prova, affinché io non possa dubitare, per me tutto dipende da questo!”.
6.
“La prova non
ti servirà a nulla, Arvodo. Io ti conosco, conosco i tuoi piani, poiché a me è
concesso dal Padre universale di leggere nei cuori degli uomini, di riconoscere
il loro volere, se è buono o cattivo. Voglio tuttavia fornirti la prova che tu
pretendi! Con ciò adempio certo l’ordine di Colui al Quale soltanto io servo
ancora”.
7.
Il vegliardo si
allontana e torna presto indietro con quel cofanetto che ho già visto prima e
che contiene il tesoro.
8.
“Arvodo, un
giorno Maban fece produrre tre anelli, come segno del potere assoluto della sua
casa, e li fece tagliare da una e la stessa pietra-aurea. La pietra mostra, su
fondo bianco, l’immagine di Furo, l’eroico capostipite della nostra stirpe,
coperta con l’elmo della potenza e della forza che egli un giorno, in una dura
lotta, dovrebbe aver strappato al demone Usglom stesso. Tu sai che da allora
Usglom odia la nostra stirpe ed è intenzionato a rovinarla. Ad Areval e a me
Maban diede a ciascuno un anello; egli stesso portava sempre il terzo. Dopo la
morte di Maban, Areval possedeva il suo anello, esso splende adesso alla tua
mano come segno del suo favore rivolto a te. Egli ha messo una parte del suo
potere nella tua mano. Qui c’è il terzo, identico anello”. Il vegliardo apre il
cofanetto e mostra ad Arvodo l’anello che vi giace.
9.
Il generale
osserva con stupore il gioiello. Vede anche il diadema regale che giace sul
fondo del cofanetto, fregiato con uno scintillante diamante d’incalcolabile
valore. Egli non dubita più! Solo Areval, infatti, in particolari occasioni,
porta un anello uguale in segno della sua dignità regale. Guarda il proprio
anello al dito, s’inginocchia davanti a Muhareb e dice:
10.
“Mio signore e
mio re, restituisco questo segno del mio potere alla mano cui appartiene.
L’ordine di mio padre morente è adempiuto. Egli sapeva che il mio sovrano
viveva e mi ordinò di fare ogni sforzo per riportarti il potere cui
rinunciasti. Tu solo puoi essere il salvatore del popolo degenerato. Io ho
giurato di cercarti, ed ecco, ho avuto la fortuna di trovarti. Oh, vieni dal
tuo popolo, rinuncia a questa solitudine nella quale sei vissuto finora! Tutti
i cuori accorreranno giubilanti a te, al legittimo re di Mallona!”.
11.
Tranquillo e
immobile l’alto vegliardo guarda l’uomo inginocchiato. Egli non prende
l’anello, lo solleva da terra e dolcemente dice:
12.
“Signore e re
di Mallona non sono io, né Areval. Nessuno di voi Lo conosce più. Io però L’ho
riconosciuto e adempirò la Sua volontà. Vedo che il tuo cuore è colmo di
fervore, però prende vie sbagliate. Io non posso più salvare il popolo. Un
animale che vuol vivere nel fango ritorna sempre là, dove si trova bene. I
popoli di Mallona sono diventati un tale animale, e similmente i grandi del
popolo, bestie feroci. Se non si distolgono dal loro operare, allora non sarà
possibile nessun aiuto, dovranno portare le conseguenze della loro colpa”.
13.
“Si
distoglieranno, signore, se tu dai loro l’esempio! Il tuo ricordo non è spento
in loro, Ancora si elogia il principe Muhareb come l’incarnazione della virtù.
Ritorna come nostro re!”.
14.
“Così inizierà
un bagno di sangue come ancora non ce n’è stato. Passato il primo entusiasmo,
il moralista raccoglierà odio, dove vuol seminare amore. L’animale vuole avere
il suo pantano. Cerca di tirarlo fuori dopo che ha disimparato a desiderare
delle più pure dimore, ed esso ti divorerà. Non cercherò mai di strappare con
violenza dalle mani di Areval ciò che lui ha ricevuto dalla volontà del Padre
universale. Ogni dominatore è tale come lo richiede il suo popolo. Il popolo e
i grandi fanno di lui solo ciò che egli è.
15.
Areval però è
diventato un mostro da se stesso. Egli opprime il popolo e dilapida assieme
alle sue canaglie quello che ha estorto a questo. Ciò che Maban ha costruito,
egli l’ha da molto tempo distrutto. Come il primo fu un campione del bene, così
quest’ultimo è un campione del male. Perché dunque i popoli di Mallona,
attraverso l’esercizio del bene che Maban insegnava, non trovarono la forza di
opporsi alle tentazioni del male attraverso Areval? Perché non erano buoni,
perché Maban s’illudeva e credette che la sua virtù imposta avesse anche la
forza di una trasformazione delle cattive caratteristiche che nei nostri popoli
provengono già dai padri. In Maban era stato creato l’ultimo baluardo contro la
rovina che un giorno avrebbe fatto sicuramente irruzione. Egli fu un ultimo
segnavia, per mostrare ai suoi popoli quali vie essi dovessero percorrere per
sollevarsi dal fango dell’avidità di piaceri e di cupidigia. A me doveva essere
riservato di continuare la sua opera se i popoli volevano ricordarsi della loro
dignità, dignità che avrebbero dovuto preservare quali creature dell’eterno
Padre universale.
16.
Essi tuttavia
non l’hanno fatto, si sono soltanto piegati alla violenza. Il dominatore non ha
nessun potere sulla mentalità servile di un popolo che spesso si cela dietro il
desiderio di legge e diritto. Per conservare l’ordine pubblico non c’è bisogno
di nessuna violenza, non appena la consapevolezza del giusto è vivente in ogni
singolo. Ma se questa manca, solo allora comincia il potere e la durezza della
legge secondo la volontà di un potente, il quale spesso necessita egli stesso
maggiormente della legge.
17.
Arvodo, io, in
spirito, vidi arrivare quest’ora. Sapevo che essa mi avrebbe indotto alla
decisione di ritornare ancora una volta nello splendore esteriore. So anche
che, a costo di diventare un tiranno più duro di quanto lo è Areval, io
piegherei questo mondo con la forza. La via però passa poi su cadaveri e
sangue. Il mezzo è distruzione, annientamento delle anime, le quali se ne vanno
in collera, sete di vendetta e cupidigia, perdendo il successivo sviluppo nella
Casa del Padre universale. Vedo anche le ulteriori, inevitabili conseguenze. Io
so che non può essere evitato l’annientamento dei corpi, il come me lo svela
ancora la mano del Padre universale. Io però ho scelto, e non lascio più questo
luogo, nel quale ho ottenuto la luce dell’anima; ho sentito il soffio
dell’eterno Spirito e riconosciuto le vere destinazioni dell’essere umano. Non
posso essere il salvatore da te sperato, ed esigo che tu taccia di me! E ora
ritorna dai tuoi servitori!”.
18.
“Esigi anche
che io rinunci ai progetti che coltivo in me?”.
19.
“L’adempimento
di tutti i progetti, come li hai preparati tu, non sta nelle mie mani, né nelle
tue: esso è guidato secondo le sublimi intenzioni dell’Eterno! Tutti i progetti
non potranno mai contrastare lo scopo ultimo cui tende l’umanità, possono solo
ritardare il suo raggiungimento. Agisci secondo ciò che riconosci, io non ti
ostacolerò”.
20.
“E se ora
questi progetti m’impedissero di tacere che Muhareb, il vero re di Mallona,
vive?”.
21.
“Allora non te
lo posso impedire, dopo che una buona volta hai trovato questa verità. Non devi
credere però che Muhareb possa essere visto, se non è volontà del Padre
universale. È stata la Sua volontà che voi mi trovaste. Il vostro velivolo che
vi ha portato nelle profondità della caverna di Wirdu, poteva essere sfracellato,
avrei potuto rovinarvi, ma entrambe le cose non sono accadute. Io agisco
secondo la volontà di Colui che mi prescrive nel cuore ciò che devo fare.
Andate entrambi in pace, vi condurremo indietro. Giungerete sicuri di nuovo tra
i vostri. Il nostro modo di agire non è lo stesso!”.
22.
Muhareb ha
parlato con tale forza di convinzione che ad Arvodo è impossibile rispondere
qualcosa. Cupo egli guarda in basso dinanzi a sé, poi, indicando la striscia
del mare all’orizzonte che diventa sempre più chiara dice:
23.
“Si avvicina il
tempo in cui devo ritornare. Ci ostacolerai?”.
24.
“No! Hai
sentito, ti accompagneremo. Aspetta qui, vedrò come si sente il tuo
accompagnatore!”.
25.
Senza attendere
risposta, Muhareb si allontana e va al giaciglio di Upal. Lo trova sveglio e in
appassionato colloquio col giovane. Quando vede Muhareb che si avvicina, salta
su e corre dal vegliardo. Muhareb accoglie l’uomo profondamente scosso tra le
sue braccia e gli sussurra parole tranquillizzanti.
26.
“Upal, adesso
non è il momento di rispondere a tutte le tue domande, ma avrai la risposta a
ciò che ti è necessario sapere. Porta indietro il compagno, il tempo stringe.
Quando avrai adempiuto quest’incarico, allora riconduci il tuo velivolo subito
qui da me. Vedi là, l’alto spuntone roccioso che si erge maestoso lontano nel
mare? Lo vedrai anche dall’alto del cratere nel quale ti sei calato. Tieni la
direzione su questo, così non sbaglierai per arrivare alla nostra baia segreta.
Ti aspetto. Lascia tornare a casa Arvodo da solo. Sii riservato nei suoi riguardi,
affinché un giorno tu non abbia nulla di cui pentirti!”.
27.
Upal guarda
sorpreso Muhareb e domanda: “Il generale è nelle nostre vicinanze?”.
28.
“Lo è e ti
aspetta! Ti senti di nuovo in forze?”.
29.
“Lo sono! Oh,
quante domande si accalcano sulla mia lingua; tuttavia le reprimo e ubbidisco
al tuo ordine!”.
30.
Muhareb si
allontana con un cenno ad Upal e al giovane. Entrambi lo seguono. I tre si
recano da Arvodo che è in attesa. Questi è là dove Muhareb lo ha lasciato, e
guarda fisso al mare aperto. Quando ode il rumore dei passi, si volta, fissa
intensamente Muhareb negli occhi e gli si avvicina. Upal e il giovane restano
istintivamente indietro, poiché intuiscono che il generale desidera parlare con
Muhareb da solo. Arvodo dice bisbigliando:
31.
“La tua decisione
di rinunciare al trono è per sempre, Muhareb?”.
32.
“Lo è!”.
33.
“Il lascito di
Maban a mio padre, che è stato il suo vassallo più fedele, consisteva
nell’incarico di cercarti e portarti indietro. Il re sapeva che suo figlio era
vivo e non poteva credere che si fosse completamente allontanato da lui. Questo
lascito dopo la morte di mio padre è passato a me: deve esso per sempre andare
a vergogna?”.
34.
“Ti ho già dato
la mia risposta, essa rimane confermata!”.
35.
“Così mi
sciogli dal giuramento che io feci al padre morente?”.
36.
“Senza forza è
la tua promessa, promessa che non sapevi se avresti mai potuto adempiere.
Libero, e senza obbligo stai tu di fronte a me!”.
37.
Arvodo guarda
Muhareb con stupore; di malumore esclama:
38.
“Il tuo rifiuto
uccide in me i migliori moti del cuore. In te non vive lo spirito di tuo padre.
Essere e voler restare un uomo delle caverne, quando un trono attende, io non
lo comprendo!”.
39.
“Poiché non
puoi comprendere la mia decisione, allora è meglio che ci separiamo in fretta.
Agisci secondo la tua conoscenza, io seguo la mia. Le nostre strade non sono le
stesse”.
40.
Muhareb si
volta un attimo e fa cenno ai due che sono rimasti indietro. Un gesto del
vegliardo indica la via verso la sponda del mare, e Arvodo si accinge a
percorrerla. Muhareb precede. Upal e il giovane, che portano entrambi delle
fiaccole manga, seguono. Percorrono una gola diversa dalla prima, dalla quale
uscirono dall’interno del monte, e presto si trovano tra rocce restringenti. Li
accoglie una via di caverne simile alla prima e procedono a lungo in linea
tortuosa profondamente nell’interno. Sembra che questa via sia praticabile solo
per il tempo della bassa marea, la sabbia sotto i piedi, infatti, è umida, e
gocciolanti sono anche le rocce restringenti. All’improvviso Muhareb gira a destra
e sale in alto tra le rocce. Adesso un’ampia galleria conduce all’insù. Questa
si allarga ed essi entrano in un ampio vestibolo roccioso.
41.
Subito Upal
riconosce il luogo. Sono giunti nuovamente là, dove avevano scoperto il
passaggio per il bacino del lago prosciugato. Muhareb ha ricondotto i suoi
accompagnatori per una via più veloce verso il fondo del cratere, vicino al
luogo in cui avevano lasciato il velivolo. Una buia notte li circonda, tale che
la luce delle fiaccole manga non scaccia. Adesso in lontananza la luce si
rispecchia su barre e superfici metalliche, ecco che risplende la forma del
velivolo che spunta dall’oscurità.
42.
Arvodo,
rabbuiandosi, guarda il velivolo. Egli lo rivede con sentimenti diversi di
quando lo ha lasciato. Il desiderio ardente di sfuggire rapidamente a queste
terribili tombe sotterranee, si fa sentire in lui con prepotenza. Muhareb
guarda penetrante il generale. Arvodo evita il suo sguardo. Certamente
dall’ultimo ostinato rifiuto sono sorti in lui pensieri che, sebbene ancora non
chiari, hanno provocato un dissidio tra loro.
43.
“Le nostre vie
non sono le stesse!”, risuona in lui. Bene, allora che si dividano presto, e
ognuno vada per la sua strada.
44.
Upal è entrato
nella macchina e ha ordinato tutto. Accende tutte le fiaccole manga che
circondano la navicella, fa girare la ruota di volo spingente verso l’alto e
annuncia al generale che è già pronto per la partenza.
45.
Muhareb, al
quale i pensieri di Arvodo sono divenuti chiari, dice: “Il Padre universale che
vi ha condotto qui, protegga il vostro ritorno!”.
46.
Arvodo sale a
bordo della navicella. Ancora una volta ribolle in lui, quando guarda negli
occhi il vegliardo.
47.
“Ti rivedrò?”,
domanda.
48.
“Decide la
Volontà del Padre universale, non noi. Fa’ la Sua Volontà. Non farti abbagliare
dai tesori di Usglom, allora salverai te stesso, e noi ci rivedremo”.
49.
Lo sguardo di
Arvodo mostra sdegno. Con poche parole dà ad Upal l’ordine per la risalita. La
ruota di volo gira più in fretta. La macchina si solleva e volteggia in alto
verso l’uscita del cratere, guidata con sicurezza dalla mano esperta di Upal.
50.
Il viaggio
riesce senza incidenti. L’apertura del cratere è superata. Il crepuscolo si
estende sopra il paese. Upal fa salire il velivolo alto nell’aria, per giungere
senza essere visto al luogo disabitato dal quale erano saliti. Una scoperta
dello stesso sarebbe ora più facile che nelle tenebre notturne. Veloce il
velivolo sguscia con loro nell’aria.
51.
Upal adesso
dice ad Arvodo, immerso in profondi pensieri, quanto segue:
52.
“Signore, se è
vostro desiderio, guiderò il velivolo ai piedi del monte, sulla cui vetta lo
nascondo sempre. Con ciò vi risparmierete la discesa e arriverete in fretta nel
luogo dove vi aspetta il vostro servitore con la vettura. Abbiamo sprecato
molto tempo nelle caverne di Wirdu, recuperarlo forse vi sarà utile!”.
53.
Arvodo fa cenno
col capo, gli è palesemente gradito perdere il compagno. Egli dice: “Fa’ così.
Ti aspetto il più presto possibile nel mio palazzo. Taci con chiunque, ricorda
il tuo giuramento”.
54.
Upal alza il
braccio destro e mette la mano sul suo capo: un segno che i fedeli fanno per
esprimere la loro incondizionata accettazione. Con la massima attenzione ora
guida il volo della macchina. Presto hanno sorvolato la regione dei crateri e
si avvicinano a zone più abitate. Adesso sotto di loro si estendono ampi
boschi; il velivolo si abbassa rapidamente e volteggia presto a bassa quota
sopra le cime degli alberi. Ora si mostra la ripida cima ascendente della
montagna sulla quale Upal nasconde il suo velivolo. Ai piedi di questo monte si
estende la pianura cui egli è diretto. Lentamente il velivolo si abbassa. Un
leggero urto, ed esso si ferma sulla valle prativa, attraverso la quale uno
stretto sentiero si perde nel vicino bosco ai piedi del monte.
55.
“Signore”, dice
Upal, “questo sentiero vi condurrà con sicurezza al luogo in cui vi aspetta il
conducente!”.
56.
Arvodo scende
dalla navicella, porge la mano ad Upal e dice: “Prepara tutto, affinché in
viaggi futuri nulla ti manchi. Non so ancora per che cosa mi deciderò. Voglio
però che tu sia pronto in ogni momento ad intraprendere ulteriori viaggi.
Provvedi il tuo deposito lassù con tutto quello di cui hai bisogno”.
57.
“Signore, per
questo mi occorrerà qualche tempo per essere preparato in ogni cosa”.
58.
“Allora non
indugiare e torna da me solo quando hai compiuto tutto bene”.
59.
Upal ripete il
segno dell’accettazione. Quando Arvodo si volta e si dirige veloce verso il
bosco, nel quale presto scompare, la macchina si leva di nuovo nell’aria e
volteggia, come previsto, verso il luogo di salvataggio.
[indice]
1.
Arvodo ha raggiunto
velocemente il luogo in cui il suo conducente lo aspettava, e ritorna presto
alla città del re. Appoggiato dietro, nell’angolo del suo veicolo, è immerso in
profondi pensieri. La sua anima lotta per una decisione che ormai è obbligato a
prendere. Gli avvenimenti degli ultimi giorni passano davanti al suo occhio
spirituale e, involontariamente, conduce un monologo a bassa voce:
2.
“La meta che mi
prefiggevo in Muhareb è perduta. Mai più questo cavernicolo oserà un’azione
coraggiosa. In lui è sprofondato lo spirito di Maban. La sua via non è la mia.
Che vada per le sue strade, io percorrerò le mie! Ma quali dovranno essere? I
tesori trovati sono incommensurabili. Con questi, per mezzo della forza,
conquisterò facilmente ciò che Areval mi ha già dato a metà: il potere totale!
A che scopo adesso ancora la forza? Il frutto mi è cresciuto da sé da parecchio
tempo col favore di Areval. Dalla sua mano posso prendere lo scettro in
qualsiasi momento.
3.
Se Areval
sapesse che Muhareb vive, la paura di suo fratello lo consegnerebbe a me
interamente nelle mani. Muhareb non vuole essere re di Mallona. Io, stolto, gli
volevo consegnare il potere. Suvvia, ormai le forze serviranno per me stesso.
Areval cadrà quando lo voglio io. Il prossimo re si chiamerà Arvodo.
L’equiparazione dei diritti davanti al popolo, come re riconosciuto, mi
giungerà però solo attraversa la mano di Artaya. Io odio questa donna che vive
solo per se stessa e per i suoi piaceri. La mano di Artaya mi darà certamente
l’equiparazione del diritto al trono, però lei rimarrà sempre la regina, per
tutto il tempo che vivrà”.
4.
Arvodo fa un
profondo respiro e ripete:
5.
“Per tutto il
tempo che vivrà! E se un giorno schiacciassi questa serpe? Sarebbe questo un
delitto? Mio fratello stesso non è intontito di lei? Come la prenderà,
vedendomi come suo rivale? Egli dovrà dimenticare, a causa dell’alta meta che
attende sia me, che lui. Ora riconosco chiaramente che con la forza si va solo
probabilmente e faticosamente alla meta, mentre l’altra via è sicura e senza
fatica. Allora il saggio sceglie sempre il sentiero percorribile e non quello
scabroso. – E Muhareb, il cavernicolo, che cosa farà? Nulla, come non ha fatto
nulla durante tutti questi anni. Perché mi preoccupo ancora di questo
cavernicolo? Che preghi pure sul cadavere di Fedijah, soltanto questo egli
riconosce come sua destinazione. La mia è quella di regnare, strappare di mano
lo scettro al debole Areval, per diventare un principe come non ce n’è stato
ancora nessuno!”.
6.
Arvodo
s’infiamma a questo pensiero. La sua decisione è presa ed egli, impaziente,
guarda verso l’orizzonte, al cui bordo scintilla, nello splendore del mattino
irrompente, la fortezza reale della capitale.
* * *
7.
Per comprendere
il resto, è necessario inserire qui alcune spiegazioni sulle condizioni
cosmiche del pianeta come sono state sondate, dopo diversi tentativi della
medium. Il pianeta Mallona orbitava intorno al Sole ad una distanza di circa
300 milioni di miglia. Esso possedeva, come già detto, un’atmosfera ampiamente
più densa, per questo vi dominava una pressione atmosferica più forte che da
noi. Poiché l’asse del pianeta non era inclinato in un angolo di 23½ gradi come
quello della Terra, bensì di meno, ciò aveva per conseguenza che le zone del
pianeta erano sottoposte ampiamente a meno oscillazioni di temperatura. In
relazione con l’atmosfera più densa, che concentrava l’effetto dei raggi del
Sole, era evitato con questo che, nonostante la grande distanza dal Sole, la
distribuzione di luce e calore fosse meno che sulla nostra Terra. Al contrario,
le stagioni erano sempre uguali come nelle nostre zone temperate. Solo
all’equatore c’era un calore quasi costante, il quale faceva dell’ardente
cintura di Mallona un deserto, ben evitato dai suoi abitanti.
8.
I continenti di
Mallona erano situati principalmente verso la metà settentrionale
dell’emisfero; aldilà delle zone roventi il paese era ancora inesplorato e anche
disabitato. Gli abitanti evitavano di penetrare in quelle regioni che non
offrivano loro nessun mezzo di sussistenza. Erano ancor meno inclini alla
navigazione, da passare per mare attraverso l’ardente cintura e stabilirsi di
là della stessa. Il motivo di ciò stava nelle tempeste che ogni anno, sia nei
periodi autunnali sia in quelli estivi, rendevano i mari insicuri come sulla
Terra, e danneggiavano e distruggevano facilmente le piccole imbarcazioni in
uso. Per scopi di viaggi le loro vetture rendevano inutili le navi, che
tuttavia erano usate su piccoli bacini e sui fiumi.
9.
Su Mallona
dominava una profonda avversione verso le aeronavi e il loro uso. Nessun
abitante osava tanto facilmente affidarsi agli insicuri elementi, poiché
bastava il sicuro suolo per il veloce spostamento. Aeronauti e uomini di mare
che, di quando in quando, usavano i natanti dei quali ben conoscevano la
costruzione, erano considerati una specie di dementi caduti in preda ai demoni
dell’acqua e dell’aria, ed erano diventati dipendenti dagli umori degli
invisibili elementi. Una paura superstiziosa circondava la loro attività,
attribuendole parvenza soprannaturale, basata su un patto con i poteri
invisibili. In tal caso non era consigliabile mettere le mani addosso ai
natanti e ai loro possessori, per non far adirare gli utili elementi.
10.
Queste
circostanze fecero sì che Muhareb potesse vivere sulla costa inesplorata, non
troppo lontana dalla residenza del re. Inoltre, che Upal rimanesse in possesso
di un’aeronave, indisturbato, giacché nessuno avrebbe osato distruggere la
stessa sull’altura rocciosa, anche se ne fosse stata scoperta l’esistenza.
* * *
11.
Arvodo sfugge
ai miei occhi, e lo sguardo si rivolge nuovamente alla costa sulla quale dimora
Muhareb.
12.
Essi
velocemente emergono davanti a me. Vedo la macchina volante di Upal nella baia
giacente sulla sabbia bianca, lui stesso con Muhareb davanti all’ingresso della
caverna in appassionato colloquio. Vedo il giovinetto pescare su una piccola
barca. Mi sento attratta dai due, per essere testimone della loro
conversazione. Adesso distinguo precisamente le voci e comprendo il senso del
loro discorso.
13.
Upal domanda:
“Posso sapere perché hai respinto il generale? Egli sembra davvero di buone
intenzioni e d’animo nobile!”.
14.
Risponde
Muhareb: “Non è, né l’una né l’altra cosa. Una bella coltre esteriore nasconde
i moti di un cuore che ha solo bisogno dell’occasione per manifestarsi peggio
che Areval. È facile essere buoni, se manca l’occasione per agire con
cattiveria. Forte è la sua volontà, tuttavia usata solo per eseguire ciò che
porta vantaggio. Queste anime, quando si trovano davanti alla decisione di
rinunciare a qualcosa per amor di un premio interiore, cadono. Il veleno che
tutti gli abitanti di Mallona hanno assorbito, distrugge anche lui, ed egli non
trova in sé la forza per distruggerlo!”.
15.
Upal domanda
pieno di stupore: “Un veleno che tutti gli abitanti di Mallona hanno assorbito?
Quale veleno?”.
16.
“Il veleno
della depravazione, al quale Maban cercò di contrapporre l’ultimo mezzo:
l’obbedienza! Se gli abitanti di questo mondo si fossero piegati, se avessero
difeso le istituzioni dello Stato e compreso lo spirito che vi si trovava,
sarebbero stati salvati, e sarebbero felici. Sagge leggi, adempiute
volontariamente secondo il loro senso educativo, conducono un popolo alla
spirituale ed esteriore libertà. Accade invece il contrario quando le leggi
escogitate sono travisate, quando servono per la conservazione del potere
repressivo, per l’inganno e per fini personali: allora esse conducono al
declino, alla rovina.
17.
Presto io ho
riconosciuto dove i popoli di Mallona dovranno giungere se non percorreranno la
via dell’ordine che Maban aveva indicato. Lì c’è la salvezza, pur se ardua è la
via per raggiungerla. Duro deve poter essere il liberatore, egli non deve usare
nessun riguardo nemmeno verso la propria carne e sangue, se si tratta di
estirpare errori riconosciuti. Lì mancò Maban! Egli distrusse di nuovo, con la
condiscendenza, dove aveva costruito. Quello che i suoi contemporanei
sopportavano ancora di malavoglia, sarebbe potuto divenire caro e prezioso alla
generazione successiva. Egli però non doveva lasciar agire il focolaio della
distruzione che conosceva e che viveva in Areval. L’ha fatto, e per conseguenza
la caduta è stata più profonda, come mai i nostri popoli sprofondarono prima.
18.
Ora il disastro
si avvicina a passi veloci. L’ora della fine non è più lontana. Nel re si fonde
l’anima del popolo: il sovrano, infatti, è un prodotto del suo sentimento.
Nessun popolo libero, puro nel suo sentimento, tollera un tiranno. Solo uomini
di sentimento servile possono diventare schiavi. Il seguito del sovrano può
dominare con lui se il popolo si piega. Se il popolo non lo vuole allora esso
presto produce vittoriosi combattenti per la libertà. – Ma il sublime pensiero
conduce alla vittoria solo se nel petto degli uomini non tutto è ancora morto.
Deve essere ancora possibile, sull’altare del cuore, accendere una fiamma di
sacrificio consacrata alla suprema Potenza onniregnante che ci chiamò in vita:
a quello Spirito universale cui siamo debitori di ringraziamento, e dobbiamo
render conto del nostro volere, pensare e operare! La fiamma interiore è il
faro per la direzione del nostro operare. Essa consuma ciò che è impuro. Da una
scintilla può diventare una fiamma splendente. Se l’egoismo ha distrutto
quest’altare, presto la fiamma del sacrificio arderà soffocante. Allora sarà
finita con il futuro di un popolo: i migliori si estingueranno, uccisi dalla
potenza del male vincente. Questo trionferà per breve tempo, si befferà e
schernirà la voce ammonitrice degli ultimi giusti, nella sua smisurata sete di
potere crederà di poter colpire in faccia anche la potenza dell’Universo, e nel
folle accecamento scaverà a se stesso la propria tomba”.
19.
Muhareb ha
parlato con l’entusiasmo del veggente, Upal ascolta senza fiatare. Dopo una
pausa, l’oratore continua:
20.
“Già suona al
mio orecchio il raspare dei badili tombali. Ci sarà silenzio, totale silenzio,
solo quando il morto sarà sotterrato. La desolazione mai più si animerà di
nuovo. In me è morto il figlio del re, perché non fu possibile concedermi di
salvare il popolo. Da questa solitudine io ho cercato uomini nel cui cuore
l’altare non fosse ancora crollato, e non ho trovato nessuno.
21.
A me, al primogenito
figlio del re, stanno a disposizione tutte le invenzioni che il popolo stolto
ha disprezzato. Di queste è nascosto qualcosa nelle caverne qui intorno. Ho
imparato a stimare altamente il genio nell’uomo che assoggettò a sé le forze
della natura. L’uomo, per mezzo dello spirito dimorante in lui, è il potente
sovrano in ogni ambito della natura. Questo lo eleva oltre le debolezze del suo
corpo, e gli spiriti degli elementi si rendono sottomessi ai suoi piedi. Su
Mallona, soltanto pochi hanno riconosciuto la forza incommensurabile dello
spirito che ci fu donato, per divenire noi stessi creatori nella sfera data.
Attraverso la dominazione delle forze della natura, l’uomo può penetrare sempre
più profondamente nella Sapienza del Padre universale. Noi dobbiamo dominare
gli elementi. Non per egoismo, bensì per imparare a conoscere e ad amare sempre
di più il Legislatore. Il popolo disprezza il dono celeste. Superstizione,
indolenza, sensualità e paura non permettono che diventi loro proprietà, ciò
che lo spirito dei savi invece trovò.
22.
Innumerevoli
scoperte sono state fatte e, nonostante ciò, ora il popolo si allontana da ogni
innovazione. Esso ha paura delle conquiste dello spirito, e non vuole essere
disturbato nella sua comodità. Là in quell’insenatura, l’acqua fluisce in una
caverna nascosta. Ben custodita, vi troverai una nave veloce, con la quale i
mari possono essere solcati in sicurezza. Nessuno ha mai voluto salirvi a causa
della superstizione, e per paura che i demoni dell’acqua inghiottissero il temerario;
così questa grande invenzione è rimasta senza valore. A me però essa serve qui
da anni, per visitare luoghi lontani sconosciuti, per osservare con i miei
stessi occhi l’agire dei popoli. Perciò non mi è estraneo quello che accade
intorno. Riconosco come lo spirito nell’uomo si spenga sempre di più, come sia
morta nelle anime la fede nello scopo della vita. Con quest’interruzione di
ogni sviluppo è subentrato l’irrigidimento; ciò che è stato conquistato, va di
nuovo perduto; il giudizio e l’annientamento sono in agguato.
23.
Ti sei fidato
di Arvodo e gli hai mostrato perciò i tesori all’interno della montagna. In te
vive ancora l’ardimento. Hai odiato Areval come il distruttore del bene e hai
creduto che Arvodo si mostrasse propenso ai tuoi desideri, come vendicatore del
tuo destino. Ma tu sei per lui solo un mezzo: egli non ha nessun sentimento per
te, e nemmeno per me. Anch’io avrei dovuto essere per lui il mezzo redditizio
per scopi che presto si riveleranno. Dopo che è stato respinto da me, infatti, troverà
ora presso Areval ciò che egli cerca: soddisfacimento della sua sete di potere
che, irresistibile, irromperà dal suo interiore! – Non tornare indietro da lui,
il tuo destino sarebbe suggellato. Hai cercato un amico e hai trovato un nemico
che ti distruggerà. Ho richiesto la tua venuta per dirti questo, ma sia libera
la tua decisione!”.
24.
“Arvodo
dovrebbe essere falso?”, domanda stupito Upal. “Non è egli il capo segreto dei
fedeli che si sono consacrati, per far vincere di nuovo il diritto e portare a
termine i progetti di Maban? Io faccio parte del patto. Egli lo sa e dovrebbe
distruggermi? Sono suo schiavo e mi sono piegato a lui!”.
25.
“Ciò che ieri
era a noi ancora estraneo, può essere già oggi decisione e azione. Ieri lui non
ha voluto quello che oggi gli appare necessario. Seguimi, impara a conoscere
Mallona con i miei occhi! Io ti darò luce, e i veli dell’oscurità cadranno
davanti alla tua conoscenza! Devo compiere l’ultimo viaggio. L’ultimo tentativo
di scuotere gli spiriti, mi è stato raccomandato. Sii il mio accompagnatore.
Seguimi! Lo vuoi?”.
26.
Deciso, Upal
balza in piedi ed esclama: “Lo voglio!”.
[indice]
1.
Ora si spingono avanti
delle nuvole, non vedo più la sponda del mare. L’immagine cambia. Dalla nebbia,
che vela la mia vista, si formano lentamente chiari contorni.
2.
Un vasto salone
s’inarca verso di me, è la grande sala di ricevimento del re Areval. Tutti i
nobili del regno sono qui riuniti e aspettano l’entrata del re. C’è tensione
sui tratti degli uomini che stanno intorno ad un sontuoso trono, e lanciano
sguardi furtivi e meravigliati al sommo sacerdote Karmuno. Costui sta immobile
presso i gradini del trono, gli occhi rivolti ad una grande porta dalla quale
deve entrare il re. Finora Karmuno è sempre stato il sostegno del re, quando si
mostrava ai grandi del regno. Adesso è cambiato. Areval non ha più bisogno di
lui, sia come medico sia come consigliere. I grandi sussurrano e si rallegrano
di questa disgrazia, tuttavia essi temono sempre l’uomo, un giorno così
potente. Sono noti il suo dinamismo, la sua potenza come sommo sacerdote del
regno, la sua intelligenza e, non meno di tutto, la sua viltà.
3.
Ora passa un
movimento attraverso l’adunanza. La grande porta si apre di scatto, entrano
guardie armate a passo di marcia – la guardia del corpo del re – preziosamente
vestite, e si dispongono in due file, dalla porta fino al trono. Davanti ai
gradini sta Karmuno.
4.
Areval entra a
passo fermo, non si scorge più nulla in lui della precedente malattia. Alla sua
destra cammina il generale Arvodo, ai due seguono i viceré di Monna e Sutona, a
questi seguono Rusar, fratello di Arvodo, con i principali capi dello Stato. Il
corteo giunge lentamente fino ai gradini del trono. Karmuno sale due di questi
e si rivolge al re. Il corteo si ferma. Chiara, ma fredda come l’acciaio
tagliente, la voce del sacerdote riecheggia attraverso il salone:
5.
“Grande re, tu
hai convocato i nobili di Mallona affinché udissero che cosa hai deciso per il
bene del Paese e dei suoi abitanti. Il potente Spirito dell’Universo ha
illuminato il tuo sentimento per scegliere il giusto. Secondo l’antica usanza
dei Padri io qui ti domando, come rappresentante dell’eterna Divinità: «Sei
sicuro che la decisione che sei intenzionato ad annunciare qui, sia scaturita
dall’eterna Volontà, alla quale noi tutti siamo sottomessi?»”.
6.
Areval risponde
con fermezza: “Ne sono certo!”.
7.
“Sei tu
disposto anche in seguito a servire solo questa Volontà?”.
8.
“Lo voglio!”.
9.
“Allora
mostrati nello splendore della Sua volontà e comunica il Suo messaggio al
popolo in ascolto!”.
10.
“Lo farò!”.
11.
Queste parole
rappresentano un’usuale cerimonia, escogitata per unire inseparabilmente il
potere mondano e quello spirituale. In essa c’è una notevole forza per il
collegamento degli animi: lo si scorge dalle espressioni degli ascoltatori che
sono ormai ansiosi di ascoltare il messaggio veniente.
12.
Areval non ha
più degnato di uno sguardo Karmuno che sta a fianco. Sale sul trono e dice:
13.
“Uomini di
Mallona, fedeli del mio trono! È piaciuto al demone della morte mandare un
fedele vassallo nel regno delle ombre. Nustra, il nostro stato vicino, è priva
da due giorni del governatore. Perciò, sapendoci uniti con la volontà
dell’eterna Divinità, siamo disposti a nominare un nuovo viceré e a concedergli
il potere nel Paese. La nostra scelta è fatta, resta ancora da annunciarla.
14.
Rusar, figlio
di Mutro, uno dei più nobili che ancora serviva Maban, fratello del nostro
generale Arvodo, vieni avanti!”.
15.
Sui volti dei
presenti si mostra stupore, solo Arvodo e i viceré non sono sorpresi. Rusar
stesso lo è tuttavia più di tutti; titubante si avvicina e s’inginocchia al
trono. Areval continua a parlare:
16.
“Rusar, quale
governatore di Nustra alzati e prestami il giuramento di fedeltà!”.
17.
Karmuno recita
ora una lunga formula del giuramento che Rusar ripete. Areval lo tira su e,
avvicinandolo a sé, lo incorona con un anello d’oro adorno di una pietra-aurea.
Adesso i viceré di Monna e Sutona si congratulano con lui, anche nel salone tra
i presenti c’è una certa animazione. Risuonano alte esclamazioni, gioiosi
accoglimenti per la nomina. Sembra che Karmuno voglia parlare. Areval ordina
silenzio all’adunanza e, prima ancora che il sommo sacerdote possa prendere la
parola, comincia ad esprimere lui stesso la conclusione della cerimonia. Egli
dice piegandosi: “Il volere della Divinità, al quale io m’inchino, è adempiuto.
Su! Rusar, mostrati al popolo nella tua nuova dignità!”.
18.
Con lo sguardo
fiammante, ma lo stesso sorridendo, il sommo sacerdote si è inchinato profondamente
come tutti i presenti, indietreggiando. Nella generale eccitazione, non tutti
hanno notato che il sommo sacerdote avrebbe dovuto dire: “Il volere della
Divinità, cui il re s’inchina, è adempiuto!” – e lui, come rappresentante della
Divinità, sarebbe dovuto rimanere in piedi, mentre il re e i presenti si
dovevano inchinare profondamente. Quelli però che conoscono il cerimoniale, ora
sanno anche che Areval, con quest’eccezione dell’antico costume, ha gettato al
sommo sacerdote il guanto di sfida.
19.
Rusar, guidato
dai viceré, attraverso il passaggio formato dalla guardia del corpo, si reca
fuori dal salone. Segue Areval con Arvodo. Entrambi si ritirano subito nelle
stanze interne del castello. Lentamente si spegne il chiasso provocato dalla
formazione di un imponente corteo trionfale, preceduto da un araldo che
annuncia al popolo la nomina del nuovo viceré. Mentre Rusar gode tutti gli
onori, Areval e Arvodo si consigliano nella stanza del re.
20.
Li vedo soli.
Il benevolo cambiamento nel modo di fare di Areval si manifesta ora ancora più
chiaramente che durante il grande ricevimento. Da quando egli sa, dal generale,
che Muhareb è vivo, le precedenti allucinazioni sono scomparse. La
consapevolezza di un imminente pericolo l’ha portato allo sviluppo della
massima energia. Egli vuole allontanare la sciagura che minaccia il suo trono e
medita sui mezzi per difendersi dall’eventuale ritorno del fratello.
21.
Arvodo ha
capito perfettamente di guadagnare il re totalmente per sé, e sostituirsi a
Karmuno. Egli sa che, per questo, il sommo sacerdote lo odia a morte, ma è
abbastanza intelligente da mostrare sempre un’apparente cordialità nei suoi
confronti. Tuttavia oggi il modo di agire di Areval gli ha mostrato che il re
intende eseguire un’intenzione nascosta, intenzione che lui vuole scoprire.
Egli attende solo il momento favorevole in cui poterne intuire i segreti
pensieri. Areval parla ora chiaro e schietto: “Sei contento del tuo re, Arvodo?
Tuo fratello è viceré come desideravi tu. Io ti devo molto, e anche per te
dovrà esserci la ricompensa. La mia volontà è che tu ottenga presto la mano di
Artaya. Allora ti riconoscerò. Tu sarai l’uomo che fa per me, e che mi aiuterà
ad oscurare la gloria di Maban”.
22.
L’espressione
di Arvodo non rivela la profonda soddisfazione del suo cuore. Con voce calma
risponde: “Il mio re sa che la mia devozione è illimitata. Comanda, signore,
che cosa devo fare!”.
23.
“Solo una
domanda, Arvodo! Quali sentimenti tu credi che nutra il sommo sacerdote Karmuno
verso di te? È tuo nemico?”.
24.
“Se il sorriso
a fior di labbra è un segno d’amicizia, allora egli è il mio migliore amico, ma
io non mi fido della facciata esterna. Egli invidia il favore che il mio re mi
concede. Chi vede nella sua anima e riconosce ciò che giace nella sua
profondità?”.
25.
“Sicuramente
niente di buono per me e per te. Con te ho spezzato le catene che mi legavano a
lui. Si sforzerà di forgiarle di nuovo. Io conosco questo dominatore di tutti i
templi del regno. Dipende da lui evocare lo stato d’animo nel popolo e far sì
che gli obbedisca la schiera dei sacerdoti in tutti i paesi. Se volessi essere
veramente re, unico monarca in tutti i paesi, dovrei annientare l’intera razza
che gli ubbidisce. Devo spartire con lui il dominio di Mallona e vedo arrivare
il giorno nel quale scoppierà una lotta con lui fino alla fine”.
26.
Sinistro,
Arvodo guarda il re: “Ha pensato, il mio re, come si dovrebbe condurre questa
lotta?”.
27.
Areval si china
verso di lui: “Finché dipendevo da lui nella mia malattia, era una cosa
impossibile, ma adesso che sei tu al mio fianco, è possibile. Il potere dei
templi deve essere rovesciato. Il popolo guarda a questi con timore
superstizioso e il potere dei demoni gli sembra più grande di quello del re. Io
devo dimostrare che gli dei mi ubbidiscono, che nel re si unificano tutte le forze.
Karmuno per lunghi anni si è preoccupato di minare il potere del re,
diffondendo la dottrina secondo cui esso sarebbe sottoposto al potere della
Divinità che si rivela soltanto nel tempio principale di Mallona. Tu sai come
tutti vanno in pellegrinaggio alle porte del santuario per avere consiglio e
come, un responso favorevole o sfavorevole, entusiasmi o pietrifichi gli animi.
Perfino i miei soldati non ne sono liberi. È incerto quanti oserebbero agire
contro il verdetto della Divinità di Karmuno, oppure fare ciò che comanda il
re”.
28.
“Perciò la cosa
migliore sembra quella di vivere in pace con Karmuno, piuttosto che
provocarlo”.
29.
“E continuare
ad esserne schiavo? No, mai più! Lui oppure io, insieme non possiamo governare.
L’impero o il tempio: uno deve cadere. Non senza riflettere, oggi mi sono
rifiutato di terminare il cerimoniale nell’antica forma. Voglio mostrare che il
re non ha bisogno di mediatori, per agire nel nome della Divinità. La Divinità
dimora anche in me, oppure da nessuna parte”.
30.
Gli occhi di
Areval sono incandescenti. Il rancore coltivato così a lungo contro il
sacerdote si esprime ora chiaramente dai suoi tratti. Presto però egli domina
l’eccitazione e bisbiglia a bassa voce ad Arvodo: “L’eremita al mare finora non
è stato pericoloso, ma chi è al sicuro dalle spie di Karmuno? Se egli scopre il
segreto, allora lo saprà usare contro di me. La mia stessa sicurezza richiede
un’azione rapida. Arvodo, provvedi affinché l’eremita sia arrestato dai più
fedeli della guardia senza farsi riconoscere! Poi lo si porti a Sutona; nel
castello di Ksontu sarà custodito bene e concluderà là i suoi giorni. Egli non
mi deve scuotere il regno. Non lui, e non Karmuno! – E adesso vieni con me da
Artaya. Il re ti condurrà dalla sposa!”.
31.
Areval si alza
e, appoggiato leggermente ad Arvodo, lascia la stanza.
32.
Un leggero
rumore alla parete desta la mia attenzione. Il mio sguardo penetra la stessa e,
all’interno del robusto muro scopro uno stretto spazio segreto. Karmuno
abbandona questa postazione da spia, dalla quale origlia le più segrete
conversazioni del re nella sua stessa stanza.
[indice]
1.
Dalla capitale Mallona si
dipartono strade direttissime verso le diverse città dell’impero, vie di
collegamento sulle quali si percorrono, senza difficoltà, su mezzi veloci,
lunghe distanze in breve tempo. Ad Oriente di Mallona vedo la strada principale
che conduce al vicino regno di Nustra. Più veloce dei mezzi ora io scivolo dolcemente
attraverso l’aria e ammiro l’abilità artistica con cui è stata costruita questa
strada. Nulla è in grado di ostacolare il corso rettilineo. Fiumi, valli,
precipizi sono superati da ponti e montagne sono state fatte saltare in aria a
causa della strada. Sul fondo livellato i mezzi non subiscono nessuna
vibrazione. In verità queste strade sono un capolavoro, contro il quale mi
appaiono manchevoli le nostre vie di transito.
2.
Quanto più mi
allontano dalla capitale, tanto più fantastico diventa il paesaggio. Vedo
sorgere all’orizzonte possenti catene montuose, giganteschi monti innevati
splendono dinanzi a me nei raggi del Sole. Un imponente mondo alpestre, come
confine di due continenti, simile agli Urali tra l’Europa e l’Asia, mi
s’innalza davanti, quasi volendo arrestare la mia intrusione. La strada però
continua ad elevarsi e inerpicarsi, evitando talvolta i giganteschi ostacoli ad
incredibile altezza. Voragini e valli sono superate da ponti con stupefacenti
arcate. Nell’altezza da capogiro, vicinissima a nevai e ghiacciai, la strada
ora serpeggia alle massime altitudini che deve oltrepassare. E in mezzo al
silenzio di un irrigidito mondo di ghiaccio, essa conduce il viaggiatore in
sicurezza e senza pericolo su un altopiano coperto di neve, il confine che separa
Mallona e Nustra.
3.
Io ammiro
l’arte degli ingegneri per aver eseguito tali costruzioni, le quali
indubbiamente sarebbero impossibili sulla nostra Terra. Il peso delle masse non
permetterebbe tali costruzioni ad archi, come qui si vedono. Crollerebbe tutto
su se stesso, se si volessero costruire ponti ad arcate di tali estensioni.
4.
La minor forza
d’attrazione del pianeta Mallona rende solo qui possibile eseguire queste
realizzazioni. Come nella pura aria montana sento chiaramente le altre
condizioni cosmiche. E anche la pietra primordiale del pianeta mi sembra essere
sostanzialmente diversa da quella della Terra. Essa mi sembra più leggera nella
sua struttura; masse più leggere[6],
come i prodotti del periodo cretaceo e triassico, che qui coprono le cappe di
neve, e si levano nere dai ghiacciai bianco blu. Qui però non resisto più a
lungo. Mi sento spinta incessantemente oltre la fine dell’altopiano e poi giù
verso Nustra, al regno di Rusar, il cui mezzo di viaggio, come quelli dei suoi
numerosi accompagnatori, mi seguono.
5.
Adesso l’altura
è superata. Il paese si estende vasto dinanzi a me. Verso Nustra i monti si
abbassano bruscamente e numerosi campi fertili, boschi verdeggianti, laghi
sfavillanti, dolci catene di colline stanno ormai davanti al mio sguardo estasiato.
Esso va a valle in corsa vorticosa. I mezzi scivolano giù per il rettilineo
ondulato, simile ad uno scivolo d’immensa lunghezza. In breve tempo il viaggio
verso la valle è concluso, e ora continua attraverso un territorio pianeggiante
e fertile, verso la capitale del paese che porta lo stesso nome. Il Sole è già
alto all’orizzonte quando compaiono in lontananza le costruzioni di Nustra e si
è fatta sera quando Rusar, col suo seguito, entra nell’ampia rimessa.
6.
Nustra si è
adornata per il ricevimento del nuovo viceré. Ovunque sfavillano cataste di
legno, e grandi mazzi di fiaccole-manga illuminano chiaramente le strade e le
piazze principali. La via che porta al palazzo del sovrano su un colle è
particolarmente illuminata a festa. Una folla, lietamente eccitata e riccamente
ingioiellata, si muove per le strade e saluta con scroscianti esclamazioni di
evviva il viceré che sta entrando. Rusar sta su una vettura sfarzosa, vestito
di un abito intessuto d’oro e accoglie le acclamazioni ringraziando. Sembra
felice per tutti gli onori e si rallegra della simpatia del popolo. Il corteo
scompare dietro le porte aperte del castello reale. Nustra possiede di nuovo un
sovrano.
7.
Vedo una vasta
sala parata a festa. Rusar, i viceré di Monna e di Sutona siedono su un rialzo
e guardano alla folla movimentata di cortigiani e nobili del vicereame, ai
quali il nuovo sovrano offre un ricevimento. Qui mi sembra di essere
trasportata ai tempi del sontuoso impero romano. Le tavole si piegano sotto le
pietanze servite. Gli ospiti non sono più completamente padroni dei loro sensi
a causa delle bevande inebrianti. Danzatrici mostrano le loro arti e contorcono
i corpi slanciati in danze sensuali ed eccitanti. Si esibiscono giocolieri che
cercano di intrattenere gli spettatori con salti spericolati. Qui si genera
un’orgia come non se ne può immaginare una più selvaggia, e nelle occasioni di
festa, già da lungo tempo, accade in tutte le parti dell’intero regno di
Mallona, per il divertimento dei grandi.
8.
Nemmeno a Rusar
è assolutamente estranea una pratica del genere. Areval, infatti, cercava di
scacciare le sue efferate visioni attraverso sfrenati baccanali[7],
ai quali egli partecipava non senza quella stimolante cupidigia in cui la
gioventù ricade così facilmente. Il viceré di Monna, al lato destro di Rusar, è
di ottimo umore. Egli ha appena chiamato a sé una bella danzatrice e, tenendo
la fanciulla in braccio, dice a Rusar: “O nustror, i fiori del tuo paese sono
amabili, tuttavia te ne posso mostrare di non meno belli appena ti piacerà di
visitare il mio paese. Promettimi di farlo, per contemplare le meraviglie del
mio giardino d’amore”.
9.
Rusar risponde
tranquillo: “Noi sappiamo, monnor[8],
quale raffinato intenditore tu sia in questioni d’amore, ma ho ancora poco
desiderio per questi. Il dovere del sovrano è di rendere felice il suo
popolo!”.
10.
Esplodendo in
una sonora risata, il viceré stringe a sé la fanciulla ed esclama con voce
balbettante: “Non rendo io felice il mio popolo? Vedi come comincio con i figli
del popolo”.
11.
Il viceré di
Sutona, chiamato sutor, ride altrettanto forte: “Chi non saprebbe che ti sforzi
per diventare il padre dei figli del tuo paese! Anche il nustror si eserciterà
ancora in questi stupendi doveri”.
12.
In
quest’istante risuona una musica fragorosa. La fanciulla si svincola dalle
braccia del viceré e corre dalle altre danzatrici, le quali si sono ordinate
per un girotondo e ora danno inizio ad una danza che provoca il massimo
immaginabile in sfrenatezza ed eccitazione dei nervi. Un generale delirio
afferra gli ospiti. Essi battono le mani seguendo il ritmo, esclamano
approvazione e si mischiano alle danzatrici. Presto, tutto gira vorticosamente,
tra urla ed esclamazioni di piacere.
13.
Disgustata da
quest’immagine, mi distolgo. Ho dato un profondo sguardo alla scelleratezza
degli abitanti di questo pianeta. È sufficiente…
14.
Adesso
l’immagine si cambia. Nebbie passano davanti e, poco a poco, si formano altre
figure. Adesso è più chiaro.
15.
Riconosco
Karmuno e Rusar, fratello di Arvodo, in una piccola stanza del castello di
Nustra. Karmuno ha seguito in segreto il nuovo viceré, e pieno di zelo parla
con insistenza a Rusar. Buio e pallido il giovane fissa lo sguardo a terra,
mentre il sommo sacerdote cerca di persuaderlo. Adesso sento anche le parole, e
le comprendo:
16.
“Via con tutti
i dubbi, io sono per il successo. Quale amore fraterno abbia per voi Arvodo, lo
riconoscete dal suo modo di fare. Egli vi sottrae l’amore di Artaya. Oppure
credete che mi sia rimasto estraneo ciò che vi agita? Il potere di Arvodo, che
egli esercita da un po’ di tempo sul re, lo conduce alla meta riconosciuta.
Egli vuole diventare re di Mallona! Adesso vi ha fatto viceré di Nustra, perché
la vicinanza del fratello gli è d’ostacolo. Egli sposerà Artaya, e la sua mano
lo renderà erede al trono”.
17.
Passionale,
Rusar s’accende d’ira: “Questo non lo deve fare!”.
18.
Con fredda
espressione il sacerdote dice: “Volete voi impedirlo, quando Artaya stessa
desidera questo legame, e altrettanto Areval?”.
19.
Mandando un
gemito, Rusar sospira: “Lei mi ha fatto credere che il suo cuore si fosse
rivolto a me, e ora…”.
20.
“Il fratello le
piace di più. Niente di nuovo, signore, con questa donna. Artaya conosce solo
se stessa. Se sapesse che il cuore di Arvodo è infiammato per lei, sarebbe
presto stanca di lui. Ma così lo deve conquistare; lei non ha pace finché non
vince sull’uomo. Lui sarebbe il primo a non piegarsi davanti al suo sorriso, e
questo la sua vanità non lo tollera. Voi, signore, diventereste il suo schiavo,
e gli schiavi sono messi da parte appena non si ha più bisogno di loro”.
21.
Rusar digrigna
i denti dall’irritazione: “Io non sarò mai uno schiavo di questa donna. Sia
ucciso l’amore per lei, e viva per lei solo odio!”.
22.
Karmuno sorride
di nascosto e i suoi occhi brillano trionfanti. Sottovoce sussurra a Rusar: “Io
conosco un mezzo per potervi vendicare di questo tradimento!”.
23.
“E come?”.
24.
“Lo scoprirete
quando incontrerete Arvodo!”.
25.
“Egli adesso è
più potente di noi tutti e, è mio fratello!”.
26.
“È il vostro
signore che non vi risparmierà, nel caso gli sembrasse necessario!”.
27.
“Quale mezzo
conoscete voi?”.
28.
Rusar guarda il
sacerdote con aria interrogativa, questi lo fissa gelido negli occhi e risponde
a bassa voce:
29.
“Muhareb vive”.
30.
Come morsicato
da un serpente, Rusar sobbalza. Pieno di terrore egli fissa il sacerdote e
balbetta: “Muhareb vive? Impossibile!”.
31.
“Perché
impossibile?”.
32.
“Perché mio
fratello poco fa è tornato da un viaggio durante il quale ha avuto prove della
morte di Muhareb. Egli ha visto e ha parlato con l’uomo nelle cui braccia
Muhareb è morto!”.
33.
“Così vi ha
detto Arvodo e voi gli avete creduto. Non avete sospettato che il fratello ha
mentito per amor dei suoi scopi segreti, scopi che io conosco! Muhareb è vivo,
e io conosco la sua dimora!”.
34.
“Voi conoscete la
sua dimora? Dove sta?”.
35.
“Signore, i
segreti non si rivelano subito. Vedete, Arvodo vi ha ingannato. Areval non teme
il Muhareb morto, ma tanto più quello vivo. Da Arvodo egli ha saputo della sua
esistenza e Arvodo sa sfruttare bene la sua paura. Adesso sapete come vostro
fratello ha il potere sul re. – Togliete al re la sua paura di Muhareb e poi si
troveranno anche i mezzi per far cadere Arvodo”.
36.
“Karmuno, io vi
conosco, voi gia possedete i mezzi e sperate di impiegarli. Voi non siete mai
stato un amico di Arvodo. Adesso non lo sono più nemmeno io, perciò parlate”.
37.
“È necessario
che Muhareb cada, o che sia riconosciuto come legittimo re. Per che cosa vi
decidereste voi?”.
38.
Rusar domanda
cauto: “Si deve stabilire questo già adesso? Forse non è consigliabile né l’una
né l’altra cosa. Agite in modo che le vie rimangano aperte”.
39.
Rallegrato,
Karmuno si avvicina a Rusar: “Vedo che mi comprendete. Se siamo alleati,
guideremo noi i destini di Mallona! Afferrate ora con mano ferma le redini del
governo. Il clero del paese sarà informato da me per sostenervi. Ciò che
succede presso Areval non ci rimarrà segreto. Se io voglio, i muri hanno occhi
e orecchi. Né Areval né Arvodo sfuggono a questa rete”.
40.
“Ma, nel
frattempo, che cosa succederà con Muhareb?”.
41.
Astuto, Karmuno
sorride: “Un figlio di re che si seppellisce nella solitudine, diventa inabile
per il trono. Abbiamo bisogno del suo nome, non della sua persona. Lasciate
dapprima sorgere a Nustra la voce che Muhareb vive ed è stato visto. Del viceré
di Monna siamo sicuri, egli seguirà i nostri piani. Anche là il nome di Muhareb
minerà l’autorità di Areval, ancor di più poi in Mallona stessa. Solo gli
avvenimenti ci dimostreranno quanto grande è il potere che conferisce il nome
di Muhareb, allora decideremo. I suoi fedeli saranno i nostri”.
42.
“Voi conoscete
anche quest’alleanza?”. Domanda Rusar con stupore non celato.
43.
“Al sommo
sacerdote di tutti i templi, nulla può essere estraneo! Non a tutti spetta il
frutto di ciò che lui ha seminato. I più astuti, quelli che sanno aspettare,
possono fare il raccolto. Arvodo non ci ha pensato, ma lo verrà a sapere”.
44.
Rusar ha
ascoltato Karmuno con stupore. Nei suoi pensieri si forma chiaramente
l’immagine di questo sacerdote che sembra onnisciente, il quale dominava
illimitatamente il re, finché Arvodo gli contese palesemente questo potere.
Costui però aveva preso provvedimenti anche per questo caso e possedeva
certamente una rete di spie, confidenti e complici. Egli intuisce il pericolo
di un’alleanza con quest’uomo, riconosce però anche l’impossibilità di
sottrarsi a lui. In una specie di resistenza dice: “E se ora rivelo ad Arvodo
ciò che mi avete confidato? Se rivelo a lui di che cosa siete a conoscenza?”.
45.
Sorridendo
freddamente e guardandolo in maniera eloquente, Karmuno taglia corto: “Provateci!”.
46.
Rusar sa,
Karmuno per lo spavento non indietreggerebbe davanti a nessun ostacolo. Egli si
alza e, costringendosi ad un sorriso, dice: “Con un tale tentativo non voglio
perdere l’amicizia di Karmuno. Un sapere comune comporta un agire comune. A ciò
sono pronto!”.
[indice]
1.
Sono di nuovo a Mallona e
sto davanti al tempio principale dell’impero. È una costruzione oltremodo
grandiosa. Colonne che si ergono in alto circondano l’edificio principale, e
davanti a ciascuna colonna splende una grande fiaccola manga. Il tempio è come
un gigantesco cubo, non mostra nessuna finestra, ma solo una grande porta
d’accesso decorata con figure in rilievo di significato simbolico. Sopra la porta vedo la statua colossale di una
meravigliosa donna: la rappresentazione della bellezza, per la cui adorazione
Maban un giorno costruì questo tempio.
2.
L’intero
edificio colpisce grazie al suo aspetto imponente. Esternamente è senza sfarzo,
tuttavia fanno impressione i rapporti di grandezza, il colonnato e il flusso di
luce che di notte scorre giù dalle colonne illuminando a giorno l’edificio,
così come i più vicini dintorni. Noto che il tempio porta un secondo rialzo a
cubo molto più piccolo che serve da altare. Qui, in particolari giorni festivi,
sono accesi imponenti fuochi dell’offerta e, dalla specie di fiamma accesa, il
sommo sacerdote Karmuno annuncia poi la soddisfazione o l’insoddisfazione della
Divinità.
3.
Entro
attraverso la grande porta nell’interno del tempio. Solenne silenzio e oscurità
mi circondano. Sullo sfondo vedo luci multicolori che illuminano debolmente il
santuario del tempio. Là sono erette statue di donne di perfetta bellezza che
s’inclinano tutte verso un punto centrale, punto che è tracciato da un podio in
pietra con sei gradini.
4.
Che cosa
significa questo gruppo di statue? – Mi è data la risposta:
5.
“Tu vedi qui
rappresentato il numero delle buone caratteristiche nell’uomo. Ogni singola
figura personifica una di queste: la bontà, il perdono, l’indulgenza, l’amore,
la misericordia, la fiducia, il valore, ecc.
6.
Tuttavia esse
s’inclinano tutte verso il principio vivificante della forza vitale d’azione,
dalla quale soltanto dipende la loro esistenza. Su questo podio, nei giorni
dell’offerta, appare la figura mobile di un uomo gigantesco che, avvolto dal
vapore nebuloso di fumi aromatici, si mostra per breve tempo alla moltitudine
come la suprema Divinità Schodufaleb. Le statue circostanti sono poi sostituite
da belle fanciulle viventi che, senza toccarsi, rimangono per lungo tempo nelle
posizioni assegnate. Quando compare il gigante, anche loro diventano mobili, si
accostano a lui e l’intero gruppo sprofonda poi sul pavimento”.
7.
Karmuno sa costruire e sfruttare al
meglio il suo inganno da prete. Questo tempio è fin troppo spesso testimone di
orge della specie più bassa, orge che si compiono nei bui vestiboli in onore
della divinità.
8.
La forza dello
spirito mi attrae al podio. Vi metto il piede e – m’immergo. Sono adesso in un
passaggio debolmente illuminato e giungo ad un alto portale. Si apre. Giungo in
uno spazio più grande, nel quale stanno degli uomini armati. Essi sono
dipendenti di Karmuno, guardiani del tempio e servitori, i quali sono sempre
pronti ad eseguire anche i suoi ordini cruenti. Poi giungo ad una seconda
grande porta, e anche questa si apre. Entro in un locale stupendamente adornato
nel quale alcuni sacerdoti aspettano e passano il tempo giocando. Da come mi
pare, essi fanno la guardia davanti ad una piccola porta rivestita di ferro: i
loro sguardi, infatti, si rivolgono spesso a questa, come se aspettassero che
da lì debba entrare qualcuno.
9.
Anche questa
porta per me non è un ostacolo, essa si apre e mi trovo davanti ad una seconda.
Devo aprirne sei di tali solide porte, prima di giungere in un locale più ampio
e chiaramente illuminato.
10.
Su un posto
elevato troneggia Karmuno. Intorno a lui, in cerchio, siedono undici sacerdoti,
uomini di mezza età, dagli occhi dei quali traspaiono fermezza e scaltrezza.
Ogni tre di loro formano il sommo ceto sacerdotale del paese da loro stessi
rappresentato. Sono penetrata nel più segreto consiglio del tempio che si
riunisce in questo luogo protetto per ricevere gli ordini di Karmuno. Questi
adesso parla e dice:
11.
“Sommi
sacerdoti dell’impero! Io vi saluto nella più segreta camera del consiglio del
nostro santo tempio. Siamo qui riuniti come custodi del popolo, come mediatori
della Divinità e, come amici e confidenti. Come tali, vogliamo consigliarci su
ciò che esige il nostro interesse nel prossimo futuro. Ciascuno faccia rapporto
veritiero sulle condizioni del proprio paese sotto la nostra influenza. Mansor,
sommo sacerdote di Nustra, comincia tu col tuo rapporto”.
12.
Un grosso uomo
dall’aspetto imponente, dal naso acutamente curvo e occhi intelligenti che però
brillano perfidamente, si alza solenne dalla sua sedia e dice:
13.
“Amati
fratelli! Non è cambiato molto a Nustra da quando eravamo qui riuniti l’ultima
volta, tuttavia devo riferire buoni progressi sulla via designata. Il popolo di
Nustra è facile da guidare, appena gli si lascia la sua comodità. Esso è
attaccato alle abitudini, e per questo, molti ritengono il vecchio, sempre
meglio che il presente. Perciò sono ancora altrettanto infatuati, come lo erano
una volta, per Maban, e lo ritengono un dio che a suo tempo è disceso per il
bene del popolo. Voi lo sapete, fratelli, quanto ci è stato difficile mettere
le nostre idee al posto di quelle predominanti di Maban, per guidare i
sentimenti del popolo, come lo esige il nostro interesse. Ora quest’opera,
grazie alla pigrizia degli spiriti, è riuscita. Adesso a Nustra si pensa come
vogliamo noi.
14.
Tu, supremo
della nostra lega, saggio Karmuno, volevi che fosse creata l’atmosfera per
Rusar, il nuovo viceré: ciò è accaduto! Dai templi dell’intera Nustra i nostri
fedeli servitori hanno annunciato la volontà della Divinità: che Rusar sia
soddisfatto! Grazie ai nostri preparativi, per lui bruciano sugli altari le
fiamme del sacrificio alte e splendenti. Rusar, se si mostrerà generoso e
seguirà le indicazioni di questo sommo Consiglio, potrà rimanere il più felice
governante di un popolo felice. Che il nostro dominio a Nustra sia scosso, non
c’è da temere”.
15.
Karmuno domanda
meditabondo: “Gli abitanti di Nustra parlano ancora molto del figlio di Maban,
Muhareb?”.
16.
“Un intero
ciclo di leggende si è tessuto intorno alla persona del principe. La sua
scomparsa è interpretata in tutti i sensi. Una volta è stato assassinato,
un’altra volta sarebbe annegato, altre volte lo avrebbe rapito il demone
Usglom. Poi si sostiene che, a causa della bontà del suo essere, sia stato
rapito non dal demone, bensì da Anarba, la dea della bellezza, e che viva nel
suo giardino incantato come prigioniero, in giovanile freschezza. Il suo nome
basta per riempire gli abitanti di Nustra di profondo rispetto!”.
17.
“Va bene, più
tardi parleremo ancora di lui. Tutti i posti dello Stato a Nustra sono ancora
occupati dagli uomini a noi fedeli?".
18.
“Lo sono”.
19.
“Ti ringrazio.
Ora riferisci tu, sommo sacerdote di Monna, come vanno le cose presso di voi
nell’impero?”.
20.
Un uomo un po’
corpulento, sul cui viso tondeggiante può essere letta la gioia del piacere, si
alza e parla:
21.
“Salute sia
sempre al nostro tempio e ai suoi fedeli servitori. Se c’è un posto su Mallona
dove va tutto bene per noi, è proprio nel regno di Monna. Voi sapete, fratelli
miei, che il monnor conduce una vita di abbondante godimento e teme ogni serio
lavoro. Volentieri egli lascia le redini del governo a quegli uomini che non
disturbano i suoi piaceri. E poiché sono riuscito a dimostrargli che negli
ambienti del nostro tempio sussiste indulgenza con le sue debolezze e noi siamo
in grado di portare per lui le sue preoccupazioni, così il monnor si è
dimostrato ben disposto di affidare al tempio il maggior carico del lavoro”.
22.
“E tu porti
questo carico?”. Lo interrompe Karmuno, freddo e indagatore.
23.
“Per l’onore
del tempio, il suo servitore ha preso volentieri su di sé il grande carico,
poiché tale esso è. A piene mani il monnor distribuisce denaro al popolo. Chi
lo ossequia non ha bisogno di lavorare. I mezzi affluiscono a lui in quantità
insospettata: negli ultimi tempi, infatti, la pietra-bianca si è trovata in
quantità incredibile nelle regioni del fuoco del nostro Paese che si estendono
lungo il mare. Egli sarebbe obbligato a consegnare tutta la pietra-bianca
coniata alle casse dello Stato, tuttavia ne trattiene per sé la maggior parte”.
24.
“Chi è il
coniatore capo in Monna?”, domanda Karmuno.
25.
“Volto, uno dei
servitori più fedeli del nostro tempio”.
26.
“Lo so. Su tua
disposizione suo fratello divenne sovrintendente dei tesori di pietre-bianche
estratte dalle montagne. Egli tuttavia consegna allo Stato solo la metà,
l’altra metà la ricevi tu e la nascondi nel tempio di Monna”.
27.
Queste parole
producono un grande stupore nella cerchia dei presenti. Il sommo sacerdote,
rimasto quasi senza parole, finalmente balbetta: “Su questo, supremo, io volevo
appunto riferire, giacché al tuo occhio nulla sfugge”.
28.
“Io mi chiamo
Karmuno, colui che vede lontano!”, osserva freddamente il sommo sacerdote, e
accentando in maniera tagliente, soggiunge: “Adesso riferisci altro!”.
29.
Il sommo
sacerdote di Monna è intimidito. Egli è incerto su quanto Karmuno è venuto a
sapere sulla sua attività, poiché non era sua intenzione chiarire questo.
Adesso sente che se fosse sorpreso a mentire, ciò gli potrebbe essere fatale,
per cui si decide a non tacere nulla. Con voce sicura prosegue:
30.
“Nel tempio
sono ammucchiati grandi tesori di cui Areval non sa nulla, che però sono a
disposizione del Consiglio del tempio, non appena si prenderà una decisione in
merito. È anche rimasto segreto che il tempio sfrutti per sé una miniera
particolarmente ricca, i cui ritrovamenti affluiscono solo a noi con l’aiuto di
Volto e di suo fratello”.
31.
“Da dove prendi
gli operai?”, domanda Karmuno.
32.
Osservando con
sguardo scrutatore il sommo sacerdote, l’interrogato risponde: “Sommo, tu lo
sai”.
33.
Karmuno fa cenno
col capo e dice: “Parla a causa degli altri”.
34.
All’inizio
titubante, ma poi sempre più sicuro, il relatore prosegue:
35.
“È ormai da
circa un anno che in Monna una setta, alla cui attività noi non avevamo attribuito
troppa importanza, ha cominciato a diffondersi fortemente, e per noi in maniera
pericolosa. Rammento ai fratelli che si trattava di gente la quale sosteneva
che il nostro tempio della bellezza fosse diventato un focolaio del vizio, e
che l’alto significato ad esso proprio, di essere sotto Maban un luogo di
elevazione, sarebbe stato profanato, poiché le sacerdotesse del tempio
sarebbero diventate venali prostitute. Voi sapete che noi abbiamo deciso di
punire tali dicerie e abominevoli calunnie nel modo più severo, con la morte.
36.
Poiché ora
accadde che in una piccola località sorse un uomo il quale sosteneva che la
divinità, apparsa ogni anno visibilmente nel nostro tempio – e voi, amici miei,
certo non ne dubitate, poiché è stata vista spesso coi vostri occhi” (un
sorriso cinico e un moto dileggiante d’approvazione coglie l’adunanza a queste
parole), “non sarebbe veramente mai entrata nelle mura del tempio stesso. Essa,
infatti, non dimorerebbe nei cumuli di sassi fatti da noi stessi, ma nel petto
dell’uomo. – ‘Cercate la Divinità in voi! Purificate voi stessi, il tempio
primordiale della Divinità! Siate voi stessi sacerdoti del santuario
interiore!’. – Così suonava la nuova dottrina sorgente. Essa trovò seguaci
nella classe più povera con estrema rapidità e presto procurò a noi,
propriamente i veri sacerdoti, odio e disubbidienza. Riunioni segrete erano
tenute dai suoi nuovi seguaci. Il profeta girava nel paese ed era protetto e
nascosto dai seguaci. Il malcontento verso di noi minacciava di sfociare in aperta
ribellione, se la pericolosa setta non fosse stata sradicata e distrutta.
37.
Sono contento
di poter riferire qui che questo è riuscito. Da alcune spie ho saputo presto
dove si tenevano le riunioni. Ho lasciato che si rallegrassero nell’illusoria
sicurezza, e un giorno le fedeli truppe del monnor hanno snidato questi
traditori dai loro nascondigli insieme al loro profeta. Nessuno è sfuggito al
tempio, e ora essi scavano come suoi schiavi nella regione del fuoco di Monna
alla ricerca dell’inestimabile pietra-bianca. Questi sono gli operai dei quali
ha domandato l’illuminato sommo sacerdote!”.
38.
Questo discorso
trova generale approvazione. Il sommo sacerdote di Nustra domanda ancora: “Che
cosa è accaduto con l’infame calunniatore e rivoltoso?”.
39.
Indifferente,
il suo collega risponde: “Poco tempo fa è stato bruciato!”.
40.
“E il pericolo
in Monna è totalmente eliminato?”.
41.
“Totalmente! Da
quando le caverne del demone Usglom ospitano i fanatici, ognuno è convinto
della loro infamia. In Monna regnano nuovamente la calma e la precedente fede”.
42.
L’adunanza è
particolarmente contenta di quanto ha sentito. L’occhio acuto di Karmuno passa
dall’uno all’altro. Si fa silenzio nell’ampia sala, il lieve borbottio di
approvazione tace quando egli dice:
43.
Fratelli, è
giusto che i tesori che si ammassano nel tempio del paese di Monna non
ammuffiscano là. Ogni sommo sacerdote ne ha parte, come anche i due sacerdoti
subordinati che stanno a lui più vicino. Discuteremo più tardi sul loro
migliore impiego. Siete soddisfatti così?”.
44.
Risuonano gioiose
esclamazioni di entusiasmo che manifestano il desiderio di far scendere la
salute della Divinità Schodufaleb sull’illuminato sommo sacerdote di tutti i
Paesi. Karmuno ha di nuovo forgiato le catene per legare a sé le anime dei
presenti. Egli conosce l’avidità e il suo potere.
45.
“Sommo
sacerdote di Sutona, adesso riferisci tu”, dice Karmuno sedendosi, mentre cessa
immediatamente l’umore gioioso.
46.
Dalla fila dei
sacerdoti si alza un uomo dal cui volto traspare un valore spirituale. Calmo,
impenetrabile, quasi come una maschera appaiono i suoi tratti. Quest’uomo si
domina perfettamente; la sua bocca potrebbe ridere, mentre il suo cuore
sanguina. Dai suoi occhi scuri, profondi come il mare, vedo un’invincibile
forza di volontà. Una lunga barba si avvolge a riccio intorno al nobile profilo
marcato, con la bocca sottile e saldamente chiusa. Quando si alza con
tranquillo garbo, mi colpisce il suo aspetto regale. In verità, questo è un
uomo il cui aspetto esteriore lo fa sembrare degno di un trono. Adesso parla lentamente
con voce melodiosa.
47.
“Non ho nulla
di nuovo da riferire a questo alto Collegio. Che cosa dovrebbe accadere di
nuovo agli abitanti di Sutona, a questo popolo montano che sta un centinaio
d’anni indietro rispetto a Mallona, Nustra e Monna? Il popolo propende a ciò
che ha ricevuto attraverso di noi; non vuole nient’altro ed è soddisfatto!”.
48.
Karmuno ha
guardato l’oratore con un po’ di diffidenza, e ora lo interrompe:
49.
“Sappiamo che
il sutor è un gigante nel corpo, ma dotato del cervello di un bambino. L’esperienza
insegna che anche i bambini diventano ribelli e si rivoltano contro i loro
genitori. Non lo hai mai visto in Sutona?”.
50.
“Mai, sommo, e
in Sutona non lo vedrò mai!”.
51.
Quest’uomo sa
mettere nell’espressione della sua voce una tale pienezza di convinzione che
queste parole soffocano subito qualsiasi dubbio in tale possibilità. Karmuno
evidenzia solo in tono tagliente: “Tu vegli, non è vero, sul popolo e sul
sutor?”.
52.
Rivolgendo
l’occhio completamente al sommo sacerdote, l’interrogato dice con impressionante
calma e sicurezza:
53.
“Io veglio,
sommo, e veglierò!”.
54.
Karmuno china
il capo. Anche gli altri sacerdoti col loro movimento fanno intendere che
considerano in maniera evidente Sutona come inferiore e non pericolosa. Il
sommo sacerdote di Sutona si siede.
55.
Karmuno adesso
si alza e bisbiglia al sacerdote che sta seduto alla sua destra, il suo fidato
scrivano, alcune parole. Costui prende da una borsa un gran numero di fogli
simili alla pergamena. Al sacerdote che siede a sinistra dà ciò che pare un
ordine, dopo di che costui si dirige verso l’uscita. Egli si assicura che le
diverse porte siano ben chiuse e che nessun ascoltatore indesiderato possa
sentire ciò che Karmuno si propone di comunicare al Collegio. Torna indietro
annunciando che vi è massima sicurezza. Ansiosi, i sacerdoti guardano a
Karmuno, la cui espressione promette loro importanti comunicazioni. Egli dice:
56.
“Nobili
fratelli e confidenti, illuminati sommi sacerdoti dei nostri paesi! Voi avete
sentito quale apparente calma e quale pace regnino su tutti i continenti di
Mallona. Sapete che disordini e ribellioni contro i nostri insegnamenti – che
la Divinità stessa ci ha rivelato, affinché i popoli potessero vivere in pace –
sono stati da noi puniti e soppressi. È meglio che singoli pervertitori
periscano totalmente, piuttosto che avvelenino il pensiero dei popoli.
57.
In seguito a
ciò vi ricordo che la mia casata, sotto il governo di Maban stesso, dovette
sopportare delle persecuzioni, perché al re, altrimenti grande, non sembrava
giusto che nel Consiglio dei sacerdoti si sostenesse la convinzione che al
mediatore tra la Divinità e gli uomini spettasse fede incondizionata e, alle
sue parole, illimitata forza di legge. Allorché una grande schiera di sacerdoti
si associò a questo saggio insegnamento, Maban ci bandì. Areval ci richiamò e,
vedete, una felice pace regna nei paesi da quando noi stiamo accanto al re, il
quale ha trovato in noi i suoi più fedeli compagni, e in me il suo più leale
consigliere”.
58.
Sono dati segni
di approvazione. Karmuno prosegue:
59.
“Deve rimanere
così anche in futuro? Vedo nelle vostre facce che voi tutti lo desiderate, e
anch’io sono di quest’opinione. Vedete però, un pericolo sta in agguato dietro
di noi. La frustrazione del nostro successo non è più lontana, se non rimaniamo
uniti come lo siamo stati finora per evitare la rovina. Perciò ascoltate:
60.
Voi tutti
sapete che re Areval, durante la presentazione di Rusar, negò a me, al sommo
sacerdote, la supremazia mediante la formula a voi ben nota. Io ho cercato la
causa più profonda del suo agire e ne ho trovata la vera ragione. Due parole
soltanto e riconoscerete la grandezza di quella sciagura che ci minaccia:
Muhareb vive!”.
61.
Un’esplosione
non poteva provocare un effetto più paralizzante di questa notizia. Solo il
gran sacerdote di Sutona non mostra nessun segno di agitazione. Esclamazioni di
stupore, di spavento, domande eccitate provocano una confusione di voci, in cui
quella forte del sommo sacerdote diviene impercettibile. Quando l’eccitazione
si placa, Karmuno prosegue:
62.
“Il figlio del
re, il cui nome ancora oggi gli abitanti di Nustra sentono con un brivido di
riverenza, appartenendo a lui con anima e corpo nel caso egli sviluppasse la
forza per legarli a sé – vive! Egli potrebbe strappare il potere del re ad
Areval: esso, infatti, appartiene a lui, all’erede al trono un giorno
scomparso. Tuttavia, grazie alla Divinità, Schodufaleb lo ha disposto così:
Muhareb non ci sembra pericoloso, invece Areval sì! Ascoltate ciò che sono
venuto a sapere:
63.
Come eremita
sconosciuto e misero, Muhareb viveva sulla sponda del mare. Egli ha abdicato.
Io ho esplorato il suo nascondiglio. L’ho fatto cercare, e i nostri fedeli
servitori del tempio lo dovevano catturare di nascosto. Tuttavia la sua dimora
è vuota, come ho visto io stesso. Da lì è scomparso, e dove sia andato, mi è
sconosciuto. Egli deve essere trovato, e io lo troverò! Lasciate fare a me. Non
temo che egli aspiri di nuovo al potere, lo avrebbe dovuto già fare prima. Tuttavia
la cosa peggiore è che Areval sappia che suo fratello vive. La consapevolezza
di essere innocente della morte di Muhareb, ha restituito forza ad Areval e,
con ciò, la sua capacità di resistenza verso di noi. Perciò quell’irriverenza
verso di me, perciò ci è resa più difficile l’ultima vittoria, alla quale
eravamo già così vicini.
64.
Noi però al
posto della regalità vogliamo stabilire il dominio spirituale assoluto del
tempio. Se governa lo spirito, di cui noi abbiamo cura, e che riconosciamo come
il migliore, allora ai suoi rappresentanti spetta anche il potere esteriore. Il
mondo sia sottomesso al nostro spirito, non viceversa. Il nome di Muhareb ci
serve per assicurarci questo potere. Guidato con intelligenza, il malcontento
contro Areval crescerà, se il popolo viene a sapere che Muhareb vive! Ben
inteso, egli viva solo fino a quando ci servirà, e sparisca non appena dimostri
sete di potere!
65.
Ecco, prendete
questi fogli: essi contengono le istruzioni che ognuno dovrà adempiere nel suo
Paese. Se saranno eseguite così come indicato, la vittoria non mancherà.
Ciascuno legga con zelo e in pace questa sera, e porti a termine quello che gli
dice il foglio. Ci riuniremo qui di nuovo domani per la seduta e decideremo
fermamente ciò che serve al tempio. Ne siete soddisfatti?”.
66.
Da tutte le
parti risuona una generale approvazione. Un vivace, appassionato borbottio
attraversa la sala per lungo tempo. Karmuno lascia che gli animi eccitati si
calmino, poi abbandona il suo posto e dice con volto smaliziato:
67.
“Siete
affaticati, fratelli, e bisognosi di riposo. Perciò chiudo la seduta!”.
68.
Ancora
approvazione e sorrisi soddisfatti dei presenti. Karmuno preme ad una
decorazione della parete. Una parte di questa si sposta indietro mostrando
un’uscita segreta. Lui e i sacerdoti s’introducono nel passaggio e, attraverso
successive porte, giungono in una vasta stanza, preziosamente arredata. Tavole
riccamente imbandite con cibi, invitano al godimento, e morbide poltrone
invitano al ristoro.
69.
Ora si apre una
stanza attigua e una schiera di bellissime fanciulle si riversano ridendo e
scherzando verso i sacerdoti. Sono le “dee” del santo tempio della bellezza. La
ben custodita, sicura stanza è il giardino d’amore dei suoi sacerdoti che qui
fanno sacrifici…
[indice]
70.
Alla stazione di Nustra,
in un punto centrale di strade che sboccano nella città per i noti veicoli, c’è
molto movimento. I viceré di Monna e Sutona si congedano da Rusar per ritornare
alle loro residenze. Visite di re sulla nostra Terra mostrano non meno
formalità e sfarzo che qui. Vedo file di soldati e un seguito formidabile dei
sovrani, funzionari e curiosi che si accalcano intorno alla stazione di Nustra.
Qui non esistono rotaie, ma molte sbarre si stendono attraverso la rimessa, in
mezzo alle quali i veicoli possono entrare e uscire senza impedimenti. L’intero
traffico è regolato proprio come in una stazione sulla Terra. In un luogo
particolarmente protetto c’è una lunga fila di vetture coperte. Sono il seguito
cortigiano dei viceré.
71.
Il monnor è
appena salito sulla sua spaziosa vettura, dopo essersi congedato da Rusar e dal
sutor. Una musica si fa sentire, e tra esclamazioni di ‘evviva’, fuori dalla
rimessa esce prima un corteo di tre vetture, poi il monnor nella sua sfarzosa,
e infine una fila di sei veicoli nei quali si trova il seguito. La colonna
imbocca la direzione est e presto giungerà al mare dove, grazie ad una lunga
serie di ponti che collegano le isole, non incontrerà nessun ostacolo per
raggiungere il continente Monna.
72.
Rusar parla
animatamente col sutor. A una certa distanza scorgo la maestosa figura del
sommo sacerdote di Sutona. Quest’ultimo già a tarda sera è giunto da Mallona,
proveniente dalle riunioni del Consiglio dei sacerdoti, per accompagnare a
Sutona il suo sovrano. Egli è circondato dai sacerdoti di Nustra di grado
elevato, e parla tranquillamente col sommo sacerdote del Paese.
73.
Ora vi è di
nuovo movimento: si avvicina il momento della partenza. Il sutor si congeda da
Rusar e sale sulla propria vettura. Questa è una specie di vettura salone che
permette un po’ di movimento, provvista di sedili e tavoli pieghevoli e, da
tutte le parti, provvista di veduta panoramica. I lati e la parete anteriore
sono protetti da un materiale simile al vetro che è flessibile come la mica. Il
materiale è un prodotto sconosciuto, trasparente, infrangibile, in grado di
sostituire il nostro vetro. Il conducente della vettura si trova su un alto
sedile posteriore, protetto dalla corrente d’aria da una visiera di materiale
simile al vetro. Indossa un casco, cosicché non può guardare all’interno della
vettura, tuttavia può guidare la stessa comodamente attraverso leve e ogni
genere di congegni.
74.
Il sutor ora si
rivolge al sommo sacerdote del suo Regno. Un movimento della mano gli fa capire
di salire sulla vettura del re. Il sutor si rivolge ancora una volta a Rusar,
lo abbraccia e torna indietro. Adesso si sente una musica, saluti con le mani
da tutte le parti, esclamazioni e grida. Lentamente la fila di vetture esce
dalla rimessa, volgendosi però verso sud, ugualmente verso il mare.
75.
Secondo il
nostro calcolo del tempo, il corteo del sutor potrà essere stato per strada da
circa un’ora. Mi sorprende che la sua vettura viaggi molto separata dalle
altre. Il corteo che lo precede e che lo segue mantiene una notevole distanza
dalla vettura regale: in viaggi del genere, questa è una particolare
disposizione del sutor, il quale vuol restare il più possibile indisturbato dal
suo seguito. I due passeggeri sono seduti finora silenziosi uno di fronte
all’altro, lanciando sguardi indifferenti al paesaggio abitato. Adesso gli
abitati sono diventati sempre più scarsi e i viaggiatori possono essere sicuri
che sguardi curiosi non li infastidiscano oltre. Delle vetture che vanno in
senso opposto, il sutor è sicuro: in simili viaggi regali, infatti, le vie da
stazione a stazione sono chiuse per il traffico comune, finché il sovrano non è
passato.
76.
Il sutor si
rivolge adesso al suo sommo sacerdote e dice amichevolmente: “Ora basta col
dovere. Siamo sulla via di casa verso Sutona e possiamo di nuovo ricordarci
della nostra dignità di uomini. Deponi la tua maschera dell’inavvicinabilità,
mio Curopol. Sii di nuovo amico, non sacerdote!”.
77.
Come se queste
parole espresse con affetto avessero sciolto un incantesimo, dal volto del
sommo sacerdote scompare quell’aspetto mascherato. Gli occhi, che finora
sembravano freddi e insondabili, assumono un’espressione di mitezza, la bocca,
chiusa fermamente, sorride. L’intera figura si distende e con la sua profonda,
sonora voce, questo splendido uomo dice: “Non appena lascio Sutona, nel mio
interiore m’irrigidisco come ghiaccio. Solo la tua parola fa risplendere
nuovamente il sole della patria”.
78.
“Va
diversamente a me, Curopol? È un bene che noi di Sutona siamo rimasti integri
dal servilismo degli altri. Schodufaleb ci protegga da loro!”.
79.
Malinconico e
serio, l’interpellato guarda il sutor e, con tono angosciato, dalle sue labbra
risuona:
80.
“Schodufaleb è
diventato sordo alle nostre preghiere. Nemmeno Sutona salva più ciò che è
abbandonato alla rovina. Da noi stessi andiamo alla malora”.
81.
“Lo so”,
risponde il sutor, “e non meritiamo nulla di meglio! La mia permanenza là, in
quei paesi, mi ha di nuovo riempito di ribrezzo. Un alito pestifero, un odore
di fradiciume ed esalazione di marcio sale da lì, dove ogni sentimento tendente
al superiore, è morto. – Essi ridono di noi, e non comprendono che la
venerazione della Divinità ci dà ancora un valore interiore che loro hanno
perduto da molto tempo. E che l’energico sutone, su Mallona, sia ancora il solo
che sente scorrere nelle sue vene un sangue puro, non rovinato da voglie e
passioni!”.
82.
“Sì, non
rovinato, ma anche incapace di esclamare contro i nemici della sua purezza un
tuonante ‘stop’. Una volta il sutone era temuto per il suo operare pieno di
forza, così dichiarano i nostri canti e le antiche tradizioni. Non tollerava il
male, onorava la Divinità e la sua azione. Egli è sprofondato giù da
quell’altezza. Il suo corpo è ancora pieno di vigore, ma debole è la sua
volontà. Oseresti tu, o sutor, andare contro Areval con i tuoi sudditi, per
proteggere i beni spirituali di Mallona? Rispondi negativamente, tu sai bene
quanto me che la fine del nostro popolo sarebbe sicuro; oggi, infatti, il
sutone non è più temibile appena scende dalle sue montagne.
83.
È vero che le
gigantesche montagne della patria ci proteggono dalle invasioni rapaci dei
vicini, ma una spedizione bellica dei nostri sarebbe di poco successo. Il
sutone si dissecca facilmente nelle miti pianure e, presto, si lascia catturare
dai lusinghieri suoni del piacere. Nel Paese il sutone è ancora oggi potente,
il potere dei monti mantiene pura la sua anima. Se scende dalle sue montagne,
presto diventa snervato e debole. L’isolamento è perciò ancora l’unico mezzo
per conservare il nostro popolo. Restiamo così, finché piace a Schodufaleb e –
finché Egli non lascia ancora sopravvenire su di noi la rovina”.
84.
Il sommo
sacerdote ha accentato seriamente le ultime parole e con gesto di approvazione
il sutor domanda:
85.
“Che cosa ha
deciso di nuovo la banda dei sacerdoti, per accelerare la rovina che tu hai
previsto già da molto tempo?”.
86.
“Signore,
Karmuno è il demone Usglom incarnato in agguato nelle profondità, altrimenti il
suo senno non avrebbe pensato qualcosa di così mostruoso. Già da qualche tempo
il tempio domina in tutti i paesi e si arroga ogni potere nel mondo. Karmuno ha
diffuso lentamente la dottrina secondo cui la Divinità si manifesta a Mallona
solo attraverso i sommi sacerdoti; che si rivela solo a loro, e che ogni
mortale deve ubbidire solo alla volontà che parla attraverso il sacerdote. Ora
vuole consolidare ulteriormente il dominio su tutti gli animi. Egli impone che
ogni mortale si scelga un sacerdote al quale affidare tutte le sue preghiere, tutti
i suoi desideri, le sue azioni e i suoi pensieri, affinché costui le sottoponga
alla Divinità per la decisione.
87.
Che piano
gigantesco sia questo, tu fai presto a capirlo. Su Mallona non potrà accadere
più nulla che Karmuno non lo venga a sapere. Imporre la costrizione delle
coscienze, l’istupidimento e la schiavitù dello spirito, sarà presto il compito
di colui che è chiamato ad accendere nei cuori la luce della Divinità. Karmuno
ha escogitato perfette regole affinché il sacerdote possa raggiungere più
facilmente il suo scopo. Con gioia saranno eseguite le disposizioni, esse,
infatti, assicureranno il dominio di ogni singolo nel proprio distretto, e
nello stesso tempo alta ricompensa con la più severa attuazione!”.
88.
“E tu, Curopol,
come eseguirai queste regole?”.
89.
“Io saprò
togliere loro il veleno, renderò innocue le punte e provvederò che gli abitanti
di Sutona rimangano ciò che sono stati finora, dovessero nel frattempo
fisicamente perire. Io sono e rimango ‘sutone’, non schiavo di Karmuno!”.
90.
“Schodufaleb,
protegga la tua impresa! Io ti sosterrò con gioia come ho fatto finora. Che
cos’altro hai appreso nel Consiglio dei sacerdoti?”.
91.
“Karmuno ha
annunciato che Muhareb vive: una notizia a noi già nota da molto tempo, che lui
tuttavia vuole sfruttare per i suoi scopi. Egli pensa di istigare gli animi
attraverso questo fatto contro Areval, e di guidarli a suo piacimento”.
92.
“Muhareb non
ambisce al trono di re!”.
93.
“Karmuno lo sa,
e per questo osa tale gioco”, risponde Curopol.
94.
Riflessivo, il
sutor domanda “Hai parlato e visto Upal, colui che ha trovato la pietra
aurea?”.
95.
“No, signore.
Upal è scomparso. Nessuno, neanche i suoi genitori sanno dove egli si trovi.
Perciò temo che i vecchi siano in pericolo, e sono preoccupato per il destino
di questo coraggioso. Egli è l’unico che possiede il terribile segreto per la
produzione del materiale esplosivo Nimah, che un giorno il suo antenato scoprì
e lo affidò a Maban. Da allora questo segreto di Stato è custodito, e solo in
caso di bisogno potrà essere prodotto da fidatissimi. Voglia Schodufaleb
evitare che un giorno dobbiamo chiamare da noi Upal, per difendere il nostro
paese”.
96.
Dopo una lunga
pausa di mutismo, il sutor si alza e domanda:
97.
“Che cosa pensa
il clero sul nobile Numo che insegnava in Monna, e osava dichiarare la verità
sul tempio?”.
98.
Curopol
risponde indugiando: “Signore, è avvenuto come io temevo. Tutto ciò che è
nobile è stato annientato, la verità soffocata e scacciata. Solo menzogna,
inganno e schiavitù hanno su Mallona ancora prospettive di successo. La cattiveria
trionfa dappertutto e perciò nemmeno il castigo è più lontano. Come, e
attraverso che cosa essa arriverà, lo sa solo la Divinità; tuttavia colpirà
anche noi; noi, infatti, siamo tutti partecipi alla grande colpa”.
99.
“Tu mi eviti,
Curopol! Rispondi: che cosa è stato del nobile Numo?”.
100.
Sommessa e
commossa suona la risposta: “Lo hanno bruciato!”.
101.
Come morso da
un serpente velenoso, il sutor si accende d’ira: “Bruciato, Numo, questo
nobile, la cui bocca esprimeva solo verità, il cui cuore batteva per tutto ciò
che è buono, l’amico dei poveri e degli oppressi? – Ucciso? O misera umanità,
vergognosi sacerdoti che soffocano il meglio solo per servire se stessi! Questi
seguono il vizio, praticano ogni cattiveria, deridono la Divinità! Maledizione
a questi carnefici! Curopol, io non afferro ciò che dici: è proprio vero?”.
102.
“È vero!”.
Suona sommessa la voce.
103.
Mandando un
gemito, il sutor si getta sui cuscini della vettura e lacrime scorrono sulle
sue guance. Dura a lungo prima che si riprenda. Poi si rivolge a Curopol e dice
sottovoce:
104.
“Adesso sento
chiaramente la verità delle tue continue profezie sull’avvicinarsi della
punizione. Con Numo è morto l’ultimo tentativo della Divinità di allontanare la
rovina da Mallona. I popoli sono impantanati nei vizi, gli animi morti. Il bene
è soffocato; il male trionfa. Su Mallona regna peste, putrefazione e morte!
Nessun soffio di vento fresco scaccia il suo asfissiante respiro e noi, – noi
precipitiamo altrettanto nella rovina. Periremo a causa di noi stessi. Siamo
troppo deboli per succedere al cedente giorno. Dunque benvenuta notte! Coprici
con i tuoi veli, annientaci, uccidici!”.
105.
Le ultime
parole del sutor diventano un sussurro. Curopol guarda con profondo dolore nel
cuore del suo amico e signore.
106.
La vettura nel
frattempo ha raggiunto la costa del mare. Audaci costruzioni di ponti si
lanciano da un’isola all’altra e portano ormai i viaggiatori verso la patria
Sutona. L’immobile intrico di rocce forma una corona attorno alla costa di
Nustra; sono comodi nascondigli per imbarcazioni che forse con la tempesta
temono le onde del mare. Non si vede però alcuna vela, nessuna nave, poiché le
alte arcate dei ponti collegano più facilmente e senza pericoli i continenti.
107.
In
quest’istante la vettura del sutor passa sopra un’arcata che, in gigantesco
slancio, dall’ultima roccia di Nustra, dal mare si stende sopra verso Sutona;
allorché dietro un blocco smembrato spunta fuori un’imbarcazione, nella quale
siedono tre persone. Curopol la vede. Un movimento istintivo verso il sutor fa
sì che costui sollevi lo sguardo. Anche lui scorge l’imbarcazione e si
spaventa. Curopol indica l’imbarcazione che scompare dietro le rocce e,
respirando faticosamente, la sua bocca manda fuori: “Muhareb, Upal! Con loro si
avvicina la vendetta!”.
[indice]
1.
Nelle descrizioni della
veggente che in un certo qual modo riviveva nuovamente il passato, trasportando
gli avvenimenti contemplati nel presente, dopo l’ultima immagine subentrò un
arresto. Si vedeva chiaramente nella mimica della faccia che lei vedeva, sì,
degli avvenimenti, ma taceva ostinatamente su di loro. Infine comunicò a tratti
alcuni fatti, ma proibì di trascriverli finché lei stessa non lo avesse
richiesto.
2.
Dopo alcuni
giorni, in cui nel frattempo continuarono frequenti tentativi, lei riferì
quanto segue:
3.
Adesso scrivete
di nuovo ciò che ho visto. Sono terribili e incredibili gli avvenimenti di cui
sono stata testimone. Se volessi descrivere tutti i particolari, nessuno mi
crederebbe e ci si burlerebbe di me. Perciò dico solo a grandi linee quello che
allora accadde.
4.
Karmuno e la
sua banda di sacerdoti aveva saputo diffondere eccellentemente la voce del
ritorno di Muhareb. Egli era esaltato come figlio di Maban, avendo ereditato le
caratteristiche del padre, e avrebbe potuto portare l’impero di nuovo al più
alto periodo aureo. La speranza in tempi migliori trovò un’illuminazione tanto
più buia, quando fu noto che Areval voleva sottrarsi ad ogni influenza del
tempio, al quale proprio Maban aveva conferito una così alta importanza.
5.
Le voci
sorgenti che il legittimo sovrano Muhareb sarebbe ricomparso, all’inizio
trovarono incredulità. Specialmente Rusar non voleva pensare a questa
possibilità, nonostante Karmuno gli avesse dato personalmente comunicazione su
questo fatto. Egli tuttavia conosceva troppo bene il sommo sacerdote. La sua
intenzione apertamente espressa, di servirsi del nome di Mahareb per i suoi
scopi, faceva sospettare che lui avrebbe istruito una persona che per Karmuno
recitasse il ruolo del principe ritornato. Quando però un giorno Upal comparve
davanti a Rusar e gli spiegò non solo la verità su Muhareb, ma anche le
intenzioni di suo fratello Arvodo, allora l’ira soverchiò l’ingannato e giurò
al re, come al suo generale, una terribile vendetta.
6.
Egli fece
pressione su Upal per indicargli il nascondiglio nel quale Muhareb si teneva
ora nascosto. Upal lo fece, e all’improvviso Muhareb fu sorpreso da Rusar con
un gran seguito che gli rendeva omaggio come legittimo re. Quando Rusar lo ebbe
trovato nella piccola capanna al mare, osservando con stupore quell’uomo
venerabile, gli domandò indugiante: “Sei tu Muhareb, figlio di Maban?”. Con la
dignità dell’uomo cosciente del proprio valore, che si aspetta l’onore a lui dovuto,
questi rispose semplicemente: “Io lo sono!”, mentre i suoi occhi si posavano
penetranti su Rusar. E quando egli s’inchinò dinanzi a lui, per rendere omaggio
al suo legittimo re e signore, Muhareb non lo impedì, ma accettò l’omaggio e in
silenzio seguì il viceré. Appoggiò il braccio sulla spalla del suo giovane
accompagnatore e, con lui e con Rusar, salì volentieri nella sfarzosa vettura
che li portò nella capitale di Nustra.
7.
Io ho visto
Muhareb nello splendore regale, il prezioso diadema adornava la sua fronte,
l’anello splendeva a un dito della sua mano destra. Una travolgente maestà
usciva dalla sua persona e affascinava il popolo di Nustra, il quale gli
rendeva omaggio entusiasta. Tutti gli onori gli furono tributati; egli dimorava
nel palazzo di Rusar, ma rimaneva di poche parole e dai suoi occhi si poteva
vedere quanto poco il suo cuore fosse toccato da tutto quello splendore.
8.
Poi vidi
Muhareb circondato da una grande moltitudine di popolo. I grandi di Nustra e
gli inviati di Monna e Mallona erano adunati; Muhareb parlò a lungo e
insistentemente davanti a questi, come un profeta che è pieno del suo mandato
divino. Egli mise in guardia il popolo dalla sua avidità di piaceri e dalla sua
effeminatezza. Dimostrò loro la caducità dello splendore terreno e la necessità
di tendere agli imperituri beni spirituali. Spiegò di non essere venuto a
predicare la disobbedienza verso suo fratello, bensì l’ubbidienza verso la
Divinità e il Suo Ordine. Quest’Ordine tuttavia il popolo l’aveva già
abbandonato da lungo tempo e lui, come figlio di re che ha deposto il potere
terreno per conquistare quello spirituale, voleva mostrare le vie tramite le
quali ognuno potesse giungere a quest’ultima meta della vita.
9.
Il discorso fu
d’imponente effetto. Il popolo era commosso e mancò poco che adorasse Muhareb
come il visibile rappresentante della Divinità Schodufaleb. Muhareb tuttavia li
esortò a rientrare in se stessi e a riflettere su ciò che aveva detto,
respingendo con decisione ogni ulteriore onore.
10.
Vidi anche
Karmuno che, travestito e irriconoscibile, aveva ascoltato questo discorso. Nel
Consiglio dei sacerdoti di Nustra, egli spiegò che il tempio dovesse ora
utilizzare il movimento suscitato da Muhareb per legare il popolo al tempio
ancora più saldamente che finora. A questo scopo sarebbe stato intanto
necessario sostenere i discorsi di Muhareb. Egli doveva essere ascoltato,
affinché poi si potesse agire come richiedeva l’interesse del tempio. Il giorno
dopo, i sacerdoti predicarono il pentimento nel regno di Nustra e cercarono di
indirizzare la pia fiducia degli abitanti verso il tempio principale di
Mallona, dove avrebbe troneggiato visibilmente la Divinità.
11.
A Mallona io ho
visto re Areval e Arvodo. Entrambi erano irritati al massimo per gli omaggi di
Rusar. Areval ordinò di trattare gli abitanti di Nustra come ribelli, qualora
non gli avessero consegnato Muhareb. Gli abitanti di Nustra tuttavia neanche ci
pensarono a dar seguito all’intimazione. Rusar si richiamò, nei confronti di
suo fratello, al giuramento prestato al loro padre morente.
12.
Arvodo non
comprendeva perché Muhareb, quel giorno sulla sponda del mare, avesse rifiutato
ciò che adesso con evidenza faceva volentieri in Nustra: mirare al dominio di
Mallona! Se Muhareb diventava sovrano, allora cadeva Areval e con lui il
generale. Egli perciò istigò Areval contro suo fratello, e ben presto
l’esercito di Areval si armò per una spedizione bellica contro Nustra.
13.
Muhareb
rabbrividì quando udì della spedizione vendicativa. Egli certamente sapeva con
quali mezzi spaventosi Areval avrebbe potuto diffondere morte e devastazioni,
grazie al terribile esplosivo Nimah. Upal era pronto ad affidare a Muhareb il
segreto del suo antenato accuratamente custodito, la produzione del Nimah, per
debellare la violenza con la violenza. Muhareb però non voleva nessun
spargimento di sangue. Aveva altri scopi che il potere. Egli diede a Upal gli
ordini necessari e, un giorno, Muhareb scomparve. Il velivolo di Upal lo portò
via di nascosto con il suo giovane accompagnatore.
14.
L’astuto
Karmuno si comportò del tutto indifferente. Approvò soltanto le disposizioni di
Areval, pensando tra sé che con la campagna militare avrebbe tanto prima
annientato il fratello a lui così scomodo e avrebbe avuto Areval in suo potere.
Egli conosceva troppo bene i nervi sovreccitati del re ancor sempre
interiormente malato, e sapeva di aver bisogno solo di una spinta favorevole,
possibilmente in assenza di Arvodo, per dominarlo di nuovo completamente.
Questo momento arrivò.
15.
Le caverne di
Wirdu negli ultimi tempi non avevano più dato i proventi come di solito. Areval
aveva comunicato al generale e confidente Arvodo, le preoccupazioni dei
funzionari, i quali consideravano questa forte flessione pericolosa per le
casse dello Stato. Arvodo tranquillizzò il re e gli riferì delle scoperte di
Upal, scoperte che lui stesso aveva visto. Da quel momento Areval si considerò
come vincitore del demone Usglom, guardiano dei tesori, il cui odio contro la
sua stirpe non aveva più bisogno di temere. Nonostante il terrore interiore,
egli nutriva il desiderio di vedere gli incommensurabili tesori, e Arvodo
glielo promise.
16.
In verità
Arvodo credeva di trovare dal mare l’insenatura solitaria, dalla quale un
passaggio l’avrebbe condotto all’interno della Terra, anche senza ulteriore
aiuto. Gli mancava tuttavia Upal con il suo velivolo come guida sicura. Perciò
lo fece cercare, ma non lo trovò. Convocò i genitori, e quando questi,
conformemente a verità, dichiararono di non saper nulla della dimora di Upal,
fece gettare gli anziani in prigione. Adirato, promulgò che Upal, lo scopritore
della pietra-aurea, ovunque lo si trovasse, fosse fatto prigioniero come
disubbidiente.
17.
Quest’ordine
indignò i fedeli, cui apparteneva anche Upal, i quali finora avevano
riconosciuto in Arvodo il loro fraterno superiore. Oltretutto Upal era
considerato un favorito della Divinità, altrimenti non avrebbe mai trovato la
pietra-aurea. Contro Arvodo sorse perciò un’atmosfera minacciosa, da cui ancora
una volta Karmuno seppe trarne presto profitto. Egli fomentò il nascente odio,
quando il generale lasciò la capitale per marciare contro Nustra.
18.
Non lontano
dalla sede del re, alle rive del lago, si trovava la splendida residenza di
campagna di Areval, dove egli si rifugiava per godere piena tranquillità. Qui
si sentiva sicuro, nessun intruso, infatti, si poteva avvicinare a questa
tranquilla sede di riposo, pena la punizione del lavoro nelle caverne di Wirdu.
Areval faceva piacevoli passeggiate con sua figlia Artaya nel solitario parco
della residenza di campagna. Nessun servitore li accompagnava. Qui Areval si
sentiva totalmente sicuro; il vasto parco, infatti, era circondato da un alto
muro. Presso un limpido laghetto, circondato da alti e fitti cespugli, Areval
oppure Artaya usavano a volte fare il bagno. Accanto al laghetto si trovava un
grande prato, circondato da boschetti impenetrabili.
19.
E quando i due
volevano visitare il prato, restarono stupiti. Nel mezzo del campo stava la
strana macchina volante di Upal e, quando essi si avvicinarono, si sentì un
rumore nei cespugli. Uscì l’alta figura di Muhareb. Accanto a lui il suo
giovane accompagnatore. I fratelli stavano uno di fronte all’altro: Areval
pallido e col respiro ansimante, Muhareb in maestosa grandezza di spirito, gli
occhi scuri malinconicamente rivolti al re.
20.
“Sono venuto a
metterti in guardia, fratello”. Risuonò energico dalle labbra di Muhareb. “Tu
mi perseguiti, ma io non sono tuo nemico. Hai mandato il tuo generale contro i
tuoi sudditi ribelli, o come credi che siano. Questi tuttavia non sono da
punire. Si sbagliano coloro che a Nustra credono che io aspiri al trono. Il mio
scopo è salvare le loro anime, come vorrei salvare la tua. Perciò desisti dallo
spargimento di sangue, e chiama indietro Arvodo!”.
21.
“Chiamare
indietro Arvodo?!”, si schernì il re. “Raffinata e astuta pensata! Nel
frattempo Rusar guadagna tempo per occupare tutti i passi montani. Gli abitanti
di Nustra si fanno gioco del mio potere. Non mi fido di te che dimori nelle caverne
di Wirdu, e con Usglom, il nemico mortale della stirpe di Furo[9],
hai concluso un patto per rovinarmi!”.
22.
“Nulla mi è più
lontano della tua rovina, fratello! Il passato l’ho perdonato e dimenticato. Il
trono che tu adesso occupi, non lo desidero! Fedijah riposa nel regno di
Usglom. I suoi tesori la circondano; egli si è riconciliato con la stirpe di
Furo. Lo spirito di Fedijah esige riconciliazione tra noi”.
23.
Con la menzione
di questo nome, Areval sobbalzò. I suoi occhi si dilatarono, il suo respiro si arrestò.
Guardava intorno a sé come demente e bisbigliò frettoloso: “Che Fedijah riposi
nel regno di Usglom, lo so da Arvodo. Lei esige riconciliazione – tu dici – da
me?”.
24.
Muraval, il
giovane accompagnatore di Muhareb, guardava con compassione l’impaurito re. E
come se questo sguardo avesse una forza magnetica, Areval si volse verso il
giovane. Quando gli occhi dei due s’incontrarono, Areval mandò un urlo,
barcollando indietro, e si appoggiò ad Artaya che gli stava più vicino.
25.
“Muhareb, chi è
questo giovane? Dal suo viso mi vengono incontro gli occhi di Fedijah. Così mi
guardò lei quando mi respinse, così mi perseguita ancora oggi il suo sguardo
nei miei sogni e da sveglio. Chi è costui con gli occhi di Fedijah?”.
26.
Imperturbabile,
grave e calmo Muhareb rispose:
27.
“Il figlio tuo
e di Fedijah! Io l’ho allevato, io lo porto al padre! Egli è l’erede di
quest’impero, – tuo figlio!”.
28.
Come se delle
mazzate avessero colpito il re, così fu l’imponente effetto di queste parole.
Areval crollò sotto il loro effetto; il suo senno malato non poté afferrare
subito ciò che era stato detto. Vide di nuovo emergere i fantasmi una volta
scacciati: essi stavano davanti a lui in palpabile violenza. Una folle paura lo
colse. Violento, raccolse le sue forze e lanciò contro il fratello queste
parole:
29.
“Menti, mostro!
Tu sei venuto solo per rovinarmi! Stai facendo con me una buffonata, un inganno
che io annienterò. Arvodo, dammi la tua spada! Le forme che tu hai ucciso
rivivono di nuovo. Io stesso le voglio uccidere!”.
30.
Areval aprì
bruscamente la sua sopravveste, sotto la quale portava sempre nascosta una
corta spada, la estrasse e scagliò l’arma contro il giovinetto che stava lì
tranquillo. Colpì fin troppo bene. La punta della spada si conficcò
profondamente nel petto di Muraval. Anche Artaya lanciò un urlo quando un fiume
di sangue sgorgò dal petto del giovane, il quale crollando fu afferrato da
Muhareb e Upal…
31.
Areval fissò
assente e irrigidito il morente, mentre le intense grida d’aiuto di Artaya
echeggiavano nel parco. Da lontano risposero forti richiami. La vigilante
servitù accorse per essere sul luogo in pochi istanti. Allora Muhareb e Upal
afferrarono il corpo senza vita del giovane, lo portarono in fretta sul
velivolo e lo adagiarono con cautela nella navicella.
32.
Già si udivano
i servitori irrompere attraverso i boschetti, accorsi in fretta alle grida
d’aiuto di Artaya, quando il velivolo si alzò. E Muhareb, ritto in piedi, col
volto che faceva paura, gli occhi pieni di dolore e collera rivolti al re,
tuonò verso costui: “Maledizione a te, re Areval, e ai tuoi! L’Ira del Padre
universale ti strangoli, strangoli l’assassino del figlio!”.
33.
Veloce il
velivolo si alzò e scomparve. Areval si accasciò svenuto. –
* * *
34.
Quando Rusar
sentì che suo fratello si avvicinava con un esercito per punire lui e gli
abitanti di Nustra a causa della ribellione, non rimase inattivo. Rapidamente
furono occupati i passi montani che da Mallona conducevano a Nustra. Era
impossibile scendere nelle pianure di Nustra, non prima che le poche vie
percorribili e l’unica scorrevole, fossero nelle mani del nemico.
35.
Rusar sapeva di
quali terribili esplosivi era dotato l’esercito di Arvodo, e che egli poteva
opporre efficace resistenza solo se fosse stato bloccato l’accesso dalle
montagne. Dalle alture anche lui, per mezzo di macchine catapulte, poteva
lanciare potenti ordigni esplosivi, sebbene questi non possedessero la forza
distruttiva del Nimah. La produzione dello stesso era rimasta un segreto di
Stato di Areval. Solo la forma più leggera era conosciuta e utilizzata
generalmente come forza motrice per le macchine. Solo le alte personalità dello
Stato ne conoscevano l’azione più potente, e l’effetto dirompente più terribile
che Maban una volta aveva impiegato, rimaneva segreto.
36.
Presto gli
eserciti di Rusar e di Arvodo furono uno di fronte all’altro, ma nessuno riuscì
a raggiungere il successo. Con efficacia furono difese le alture occupate per
tempo, alle quali le truppe di Arvodo non osavano avvicinarsi. Dovevano essere
impiegati altri mezzi per punire Nustra, ma le necessarie macchine non furono
immediatamente disponibili. Dovevano prima essere fabbricate nelle officine di
Stato, e così molto tempo inattivo trascorse, mentre nel frattempo nella
capitale Mallona accadevano decisivi avvenimenti.
[indice]
1.
Areval era completamente
crollato per il violento scossone dei suoi nervi: per la maledizione del
fratello e per l’assassinio del suo stesso figlio, il quale era un frutto del
suo criminoso attentato a Fedijah, un giorno rapita con violenza. Ora venne il
momento in cui Karmuno lo dominò come prima completamente. Il sommo sacerdote
aveva proibito ai servitori, sotto severissima pena, di dire una sola parola
dell’accaduto nel parco. Solo Artaya conosceva quanto successo e lo aveva
riferito a Karmuno. Costui seppe immediatamente renderle chiaro quanto fosse
importante, nel suo stesso interesse, di tacere sulla faccenda, essendoci forse
un erede al trono, la cui morte era incerta.
2.
Ma dove si
erano diretti Muhareb e Upal? Sapere questo era importante per il sommo
sacerdote, come altrettanto importante era sapere se Muraval avesse ricevuto
solo una ferita grave o fosse morto. Egli sospettava che il rifugio di Muhareb
fosse sulla sponda del mare, e quest’opinione fu confermata quando Areval gli
riferì la scoperta di Arvodo dei meravigliosi tesori nelle caverne di Wirdu.
3.
Subito egli
ordinò che un gran numero dei più fedeli servitori del tempio – i quali da
lungo tempo avevano dimenticato di aver paura degli dei, dei demoni e del Padre
universale – si apprestassero a penetrare nelle caverne di Wirdu per fare una
visita al rifugio di Muhareb. Sotto la sua guida essi giunsero dal mare al
piccolo paradiso. Trovarono quella che una volta era stata la dimora del figlio
del re, ma era vuota! Nulla rivelava che fosse stata abitata negli ultimi
tempi. Fu trovato anche il passaggio all’interno della montagna, il luogo nel
quale in passato era giaciuto il corpo pietrificato di Fedijah; ma anche questa
grotta era vuota, non vi era più traccia delle preziosità naturali di un tempo.
4.
Con sguardo
cupo e pieno di presentimenti, Karmuno ordinò di penetrare più profondamente
nelle caverne di Wirdu. Furono collocate innumerevoli fiaccole-manga che illuminavano
a giorno le imponenti caverne. Le tracce ancora visibili nella sottile sabbia
rivelarono chiaramente quale via era da imboccare; essa conduceva in tutti quei
luoghi che un giorno Upal aveva mostrato ad Arvodo. Ma anche qui c’era il
vuoto. La preziosa pietra-aurea, il bianco Rod era scomparso; brulla roccia,
masse spaccate che si ergevano ovunque, ma non accennavano ai tesori del demone
Usglom.
5.
Karmuno trovò
anche il posto dove era stato il velivolo di Upal. Egli guardò in su, nel
gigantesco camino, il quale si poteva raggiungere solo per mezzo di una tale
macchina e si dovette convincere che i tesori che si trovavano là in alto, per
il momento, restavano irraggiungibili anche per lui. Col cuore infuriato,
dovette ritornarsene con i suoi senza aver concluso nulla. Maledisse l’astuto
Upal che, come sicuramente presumeva, lo aveva preceduto. Karmuno fu costretto
a contenere la sua ira; contro questi fatti non serviva altro che pazientare.
6.
Areval
s’infuriò quando Karmuno gli comunicò che non erano state trovate le minime
tracce né di Muhareb né dei tesori. Nel suo cervello malato covava un pensiero
che cominciò a dominarlo sempre di più, finché alla fine si raccolse in un
ordine terribile.
7.
Posseduto dalla
credenza che suo fratello complottasse col demone Usglom la sua rovina, e che
Usglom avrebbe interrato i tesori alle più grandi profondità dimorando con
Muhareb all’interno della montagna, per rovinare lui e la sua casa, in
terribile furore un giorno gridò: “Li voglio affogare entrambi, perché sono io
il dominatore di Mallona! A me appartiene tutto questo mondo! Io sono signore
del mondo superiore come del mondo inferiore. Usglom, tu, antico nemico della
mia stirpe, io ti annienterò!”.
8.
Egli ordinò: si
doveva far saltare in aria le rocce col Nimah e far entrare il mare nelle
caverne di Wirdu. In tal modo voleva vincere Usglom e Muhareb, il nemico
secolare e il nemico del trono.
9.
Karmuno tentò
invano di distoglierlo da questo proposito, ma la folle idea era più forte.
Alla fine Karmuno cedette, poiché credeva che quest’impresa non avrebbe avuto
gravi conseguenze, oltre al fatto che le caverne si sarebbero riempite d’acqua.
In segreto tuttavia sperava che il re, con la presunta vittoria su Usglom,
avrebbe finalmente trovato la sua rovina.
10.
Artaya soffriva
molto sotto la tirannia di suo padre. Solo lei e Karmuno il re tollerava
intorno a sé, sicché a causa di questa situazione, la donna spontaneamente si
legava sempre più al sommo sacerdote, il quale sapeva compiangerla e le dava
consigli su come affrontare, nel miglior dei modi, gli attacchi del re. Inoltre
sapeva presentare Arvodo come un uomo che voleva regnare solo lui attraverso di
lei, il quale le avrebbe strappato di mano lo scettro e non ci avrebbe neanche
pensato di lasciarla partecipare al potere.
11.
Tutti questi
furtivi suggerimenti la fecero riflettere molto, se non fosse meglio diventare
la moglie del sommo sacerdote, di cui lei conosceva molto bene potere e
influenza. Karmuno, abile in tutti gli artifici, ossequiava la bellezza di
Artaya. E poiché si avvicinava la festa della bellezza, in cui era festeggiata
per un lungo tempo la fanciulla più bella come dea visibile della bellezza,
egli lasciò intuire che Artaya nel suo regno sacerdotale forse avrebbe potuto
ottenere la vittoria. La vanitosa creatura fu inebriata dal pensiero di poter
ottenere questo premio, premio che in Mallona era considerato il massimo onore
cui una donna potesse essere elevata.
12.
Karmuno era ora
sicuro della sua preda. Gli fu facile guadagnare il re malato. Arvodo era
trattenuto al piè dei monti dal suo esercito, nessuna notizia gli giungeva
dell’accaduto. Il giorno della grande festa della dea della bellezza, fu
aggiudicato l’ambito premio ad Artaya. Karmuno ottenne la mano della
principessa. Il tempio trionfò.
13.
Lontano, sulla
sponda del mare, risuonavano poderosi colpi per la posa delle mine, il cui
brillamento doveva procurare al mare un accesso nelle caverne di Wirdu…
[indice]
La medium
terminò il racconto di quanto aveva visto e spiegò di non poter più riferire
altre immagini. Tuttavia, quando si mise l’anello sulla fronte nel modo
consueto, pure le rappresentazioni cominciarono di nuovo come se lei fosse
personalmente presente agli avvenimenti.
.....................
1.
La forza che mi dà la
possibilità di vedere quanto succede a Mallona, mi attira verso il sud del
pianeta, dove si trova il grande regno di Sutona. Sorvolo il mare da Nustra e
giungo alle audaci strade artistiche: un portentoso ponte, i cui archi si
lanciano da isola a isola, finché non si raggiunge la terraferma di Sutona. In
parte ho conosciuto questa strada quando ho accompagnato il sutor nel suo
viaggio.
2.
Ora emerge il
continente di Sutona. Una vasta superficie di spiaggia deserta, poi segue una
regione disabitata, per metà brulla, per metà steppa. Il terreno diventa
collinare. Riconosco differenti località. Adesso noto un vasto fiume che scorre
tranquillo e spinge le sue acque al mare. Una grande città si trova su questo
fiume. Qui mi sorprende una vista insolita. Vedo delle imbarcazioni. Gli
abitanti di Sutona utilizzano il fiume come via per grossi carichi, sul vasto e
profondo fiume spingono anche zattere. Nel sud riconosco imponenti cime
tondeggianti, una strada carrozzabile si eleva fin là. Seguo la stessa e presto
mi circonda un paesaggio montano che diventa sempre più imponente. I monti
salgono ad un’altezza gigantesca, le cime sono abbracciate da veli di nuvole.
Il calore quasi insopportabile della steppa è sempre più attenuato da un fresco
vento del sud che cala dalle sterminate montagne meridionali.
3.
Le possenti
masse montuose si avvicinano sempre più. La strada passa attraverso una vasta
valle. Alla mia destra scorre veloce il fiume sul quale scivolano le imbarcazioni
guidate da esperti abitanti di Sutona. Adesso si avvicina la capitale, disposta
in una conca valliva. Monti giganteschi coperti di neve e ghiaccio formano lo
sfondo di un mondo alpino, come non è possibile vederne sulla Terra e contro i
quali i monti coperti di neve delle catene montuose di confine tra Mallona e
Nustra, sono un nulla.
4.
Contrariamente
al raffinato modo di vita degli altri continenti, vedo gli edifici della
capitale in semplice costruzione. Senza dubbi si può riconoscere che i suoi
abitanti danno più importanza alle necessità pratiche della vita che ai piaceri
e al ben vivere.
5.
Sono attirata
sempre più all’interno del paese. La capitale è dietro di me. Il fiume ora
scroscia impetuoso sui blocchi di roccia e si perde lateralmente in una valle,
mentre io seguo la carrozzabile che diventa sempre più stretta. Disordinati
gruppi di rocce ricoprono spesso la strada; cascate d’acqua precipitano ora a
destra ora a sinistra da notevoli altezze. L’intera regione è disabitata,
nessun essere vivente turba la maestà di questa solenne natura.
6.
Adesso la valle
si apre. Improvvisamente si erge un alto cono montuoso, circondato da
insuperabili montagne gigantesche e sopra questo monte, nella chiara luce del
Sole, risplende un castello imponente, come costruito da mani ciclopiche, che
guarda in giù minaccioso nel vasto paese. Questo è il castello di Ksontu. Qui
ritroverò il sutor e verrò a sapere che cosa ne è stato di Muhareb.
7.
In un alto,
ampio salone con grandi aperture per le finestre, vedo il sutor seduto ad un
tavolo coperto di fogli. Curopol, il sommo sacerdote e confidente, sta accanto
a lui e porge degli scritti che egli firma e restituisce. Adesso questo lavoro
è terminato e il sutor domanda:
8.
“Quali notizie
ha portato il messaggero da Mallona?”.
9.
“Signore,
Karmuno ha vinto. È erede al trono. Artaya diventerà sua moglie. Egli ha
disposto, nel nome del tempio, che si cerchi con zelo Muhareb, e ha messo una
ricompensa per colui che porterà notizie certe!”.
10.
“Come stanno le
cose con Muhareb?”.
11.
“Come sempre,
signore, vedete voi stesso!”.
12.
Curupol mostra
una porta chiusa, va verso la stessa e scosta il tappeto un po’ di lato. Il
sutor segue e vi guarda attraverso.
13.
Egli vede
Muhareb stare presso un’alta finestra ad arco, dalla quale lo sguardo può
spaziare liberamente nella valle e sullo splendido paesaggio montano. La stanza
non è molto grande, ma alta e arieggiata. Immobile sta la venerabile figura del
vegliardo. Gli occhi sono rivolti alle nuvole e scintillano nello splendore del
rapimento mistico, le mani sono saldamente strette sul petto. Nessun dubbio,
Muhareb nel suo spirito non è nel castello di Ksontu, egli vive nelle lontane
regioni della libertà ultraterrena, dove il corpo ancora non può seguire.
14.
Dopo che i due
hanno osservato con serietà e compassione il vegliardo immobile, il sutor si
volge via. Curopol lascia cadere il pesante tappeto e dice con tono attenuato:
15.
“Sta a lungo
così giorno e notte alla finestra, da quando Upal portò qui lui e il giovinetto
morto. Solo qualche volta scende alla cripta in cui riposano i corpi di Fedijah
e di Muraval. Non parla, mangia e beve solo l’indispensabile e tuttavia, il suo
spirito non è morto. Egli vive in regioni migliori, e là vivrà eternamente
quando qui infurierà la vendetta”.
16.
“Dov’è Upal?”.
17.
“Ha intrapreso
l’ultimo volo a Mallona. Ci porterà notizie da lì. È possibile che lo vedremo
oggi stesso. Temo che ci porterà brutte notizie”.
18.
“Perché temi
questo?”.
19.
“Perché credo
sicuramente che Karmuno abbia fatto ispezionare già da qualche tempo le caverne
di Wirdu per cercare Muhareb; credo che gli siano noti i segreti di Upal e avrà
scoperto che lui si è preso in tempo i tesori di Wirdu. Dove deve essere
fuggito Muhareb, dove deve averlo portato Upal. Se Karmuno non riceve notizia
attraverso i sacerdoti di Nustra e Monna, allora saprà che i fuggiaschi sono da
cercare solo in Sutona. È impossibile che il velivolo possa nascondersi a lungo
nei cieli dell’impero senza essere visto.
20.
Karmuno sa che
Upal oserà tutto. Non ci vorrà molto che altri velivoli attraversino l’aria.
Per vincere la resistenza degli abitanti di Nustra, Arvodo aveva preteso la
rapida costruzione di velivoli, affinché questi, facendo cadere il Nimah
dall’alto, uccidessero i difensori dei passi. Come Upal, si troveranno altri
temerari. Stimolati dall’alta ricompensa, questi faranno ciò che ordina
Karmuno. Siamo anche qui sicuri dal tradimento?”.
21.
“Qui,
nell’antico castello di Ksontu, non vive nessun traditore. Io apprezzo la
prudenza di Upal, il quale sa prendere le vie su cui nessuno vede il
temerario”.
22.
“Il Padre
universale conceda che rimanga sempre così!”, risponde Curopol che prende le
carte firmate, saluta e si allontana.
23.
Si è fatta
notte. Chi è stato in alta montagna sulla nostra Terra, sa quale magico fascino
si stende su una montagna nelle calde notti d’estate che splendono nel bagliore
della Luna. Nebbie bianche e delicate salgono dai precipizi in figure
fantasmagoriche, somigliando a cortei di spiriti che si arrampicano alle
altezze e scompaiono nell’etere buio. Il silenzio dell’Universo si diffonde
sulla natura sonnecchiante; regna un profondo silenzio sui monti. La luce
incerta della Luna non permette di riconoscere i particolari e inganna con
certe comparse il viandante che percorre solitarie vie le quali, guardate più
da vicino, spesso cadono nel nulla. Così è anche qui.
24.
Alle spalle del
castello spunta il disco pienamente illuminato di una luna. Una seconda luna
piena sta un po’ più in alto. La falce della terza luna sta in occidente.
Adesso vedo come dal disco lunare più alto passa una figura simile ad una T
latina. Così deve apparire il velivolo di Upal a grande distanza. Sulla torre
del castello la sentinella si muove. Anch’essa ha notato l’apparizione e lo
comunica al fedele servitore del sutor.
25.
Vedo che sulla
vasta piattaforma del castello sono fatti dei preparativi. Si accendono
fiaccole-manga. Adesso dall’alto lampeggia un raggio di luce, poi ancora un
altro. È un segnale che dà Upal. Trascorre un lungo tempo d’attesa, ecco che
nell’aria si sente un frusciare, prima lieve poi sempre più forte. Il velivolo
si abbassa lentamente e presto, silenzioso e immobile, sta sulla piattaforma.
26.
Dalla cabina
scendono Upal e due uomini avvolti in mantelli. Curopol si è presentato e
saluta Upal. Questi indica i suoi accompagnatori, e presto i quattro si recano
all’interno del castello. In una sala chiaramente illuminata il sutor riposa su
un divano. Svelto Curopol entra con Upal. Il sutor si alza di scatto, agitato,
e lo saluta. “Signore”, gli indirizza la parola Upal. “Porto con me altri due
uomini il cui volto voi sicuramente non immaginavate di vedere. Ecco, essi sono
qui!”.
27.
Curopol
introduce gli uomini. Quando questi sollevano le teste abbassate e la chiara
luce illumina i loro volti, il sutor si stupisce: davanti a lui, infatti,
stanno Arvodo e Rusar!
28.
“Signore, noi
siamo profughi, siamo perduti se tu non ci proteggerai”, dice con voce agitata
il generale.
29.
“Com’è
possibile?”, domanda il sutor meravigliato. “Siete qui entrambi, i fratelli di
sentimento ostili? Che cosa è successo; che cosa ha fatto Areval?”.
30.
“Nulla!”,
risponde sinistro Rusar. “Ma tanto più Karmuno! Noi siamo vittime della sua
astuzia!”.
31.
“Raccontate che
cosa è successo!”, esclama il sutor.
32.
“Dobbiamo
essere noi i messaggeri della propria vergogna? Lascia parlare Upal, egli sa
come si sono svolti i fatti”, si difende Arvodo.
33.
Ad un cenno del
viceré, riferisce ora Upal:
34.
“Signore, il
generale mi aveva cercato, facendo imprigionare i miei vecchi genitori, quando
non poterono dichiarare dove io fossi. Quando tuttavia Arvodo partì contro
Rusar, li fece liberare. Io lo seppi e perciò mi misi in marcia verso Mallona
per portali al sicuro. Travestito, giunsi nella capitale che gozzovigliava
nello sfarzo della grande festa del sacrificio. Per me fu una festa di morti:
trovai il mio vecchio genitore morto, la madre morente.
35.
Non potevo
essere in lutto, piuttosto dovevo rallegrarmi che il Padre universale li avesse
presi sotto la Sua protezione, poiché per questo le mie forze non ce
l’avrebbero fatta. Lei morì nel giorno della festa del sacrificio, e già nello
stesso giorno fu sepolta. Non potevo indugiare, le spie di Karmuno, infatti,
stavano in agguato per arrestarmi, nel caso mi avessero scoperto. Perciò
dovetti lasciare alle mani di buoni amici gli ultimi servizi d’amore.
36.
Il giorno della
festa del sacrificio, Artaya fu eletta regina della bellezza. Karmuno la
incoronò e quello stesso giorno lei divenne sua moglie. Areval confermò Karmuno
come l’erede del suo impero e fece richiedere al generale il suo anello che gli
concedeva lo stesso potere del re. Karmuno, con astuzia, aveva fatto diffondere
ovunque in Nustra che gli abitanti sarebbero stati perdonati se si fossero
sottomessi volontariamente il giorno della festa. Il popolo, rallegrato di
sfuggire agli orrori di una guerra, fu con ciò guadagnato, e nell’esercito di
Rusar scemò il coraggio di combattere. Quando Karmuno fu re ereditario,
l’esercito di Arvodo fu richiamato. Agli abitanti di Nustra fu concesso il
perdono e Rusar deposto dal suo incarico di viceré, perché, per primo, egli
aveva estratto la spada contro Areval, piegandosi a Muhareb.
37.
Arvodo si
oppose con ira all’ordine del rimpatrio; egli, infatti, voleva contendere la
corona all’astuto sommo sacerdote. L’ubbidienza dell’esercito però gli fu
rifiutata, e così Arvodo divenne un generale senza truppe. Entrambi i fratelli
dovettero fuggire, entrambi messi al bando dall’astuzia di Karmuno. I fratelli
s’incontrarono sulla cima della montagna. Essi potevano vedere come le truppe,
che prima comandavano, si affratellavano e andavano a Mallona per rendere
omaggio al nuovo re ereditario. La guerra era finita prima ancora che
cominciasse.
38.
In Mallona è
successo anche qualcosa di strano. Areval – nell’illusione che Muhareb vivesse
ancora nelle caverne di Wirdu – ha fatto saltare in aria un affluente per
mettere le caverne sott’acqua. Doveva essere celebrata una grande festa che
significasse la vittoria della stirpe di Furo sul mortale nemico Usglom”.
39.
Spaventato,
Curopol domanda: “L’ha fatto?”.
40.
“L’ha fatto! La
roccia è dura, ma deve cedere al Nimah. Là dove una volta viveva Muhareb e le
gallerie vanno nelle profondità, si è sfondato uno stretto canale e dato
accesso all’acqua”.
41.
“Questi
pazzi!”, mormora Curopol. “E le conseguenze di tale agire?”.
42.
“Dapprima esse
erano solo insignificanti. Areval era soddisfatto che un piccolo fiume si
riversasse dal mare nel regno di Usglom, e ha festeggiato la vittoria con una
festa come mai se n’erano viste prima. Si dice che da quel giorno lo spirito di
Areval si sarebbe ottenebrato a tal punto che non sarebbe stato più visto.
Karmuno è al potere da solo sull’impero. Un re sacerdote è adesso sovrano.
Possa essere solo a vantaggio di Mallona!”.
43.
“Quando è stata
la festa?”, chiede il sutor.
44.
“Pochi giorni
fa!”.
45.
“Solo da così
poco tempo! Anche l’esplosione è avvenuta nello stesso giorno?”.
46.
“No, signore,
era il giorno precedente, ma io temo che avrà ancora brutte conseguenze”.
47.
“Perché dici
questo?”.
48.
“Ancora una
volta volevo visitare le caverne per andare a prendere le ultime cose preziose
dalla ciminiera del vulcano. Non riuscii però a penetrarvi. Quando volli
avvicinarmi alla montagna, vapore e gas velenosi scaturivano dal fumaiolo.
Entrarci era impossibile. Ho anche notato che l’intera regione dei crateri era
attiva in modo più violento che finora. L’afflusso delle acque che ha creato
l’esplosione, si è allargato e, dal monte stesso, là dove penetra l’acqua del
mare, fuoriesce vapore cocente. Io ho sentito. L’ho sentito sibilare profondamente
all’interno della montagna.
49.
Usglom non si
arrende così presto! Perciò sfuggii quella regione che avevo cercato con cura,
dove raccogliere una sostanza di cui ho ancora bisogno per la produrre del Nimah.
E poiché sapevo di poterla trovare anche sulla sponda presso la montagna di
confine, corsi là con il velivolo. Un caso fortunato che vi abbia trovato i
fratelli. Li raccolsi, e venni qua a Sutona con loro”.
50.
“Cercate
rifugio?”, si rivolge il sutor ai fratelli, interrogandoli.
51.
“È così! Ce lo
concedi?”.
52.
“Certamente,
però capite voi stessi che la mia protezione è molto limitata. Non potete
rimanere qui apertamente. Posso però nascondervi, e nel castello di Ksontu
sarete al sicuro!”.
53.
“Non lo sarete,
se la mano del Padre universale non vi proteggerà!”, risuona una voce
penetrante dall’ingresso della stanza. Tutti guardano là stupiti e vedono
Muhareb stare alla porta. La sua alta figura è piegata, il suo passo, come se
portasse un grave peso. Upal corre verso di lui per sostenerlo, ed egli accetta
grato e sorridente il suo aiuto. Si ferma davanti ad Arvodo, guarda seriamente
in faccia il generale e dice in tono pieno di rimprovero:
54.
“Dove ti ha
condotto l’ambizione? Hai costruito sulle tue forze! Hai confidato nelle
promesse! Non sapevi che la passione non è la base sulla quale il saggio
costruisce? Dov’è rimasta l’onestà, la forza della parola, l’adempimento del
dovere, la compassione, la fiducia e la fede nel Padre di ogni essere? –
Spento, ammutolito è il sentimento nel petto per il bene, la verità e l’onestà.
Chi inganna, costui vince solo finché l’inganno distrugge anche il vincitore.
Tu l’hai sperimentato e ne sei stato distrutto, come il nostro intero popolo ne
sarà distrutto. L’ora della ricompensa si avvicina, essa è già qui!”.
55.
In
quest’istante risuona un inquietante tuono lontano che riecheggia profondo e
incessante. Un leggero tremito che ognuno percepisce chiaramente, attraversa il
suolo. Il rimbombo scompare e i presenti si guardano spaventati. Solo Muhareb
rimane indifferente, all’improvviso si leva dritto ed esclama con occhi
luccicanti:
56.
“Padre
universale, chiamami Tu! Non voglio più vedere l’ultima miseria. Le generazioni
qui sono depravate, esse vanno in rovina, non erano più degne del Tuo Amore. Tu
hai cercato di scuoterle, ma esse dormivano. Tu le punisti con un sovrano, come
lo meritavano, ma non sentirono il flagello e rimasero indolenti. Tu le
asservisti tramite coloro che si chiamano ‘Tuoi sacerdoti’ ed ecco, l’oscurità
che questi diffondono tutt’intorno, fa loro bene. Esse non vogliono la Luce e
si sforzano di soffocarla. Ora la pazienza è esaurita, la punizione si avvicina
e ad altri sarà dato ciò che Tu volevi spargere qui in ricca pienezza. – Anche
il Tuo servo è diventato debole, l’ultimo uomo puro, infatti, Muraval, che io
ho allevato per il Tuo servizio, è morto. Nulla ormai trattiene la Tua Ira. Oh,
accoglimi, non farmi vedere l’ultima cosa spaventosa”.
57.
La voce di
Muhareb s’irrigidisce in un leggero sussurro. Il suo volto splende come in una
luce ultraterrena. Gli occhi rivolti verso l’alto, sembra come se questi
vedessero un altro, meraviglioso mondo. Così rimane immobile, ritto per un
breve tempo senza parole. All’improvviso fa un profondo respiro, i suoi tratti
si rilassano, il suo corpo crolla. Upal lo afferra e lo lascia scivolare
dolcemente a terra. I presenti si avvicinano. – Muhareb è morto!
[indice]
1.
Vedo la capitale Mallona.
Posso osservare un’immensa agitazione del popolo. L’intero orizzonte sud
occidentale è occupato da dense nuvole di fumo, dalle quali lampeggia
profondamente rosso infuocato. Si sente un persistente leggero tremito del
suolo, un cupo, sotterraneo fragore, al quale spesso seguono colpi più forti.
Diversi alti edifici sono crollati.
2.
Una grande
moltitudine di uomini sta intorno al palazzo reale di Areval e manda
maledizioni contro il re che ha sfidato il demone Usglom e non l’ha affogato
come lui credeva. Gli altari del sacrificio delle divinità s’infiammano di
offerte per implorare aiuto dai buoni dèi protettori. Inutilmente,
l’imperversare nella regione dei crateri diventa sempre peggiore, i terremoti
si susseguono sempre più rapidi. Vedo Artaya e Karmuno. Lei vuole fuggire dalla
catastrofe, ma Karmuno non lo permette. Come rappresentante della Divinità,
deve rimanere nel tempio, oppure il popolo si ribellerà totalmente. Adesso lei
è la Divinità personificata. Se fugge, significa che la Divinità si è
allontanata dal tempio principale. Artaya si difende, ordina, vuole la sua
libertà. Karmuno, questo demone in sembianze umane, la deride pieno di scherno
e la rinchiude forzatamente nel tempio della bellezza. Ordina a due servitori di
colpirla a morte al minimo tentativo di fuga; Artaya deve mostrarsi al popolo
come dea ogni giorno, lei però trema per la sua vita.
3.
Karmuno tiene
consiglio con i suoi sacerdoti. È deciso che Arvodo, Rusar e Muhareb con Upal
debbano essere assolutamente catturati. Karmuno vuole elevare Nustra a
residenza del re, la vicinanza del cratere gli rende adesso impossibile la sede
in Mallona. Egli non dubita che lì il fenomeno naturale si acquieterà, ma non
si sente più sicuro nelle sue vicinanze. Il nuovo trono imperiale, che presto
gli spetterà, se lo vuol poi godere con calma, insieme con i suoi. La sua
intenzione trova consenso unanime.
4.
Qui accade
qualcosa di spaventoso. All’improvviso trema l’intera regione. Con terribile
fragore nella regione dei crateri si sprigiona verso l’alto un flusso di fuoco;
uno spaventoso terremoto scuote la capitale. La maggior parte delle case, anche
il tempio della bellezza, crolla. Esso seppellisce sotto le sue macerie Artaya,
la schiera dei sacerdoti e una quantità di abitanti che si erano rifugiati lì.
Terrore e terribile sgomento pervadono i sopravvissuti. Tutti fuggono a
casaccio, l’unica preoccupazione è di salvar la vita. Karmuno e Areval
abbandonano la fortezza imperiale con pochi fedeli. Riescono a raggiungere una
delle vetture veloci e, a folle velocità, fuggono verso Nustra. Non appena
hanno abbandonato la città, con un nuovo scossone la fortezza imperiale
precipita su se stessa.
5.
Vedo il
continente Nustra, là non si avverte nulla della fatale catastrofe. Karmuno
giunge a Nustra con Areval. Là sono arrivate nuove notizie spaventose.
Messaggeri e fuggiaschi giungono da Monna. I crateri quasi spenti di Monna
sulla costa del mare hanno cominciato di nuovo ad imperversare e,
all’improvviso, l’intera costa si è inabissata.
6.
Un immenso
flusso ha inondato il paese in furia scrosciante, raggiungendo la capitale e
mettendola sott’acqua. Il monnor è perito nei flutti che precipitavano da
quella parte a velocità pazzesca; la stessa sorte ha subito quasi tutta la
popolazione della parte meridionale. Solo la cima meridionale più elevata di
Monna è rimasta inviolata. Areval ascolta queste notizie con l’espressione
fissa dell’idiota. Poi comprende e ancora una volta, in questo spirito rovinato,
raccoglie l’ultima energia:
7.
“Voglio vedere
se sono io o no, il vincitore!”, urla. “Dai monti di Sutona voglio vedere la
vittoria della mia stirpe. Tu, Karmuno, mi accompagnerai”. Quest’ordine giunge
molto opportuno al sommo sacerdote; anch’egli, infatti, ritiene che la montagna
di Sutona potrebbe essere il luogo di rifugio più sicuro.
8.
Vedo Upal nel
suo velivolo librarsi attraverso l’aria. Egli è in cerca di notizie per
abbracciare con lo sguardo ciò che accade nei Paesi. Dall’alto, questo gli è
facile. Anche lui è deciso a difendere o a distruggere il ponte che conduce a
Nustra, in caso di pericolo.
9.
L’onda
dell’alta marea che ha sommerso Monna ha colpito anche la costa settentrionale
di Sutona, ma non l’ha danneggiata. Le basse zone costiere disabitate sono
state sì inondate, ma il territorio ascensionale ha ostacolato immediatamente i
flussi.
10.
Nel cuore di
Upal arde la vendetta. Egli vede chiaramente davanti a sé il crollo del popolo.
Le ultime parole di Muhareb hanno acceso in lui una specie di gioia di morire;
sa che la sua vita è alla fine. Tuttavia, non vuole finirla senza essersi
vendicato di coloro cui attribuisce la colpa di tutta quella disperazione.
11.
Perciò
sorveglia la strada d’accesso di Nustra e vede la sua previdenza ricompensata.
Riconosce la vettura regale che si avvicina veloce, e suppone che in essa ci
sia Areval in fuga. Veloce come un uccello rapace, il velivolo si lancia
dall’alto. Nella vettura questo è stato subito notato. Il veicolo si ferma, a
notevole distanza si avvicinano altre vetture al seguito del re. Upal indovina
l’intenzione di Areval: vuole distruggerlo possibilmente con il loro aiuto.
Dirige la sua navicella incontro alle vetture che, ancora molto lontane, stanno
avvicinandosi, e da un’altezza sicura lancia un oggetto luccicante nel mezzo
del ponte.
12.
Risuona una
terribile esplosione. Il ponte vacilla, un arco è saltato e sprofonda nei
flutti agitati del mare. La vettura di Areval è ora separata dai suoi
soccorritori. Upal spinge il suo velivolo alla massima velocità. Veloce come
una saetta, la vettura regale corre verso la terraferma, ma Upal la supera. Di
nuovo lancia un ordigno esplosivo che colpisce il ponte. Ancora una terribile
esplosione, e la continuazione del viaggio è interrotta.
13.
La vettura è
costretta a fermarsi. Adesso il velivolo si avvicina. Volteggia fuori dal ponte
e Upal vede i volti stravolti di Areval e di Karmuno guardar fuori dal mezzo.
14.
“Abbandonate la vettura”, ordina ai due,
“oppure vi sfracello!”.
15.
Il re e il
sommo sacerdote ubbidiscono. “Tu torna indietro fin dove puoi!”, ordina al
conduttore. Tremando, quest’ultimo ubbidisce. Upal ora dirige il suo velivolo
sul ponte e a breve distanza sta davanti agli ex più potenti di Mallona.
16.
Upal tiene d’occhio i suoi nemici.
Afferra dal fondo della navicella una specie di laccio e lo getta su Karmuno.
Prima che costui si possa sottrarre al cappio, con un veloce movimento, questo
già scivola attorno al suo corpo. Un colpo secco, e Karmuno crolla saldamente
legato. Adesso Upal salta giù dal suo velivolo, si precipita su Areval che sta
lì impietrito e lo afferra con possente forza. Lo solleva in alto e,
gridandogli: “Tu affoghi Usglom, io affogo te!” scaraventa il re oltre il bordo
del ponte nei flutti del mare.
17.
Con furibonda
collera si dirige ora da Karmuno, lo lega ancora più saldamente con corde, e
grida sogghignando: “Con te non deve andare così in fretta. Troppo calda fu
sempre la tua ingordigia. Voglio perciò provvedere al tuo raffreddamento!”.
Porta il prigioniero nel velivolo e sale con lui nell’aria, a Sutona.
18.
Anch’io adesso
mi libro in alto nell’etere e con lo sguardo abbraccio i vasti paesi. Mallona è
un deserto. Sibila, rumoreggia, rimbomba e scricchiola in quelle regioni dove
un tempo era cercato il Rod e la pietra-aurea. Montagne sono precipitate e il
mare si riversa liberamente nelle terribili voragini di fuoco che già ho
descritto quando misi il piede per la prima volta su Mallona. Una spaventosa
lotta degli elementi si è scatenata. Soffocanti vapori si sprigionano e, con un
ululato tempestoso e a folle velocità, esalazioni scatenate passano sul suolo
terrestre. Con alito velenoso esse uccidono ogni cosa vivente. Anche a Monna infuriano gli elementi
scatenati. Sembra che esista una relazione tra le regioni dei crateri.
All’interno del globo terrestre spinge e pressa. La solida crosta del pianeta
tiene ancora, nonostante l’immensa sollecitazione dei vapori sviluppatosi.
19.
L’atmosfera
diventa sempre più buia, sempre più impregnata di veleni. Adesso, da entrambi i
focolari si accumula un’immensa massa di vapore; essa si estende e ricopre il
continente Nustra. Le masse di vapore s’incontrano, confluiscono e si
precipitano adesso su Nustra. Batte l’ora di Sutona.
20.
Ancora una
volta il mio sguardo penetra la fortezza di Ksontu. In muto sgomento vedo stare
il sutor, Curopol, i due fratelli e i servitori sulla torre della fortezza, e
guardano verso nord. Là, all’orizzonte, s’innalza un’oscura muraglia di nuvole
che lentamente si avvicina aumentando. Ecco che sibila nell’aria: il velivolo
di Upal passa sopra la fortezza, vola verso il più vicino ghiacciaio. Sale
sempre più in alto, incontro ai nevai.
21.
Giunto lassù,
Upal prende il sommo sacerdote legato nelle sue braccia come un fanciullo, lo
adagia sulla neve e dice pieno di collera: “Adesso rinfrescati, o potente!
Chiama i tuoi dei, chiama i tuoi sacerdoti! Niente ti potrà più salvare!”.
22.
Ritorna al
velivolo e lo fa volteggiare in basso. Karmuno non ha emesso un grido. Invano
cerca di liberarsi dai legacci. Poi diventa quieto e si prepara a morire.
23.
La scura nuvola
si avvicina sempre di più. Una terribile afa e ardenti vapori la precedono.
Ecco all’improvviso un sibilare e uno scrosciare. Un uragano si scatena con
soffio velenoso e uccide all’istante tutto ciò che vive. Alto nell’aria, il
velivolo di Upal è scaraventato qua e là come una piuma, le sue parti sono
fatte a pezzi.
24.
Su Mallona non
esiste più nessuna vita.
[indice]
1.
Fluttuo nello spazio,
lontana da Mallona. Il pianeta è circondato da vapori, tanto che non si può
vedere nulla della sua superficie. Ecco all’improvviso un saettare. Fiamme
spuntano dai vapori e vedo come il globo terrestre esplode in mille pezzi. Le
lune che lo circondavano perdono la loro orbita e vagano in giro nello spazio
assieme alle macerie del pianeta. I resti dell’immenso corpo celeste sfrecciano
da tutte le parti, simili a stelle cadenti. Alcune parti cadono anche su altri pianeti
del nostro sistema solare, e potranno così raccontare di quella terribile
tragedia avvenuta nello spazio.
2.
Adesso vedo
scendere giù una figura splendente, come sorta dal nucleo di Mallona. Essa si
libra verso il Sole. Un radioso diadema a raggi formato da sette stelle gli
adorna il capo, la mano tiene una palma della pace, infinita bontà e mitezza
rivelano il volto. La figura mi fa un cenno e dice:
3.
“Comunica ciò
che hai visto! Un giorno Mallona doveva diventare il portatore del sommo Amore.
Doveva generare una stirpe umana che avesse una libera autodeterminazione
propria, affinché conseguisse i più alti beni dello Spirito e diventasse simile
a Dio. Soltanto là dove l’umano può divenire un angelo o demone, fiorisce la
libertà dello spirito. Se esso riconosce l’Amore del Padre universale e la
Sapienza delle Sue Leggi, allora vince la morte e ottiene la vita eterna. Se
disprezza entrambi, lo colpirà sicuramente la rovina. Solo una Forza regna
nell’Universo! Solo un Amore pieno di sapienza! Esso conosce le vie e i mezzi
migliori dell’eterno piano della Creazione.
4.
Ora un altro
pianeta è scelto per diventare portatore del sommo Amore. Guarda laggiù, tu lo
conosci bene, è la tua patria terrena. In quest’ora sorge là il primo uomo, al
quale Io pongo profondamente nel cuore il seme spirituale della somma dignità
umana. Nulla gli impedirà di progredire al massimo grado della cultura, se non
dimentica l’Amore. Allora la nuova stirpe raggiungerà la libertà spirituale e
trionferà su ogni male!”.
5.
La figura si
cala giù, e io vedo la Terra venire sempre più vicina. Riconosco la sua
superficie e vedo il periodo evolutivo che oggi si chiama era del terziario.
Riconosco nelle regioni selvatiche delle specie di animali estinti da molto
tempo, vedo l’orso delle caverne e anche l’uomo primitivo.
6.
Ecco che all’improvviso ad Oriente arde una
luce rosea. Un lieve fremito percorre l’aria e mi sembra come se una voce mi
sussurrasse:
7.
“Là nel lontano
Oriente adesso è nata una coppia, la prima, le cui anime hanno ricevuto il seme
dell’eterno Spirito. Da questa sorgeranno i popoli che un giorno dovranno
camminare nella Luce della Verità”.
[indice]
La veggente ci rivela ancora un’immagine. Lei vide un paese straniero
che, dalla costruzione delle piramidi, riconobbe come l’Egitto.
1.
Proprio
allora si scavavano le fondamenta per la costruzione di un tempio. Lì si urtò
su un terreno duro e si trovò un gigantesco blocco che sembrava terracotta. A
fatica il duro materiale fu aperto battendolo e tolto pezzo per pezzo.
All’improvviso l’interno rivelò uno scheletro mezzo bruciato, e furono scoperti
i resti di un uomo di gigantesca figura, saldamente adagiato nell’argilla
duramente forgiata con il fuoco. Sacerdoti vennero per ispezionare il singolare
ritrovamento. Sotto la loro direzione, il blocco fu accuratamente esaminato.
2.
Lo scheletro fu liberato dal suo duro
involucro. Portava alla mano destra i resti di un anello metallico, al quale
era ancora incastonata una gemma. Questo segno sconosciuto rimase per molti
anni come reliquia nel tempio. I Romani portarono poi la pietra in Italia e
nelle migrazioni dei popoli fu portata via e nascosta sottoterra. Dopo molti
anni la trovò un uomo che la fece di nuovo incastonare in un anello e la lasciò
in eredità alla sua famiglia, come rarità.
3.
Quest’anello ci
ha parlato dei tempi passati e dello scomparso pianeta Mallona, la cui
esistenza finora nessuno aveva sospettato.
4.
“Sarà vera la
sua storia?”, – qualcuno sarà tentato di domandare. L’importante è che la
conoscenza di Mallona contenga un ammonimento che ognuno potrà trovare dopo aver
sentito della sua fine e segue lo sviluppo dell’odierna umanità con lo sguardo
desto dello spirito…
[ altri riferimenti / citazioni di Mallona su altre rivelazioni ]
* * * * * * *
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[1] Sostanza che emette luce per una reazione
chimica
[2] Pietra bianca, mezzo di
pagamento
[3] La loro massima divinità
[4] La medium spiega successivamente
che si tratta di un potentissimo esplosivo in grado di distruggere interi
territori.
[5] La giovane medium non
conosce questo velivolo, poiché nel 1911 – quando fu fatta questa straordinaria
esperienza attraverso la “vista psicometrica” – sulla Terra non esisteva ancora
tale mezzo. Anche se già nel 1887 fu costruito un piccolo modello, fu soltanto
nel 1930 che il primo prototipo di elicottero si alzò in aria e percorse un
chilometro ad un’altezza di solo 18 metri. Nota dell’autore della prefazione.
[6] La giovane medium non
conosce questo velivolo, poiché nel 1911 – quando fu fatta questa straordinaria
esperienza attraverso la “vista psicometrica” – sulla Terra non esisteva ancora
tale mezzo. Anche se già nel 1887 fu costruito un piccolo modello, fu soltanto
nel 1930 che il primo prototipo di elicottero si alzò in aria e percorse un
chilometro ad un’altezza di solo 18 metri. Nota dell’autore della prefazione.
[6] Osservando le lunghissime
arcate dei ponti, la medium ipotizza che la massa del pianeta Mallona sia
minore di quella della Terra – nonostante il volume sia maggiore – e dunque
trae la conclusione che le arcate non crollino perché il suo peso specifico è
minore, come pure la forza di gravità, in quanto quest’ultima è in rapporto
alla massa e non al volume. La medium aggiunge inoltre che la distanza dal Sole
è di 519,4 milioni di Km. e che l’asse è meno inclinato di quello terrestre. Le
percezioni della medium indicanti la minor forza gravitazionale, spiegherebbero
il motivo perciò tale pianeta si disintegrò in migliaia e migliaia di asteroidi
invece che in pochi pezzi.
[7] Riti orgiastici in onore
del dio Bacco, il dio del vino.
[8] Il vicerè di Monna