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da

LIBIA  BERTELLI  MARTINENGO

 

 

Vita astrale di Giosuè Bossi

 

 

 

La prima edizione redatta in ciclostile negli anni cinquanta è stata riprodotta integralmente con i mezzi, sempre artigianali, degli anni novanta, a disposizione di Idea Spiritualista. Taluni valori espressi in questo romanzo dettato da uno spirito dell’aldilà, oggi ci possono sembrare un po’ fuori moda, tuttavia consigliamo il lettore di immedesimarsi nel pensiero dell’epoca in cui questo romanzo è stato comunicato e immedesimarsi nell’autore che era stato scrittore, ma che da soldato nella guerra del 1915-1918 sacrificò la sua vita per gli ideali di onore e patria. Solo così il lettore potrà godere del suo stile letterario e coglierne le sfumature del modo di scrivere di quel tempo, che oggi forse è andato perduto.

I. S. 1998

 

*

Questa nuova edizione del romanzo esoterico “Vita astrale di Giosuè Bossi”. è stata arricchita con l’aggiunta di due poemi dettati dallo stesso spirito G. B. dopo oltre venti anni dalla sua morte. Il poema “L’aeroplano” fu scritto in poco meno di mezz’ora senza correzioni né ripensamenti su richiesta dell’avv. Furlan, presente Pitigrilli e il dotto Orvieto alla colonia Arnaldi nell’anno 1940. Da notare le tipiche espressioni riferentesi all’aereo rimaste ai tempi eroici di Francesco Baracca, epoca in cui visse G. B. Il poemetto “Oro” fu pure scritto da G. B. e comunicato nell’anno 1940 su richiesta di Pia Gotelli sempre presente Pitigrilli e l’avv. Furlan.

I. S. anni “50

 

 

 

 Proprietà letteraria IDEA SPIRITUALISTA

 Riservati tutti i diritti

 Il testo originale reso disponibile in pdf da: Associazione Pitagorica

 ad uso esclusivo degli associati

 © 2011 Libia Bertelli Martinengo

 Edizione riveduta da Antonino Izzo

 

Indice

Introduzione:      preparazione alla vita astrale di Giosuè Bossi

cap. 1                  L’inizio della vita astrale di G. B.

cap. 2                  Viaggio per Vesta

cap. 3                  Vita su Vesta

          Poesie di G.B.

- L’aeroplano

- L’esplorazione

- La guerra

- La squadriglia

- L’incontro

- L’aviatore

- Il portaferiti

- Il ritorno

- L’oro

 

Note dell’angelo       (I)

Note dell’angelo       (II)

Note dell’angelo       (III)

Note dell’angelo       (IV)

Note dell’angelo       (V)

Note dell’angelo       (VI)

Note dell’angelo       (VII)

Note dell’angelo       (VIII)

Note dell’angelo       (IX)

 

 

 

Personaggi

G.B.                                         Giosuè Bossi

Ansaldo                           il mentore di Bossi

Gualpi Attilio                   un tenente

Amilcare Bandini           un ufficiale

Pitigrilli                             un romanziere

Gandolin                          un conoscente di G.B.

 

 

Introduzione

 

Preparazione alla vita astrale di Giosuè Bossi

 

Ancora una vita astrale? Mi par di sentire le proteste dei nostri studiosi. Ma di questa vita astrale ce n’era proprio bisogno? E deve proprio Idea Spiritualista, quest’Idea serena e austera che è sorta per portare nelle menti e nei cuori la limpida filosofia dello spirito, la rigorosa e razionale indagine, ripiegare oggi sul più vieto[1] spiritismo?

No – amici – Idea non rinnega i suoi principi e le sue direttive, essa continua la sua marcia serena nella severità di un compito arduo, ma benefico; e se essa si fa promotrice per portare alla conoscenza degli studiosi quest’ennesima vita astrale, ciò lo fa perché sa di doverlo fare, oltre che di poterlo, in quanto, che in questa vita astrale vi è qualcosa che solo l’antecedente insegnamento di Idea Spiritualista permette di comprendere e trarne altri più validi motivi di meditazione e riflessione.

Questa prima storia romanzata di una vita spirituale, farà meditare e riflettere più di una mente, per cui è necessario spendere alcune parole per tracciare il profilo dell’autore nel tempo della sua vita terrena.

Il protagonista visse nella Livorno di Guerrazzi[2] e di Landini, di Ciano[3] e di Giannelli, visse cioè in quella Livorno quarantottesca letteraria, polemista, anticlericale e religiosa ad un tempo, in quella Livorno ove annualmente, a cura dell’associazione anticlericale F.D. Guerrazzi, si celebrava il martirio di Giordano Bruno[4] e il XX settembre[5]; ma egualmente ogni anno si saliva salmodiando a Montenero per portare alla Madonna il palpito sincero e ardente dell’intera devota popolazione che, per la Madonna di Montenero, scordava ogni divisione ideologica e religiosa, accomunando in una unica fede e in un solo amore, ebrei e cristiani, anticlericali e bigotti.

In ogni casa livornese era di prammatica la presenza di un mangiapreti e di un fratello della Misericordia, ed era abituale udire nella stessa famiglia alternare le Ave Marie ai più coloriti moccoli. Ma l’anticlericalismo livornese non era l’ateismo materialista, freddo irridente, beffardo e disperato dei giorni d’oggi; era un fuoco bruciante e rinnovante, era ribellione allo schiavismo psichico del bigottismo, era malinteso amore alla patria, alla libertà e alla verità, era ricerca di bellezza, era carduccianesimo prima di diventare dannunzianesimo, o di Galileo Galilei, di Dante Alighieri, di Petrarca, di Ariosto, di Torquato Tasso: ecco gli eroi degli anticlericali livornesi, i loro idoli, i loro epigoni[6].

In quest’atmosfera nacque, visse e sognò G. B. Il padre giornalista, polemista arrabbiato, linguista colto, volterriano scanzonato e sentimentale quarantottista[7], aveva come controparte una donna piissima, praticante, ardente e retta, ma pur essa, colta e gentile.

In quest’aura di poesia e di Cavallottiana[8] polemica, G. B. passò l’infanzia in pratiche pie e l’adolescenza in reazioni violente alle pratiche infantili; intelligente, sensibile, avido di nuove conoscenze, nutrito di classicismo e di patriottismo. Inebriato delle visioni del Risorgimento ancor tanto vicino, a diciotto anni un improvviso malore del padre lo rende orfano; il padre era per lui, amico, maestro, capo. Egli seguì le tracce del padre, vivendo nella sua aura, continuando l’opera giornalistica, così diviene scrittore caustico e apprezzato. Sinceramente anticlericale egli batté in breccia il bigottismo, l’ipocrisia, il gesuitismo dell’epoca; ma la sua sincerità, la sua natura leale, non gli permise di accontentarsi di nozioni superficiali … d’altra parte visse accanto alla madre da lui amatissima, che era assai pia e colta, di un’educazione perfetta e toscanamente polemica, a sua volta si batté con il figlio per difendere i suoi principi religiosi e le sue pratiche coraggiose.

Così che, piano piano, corresse le sue opinioni, mutò la sua sfera di pensiero; s’interesse gli argomenti religiosi, lesse libri di scrittori cattolici e cominciò gradualmente a vedere la religione da un altro punto di vista. Frequentò i domenicani e, di colpo, clamorosamente si convertì. Il polemista attaccabrighe, il mangiapreti caustico dallo spirito scottante, divenne uno dei più apprezzati e colti scrittori cattolici; la conversione è completa, assoluta, totale … comincia a pensare alla vita religiosa, ma ne è distolto da alcuni sacerdoti saggi e riflessivi. Intanto scoppia la guerra ‘15-‘18; parte volontario portando seco due tesori: il Vangelo e il Dantino[9] che gli toglieranno dagli abiti intrisi di sangue dopo la sua morte.

*

Parte volontario perché per lui, dopo Dio e prima dalla madre, è la patria la cosa più alta, più grande, più vera, più assoluta e più santa; Dio – patria – madre, ecco il trinomio che governa i pochi anni del nostro protagonista, il che permea la sua anima, forma l’abito della sua coscienza e, Dio – patria – madre, formeranno il “leitmotiv” della sua vita dopo la morte. Egli si troverà in un mondo strano e insospettato dalla sua mente, ma consono alla sua anima, unisono con il suo ritmo. Descrive questo mondo con abile penna, intinta di classica bellezza, di conoscenza umana e di pietoso tormento. Rivive la sua esperienza, cerca di uscirne, non vi riesce. Con sincerità assoluta racconta agli uomini – forse per chiarirlo a se stesso – la sua avventura nel post-mortem.

Egli non è morto che nel corpo cellulare; vive in tutta la sua dolorante umanità. Vive, seppur nel contrasto tra l’anelito dello spirito alla libertà, e il peso dell’anima legata ai vincoli dell’umano sentire. Vive! Dopo esser morto, si sente di vivere. La fantasia non lo soccorre, l’immaginazione è sorpassata; non lui crea il mondo animico, ma in questo mondo animico piomba con il peso specifico di tutto il suo essere; ritmo di molteplici ritmi uniti da assonanze, integrato da armonie.

Non l’idea religiosa, confortata dalle visioni dantesche, non il sorridente scetticismo dell’anticlericale colto e spiritoso lo soccorrono, egli non trova il quieto nulla leteo[10] in cui dissolversi in un “lieve venir d’ogni cosa” di pascoliana memoria, e non trova il paradiso o l’inferno o il purgatorio, bensì ancora e sempre, la Terra, ancora e sempre, il peso della soma cretacea, il peso dei sogni “che tanto son lievi da danzar sulla punta di un ago, ma che piegano con le dita d’aria la cervice dell’elefante”.

Non è la fantasia o l’immaginazione di G. B. che gli preparano il mondo astrale, ma è il suo ritmo che l’unisce, come una nota, al tema che si esprime traverso G. B. mentre lo esprime.

Il mondo che lui trova è il mondo reale degli uomini, il mondo che tutti troveranno per soggiornarvi poco o molto a seconda della spinta verso l’evoluzione e verso la liberazione, e tutti potranno – secondo il ritmo, secondo il motivo fondamentale della loro vita sul piano di un’idea, di una religione, di una società – trovare nel medesimo ambiente un Cielo o un inferno, l’amore, la bontà, la comprensione, la tenerezza – oppure il disprezzo, l’avversione, la derisione, l’insulto! Non la morte fa miracoli, ma solo la vita; per questo, Cristo ammoniva: “Lasciate che i morti (cioè coloro che non vivono nello spirito) seppelliscano i loro morti”.

G. B. è salvato non dalla fede religiosa o dalla passione patriottica, ma dalla sua naturale inclinazione alla bontà. È il suo ritmo d’amore che lo condurrà per un istante di celeste comunione a identificarsi con l’Amore-Uno, ma il suo amore non è abbastanza spirituale, il suo concetto non è abbastanza pieno. Egli uscirà dall’amplesso senza aver placato il bisogno; il Cielo dello spirito si apre e si chiude in un bagliore. Dovrà tornare indietro?

Cerca e non trova la pace, perché la pace è in lui, ma si ostina, come tutti gli uomini, a cercarla fuori di lui. Immanente sfuma nel trascendente … Egli cerca fuori di sé. … Egli? Chi è egli?

Ognuno di voi può essere ‘egli’, perché ognuno di voi, malgrado ogni insegnamento, si ostina a cercar fuori quanto ha dentro; ognuno anela a un Dio personale da adorare, da ammirare più che da imitare. Ognuno aspetta qualcosa dagli altri, ognuno rimette ad un particolare Messia il compito di salvarlo, ed aspetta di essere salvato senza fare alcuno sforzo, senza cercare alcuna via.

Invece Colui che di Se stesso disse essere “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, disse anche: “Imparate da Me che sono dolce e umile di cuore …”. Essere dolci e umili, essere quindi maturi e disposti ad annullarsi, a perdersi nel mare dell’impersonalità, come il frutto che, maturo, chiama alla sua mensa ogni vivente, come la foglia che torna alla radice per coprirla, nutrirla ed essere assunta.

L’autore di questa vita si augura che il suo sforzo possa giovare agli uomini. Riprendiamo questo augurio, e possiamo essere certi che sì, gioverà questo lavoro agli uomini, se vorranno con cauta riflessione e attenta meditazione vagliare ogni parola, ogni pensiero, ogni immagine, e chiarire con la conoscenza ogni punto oscuro, specialmente se vorranno far punto centrale della loro meditazione con le parole del dialogo interno che l’autore accompagna in ogni esplicazione: “Sei orgoglioso? – No, perché è dovere”. Sei pentito? – No, perché è bene”. Il dovere comunque eseguito, è bene, è sempre bene. Colui che fa ciò che deve fare, non sbaglia. Fare ciò che si deve, obbedire all’intimo impulso, non è sempre facile neppure per l’aldilà. Il ritmo imprigiona ben più di una cella; guai a chi ha fatto il suo ritmo nella meschinità, nella piccineria, nel pregiudizio, nell’ingenerosità, nella paura, nell’ignavia! Guai a chi non ha saputo ardere, e a chi in un placido conformismo non si è mai posto problemi, non si è mai tormentato per dubbi, non ha mai bruciato di vergogna o di zelo, non ha mai spasmodicamente amato l’amore.

Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”. L’oltretomba per molti, per troppi, non è che un gran cimitero ove gli uni fanno i cadaveri e gli altri i becchini, e le tombe non sono incandescenti come quelle della città di Dite[11]. Bisogna uscire dal ritmo ossessivo del tam-tam per entrare nella vasta sinfonia dell’Essere: immergersi nell’oceano senza limiti dell’immanenza[12] eterna, e lasciare che quanto in ognuno vi è di più alto e più grande si esprima liberamente, per liberare dalla forma l’idea, per realizzare attraverso l’idea, il connubio con sofia[13].

A voi, adesso, cari amici, far maturare questo seme offerto, e far sì che nelle anime vostre produca il cento per uno.

I. S.

 

 

 

۞

Cap. 1

L’inizio della vita astrale di G. B.

1. L’ingenuo desiderio che mi giunge di sapere, di conoscere, mi sprona a questo lavoro. Potrà questo lavoro far del bene? Potrà questo lavoro essere una nota in più nell’angelico concerto? Non so, non credo, non penso neppure a questa possibilità; ma comunque, è dovere per il figlio lodare il Padre dal quale ha ricevuto benefizi infiniti. Ed io Lo lodo, e nella lode non cerco che di realizzare in potenza, nelle anime, il desiderio della Vita.

2. Perché è il desiderio della Vita che agisce, e che anche inconsciamente muove gli umani spiriti a ricercare in Dio la divina Sorgente cui dissetarsi, in cui placare il desiderio insaziabile.

3. Non esistono increduli; è impossibile che ve ne siano, così come è impossibile che una statua abbia moto intellettivo. Vi sono ciechi, sordi, paralitici, vi sono spaventose cecità dello spirito, ma non esiste, non può esistere, l’intima convinzione atea si può fingere, si può anche credere alla finzione, si può desiderare questa finzione, ma Dio è un fatto fisico più che morale. Si prega come si parla, e la stessa bestemmia è disperata preghiera. Del resto, nessuno nomina Dio quanto gli atei.

4. Perché scrivo queste righe? Perché nella vita terrena ho passato la grande tenebra dell’intelletto, perché ho ardentemente desiderato di spegnere in me la fiamma che illuminava Dio; di far tacere la voce che proclamava Dio; l’ho ardentemente desiderato, ma ciò era impossibile. Potevo strapparmi gli occhi dal corpo, ma non potevo distruggere la splendente visione dell’anima. Non io lo potevo, perché questa visione ero io stesso, perché in questa visione, come in uno specchio, ho veduto me stesso.

5. È stato forse l’impossibilità di distruggere me stesso, di dissolvere questa luce interiore che mi ha condotto alla fede che credevo aver perduta.

6. Questa crisi spirituale non poteva che aver tragiche conseguenze fisiche, anzi, era prodotta dall’irruenza fisica. L’ambiente del vizio mi ebbe, e non sempre come spettatore. Ma è stato così, toccando il fondo, che ho desiderato la vetta; e non poteva che essere solo così!

7. Non mi si creda un puro limpido angelo che la nostalgia dei Cieli abbia tormentato e ricondotto rapidamente ai suoi fini; no, mi si abbia come creatura che nella breve umana vita arse di una grande vampata e, in una luce che incendiò, vide, conobbe, arretrò. E non poteva essere altrimenti. Quando vidi la Terra troppa angusta, desiderai il Cielo, ma quando vidi che il cielo materiale era troppo breve per la mia brama di infinito, bramai Dio, e Lo trovai ove non avevo mai cercato di trovarLo… in me!

8. Questa realizzazione, questa comunione del mio ego finito, con l’ego infinito, fu il punto di arrivo dal quale il mio spirito cominciò ad intravedere possibilità infinite, cominciò a conoscere una libertà mai sognata, la libertà da ogni legge nell’adempimento perfetto della Legge. Sono parole del Salmo: “Beatus vir qui timet Dominum”[14].

9. Placato il mio spirito nell’adempimento di una fede giusta, esso naturalmente esulava oltre i confini, ma non sapeva né poteva abbandonare il pensiero base e centrale: Dio! Chi è stato come me torturato dalla sete ardente dell’Infinito, mi può capire, può capire cosa significhi “oltre le umane possibilità”. Non credo di errare dicendo che ognuno di noi ha un Dio personale, che ognuno di noi ha una personale visione dell’idea divina, e una personale adesione a questa idea.

10. Lo spirito, per sua natura infinita, non può racchiudersi in cosa alcuna finita, neanche in una fede, neanche in un dogma, neppure in una legge, perché è lo spirito che crea la fede, il dogma, la legge.

11. Perciò la mia personale comprensione del Cielo può benissimo non essere compresa né condivisa dagli uomini e dagli spiriti. Ciò non implica che per me non sia meno vera di quanto non sia vera per ognuno la sua personale convinzione.

12. Voi mi direte: ciò è un assurdo; ogni personale convinzione non può essere vera, perché la Verità è una sola, il resto è sempre menzogna ed errore! Voi mi direte ciò, ma io vi dirò come Ponzio Pilato: “Cos’è la Verità?”, e vi risponderò per conto mio: “La Verità è conoscenza!

13. Voi mi direte: “La Verità è Una!”; ed io vi risponderò: “La Verità è molteplice!”, perché la Verità è conoscenza, e la conoscenza non è una sola, ma è infinita quante infinite sono le possibilità per la mente di conoscere. La verità che ogni singola anima conosce, è la verità per quell’anima, perché è la verità concepibile con la sua possibilità di conoscenza. L’Ave Maria balbettata dall’idiota, non è meno augusta del Credo del filosofo.

14. Il Cielo che ho abitato può sembrare un Cielo, per taluni può ancora esserlo, ma ciò, come ripeto, è nei limiti. Per chi fanciullescamente si inebria nella concezione di mondi fiabeschi, è un Cielo; per chi anela a maggiori possibilità, è un punto di transizione. Lo spirito, parte viva e immortale della Divinità, non può bearsi in nulla che sia finito. Nel sistema planetario solare gli astronomi potranno indicare il pianetino “Vesta”[15]. Esso[1] fu un astro, poi un mondo, ora è in via di dissolversi nell’immensità. La sua bellezza è splendida e spirituale, come la morte di un saggio. Ivi ogni forma di vita animale o umana, da millenni è scomparsa. Continua una forma di vita vegetale e minerale. Questa vita è sotto ogni aspetto, interessantissima, in quanto è un affrettato purificarsi e liberarsi di elementi insieme commisti così che la costituzione fisica dei minerali è portata alla sublimazione. Ivi miniere non più di carbone, ma di carbonio puro, cioè diamante; ivi ciottoli che non sono ciottoli, ma masse di pietre preziose, (chiamiamoli tali) cioè: smeraldi, rubini e zaffiri. Ivi enormi masse di minerali allo stato puro, passato per naturali crogioli e rovesciati ampiamente alla superficie: oro, argento, platino, radio. Le piante mineralizzate, esse pure in via di trasformazione, creano immobili foreste dai tronchi pietrificati o in via di pietrificazione. Ogni altra forma di vita ivi è impossibile. Esiste aria e acqua, ma l’acqua trascina seco principi in dissolvimento, elementi in via di dissoluzione. L’aria è un misto di ozono e di elio irrespirabile.

15. In questo mondo immobile, intensamente illuminato, perpetuamente sereno, si radunano moltitudini di spiriti, diciamo meglio … di esseri quasi tutti provenienti dalla Terra o dal pianeta Venere. Questi esseri hanno l’umana apparenza glorificata, una giovinezza immortale: una beltà casta e irresistibile li orna.

16. Il sesso non esiste, come non esiste alcun senso di cui non si possa godere. Esistono in cambio delicatissimi organi che danno la possibilità di percezioni indescrivibili. È il Cielo dei poeti, dei sognatori, dei costruttori di ideali; ivi ognuno sublima la visione della bellezza che durante la vita cantava nell’anima sua. Ivi i più assurdi sogni d’arte sono realizzati, placando finalmente l’insaziabile ricercatore. Un solo sentimento lega questi esseri gli uni agli altri: l’Amore.

17. Essi si amano. Essi realizzano negli uni il complemento degli altri, perché gli uni sono parte vivente della gioia degli altri. Nessuno si crede maggiore, come nessuno si reputa inferiore.

18. Comunismo? No! Comunione di intelletti? Forse neppure. È qualcosa di molto più divino e molto più umano al tempo stesso. Non vorrei essere frainteso scrivendo qui la parola ‘matrimonio’, eppure non so spiegarmi altrimenti. Solo la visione di due sposi lungamente amatisi e che han santamente realizzato il loro sogno, senza rimorsi che li turbino, apprensioni che li inquietino, dubbi che li spaventino, benedicenti il passato, limpidamente sicuri dell’avvenire, certi del sempre meglio e perduti l’uno nell’altro, beati l’uno dell’altro, solo questa visione può spiegare lo stato di queste anime beate.

19. Questo stato di felicità è eterno? No, e non può esserlo! Quando uno spirito si è ristorato e riposato, anela a lotte che lo portino oltre, che ne facciano vibrare le intime fibre. Il Cielo della bellezza e dell’amore non è ancora il cielo dell’intelligenza e della conoscenza. Presto o tardi lo spirito beato comincia a sentire che tutto non è lì, che i confini sono piuttosto angusti, che tutto sommato, ogni pianeta, ogni universo ha una bellezza sua, vuoi di insieme, vuoi di particolare bellezza che non è circoscritta né assegnata all’uno piuttosto che all’altro, ma ugualmente compartita, eppure una nella sua molteplicità, come la Mente infinita che l’ha creata e che la contiene. E allora lo spirito si affaccia timido e sorridente a nuovi Cieli, vede possibilità maggiori, sa che per raggiungerle occorre ancora soffrire, perché la sofferenza è creativa e lo spirito può fruire solo di ciò che crea questa Creazione; Creazione di concetto e di visualità, suprema aspirazione dell’Ente intellettivo.

20. “Mente intellettiva piena d’amore” è ora la mia aspirazione. I cieli materiali non possono che brevemente, fermare e interessare gli spiriti, essendo in essi una perpetua aspirazione a realizzare e compiere in se stessi la somiglianza con la Divinità.

21. Come sono giunto a questo Cielo, come vi ho vissuto, chi ho ivi trovato, ve lo narrerò con il Divino permesso.

*

22. «O voi ch’avete li ’ntelletti sani,

mirate la dottrina che s’asconde

sotto ‘l velame de li versi strani…»[16]

 

23. O fratelli! A voi vengo in quest’ora di silente vigilia. Qui pace profonda, lievi stormir di fronde, lieve cauto avanzar di belve in agguato lambir di trepide lingue nei rivi, pallido riflettersi di stelle nelle immobili acque dei grandi laghi. Silenzio! Un invisibile angelo è passato con il dito in croce sulle labbra. Silenzio!

24. È sempre il silenzio sinonimo di pace? Chissà! Certo che sempre è foriero di morte!

25. La divina foresta, spessa, viva, sembra vivere una vita sua libera, selvaggiamente indipendente dall’uomo, quasi vendicarsi, bramasse del forzato dominio diurno. Io mi aggiro vagabondo invisibile, assetato di Dio: mi aggiro cautamente con il cuore ugualmente ricolmo di divino e di umano desiderio.

26. Guardo con occhi nuovi vecchie cose, vecchie come il mondo, come il mondo eternamente rinnovellate dall’eterno fluir della vita. Uno scricchiolio incauto ha fatto stridere una foglia; odo frettolosamente il rauco “chi va là?” della sentinella indigena che rompe il silenzio. Naturalmente non avanza al pallido lume delle stelle, ed io vedo lo scintillio freddo della canna del fucile, forse sta per sparare, ma tutto intorno tace, né l’indigeno osa turbare l’austera pace notturna.

27. Mi allontano da quel vivente cammino nel sottobosco, le cime delle alte erbe mi servono da soffice tappeto, urto un leopardo intento a bere, la fiera alza il muso diffidente e ringhia piano adoperando i denti aguzzi. Penso all’uomo, re della natura prima della colpa. Il suo vagabondaggio sta per finire, urto quasi l’angelica sentinella … eccomi a casa: guardo i mobili gruppi di spiriti, alcuni soli, alcuni in capannelli, secondo gli umori. Un canto melanconico e sommesso mi accoglie, mi aggiro tra di loro, colgo qualche sguardo ammirato, mi giunge qualche frase di accorato rimpianto.

28. Nelle case deserte molte donne ora pregano e piangono. I figli (spiriti) ascoltano quel pianto che giunge dai profondi recessi del cuore materno, e sotto il pallido raggio delle stelle mute, strazianti colloqui s’intrecciano tra gli spiriti dei figli e le anime delle madri. Colloqui eroici di sacrificio, lacrime secrete e ardenti che vede solo l’occhio di Dio. Potrà perdersi l’umanità che ha pianto simili lacrime?

29. Io penso: in ressa i ricordi battono le porte della mente, cercano i meandri del cuore.

30. Penso! Penso al 1915-1916 in cui vissi spirito errante e inquieto in un campo forse simile, ma animato da una più accesa volontà … Penso e ricordo … Scrivo[17] per voi, amorose sorelle e cari fratelli, questi ricordi.

31. Non so perché la figura di Artero Marginati mi sorge innanzi, forse perché fu l’ultima fraterna anima che vidi nel mondo dei vivi. Ricordo, … era la sera dell’otto novembre, pioveva. Silenti nel buio, con i miei ragazzi ci si arrampicava verso il trincerone di Zagora dove dovevo sostituire, appunto, Artero. Mi venne incontro nel buio e mi sembrò uno spirito, era sofferente, bruciava di febbre, mi abbracciò fraterno sussurrando:

32. “Vi è un osso duro!”. – “Lo so!” – risposi.

33. Presi posizione … Quanto fu lunga quella notte! Tu lo sai, mio Dio, perché con Te la passai piangendo un passato colpevole, chiedendo la redenzione che, sola, poteva venire con il mio sangue.

34. Oh! Notte tragica e divina in cui la mia materia arse e fu distrutta dal pentimento e dal perdono. Quanto fosti buono, mio Dio, con il mio spirito ancora così ribelle. Quanto dolci furono le secrete lacrime che versai nel Tuo amorevole seno. Mai come allora Ti ho sentito, mio Dio, come allora Ti ho compreso!

35. Il nove passò quasi senza urto, ci si preparava per il mattino seguente. Il dieci fu un’infernale sveglia, subentrò l’artiglieria nemica, e si dovette sorgere al contrattacco. I miei prodi lottavano come leoni, io mi lanciai con loro. Ricordo tutto con precisione strana; innanzi come furie, ormai in noi agiva uno spirito che non era il nostro.

36. Si sentiva il Dio della guerra rumoreggiare alle nostre spalle. Io avevo in mano una bomba, accesi la miccia e feci per scagliarla … una raffica di mitraglia mi colse in pieno. Provai l’impressione di ricevere una sassata nel petto, poi mille aghi roventi che entravano nelle carni: sentii in gola il sangue gorgogliare, capii all’istante che ero ferito. La terra mi sembrò scivolasse sotto i miei piedi come il ponte di una nave, e vidi il cielo allargarsi e abbassarsi, sentii alle mie spalle le mani dei soldati, compresi che mi sostenevano. Allora pensai alla bomba pronta a scoppiare, ebbi paura, paura per loro. Unendo le ultime forze la gettai, ne sentii lo scoppio a pochi metri, e mi sembrò sprofondare nel nulla.

37. Quanto tempo durò questo mio stordimento? Non lo so, fatto è che mi svegliai con una sete ardente e con un acuto senso di dolore al petto. Sentivo intorno a me violenti clamori e scoppi, compresi che la battaglia si era accesa cruentissima.

38. Io, malgrado i miei sforzi, non riuscivo a capire ove fossi, vedevo solo nero. L’idea che fossi rimasto accecato entrò in me e mi causò uno strazio acuto. Non vedere! In quella, ricevo un urto violento e una voce sgarbata mi urla:

39. “Levati di mezzo tu, non vedi che ingombri?”. La reazione morale che simile sgarbatezza creò in me, fu tale che di colpo vidi. Prima un bagliore confuso, come se mille fuochi d’artificio prendessero fuoco insieme, poi con un senso di strana chiarezza, la prima cosa che notai fu il mio corpo, o almeno quanto ne restava, il che mi diede la certezza che ero morto e la sicurezza della mia entità, poiché mi sentivo tremendamente io.

40. Questa sensazione di sdoppiamento non arrivò a provocare in me alcuna riflessione, tanto strano fu lo spettacolo che colpì il mio sguardo.

41. Vedevo la battaglia con strana precisione, e allo stesso tempo con un senso di distacco e di indifferenza, ma davanti a me, come una meteora brillante, vedevo passare i martiri e gli eroi dell’indipendenza italiana, le splendide figure che la storia mi aveva fatto conoscere ed amare. Erano lì vivi, tangibili, reali, e correvano verso la pugna[18] e si gettavano nella lotta, qui sostenendo un soldato ferito, là guidando un ufficiale, qui oltre facendo di una bandiera una nuova Termopoli[19].

42. Un confuso e armonioso suono di canzoni guerriere e di fanfare era nell’aria. L’inno di Garibaldi si sposava alle angeliche strofe di Mameli. Le vecchie e le nuove canzoni, divenute aria e vita, erano nell’aria e nella vita. Vidi Mameli[20] passare, biondo arcangelo di riscossa, vidi i fratelli Bandiera, uniti nella gloria come nel martirio passare abbracciati. Come una sanguinosa meteora passò Nino Bixio seminando intorno a sé la rovina e la strage.

43. Filzi e Battisti passarono additando ai soldati la meta …l’Italia!

«… sì com’a Pola presso del Carnaro

ch’Italia chiude e i suoi termini bagna ... »[21]

e vidi l’ultima visione, la sacra legione tebea[22] avanzarsi unita, marciare lenta e precisa, stretta intorno ai vessilli vidi il santo centurione levare una croce con scritto a caratteri di sangue e di fuoco: “In hoc signo vinces”[23].

44. Un canto lento, profondo, austero come un canto sacro, usciva dalle labbra e dal petto dei legionari. Li vidi avanzare, incalzare compatti, vidi il nemico in fuga, udii un altissimo, tremendo e glorioso grido: “Si vince! Si è vinto! Savoia! Savoia!”[24]. E fu notte.

«Ruppemi l’alto sonno ne la testa

un grave truono, sì ch’io mi riscossi,

come persona ch’è per forza desta…»[25]

45. Quanto tempo durò il mio annientamento fisico e psichico non saprei dire: forse delle ore, forse dei giorni. Cominciai a rinvenire con uno strano senso di vuoto e di spensieratezza, spensieratezza non è la parola, d’impossibilità di pensare e di connettere; vi era in me la strana sensazione di appartenere ad un mondo diverso. Aprii gli occhi, ossia ebbi la percezione della luce, e mi guardai intorno. Ahimè, né paradiso, né purgatorio, né inferno. La Terra! La terra carsica, arsa e consumata dalle intemperie e dagli uomini. Vedevo le gole e le vette delle conosciutissime Alpi a pochi metri da me, vedevo le strane inconfondibili doline carsiche che non potevo assolutamente scambiare con niente di astrale; era la Terra, e che Terra!

46. Un rabbioso gnaulio[26] di mitraglia, un intenso martellamento di grossa artiglieria mi facevano conoscere che non sognavo. Mi palpai credendo di vivere ancora, credendo di aver fatto un sogno delirante su quanto vedevo, ma le mie mani, che sentivo vive e sensibilissime, attraversarono senza sforzo la sostanza impalpabile che formava il mio corpo, o più esattamente, vi si affondavano come in una massa gassosa.

47. Ebbi paura, … quello straziante senso di paura! Una paura irragionevole, piena, intera e vivissima che mi prendeva la gola; la paura di un fanciullo abbandonato, solo, in un bosco che non conosce e che immagina pieno di belve, di bestie misteriose e, appunto per ciò, ancora più spaventoso. Questa paura irragionevole mi scosse, così che mi misi a piangere, a gridare il mio errore, la mia paura; ma le mie grida rimanevano dolorosamente in me senza che nulla, né in Cielo, né in Terra, si muovesse, senza che nulla mostrasse una benché minima pietà della mia paura.

48. Fu allora che provai, improvvisa, la sensazione di non essere solo, e prima che potessi voltarmi a vedere, scorsi un viso pallido e sereno vicino al mio, e un braccio mi strinse alle spalle. Mi sentii finalmente stretto, e questa sensazione di materialità mi calmò subito, e subito mi rese la lucidità mentale che per un lungo e doloroso momento avevo smarrito.

49. La figura che mi stava al fianco era una svelta e agile figura di soldato, vestito ancora di una divisa grigioverde lacerata; vidi, con mio vivo orrore, una larga ferita sanguinante sfregiargli il sommo del capo, ma lui non pareva aversene per inteso. Con un sorriso dolce e gaio mi disse: “Fratello come va?”

50. Al mio viso stupito si mise a ridere così di cuore che, invece di offendermi, finii col ridere anch’io.

51. “Benissimo! Così si deve fare. E ora vieni con me che ti presento al capo e ai compagni”.

52. “Dove?” – “Diamine! Al campo!” – “Ma a quale campo?”

53. Il mio mentore[27] si fece serio, e dolcemente mi disse:

54, “Capisco, non ti sei ancora reso conto … anch’io, vedi, sul principio non sapevo farmene una ragione, e posso capire quanto tu soffra. Coraggio, e cerca di ascoltarmi: tu sei morto, come anch’io sono morto, come tutti quelli che vedrai sono morti. La nostra entità spirituale spoglia il corpo, ma conserva la sua fisionomia, una sua personalità, eterea rispetto ai vivi, materiale rispetto a noi stessi. Noi si pensa, si soffre, si ama, ci si arrabbia e si agisce sulla materia in modo diverso per i vivi, ma, dal nostro punto di vista, identico al modo dei vivi”. – “Ma allora” – interloquii – “dove siamo?”

55. “Siamo sul Carso[28] – fratello – la morte fisica non significa niente, ci si riunisce a gruppi, dapprima erranti e vaganti senza meta, misti, buoni e cattivi, amici e nemici, poi, grado a grado si comincia a capire, nascono le divisioni, le riunioni, secondo gli umori, secondo le affinità. Sorge tra noi, oppure viene da altre sfere, un capo che ci unisce, ci dà una regola, una forma di vita, una missione da compiere, un lavoro materiale e morale da fare, e si ritorna nel turbine dei viventi, si diviene vita della vita, azione dell’azione, si isoira (influenzano?)i nostri compagni ancora vivi, li si difende, li si protegge, si ispiran loro delle azioni da fare, si incoraggiano quando li vediamo depressi, si ricevono quando muoiono. Così ho fatto io per te, altri l’han fatto per me, e tu lo farai per gli altri. Ora vieni meco e capirai il resto”.

56. Ci si mosse. Io mi accorsi che con i miei piedi camminavo sulle cime di poca erbetta bruciata dall’arsura senza piegarla. Lo feci osservare al mio compagno che mi disse:

57. “È logico, la massa gassosa che forma il corpo spiritico è poca, pochissimo più pesante e più densa dell’aria. Il tuo e il mio corpo presi insieme sono sì e no il peso di una mosca, così che le fibre irrigidite di quest’erba possono reggerci senza piegarsi. Se l’erba fosse fresca, ondulerebbe appena sotto di noi, come appena si piegherebbe sotto il peso di una farfalla. Così tutta la massa del nostro essere potrebbe mostrarsi appena percettibile agli occhi dei viventi, come una leggera luce biancastra confondibilissima con i mille giochi di luce e di aria naturali; nel buio di una stanza oscura da cui fosse stato precedentemente fatto il vuoto, noi si brillerebbe di una luce azzurrina appena percettibile, e la nostra forma si distinguerebbe vagamente come un ammasso di gas. Questo ti dico, perché vedrai che si passerà accanto a vivi che non si accorgeranno di noi, o tutt’al più sentiranno appena un senso di freddo. Ancora non meravigliarti se con tutta indifferenza passeremo attraverso ostacoli materiali come porte, muri, rocce, perché la nostra natura fisica non presentando alcun ostacolo alla materia, penetra la materia stessa con la stessa facilità delle onde acustiche, delle onde sonore, e dei raggi infrarossi invisibili all’occhio umano. Così noi penetriamo dentro il muro più denso per gli spazi incredibilmente larghi che presentano tra di loro gli atomi. Mi comprendi?”

58. “No” – dissi io sbalordito – “non ti comprendo affatto, ma ti sono grato di questa spiegazione che, sento, capirò più tardi. Ma ora dimmi, amico, il tuo nome”. – “Mi chiamo Franco Ansaldo, nacqui a Genova nel 1895”. – “Così giovane?”, dissi io con un senso di sgomento. Lui rise e mi citò il noto verso: “Chi per la patria muor, vissuto è assai!”[29]. – “Dove servivi?” – “Nel terzo fanteria, capitano De Angelis”. – “Eri ufficiale?”

59. “Macché, soldato semplice … ma, fratello, almeno qui, almeno nella vita e nell’armonia, lasciamo, se vuoi, un poco da parte le necessarie, non lo nego, ma noiosissime, (non lo negherai neanche tu) fisime[30] della gerarchia. Anche qui esistono gerarchie, non temere, ma per il capo, il grado non significa altro che maggior dovere da compiere, minori diritti da esigere, ed è per ciò che la gerarchia è sommamente rispettata da tutti. Perché nel nostro capo, in sostanza, noi abbiamo il Padre e Pastore nostro, oltre che il capro espiatorio, perché a noi possono essere perdonati anche degli errori gravi, mentre al capo non si perdona il più lieve scarto. Ecco perché il capo è sacro, perché è realmente la testa di cui noi tutti formiamo il corpo. Di un nostro male la testa può dolersene e può provvedere al farlo cessare, mentre che pel male della testa, il corpo non può in alcun modo intervenire a porvi rimedio. Ah, eccoci giunti, fratello”.

*

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Note dell’angelo-guida[31] (I)

 

1916-1938. Ventidue anni separano adesso il nostro protagonista dalla vita terrena. In questi ventidue anni egli passa per svariate esperienze, accumula conoscenze, conferma e condensa sempre più la sua ultima personalità; venendo a contatto con la vita degli uomini, si presenta agli uomini così come lo conobbero, come lo ricordavano. Egli e l’autore dei “Colloqui” … il cristiano convertito, il deamicisiano eroe.

La sua prima manifestazione avviene in un gruppo di persone religiose attraverso uno strumento assai giovane e semplice. Il racconto che gli è chiesto di buon grado acconsente a scriverlo, cioè a farlo scrivere con grande sincerità di riferimento e con tipiche interpretazioni delle cose e della vita dello spirito.

Il nostro autore sembra aver interamente rivestito la sua ultima personalità; è il cristiano e il soldato, il poeta, è il pensatore che fu; riga per riga il racconto si snoda in una serie di frammenti apparentemente slegati, finché, nel corso del racconto, prendono il loro flusso naturale.

Egli analizza più che può le sue impressioni di allora, le rivive, e la descrizione che può anche sembrare stereotipa diviene sempre più viva, prendendo il lettore nel tranello artistico della comunione emotiva. Ognuno, secondo il suo temperamento, reagisce in vibrazione sintonica o meno.

Gli emotivi, i sentimentali, gli idealisti, parteciperanno ai racconti in un senso; i razionalisti, i precisatori, i non emotivi, in un altro. Per alcuni potrà esservi della commozione, per gli altri dell’irritazione, per nessuno la noia.

Il leitmotiv che distingue tutta la prima parte è quello di un’allucinata fisicità. Tutto è fisico nel mondo iperfisico che attende oltre la morte il nostro giovane eroe. Egli si stupisce di sentirsi vivo e, al tempo stesso, di avere coscienza della sua avvenuta morte. Il contatto con l’aldilà lo stupisce proprio per questa piena fisicità che lo contraddistingue.

Sentirsi noi stessi, è in genere la prima sensazione che si prova disincarnandoci. Il complesso eterico-spirituale che accompagna l’uomo in tutto il suo essere e che emana sincronicamente dai sette chacra, o cervelli sensori dell’uomo stesso, fa sì che la morte nell’istante in cui avviene, sia quasi inavvertita. Anche vedendo il proprio cadavere occorre un certo sforzo di collegamento per identificarsi nel nuovo stato e sapere che si è fisicamente morti. Accettare questa conclusione non è subito facile, proprio perché il disincarnato si sente vivo nell’interezza delle sue facoltà.

In un secondo tempo si ha il risveglio della vista animica e si comincia a vedere quell’invisibile che è in tutti noi. Così il nostro protagonista vede passare davanti a sé la teoria splendida delle “idee” viventi in quel momento nella coscienza di tutti. Ieri e oggi si mescolano, si fondono, più ancora che gli spiriti, le anime dei trapassati viste da Giosuè sono le idee di questi trapassati che si manifestano in visione e partecipano alla battaglia. L’idea forma che accompagnò i suoi ultimi giorni che condensò i suoi pensieri, il che era l’idea-forma di un popolo intero, ossessionante le anime di tutti i combattenti, quest’idea forma si traduce in una serie di costruzioni superfisiche.

L’idea della patria, della guerra combattuta, della disciplina militare, domina nei suoi molteplici ma unitari aspetti, la mente dei vivi e quella dei morti. Essa impegna tutta la fantasmagoria iperspaziale, ricostruisce le note forme per i noti concetti; pregiudizi e preconcetti, del pari, dominano sovranamente. Il mondo che il nostro autore scopre, non è che il mondo che egli ed innumerevoli esseri come lui non potevano che scoprire.

Con più o meno dotte elucubrazioni, non potremmo battezzare con il suo nome ogni cosa descritta. ma perché farlo? Una dotta discussione sopra l’azione dell’inconscio singolo e collettivo non cambierebbe le cose. Il mondo che Giosuè e innumerevoli altri han trovato e troveranno, è il mondo che ogni uomo costruisce per sé e per gli altri o che trova dagli altri costruito. È mondo vero quanto quello fisico e, al par di quest’ultimo, irreale. Irreale perché qualsiasi cosa circoscrivibile, qualunque cosa espressa ed esprimentesi nella forma e nella materia, (ovunque c’è forma, ivi c’è materia) non può avere altra realtà che quella prestata dalla mente.

Solo ciò che è oltre la forma e oltre la materia si esprime per essere, cioè solo lo spirito è reale, in quanto, solamente lo spirito è immutabile, impassibile, illimitabile. Il tormento di uscire dall’irrealtà della materia per assurgere alla realtà dello spirito comincerà ben presto a tormentare il nostro protagonista, ma questo tormento è ben noto a chiunque nel pensiero operante, sentendo la limitazione della forma e l’impossibilità di concretare in essa, cosa alcuna.

Nelle pagine che seguiranno, egli si troverà con innumerevoli compagni, preso e travolto nel ritmo della patria. La patria, idea-forma dominante, domina oltre la vita assai più di quanto per molti lo abbia fatto durante la vita terrena.

Il “Genius Loci”[32] nel suo tempio (simboleggiato dalla tenda del comando) dirige, conforta, consiglia, condanna, premia punisce, … è Dio delle genti cui riverente si china il pensiero inesperto e innamorato. La patria!

Essa ha un volto che è quello di ciascuno, che è il premio e la punizione di ognuno, ma anche l’aspirazione e la meta; è il roveto ardente ove lo Spirito parla a Mosè: non vi è quindi da stupire che ognuno abbia la sua confermazione, quasi un crisma[33] imposto dall’alto. Il patriota eroico, il soldato forzato, l’ufficiale irridente e sufficiente, il disertore, ognuno continua a vedere il suo sogno e il suo incubo, la sua speranza e la sua disperazione, secondo il suo desiderio e secondo le sue possibilità. Ognuno continua a fare ciò che faceva o ciò che voleva fare.

Una disciplina ferrea tiene ogni spirito nel suo stesso piano; il ritmo domina sovranamente, e nel ritorno, pure Giosuè è preso e aggirato. L’impulso al bene fa sì che egli non senta il ritmo come una prigionia, ma come una liberazione. Egli si fonde con il ritmo, ne sente e ne accentua la necessità, e quando sembra che vi si ribelli, non fa che confermarlo in una purezza maggiore.

*

 

Continua….

 

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[1] Vieto: antiquato.

[2] Guerrazzi Francesco Domenico (Livorno 1804 – Cecina 1873) scrittore e patriota di tendenza neo-ghibellina. Prese parte attivamente agli avvenimenti del1848-49; fu triumvirato di Toscana e dittatore.

[3] Ciano Galeazzo (Livorno 1903 – Verona 1944), diplomatico e uomo politico; genero di Mussolini.

[4] Giordano Bruno, alla nascita Filippo Bruno (1548–1600), è stato un filosofo, scrittore e frate domenicano italiano vissuto nel XVI secolo. Per le sue teorie, giudicate eretiche dal tribunale dell'Inquisizione dello Stato Pontificio, Bruno fu condannato e bruciato sul rogo a Roma il 17 febbraio 1600.

[5] XX settembre 1870, l'esercito italiano prese Roma dopo la breccia di Porta Pia: fu la fine dello Stato Pontificio.

[6] Epigoni: seguaci.

[7] Quarantottista: sostenitore o seguace degli ideali che ispirarono i moti del 1848 in Italia e in altre nazioni europee, o anche, partecipe di tali moti.

[8] Cavallottiana: da Felice Cavallotti (Milano 1842 – Roma 1898) patriota e letterato. Scrisse drammi storici. Svolse intensa attività politica e pubblicistica contro il Crispi. Morì ucciso in duello dal giornalista F. Macola.

[9] Dantino: edizione della “Divina commedia” di piccolo formato.

[10] Leteo, letterale, del Lete che, secondo la mitologia greca, era il fiume dell’oltretomba la cui acqua estingueva, nei defunti che la bevevano, ogni ricordo della vita terrena.

[11] Città di Dite: nella “Divina commedia” la parte più profonda dell’inferno dove si trova Lucifero e dove sono puniti gli eresiarchi, i violenti, i fraudolenti e i traditori.

[12] Immanenza: in filosofia, rapporto di inerenza tra due realtà, ciascuna delle quali non esiste separata e indipendente dall’altra.

[13] Sofia: da sofias in greco che vuol dire sapienza.

[14] Beati voi che temete Dio.

[15] Pianetino n. 4 scoperto da H. W. M. Olbers nel 1807; terzo in ordine di grandezza (555 km di diametro) dopo Cerere e Pallade. Insieme a questi, pare che Vesta possegga figura a simmetria sferica. Rivoluziona in 3,63 anni lungo un'orbita inclinata di 7º sull'eclittica, che lo conduce a distanze eliocentriche variabili fra 2,15 e 2,57 UA. L'albedo elevata (0,23) lo rende il più luminoso fra gli asteroidi (6m,5 all'opposizione).

[16] Dalla “Divina commedia” canto nono dell’inferno.

[17] Scrivo: l’atto dello scrivere di uno spirito, con la volontà di comunicare i suoi pensieri per donarli ai terreni, viene concesso nella sfera intermedia delle città-dimora che accolgono le anime ancora immature, scritti che vengono poi vagliati per una eventuale concessione postuma di essere comunicate a un qualche medium a cura di uno spirito con cui il medium interloquisce. (vedi gli scritti di Chico Chavez)

[18] Pugna: poetico, combattimento a corpo a corpo o a breve distanza.

[19] Termopili: passo montano della Grecia tra la Tessaglia e la Locride. Celebre per l’eroica resistenza del re Leonida e di 300 Spartani contro i persiani di Serse nel 480 a.C.

[20] Questi sono tutti personaggi eroici del risorgimento italiano.

[21] Dalla “Divina commedia” canto nono dell’inferno.

[22] La legione tebea o legione tebana (da Tebe, città dell'Egitto) è il nome attribuito ad una legione romana nella letteratura agiografica cristiana: sarebbe stata decimata due volte, quindi totalmente sterminata per ordine dell'imperatore Massimiano, in quanto i suoi componenti (6.600 uomini al comando di san Maurizio) si sarebbero rifiutati di giustiziare alcuni cristiani del Vallese.

[23] In questo segno vincerai. Il santo centurione dei legionari è San Maurizio

[24] Savoia, Savoia: A chi la vittoria? A noi! È stato il segnale di attacco degli Arditi nella prima guerra mondiale contro le prime linee nemiche. Urlato in contrapposizione al grido "Avanti Savoia" in uso nell'Esercito Regio fino a quel momento. Venne ripreso poi dal regime fascista.

[25] Dalla “Divina commedia” canto quarto dell’inferno.

[26] Gnaulio: un miagolio continuo e fastidioso.

[27] Mentore: persona capace di guidare saggiamente e paternamente, consigliere fidato.

[28] Carso: regione carsica; generazioni carsiche, quelle di coloro che combatterono sul fronte del Carso durante la prima guerra mondiale.

[29] Significato di “Chi per la patria muor, vissuto è assai: motto in onore di chi sacrifica la vita per il proprio paese. Cosi la tradizione popolare ha modificato i versi in: “Chi per la gloria muor, vissuto è assai... — dall’opera di Saverio Mercadante (1795-1870) Donna Contea (atto I, scena 9a).

[30] Fisima: idea fissa, vana, senza fondamento.

[31] Nel testo originale è “Note del Maestro” ma si è deciso di mettere “Note dell’angelo guida”, in quanto dalle rivelazioni e dal Vangelo, il Signore ha sempre detto che solo Uno è Maestro, e cioè Gesù Cristo, e noi siamo tutti fratelli (Mt. 23,8).

[32] Il Genius loci è un'entità naturale e soprannaturale legata a un luogo e oggetto di culto nella religione romana. Tale associazione tra Genio e luogo fisico si originò forse dall'assimilazione del Genio con i Lari a partire dall'età augustea.

[33] Crisma: l’olio santo che, mescolato con balsamo, è usato nell’amministrazione del battesimo, della cresima, dell’ordine sacro e nell’estrema unzione.

[34] Baronte: il nome deriva dalla storia di Baronto. Questo era un laico di famiglia nobile che i voti ed entrò a far parte della comunità monastica di Longoreto. Baronto una mattina fu assalito dalla febbre e ridotto in fin di vita, e dopo aver chiamato suo figlio Aglioaldo e il diacono Eodone, perse i sensi. I monaci iniziarono allora a pregare per lui, e passarono così tutto il giorno e la notte, finché all’alba, Baronto si svegliò glorificando Dio. Tutti i monaci si radunarono e Baronto iniziò a raccontare in prima persona l’accaduto. Durante il sonno erano sopraggiunti due demoni che volevano condurlo all’inferno, ma improvvisamente arrivò l’arcangelo Raphael. Le due parti iniziarono a contendersi Baronto, finché l’angelo non separò l’anima del monaco dal suo corpo, la quale conservò i cinque sensi. Raphael la sollevò da terra, seguito dai due demoni, e giunsero così sopra al vicino monastero di Millebecco: qui l’arcangelo pregò per il malato del monastero, che guarì miracolosamente.

[35] Latebra: recesso, intimità.

[36] Esposto: neonato abbandonato dai genitori e affidato alla pubblica assistenza. “Trovatello”

[37] Ameba: protozoo unicellulare che si riproduce per scissione, presenta un aspetto mutevolissimo per la continua emissione di pseudopodi che servono sia per il movimento dell’organismo sia per la sua nutrizione; molte specie di amebe vivono in acqua dolce, altre in acqua salata, altre infine sono parassite dell’uomo e degli animali.

[38] Anadiomene: attributo della dea greca Afrodite (la latina Venere) sorta dal mare.

[39] L'indiamento è un termine di natura filosofico-religiosa, esso indica una sorta di unione estatica dell'uomo con Dio. È letteralmente un ingresso "in Dio", che consente all'uomo di far parte della natura divina, elevandosi a una dimensione trascendente. L'essere umano può raggiungere questo stato tramite l'amore, inteso in senso platonico, risalendo i gradi delle realtà amate, fino ad arrivare all'assoluto. Di esso partecipano anche gli angeli. Il termine si ritrova nella dottrina di Marsilio Ficino e in quella di Giordano Bruno. In quest'ultimo, l'amore è visto come eroico furore e brama di volersi unire all'oggetto desiderato. La ricerca della divinità non deve però avvenire all'esterno, ma dentro l'essere umano, che contiene già al suo interno la verità divina. Per una sua spiegazione in forma più semplice è adottato da Giordano Bruno il mito di ‘Atteone’.

[40] I due mitici fiumi della “Divina commedia” nell’oltretomba.

[41] Teorie: processione solenne in una cerimonia religiosa e, per estensione, lunga fila, corteo, sfilata.

[42] Geenna: luogo di perdizione eterna.

[43] Bacchidi (Bacchides) è una commedia di Plauto scritta verso la seconda metà del III secolo a.C. La commedia si basa su uno dei classici schemi della Palliata: due giovanotti sono innamorati di due meretrici, ma i loro genitori si oppongono; in loro aiuto accorre il servo furbo che risolverà la situazione. Ad ingarbugliare maggiormente la vicenda il nome identico, Bacchide, tra le due sorelle meretrici: sarà naturalmente causa momentanea di scontro tra i due giovanotti che credono di competere per la stessa donna. La scena è ambientata ad Atene. Questa commedia è l'unica superstite di cui si possegga, per una sezione, il testo del modello greco: il Dis exapaton ("Duplice ingannatore) di Menandro.

[44] Lohengrin (1850): opera lirica in tre atti, di R. Wagner. Le walkirie, nella mitologia germanica, le vergini guerriere, figlie di Odino; passando a cavallo sui campi di battaglia, sceglievano gli eroi che dovevano morire e li conducevano nel Walhall. Wagner, dal mito delle walkirie trasse argomento per l’opera “La Walkiria”.

[45] Castore e Polluce: nella mitologia greca, figli di Leda e Zeus, protettori dei naviganti e dei cavalli.

[46] Giusti Giuseppe (Pistoia, 1809-Firenze 1850): poeta. Partecipò ai moti del 1848 in Toscana; contribuì con le sue poesie satiriche allo sviluppo delle idee patriottiche e liberali.

[47] Enteli: spiriti buoni.

[48] Caporetto: paese oggi appartenente alla Slovenia col nome di Kobarid. Nel 1917 (ottobre-novembre) gli Italiani vi furono sconfitti dagli Austro-Ungarici.

[49] Oberdan Guglielmo (Trieste 1858-1882), irredentista italiano; con l’istriano Donato Ragosa preparò a Trieste un attentato contro l’imperatore d’Austria; denunciato da falsi irredentisti, fu impiccato.

[50] Fabio Filzi, Nazario Sauro, Cesare Battisti: patrioti ed eroi della prima guerra mondiale.

[51] Armando Diaz: (Napoli 1861-Roma 1928), maresciallo d’Italia. Capo del reparto operazioni del comando supremo (1914-1916), operò poi, come comandante della 49° divisione, sul Piave e nel Carso, sostituendo quindi nel 1917 al comando supremo dell’esercito il generale Cadorna, fino alla vittoriosa conclusione della prima guerra mondiale.

[52] Il generale Franco: Franco Bahamonde Francisco (El Ferrol 1892), generale e uomo politico spagnolo, detto il Caudillo.

[53] Sdilinquire: indebolire.

[54] Pirrica: danza di guerra degli antichi soldati spartani.

[55] Muliebre: proprio di donna / donnesco, femminile.

[56] Peana: originariamente, presso i Greci, canto solenne in onore di Apollo; in seguito, canto di onore di una divinità o di un personaggio illustre.

[57] Trascendente nel linguaggio religioso e filosofico, detto di ciò che non risiede nella realtà delle cose ma la supera (confronta: immanente); p.e. secondo il pensiero cristiano, Dio è causa trascendente del mondo. Si veda inoltre nota a piè di pag. n. 73

[58] Tegumento: rivestimento esterno del corpo.

[59] Cala: fondo della stiva di un bastimento adibito a magazzino.

[60] Alter ego: “un altro io”, cioè una persona che ci sostituisce in tutto e per tutto ed ha tutta la nostra fiducia.

[61] Compitare: pronunziare le parole sillaba per sillaba.

[62] Zelare: propugnare con zelo, sostenere con fervore una causa, un’idea.

[63] Smagare: indebolire, turbare.

[64] un cervello : quello della medium.

[65] Pitigrilli: pseudo di Dino Segre (Torino 1893) romanziere.

[66] Giambattista Vico (Napoli 1668-1744), filosofo; partendo dal principio che conoscere è conoscere per cause, sostenne che all’uomo è preclusa la conoscenza della natura e che il suo sapere è valido solo nell’ambito storico, in cui vero e fatto coincidono: oppose quindi all’evidenza del cogito cartesiano la certezza dei fatti e alla deduzione logica la conoscenza storica.

[67] Stasi: ristagno, rallentamento, arresto di una qualsiasi attività.

[68] Bailamme: grande confusione di persone o cose; caos, marasma, fracasso.

[69] Esteta: chi ha il culto e la sicura percezione del bello, dell’eleganza, della raffinatezza.

[70] Sofista: nome con cui veniva indicato, nell’antica Grecia, ciascuno di quei filosofi presocratici o contemporanei di Socrate, famosi per la loro abilità retorica e dialettica  e per la sottigliezza delle loro argomentazioni.

[71] Frizzo: motto arguto, garbatamente pungente. Frecciata, motteggio.

[72] Odoacre: (434-493), re barbaro; guidò la ribellione dei barbari militanti nell’esercito romano battendo Oreste, reggente per Romolo Augustolo, che depose nel 476, ponendo fine all’Impero Romano d’Occidente; governò l’Italia col titolo di rex gentium, finché fu a sua volta vinto da Teodorico, preso a Ravenna e trucidato.

[73] Federico Campanella nacque a Genova il 10 luglio 1804. Si iscrisse all'Università di Genova l'11 febbraio 1822 dove per il suo acceso anticlericalismo ebbe sanzioni disciplinari e varie sospensioni. Comunque conseguì la laurea in Legge nell'estate del 1829. Amico di Giuseppe Mazzini, fu tra i fondatori, assieme ai fratelli Ruffini, del primo comitato genovese della Giovine Italia, e partecipò alla spedizione mazziniana in Savoia nel 1834. Fallito il tentativo insurrezionale, andò esule in Svizzera e poi riparò a Marsiglia presso Luigi Amedeo Melegari.

[74] Immanente: Dio è causa immanente di tutte le cose. Equivale a trascendente. Dio è causa trascendente del mondo. Si veda nota a piè di pagina n. 57

[75] Mandragora: pianta erbacea dei boschi, della famiglia delle solanacee, di odore sgradevole e velenosa, usata un tempo in medicina e nelle stregonerie; si credeva che avesse anche la virtù di rendere prolifiche le donne infeconde.

 



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