Leopold Engel

(Trascrizione di una visione psicometria, dono della chiaroveggenza)

 

L’apocalisse di

Mallona

 

La distruzione del pianeta nella fascia degli asteroidi

 

 

 

Traduzione dall’originale tedesco “MALLONA - Der Untergang des Asteroiden-Planeten

Edizione originale - Turm Verlag, 74321 Bietigheim-Bissingen  Germania

Edizione italiana del 2013 a cura del gruppo: “Amici della nuova Luce”

Copertina di Cristine Scubla

Traduzione testo a cura di Antonino Izzo e Ingrid Wunderlich

Illustrazioni di Vittorio Zocco e Franz Reins

Copyright © by Turm-Verlag

Copyright © by Associazione Jakob Lorber

Casa editrice “Gesù la nuova Rivelazione”. (BG)

Altri riferimenti al pianeta Mallona: J. Lorber  nell’opera “Il vescovo Martino - al cap.46

 

 

[Prefazione]

 

[Introduzione]

 

 

INDICE

Cap. 1)           Dalla Terra all’Universo

Cap. 2)           La provenienza dell’anello

Cap. 3)           La pietra aurea

Cap. 4)           In patria

Cap. 5)           Dal passato del regno di Mallona

Cap. 6)           Re Areval

Cap. 7)           Alle caverne di Wirdu

Cap. 8)           Le caverne di Wirdu

Cap. 9)           Un figlio del re

Cap. 10)         Il veleno dell’egoismo

Cap. 11)         Il vicerè di Nustra

Cap. 12)         A Nustra

Cap. 13)         Nel tempio della bellezza

Cap. 14)         Viaggio di ritorno del sutor

Cap. 15)         La ribellione

Cap. 16)         La vittoria di Karmuno

Cap. 17)         Sutona

Cap. 18)         La fine di Mallona

Cap. 19)         L’ultima visione

Cap. 20)         Epilogo

                       Citazioni da altre opere

 

 

 

INDICE dei  PERSONAGGI

AREVAL                       secondo figlio del re Maban

ARTAYA                       figlia del re Areval

ARVODO                       supremo generale di Mallona

CUROPOL                    sommo sacerdote di Sutona

FEDIJAH                       sorella di Upal

FURO                             capostipite della stirpe di Mallona

KARMUNO                   sommo sacerdote di Mallona

KSONTU                       ex dittatore di Sutona

MABAN                         ex re di Mallona

MANSORE                    sommo sacerdote di Nustra

MIRTO                           scopritore dello sfruttamento della forza dell’etere

Il MONNOR                  titolo del viceré in Monna

MUHAREB                   primo figlio del re Maban

MURAVAL                   figlio di Areval e di Fedijah allevato da Muhareb

NUMO                            mistico maestro di Monna

Il NUSTROR                 titolo del governatore di Nustra

RUSAR                          fratello di Arvodo, viceré di Nustra

Il SUTOR                       titolo del viceré di Sutona

UPAL                             fratello di Fedijah, rivale di Areval

VOLTO                          servitore del tempio a Monna

 

NOMI  MITOLOGICI

ANARBA                       dea della bellezza

MUNGA                         figlia di Usglom

NIMRI                            simbolo dell’astuzia serpentina

SCHODUFALEB          nome della massima divinità

USGLOM                       demone del fuoco

WEISKEE                     mistica figura leggendaria

 

NOMI  GEOGRAFICI

MALLONA                   continente principale del pianeta

MARDA                         vulcano nelle montagne di Wirdu

MONNA                         secondo continente

NUSTRA                        terzo continente

RESMA                          città di Mallona

SUTONA                        quarto continente

WIRDU                          montagna rocciosa in Mallona

 

NOMI  DI  COSE  VARIE

MAHA                            propellente ottenuto dal Nimah

MANGA                         sostanza chimica luminosa (luce fredda)

NIMAH                          esplosivo di enorme potenza

OROSTEIN                   pietra preziosa, insegna del potere del re

ROD                                pietra bianca, usata come mezzo di pagamento

 

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Prima dell’esplosione, fra Marte e Giove                                                                 Dopo, la fascia degli asteroidi

 

 

(dal racconto della medium)

 

Cap. 1

Dalla Terra all’universo

 

                   1.                     Dai molti abitanti della Terra che di notte guardano al cielo stellato, spesso è custodito il desiderio di poter compenetrare lo spazio infinito e andare là, in quei lontani mondi splendenti, nostri vicini così stupendamente adornati, per conoscere quei sistemi solari con i loro sospettati pianeti, se su quei mondi vivano anche esseri umani uguali a quelli della nostra Terra, e se questi stiano altrettanto sotto le leggi della vita vegetale e intellettuale che gli uomini maturarono nella vita sulla Terra. Mille nuove domande s’impongono a questa, alla quale mai è riuscito il tentativo di sciogliere la questione principale, la cui risposta definitiva nella vita terrena, che ci ha incatenato fisicamente al nostro pianeta, mai potrà essere data. Riuscirà un giorno all’uomo di trovare mezzi e vie per attraversare nel corpo, velocemente, lo spazio cosmico? Anche se la tecnica porterà ancora tanto lontano, ad ogni desiderio di un temerario volo sulla via fisica, la sfera terrestre sembra contrapporre insormontabili impedimenti. L’arte dell’ingegneria e della fisica viene meno all’imperioso “alt” della madre Terra: questo, esclama lei ai suoi figli che si vogliono strappare fisicamente dal suo grembo!

                   2.                     Altra cosa è con lo spirito, il quale non proviene dal suo grembo; essa non lo può incatenare, non gli può esclamare: io ti ordino di rimanere all’interno dei confini del mio regno! Un figlio di Dio, nato dalla sostanza del Cosmo, compenetra l’Universo – la sua eterna Patria – dal quale egli è nato e che a lui rivelerà anche tutti i misteri una volta che si sarà strappato dalla sua prigione materiale.

                   3.                     Tutti noi nel profondo dell’anima siamo esseri spirituali, figli di Dio provenienti dall’eterno primordiale Spirito di Dio! Noi scorgiamo nell’immagine riflessa del nostro essere l’Essenza dell’eterno Creatore del mondo, del cui dominio ben rabbrividiamo in timore reverenziale, tuttavia non tremando di paura dinanzi alla Sua onnipotenza. Noi, infatti, quanto più riconosciamo com’è benfatto tutto ciò che scaturisce dal Suo Centro di Volontà, tanto più c’infiammiamo in amore. Percepiamo che quest’Universo mai ci è ostile, se nella nostra follia non gli opponiamo resistenza; anzi ci è benevolo, utile e salutare, se riconosciamo la profonda verità della legge primordiale di ogni vita: Creatore e creatura non sono esseri separati, bensì devono rappresentare un matrimonio, il quale genera i suoi più ricchi frutti nel più costante perfezionamento!

                   4.                     Anche il mio spirito riconosce questo scopo del progetto universale, e così io oso penetrare nei misteri della sua evoluzione per esplorare una piccola parte dello stesso. Mi libero dei legami del corpo mortale, mi lancio in alto nell’eterno spazio, lasciando profondamente indietro il mondo, luogo di sofferenze e gioie terrene.

                   5.                     Mi alzo in volo in spazi inondati dalla luce del Sole. Su di me s’inarca un profondo blu che, quanto più in alto compenetro l’atmosfera della Terra, tanto più s’intensifica in un nero impenetrabile. – Adesso ho lasciato questa dietro di me e fluttuo liberamente nello spazio infinito. Sotto vedo stare sospeso l’imponente globo terrestre, la cui dimensione si rimpicciolisce sempre di più, quanto più in alto mi muovo verso una meta a me sconosciuta. Il Sole non riscalda più il silenzio dello spazio, ma dispensa ancora la sua luce; io, infatti, non attraverso l’ombra della Terra che, come un lungo cono, si perde nell’Infinità.

                   6.                     L’anima umana trema in questo vuoto ed eterno silenzio. Essa, infatti, percepisce qui l’azione dell’invisibile Divinità, la cui Volontà costringe tutte le splendenti costellazioni a muoversi secondo le leggi che sono stabilite dal Proprio arbitrio. Anch’io sono soggetta ad esse, io – cui è concesso, come uno spirito libero dalle spoglie terrene, di vedere tutte queste magnificenze, per ammirare le Opere dell’Eterno.

                    7.                      Sempre più in alto prosegue il volo. Alla mia destra splende un mondo che mi viene incontro come un disco scintillante, il quale a poco a poco s’ingrandisce e riflette nel chiarore rossastro i raggi del Sole. Io so, è il pianeta Marte, il quale si mostra al mio sguardo situato alla mia destra, così vicino, come nessun astronomo l’ha mai visto. Ora anche lui sprofonda sotto i miei piedi, sempre più in alto, infatti, procede il volo, verso un astro che si trova proprio sopra la mia testa. Sotto di me scorgo il disco della Terra, posso riconoscere ancora chiaramente le macchie che costituiscono i suoi mari, i continenti si distinguono chiaramente. Riconosco l’Europa, la quale sembra come una penisola dell’enorme Asia, l’Africa e al margine emergono i continenti dell’America.

                   8.                     Sempre più in alto procede il volo, reso possibile da una forza a me inspiegabile. E adesso – adesso s’ingrandisce a vista d’occhio il pianeta che è sospeso sopra la mia testa e verso il quale mi fa dirigere la forza trainante. Che cos’è questo? Si mostra a me una copia della Terra? In modo evidente avevo in memoria le masse continentali della Terra e ora vedo in rassomiglianti forme la copia delle stesse? È questo un desiderio della mano creativa del Creatore, il quale fa sorgere quel pianeta che si rivela sempre più al mio sguardo?

                   9.                     Posso riconoscere chiaramente due enormi parti continentali separate, esse somigliano a quelle dell’America, solo che l’istmo di Panama manca e il mare si riversa liberamente tra le due parti. Al margine sinistro emergono altri continenti. Il volo si dirige verso di loro e, sempre più, è visibile una svolta – evidente, per raggiungere l’altra parte dell’astro –. Ora vedo che questa somiglia alla forma dell’Asia unita con l’Europa. La forza che mi trascina mi conduce alla parte ancora invisibile del pianeta, la quale trovandosi dalla parte opposta al Sole, si trova nel buio della propria ombra. Avvicinandomi sempre più alla sua superficie, la gigantesca volta della sfera occupa l’intero orizzonte. Presto potrò conoscere ciò che nasconde la sua superficie, ma la distanza è ancora troppo grande per l’occhio umano.

 

                 10.                  Che stella è mai questa, verso la quale io mi dirigo? Dopo l’orbita di Marte che ho attraversato, segue certo la zona degli asteroidi. Dopo questa, l’orbita di Giove! Però non è Giove! Dovrei anche scorgere le sue lune; veramente questo pianeta sembra di non possedere nessun satellite come la Terra. È forse uno dei più grossi di quegli asteroidi che, in gran numero percorrono quello spazio nel cui luogo, per lunghi anni, si è cercato un pianeta e non è stato trovato, finché la potenza del telescopio scoprì, a dir il vero, dapprima solo quattro piccoli mondi? Esso mi sembra troppo imponente nella sua massa, anche l’occhio non trova nello spazio nessuno dei compagni che dovrebbero pur condividere con lui quest’orbita! – Chi sei tu, mondo sconosciuto al quale io corro incontro e che adesso mi è venuto così vicino che posso riconoscerne gradazioni colorate di boschi, pianure, laghi, mari e fiumi? Rivelami la tua provenienza, il tuo nome! –

                 11.                  Allora sussulta una risposta attraverso la mia anima: “Tu vedi nuovamente combinate in un tutto le macerie di quello che fu un grande, stupendo mondo, le quali adesso si spostano velocemente come asteroidi attraverso lo spazio. L’ex pianeta si è ricostituito nella sua bellezza davanti ai tuoi occhi stupefatti, affinché tu possa comunicare ciò che nessun occhio umano ha visto prima di te! Tu devi contemplare ciò che migliaia di anni fa[1] accadde su di esso! Devi dar testimonianza del Grande Spirito dei mondi che lasciò accadere ciò che non volle impedire per amor del grande scopo che era necessario raggiungere!”.

                 12.                  Mi avvicino sempre più, – ecco – una profonda oscurità mi circonda, una nera, densa notte. Sono immersa nell’ombra del pianeta e, con velocità pazzesca, corro adesso alla meta del mio viaggio. Respiro aria come su in alta montagna; nuvole sono da me dissipate. Tenebrose cime di monti minacciose mi si tendono incontro, come se volessero rifiutare che il mio piede calpesti il terreno e sveli i suoi segreti, – ma nulla mi può ostacolare!

                  13.                    Il mio volo rallenta sopra monti, crepacci, lungo vulcani fumanti e in eruzione. Al mio orecchio batte il tuono fragoroso delle nuvole. Verdi prati si estendono sopra montagne lievemente arcuate, debolmente illuminate dallo splendore di un meraviglioso mondo di stelle e dal primo bagliore di un mattino che sta per spuntare. Su di una tale vetta, circondata da nebbie fluttuanti che ancora velano il panorama sulla regione situata in basso, termina il mio meraviglioso viaggio dalla Terra a quel lontano pianeta. Io sto sul territorio di Mallona, un mondo del nostro Sistema solare, un giorno distrutto.

 

 

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Cap. 2

La provenienza dell’anello

 

                   1.                     Lentamente l’Oriente si tinge di rosso. Il Sole sale maestosamente sopra l’orizzonte e scaccia le nebbie vaganti, le quali tutt’intorno nascondono alla vista le valli profonde, offuscando ancora le cime dei monti. Si fa più luce, la regione diventa più chiara. Sempre di più si svela il paesaggio che gli alti monti circondano, sulla cui parte rivolta verso il mare era terminato il mio audace volo.

                   2.                     Un vento sostenuto, che soffia dal mare e increspa la sua superficie in leggere onde coronate di schiuma, disperde gli ultimi spettrali lembi di nebbia. Adesso il paesaggio sta chiaro dinanzi a me nel rosso di uno splendido, nascente nuovo mattino. Questa regione è certamente in tutto simile alla Terra, solo che ogni cosa è enorme ed esercita sull’anima una potente impressione.

                   3.                     Il monte, dalla cui cima io guardo giù, è densamente ricoperto di alberi e cespugli, come lo sono anche sulla nostra Terra. Questo monte è l’ultimo nella successione di un’imponente, ma deliziosa catena di monti. A questa segue uno scenario montano di carattere selvaggiamente frantumato che, a quanto pare, fu formato da forze vulcaniche non ancora estinte, e che continuano ancora a modificarlo. Fin dove giunge lo sguardo, il mare è qui separato da possenti rocce che si stagliano ampiamente verso l’alto, e oppongono ai suoi flutti un’insuperabile parete. Questo è assolutamente necessario perché, guardando attentamente, in un breve tratto dietro alla barriera naturale il territorio comincia a scendere e forma una depressione che sta notevolmente più in basso rispetto al livello del mare. Guai alla regione là sotto, se un giorno cedesse il possente muro di rocce: inarrestabili i flutti si riverserebbero in quell’avvallamento e, tutto distruggendo, lo coprirebbero con le acque del mare.

                   4.                     Là dietro, all’orizzonte, vedo levarsi del fumo; ogni tanto guizzano fiamme, alle quali segue un lieve tuono sotterraneo. Là devono essere attive forze vulcaniche e conducono una lotta con il mare che qui scava una profonda insenatura nel territorio, e anche là dal focolaio, quelle eruzioni sono separate solo mediante quella ininterrotta, slanciata parete rocciosa.

                   5.                     Sento il desiderio di prendere in considerazione più da vicino questo luogo. Ed ecco, il mio corpo si leva lieve come una piuma nell’aria e spinge alla meta del mio desiderio. – Ora riconosco la forza trainante che ha reso possibile il mio viaggio dalla Terra: è la mia volontà, la quale è più forte della resistenza opposta dalla materia.

                   6.                     Che spettacolo terribile di forze naturali selvaggiamente violente e scatenate si offre qui! Di simile non ce n’è sulla Terra. Adesso vedo che ho messo il piede su un mondo diverso, su un mondo estraneo. È una voragine infernale che qui si manifesta. Prendete tutti i vulcani della nostra Terra, ammassateli insieme in un posto, così avrete un’immagine di ciò che si mostra qui. – Qui non c’è una sola voragine dalle quali massi incandescenti di lava non riversino fiamme e vapori soffocanti. No! Per quanto lontano giunga l’occhio, si susseguono crateri a crateri, un efficace laboratorio di forze gigantesche. Qui c’è veramente il regno di Plutone e Vulcano; essi sono qui signori assoluti. Il loro nemico, però, il dio Nettuno, il signore di tutte le acque, si mostra in minacciosa vicinanza. Tutto il paesaggio, così selvaggiamente dilaniato da eruzioni vulcaniche, mostra al tempo stesso la rilevante depressione, come la conosciamo in certi luoghi anche sulla Terra. Se non ci fosse la parete rocciosa che delimita il mare, esso dovrebbe precipitarsi inarrestabile in quell’abisso di fuoco. Guai allora a questa regione, non si può prevedere quale tremenda catastrofe capiterebbe improvvisamente sulla stessa!

 

* * *

                   7.                     Mi libro lungo la cresta montuosa attraverso questa regione terrificante, dai cui crateri salgono continuamente fiamme e lave infuocate, spesso scoppiando in aria come bombe con assordante fragore. Adesso giungo, ad altissima velocità percorrendo in fretta l’aria, alla fine di questo spaventoso paesaggio. Alte montagne, scendono a picco sul mare, nude rocce si ergono lungo la costa e offrono una sosta inospitale al povero naufrago che forse ha salvato fin qui la sua vita. Là un vasto promontorio si tuffa nel mare; là dietro si unisce un’insenatura, ed ecco, simile ad una ridente oasi nel deserto, nell’area di quest’insenatura, si mostra l’immagine di un ridente paesaggio.

                   8.                     Qui verdeggiano e germogliano meravigliosi fiori, arbusti e alberi, un piccolo paradiso si manifesta allo sguardo meravigliato. Esso è circondato tutt’intorno da alte, ripide montagne a picco, dalle quali, da come sembra, è impossibile una discesa alla costa; verso la parte del mare aperto, la paradisiaca insenatura è protetta mediante uno strato di rocce che interrompono la forza delle onde: un porto naturale nel quale la tranquilla superficie dell’acqua riflette gli altissimi monti. Qui la benevola natura ha creato un luogo di pace, sicuro dalle possenti forze del fuoco che, di tanto in tanto, si sentono strepitare con sordi tuoni dietro le montagne, come pure dall’acqua, alla quale è impossibile inondare la spiaggia oltre il banco di rocce con potenza distruttiva.

                   9.                     Nel vasto semicerchio di quest’insenatura protetta dalle tempeste, si è sviluppata una fiorente vegetazione. Intorno vi sono ovunque alberi carichi di frutti che invitano ad essere gustati; una sorgente scaturisce dalla parete rocciosa e scende scrosciando verso il mare. Nel mezzo del semicerchio, masse rocciose, un tempo certamente precipitate a causa di terremoti, formano una specie di terrazzo, così che è possibile salire su, fino ad un terzo della cascante ripida montagna. Anche qui la roccia, disgregandosi, ha formato un fertile terreno; lì tutto verdeggia e fiorisce in colori luminosi. Quest’angolo, apparentemente abbandonato, offre in abbondanza ciò che la benigna madre natura è capace di offrire.

                 10.                  Nel frattempo il giorno è diventato chiaro, il Sole si riversa con caldi raggi sul piccolo paradiso. Qui è gradevole, qui dimora la pace. Dimorano anche uomini? Sembra proprio di no! Ma, non si muove qualche cosa sul terrazzo?

                 11.                  Giusto, là vedo un giovane miseramente vestito di pelli! Dà l’impressione di trovarsi dinanzi ad uno dei giovani germanici che un tempo dovrebbero aver abitato nelle foreste tedesche. I blocchi di roccia precipitati hanno formato sul terrazzo una cavità che, fittamente circondata da piante rampicanti in fiore, offre uno spettacolo particolare. Si potrebbe credere di trovarsi davanti ad un palazzo di roccia costruito da gnomi, cui l’arte magica dei suoi abitanti ha conferito un ingresso adornato con fiabesca magnificenza di fiori. Tutt’intorno profuma e fiorisce. I colori accesi dei calici rallegrano l’occhio davanti all’ingresso della cavità nella quale ora è scomparso il giovane. Da quest’altezza si presenta una splendida vista sul mare e sull’insenatura. Veramente una dimora che dovrebbe entusiasmare ogni amico della natura.

                 12.                  Adesso si muove qualcosa nella cavità; appoggiata al giovane, viene fuori lentamente una figura che incute profondo rispetto. È un vegliardo con lunghi capelli ondeggianti e barba. E che occhi! Questo è lo sguardo di un uomo che si è liberato dalla pena dell’esistenza, il quale vive nel riconoscimento del suo Dio ed è capace di sondare le profondità della Creazione. Così sembra di somigliare ai potenti profeti d’Israele, i quali senza paura degli uomini camminavano imperterriti, ed erano impavidi annunciatori della Parola e della Volontà di Jehova.

                 13.                  Una rozza, semplice veste, avvolgendo l’intera figura – i fianchi sono tenuti da una cintura di cuoio – copre il corpo muscoloso del vecchio, che non è per nulla un debole vegliardo, si appoggia solo affettuosamente al fianco del giovane. Lentamente i due vengono fuori; adesso il vecchio viene avanti da solo, rispettosamente il giovane rimane indietro. Il vecchio tende le sue mani al cielo e s’inginocchia. Le sue labbra si muovono in silenziosa preghiera. Simile ad una statua egli rimane in immobile posizione. Anche il giovane s’inginocchia, piega il capo al suo petto e le braccia incrociate su questo.

                 14.                  Il luogo straordinario, il leggero mugghiare del mare che, insieme al lontano fragore di eruzioni vulcaniche interrompe soltanto a tratti il silenzio, – e le figure immobili dei due apparentemente gli unici abitanti di questa cavità rocciosa sulla quale si riversa la calda, chiara luce del Sole che sale sempre più in alto, i quali servono, immersi in profonda preghiera, il loro Dio, è un’immagine di potente impressione! Essa mi colma col presentimento di grandi cose che si riveleranno.

 

*  *  *

                 15.                  Il vecchio china la testa profondamente a terra. Le sue braccia tese in alto s’incrociano sul petto. Egli mormora sommesse parole e sembra rispondere ad una persona che io non riesco a vedere. A lungo dura questa conversazione con un essere invisibile. Adesso il vecchio si alza, il suo sguardo cerca il giovane compagno e questi corre da lui.

                 16.                  “Muraval”, risuona dalle sue labbra. “Dio Padre mi ha dato chiarimento sul destino cui va incontro Mallona, se presto uno spirito migliore non farà cambiare i cuori di coloro che si credono padroni del mondo. Saresti tu pronto ad adempiere gli ordini che Dio Padre mi dà?”.

                 17.                  Il giovinetto risponde: “Padre, tutto quello che tu mi dici, lo farò, poiché io so che tu non pretendi da me ciò che non sta nella Volontà di Dio Padre!”

                 18.                  “Vieni, siediti accanto a me!”. Dice il vecchio, e si dirige verso un pezzo di roccia piatta, una naturale panca all’ingresso della cavità contornata di fiori.

 

                 19.                  Strano, io comprendo il linguaggio di questi uomini, sebbene essi parlino certamente un idioma a me completamente sconosciuto! È dunque vero che il libero spirito è indipendente dalla forma della parola, solo il concetto rivestito di questa forma parla a lui, ed egli comprende l’impressione che le parole suscitano, indipendentemente in quale forma esso sia nascosto. Adesso capisco cosa vuol dire, la parola è vivente’; la parola è il concetto della lettera o del solo suono racchiuso, il quale è indipendente dal suo morto involucro; come io sono ora indipendente dal mio corpo che avvolge lo spirito.

                 20.                   “Muraval”, dice ora il vecchio al giovinetto. “È giunta l’ora in cui ti posso spiegare perché l’Iddio Padre ci fece finire in questa regione, regione che ormai occupo solamente con te già da diciassette rivoluzioni. Per la diciassettesima volta, oggi il Sole è salito dal mare là alla sponda rocciosa di quest’insenatura ad arco, come se quell’arco roccioso gli indicasse l’orbita nella volta celeste. Solo una volta l’anno esso sfiora lentamente il suo margine, senza gettare l’ombra della roccia nell’insenatura; che cosa accadrà, quando si avvicinerà il diciottesimo anno?

                 21.                  Muraval, tu certamente sai, dietro quelle montagne dimorano uomini che noi sfuggiamo. Essi non sanno nulla di noi, ciò nonostante ti ho dimostrato come loro siano di sentimento completamente diverso dal nostro. Tu sai che cos’è il peccato, e che quelli dall’altra parte servono solo il peccato. Un tempo io sono vissuto in mezzo a loro, onorato e circondato da tutto lo splendore che si possano dare. Io però non cercavo lo splendore esteriore, io trovavo soddisfacimento solo nel ricercare la sublime Verità, Verità che non esiste nel trambusto del mondo, e per la quale il buon Dio, Padre universale, ha preparato una dimora solo in noi.

                 22.                  Io vedo dove dovrà portare, se a quei dispotici là dietro le montagne non sarà predicata ancora una volta la Verità, se non sarà messo davanti a loro uno specchio nel quale possono riconoscere se stessi. Allora il loro cuore potrebbe essere toccato e il loro sentimento cambiato.

                 23.                  Muraval, figlio mio, sappi che re Areval domina ormai il mondo. A lui è riuscito, con la forza del suo generale Arvodo, di spezzare l’ultima resistenza che gli opponeva la quarta e ultima parte della superficie di Mallona. Egli domina ormai del tutto Mallona. Un impero, un impero mondiale illimitato gli è proprio.

                 24.                  Egli tuttavia non è felice. L’oppressione che i suoi sudditi devono sopportare dai grandi del re, da molto tempo li ha resi schiavi, quasi come animali. Superbia inconcepibile, avidità di piaceri, tutte le gioie e i godimenti dell’esistenza tu li trovi presso gli altolocati; invece, profondissima ignominia e umiliazione, fame e miseria presso i bassolocati. Solo l’esercito del dominatore, per mezzo del quale egli mantiene il suo potere, vive nei piaceri e nell’abbondanza; tutto è proprietà del guerriero, egli è il vero dominatore, il criminale che serve il re, per servire se stesso.

                 25.                  Come potrebbe, come dovrebbe essere completamente diverso sul nostro stupendo mondo. Invece di un luogo della maledizione, Mallona sarebbe un luogo di sublimi gioie se l’uomo non fosse diventato un infame, profanato in se stesso! Invece di gettarsi nelle braccia del Padre universale, re Areval ha preferito quelle dello spirito delle tenebre. Il nostro compito deve essere quello di osare l’ultimo tentativo, per strapparlo a questa morsa. – Dio Padre, io ubbidirò! Indica a noi la via e i mezzi!”

                 26.                  Il giovane ascolta attentamente le parole del vecchio, e con entusiasmo, assicura ancora una volta la sua disponibilità a tutto.

                 27.                  Il profeta guarda meditando il mare luccicante e dice a bassa voce: “Non è ancora tempo, ma presto verrà e pretenderà molto da noi, forse tutto quello che ancora abbiamo da dare. Allora non spaventarti Muraval, poiché in confronto alla potenza di Dio Padre, quella del re è solo un soffio, e noi saremo al sicuro sotto la protezione del nostro eterno Signore e Padre. – Vieni adesso, cogliamo dagli arbusti i frutti che ci serviranno per il nostro pasto”.

                 28.                  Svelto il vecchio si alza, ugualmente il giovane; entrambi scendono verso la riva e scompaiono velocemente tra i fiorenti cespugli e alberi.

                 29.                  Sono immobilizzata con forza magnetica davanti alla grotta. Adesso essa mi spinge a visitare l’abitazione dei due, e vi entro. Essa è grande, spaziosa, e lateralmente conduce sotto i blocchi di roccia accatastati l’uno sopra l’altro. Là c’è il giaciglio dei due, fatto di muschio e fogliame essiccato. Poche suppellettili sono disposte intorno, ricavate da gusci duri di grossi frutti, simili ai gusci delle noci di cocco e delle zucche. Vedo qui anche pelli di animali, alcune utilizzate come tappeti, altre come tenda, e quella appesa a uno dei giacigli, quello del vecchio, certamente serve da protezione contro il vento che fa visita alla grotta. In capo ai giacigli vedo un grosso contenitore, decorato con segni che non so interpretare; qualcosa mi spinge ad aprirlo per conoscerne il contenuto.

                 30.                  Esso contiene splendenti gioielli, una corona reale con gemme sfavillanti, e in fondo c’è un anello d’oro con una grossa pietra bianca. – Questa è la stessa pietra con incisa una testa come quella che mi è stata mostrata e che porto ancora impressa nella mente; adesso la riconosco chiaramente: da qui dunque essa proviene, è stata a lungo qui, in questo contenitore!

 

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Cap. 3

La pietra aurea

 

                   1.                     Di nuovo mi sento afferrata dalla meravigliosa forza che mi ha reso possibile liberarmi dai vincoli della Terra e alzarmi in volo fino a questo mondo estraneo, per fare delle indagini sulla storia dell’anello. Da qui son1o portata via da questa forza attraverso gli spazi oltre le alte montagne all’interno del paese. Il volo si dirige al confine di quella regione vulcanica che mi è già diventata nota. Com’è strano: morte e vita serena, stanno qui, l’una accanto all’altra.

                   2.                     Lì a sinistra, sul lontano orizzonte, vedo l’imperversare di forze vulcaniche. Poi segue una stretta fascia di nuda roccia e, senza passaggio, si chiude in questa un ameno, fiorente paesaggio; posso abbracciare con lo sguardo boschi, fiumi, campi e laghi, stupende graziose vallate, dolci colline arrotondate visibilmente coltivate da diligenti mani umane. Non sono però le regioni coltivate, l’attuale meta cui io tendo. Sembra essere invece quella fascia che separa i floridi paesaggi dalla regione del fuoco.

                   3.                     Noto che là sono attivi e lavorano diligentemente uomini, creature come noi, solo notevolmente più grandi di statura. Laggiù è sorta una miniera. Profondi passaggi sono trivellati nella pietra, centinaia, no, migliaia di operai sono all’opera. Da come però sono sorvegliati rigorosamente e come sembrano oppressi, questi lavoratori non sono uomini felici! Essi sono costretti a un lavoro cui non si sono dedicati per loro libera volontà. Spietatamente essi sono sospinti da brutali sorveglianti – ciascuno dei quali è accompagnato da due uomini armati – in passaggi che, profondamente, s’introducono nelle rocce, dalle quali vedo venir fuori alcuni uomini completamente esausti con pietre straordinariamente bianche e irregolarmente grosse. – Essi gettano via le pietre e, respirando faticosamente, crollano a terra semi svenuti. Alcuni dei compagni versano acqua su di loro e cercano di portarli di nuovo in sé. Quanto sono miseri tuttavia questi uomini nel corpo, sono solo pelle e ossa!

                   4.                     Nei profondi passaggi essi arrivano così vicini al focolare del fuoco vulcanico e ai suoi soffocanti vapori, che solo con costante pericolo di vita in quel posto raggiungono le pietre bianche. Vedo il penoso lavoro di questi infelici lungo l’intera fascia rocciosa che si estende per miglia e miglia,

                   5.                     Quale alto valore dovrà possedere quelle pietre, perché così tanti uomini sono sacrificati per la loro estrazione? Tale lavoro deve mietere migliaia di vite umane. Solo la violenza è il mezzo per costringere questi infelici a scegliere tra morte o lavoro. Chi si rifiuta di entrare ancora per lungo tempo nelle cavità, è spietatamente abbattuto da uomini armati per mezzo di lunghe lance. Molti preferiscono questa morte veloce, alla lenta uccisione nei vapori dei pozzi nella roccia.

                   6.                     I barbari sembrano aver compiuto già parecchie volte il loro lavoro come aiutanti del boia. Vedo là, dietro quelle rocce, vicino ad una profonda voragine, giacere corpi senza vita con ferite ancora sanguinanti, accanto a questi ce ne sono altri i cui volti deformati indicano la morte per soffocamento causata dai vapori velenosi. Un’immagine dell’orrore e della ripugnanza. Gli uomini di questo mondo insensibile sono senza nessuna compassione nel petto?

                   7.                     È proprio così! I sorveglianti e i numerosi uomini armati non possiedono più, in ogni caso, alcuna traccia di sentimento umano. Ridendo, essi gettano i cadaveri degli infelici nella profonda voragine, la quale offre loro un ultimo luogo di riposo. Quanti saranno quelli che già giacciono nella profondità, da cui risuona su un cupo imperversare d’acqua? Quanta miseria, dolori e maledizioni hanno sciacquato le mugghianti acque là, sotto il mare, nel fondo della terribile voragine!

                   8.                     Non lontano da questo luogo dello strazio c’è un grande edificio. In quel luogo sono portate dentro tutte le pietre guadagnate col sangue, esaminate con cura, selezionate secondo la purezza del colore e immagazzinate in speciali solide stanze. Io presumo che queste pietre rivestano lo stesso ruolo del denaro sulla nostra Terra, che il loro valore misuri il valore degli altri prodotti di questo mondo e, in ogni caso, sono considerate come denaro e servono come mezzo di pagamento. L’ampio edificio, costruito con enormi pietre squadrate, somiglia ad una fortezza. Entro e vedo dappertutto uomini laboriosi che, per mezzo di macchine a me sconosciute, spaccano le pietre e le tagliano in maneggevoli pezzi quadrangolari, poi questi sono nuovamente approntanti in sottili piastre che sono imballate in casse fornite di speciali serrature e sigilli, e caricate su grossi carri.

                   9.                     Davanti all’edificio inizia un’ampia strada, lastricata con estrema cura, la quale non presenta nessun’asperità e si perde all’orizzonte, in una lontananza indefinita. Su questa strada, guidati da due uomini, carri vuoti si avvicinano all’edificio, mentre quelli carichi se ne allontanano. I carri si muovono da sé, spinti da una forza a me ancora non riconoscibile. Vedo solo che dalla parte posteriore dei carri emerge un condotto più lungo, dal quale, senza rumore, sale un leggero vapore. Leggeri, silenziosi e straordinariamente veloci, questi carri vanno avanti e indietro.

                 10.                  Là da quei luoghi di lavoro e dell’orrore, davanti all’ingresso di uno dei passaggi nella roccia, risuona adesso un forte grido. Da tutte le parti si avvicinano sorveglianti e lavoratori, circondano un uomo profondamente esausto che è appena uscito dal passaggio e con cura racchiude qualcosa nelle mani. Si sentono grida di congratulazioni e si manifesta un vivace spingere e tirare. Voci eccitate diventano sempre più chiare, e un corteo si muove verso l’imponente deposito dei tesori depredati.

                 11.                  Esso si avvicina. Dall’edificio esce un imponente personaggio, un uomo con duri, penetranti occhi, circondato da altri uomini; essi sono i suoi impiegati subalterni, egli stesso è il capo di quest’attività mineraria. Il corteo adesso gli è molto vicino. Davanti a lui si presenta quell’uomo che col suo forte grido ha provocato l’assembramento. Il duro capo, impaziente per l’attesa, domanda: “Sei tu il fortunato?”.

                 12.                  “Signore, io lo sono stato”, gli risponde l’interrogato, e inginocchiandosi gli porge una pietra piatta grande come un pugno soltanto, la cui superficie inferiore è bianca come la neve, la superiore invece, di colore marrone scuro.

                 13.                  Il capo guarda sorpreso la pietra e la prende in consegna. La gira qui e là; stupore s’imprime nella sua espressione. Con un cenno chiama a sé i suoi sottoposti e mostra loro l’esemplare, anche questi manifestano la massima sorpresa.

                 14.                  “Come ti chiami?”, domanda il severo.

                 15.                  “Upal!”, gli risponde il fortunato trovatore.

                 16.                  “Upal, tu sei libero e farai rapporto al re, su dove e come hai trovato questa splendida pietra, la più grossa che io abbia mai visto. Tu sai che per te la morte è certa qualora ne parlassi ad altri. Preparati al viaggio!”

                 17.                  Il capo ritorna con i suoi impiegati subalterni nell’edificio. La moltitudine di soldati e lavoratori si divide di nuovo, ritornando ai luoghi del loro faticoso lavoro. Upal con alcuni altri funzionari, i quali si congratulano vivamente con lui e l’osservano con sguardo invidioso, si reca ad un’altra entrata dell’edificio ed è portato in una stanza nella quale c’è una tavola preparata con cibi e bevande. Là egli si rilassa e rinvigorisce le sue indebolite forze con le ghiottonerie solitamente preparate per i funzionari di grado superiore.

                 18.                  Dopo un po’ di tempo entra un servitore e gli ordina di seguirlo dal capo supremo. È accompagnato in una stanza che è arredata come da noi le stanze degli orientali. Colonne, con pietre variopinte e pareti decorate adornate con tende multicolori, sorreggono il soffitto. Tappeti ricoprono il pavimento, alte finestre lasciano entrare la chiara luce del Sole che si riflette sulle lucenti pareti di pietra. Il superiore porta una veste alla foggia greca, le spalle coperte da un mantello che giunge fino a terra. Ampi pantaloni, che terminano in ricamati stivali di cuoio color naturale, completano il suo abbigliamento; cinto attorno ai fianchi gli pende una larga spada. Egli siede ad un tavolo, davanti a lui ci sono degli scritti. Li controlla e ne confronta parecchi.

                 19.                  Ad Upal che sta entrando, egli adesso dice: “Avvicinati e ascolta le disposizioni che valgono per il fortunato scopritore della pietra-aurea. Tu, finora uno schiavo del re, da adesso sei un libero cittadino, esonerato da ogni tributo che i sudditi nel regno di Mallona devono versare. A te è consegnata la somma di 10.000 tese e potrai chiedere al re una grazia non appena ti riceverà. Cerca di riassumere bene il tuo discorso, quando starai davanti al potente e mostrerai, a lui e ai grandi, come hai trovato nelle profondità la pietra-aurea. Qui c’è il certificato della tua scoperta, la lettera d’immunità e l’assegnazione del tuo patrimonio”.

                 20.                  Il superiore gli porge tre documenti, essi nella loro sostanza somigliano in tutto a quelli della nostra Terra; certamente i segni grafici sono sconosciuti, ornati di intrecci e disordinati. Upal ringrazia con espressione cupa. Con cura infila i documenti nel suo lacerato abito da lavoro, poi s’inchina profondamente e se ne va! Il superiore, al suo tavolo, si rivolge ora ad altri lavori.

                 21.                  Upal percorre il lungo corridoio che conduce alla grande porta. Adesso esce e abbraccia con sguardo triste quel paesaggio che, per così a lungo, è stato per lui un luogo di sofferenze e di un durissimo lavoro da schiavo. Nei suoi tratti si riflette ciò che l’uomo sente: odio contro gli oppressori, gioia per l’ottenuta libertà, desiderio di vendetta per le sofferenze sopportate. Respirando profondamente, l’uomo sta adesso all’ultimo gradino della scala esterna che dal portale conduce verso la strada, e i suoi occhi guardano bramosi i veicoli che, velocemente in corsa, animano la strada maestra. Ora si raccoglie e va ad una rimessa nella quale i veicoli scompaiono.

                 22.                  Vita operosa c’è in questa rimessa. È uno spazio nel quale le pietre, ben imballate e già lavorate, sono caricate sui veicoli e così portate alla meta a me ancora sconosciuta. Un veicolo è pronto per la partenza. L’entrata di Upal ha provocato un certo movimento tra i lavoratori. Certamente tutti sanno che lui adesso è diventato un uomo libero e ricco, e ognuno invidia la sua fortuna, mentre tutti loro devono rimanere ancora schiavi, schiavi di un re che, per arricchirsi, non ha riguardo della loro vita.

                 23.                  “Fortunato”, gli rivolge la parola un funzionario, il quale sorveglia il caricamento dei tesori sul veicolo pronto per la partenza. “Tu puoi tornare a casa con questo mezzo, vuoi?”.

                 24.                  “Voglio volentieri”, risponde Upal. “Sii certo del mio ringraziamento!”

                 25.                  “Allora vieni, mettiti accanto a me!”

                 26.                  Il funzionario sale sul posto a sedere anteriore del veicolo, il quale offre comodamente spazio per due persone. Egli porta via ad un uomo vicino a lui una larga targhetta, che questi porta ad una catena attorno al collo e la porge ad Upal, il quale se ne orna.

                 27.                  “Tu sai perché!”, gli sussurra.

                 28.                  Upal silenzioso fa cenno col capo e occupa il suo posto accanto al funzionario. Questi preme un tasto e, leggero, silenziosamente il veicolo si muove in avanti lungo la strada, sulla quale io già vidi l’andirivieni di molti veicoli uguali.

 

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Cap. 4

In patria

 

                   1.                     La strada si perde in rettilineo all’orizzonte, in sterminata distanza. A destra e a sinistra essa è cinta da un robusto muro costruito fino a mezza altezza d’uomo. Dopo che il veicolo ha lasciato la stazione di partenza, subito la strada si restringe talmente che solo due veicoli possono andare l’uno accanto all’altro; uno stretto rialzamento separa la strada in due metà: a destra per i veicoli che partono e a sinistra per quelli che ritornano. Ad una distanza che può forse corrispondere al nostro chilometro terreno, vedo a destra e a sinistra avvicendarsi case adibite a posti di guardia. Queste sono abitate da soldati, i quali sorvegliano rigidamente ogni veicolo, soprattutto quelli provenienti dalla stazione. Le guardie sono armate di lunghe lance, con le quali, nonostante la veloce corsa, abbatterebbero gli occupanti di un veicolo che non sono contrassegnati da una targhetta come la porta Upal e il funzionario. Oltre a ciò, ad ogni casa del posto di guardia sono applicate delle saracinesche, con le quali è possibile chiudere rapidamente la strada carrozzabile.

                   2.                     Per mezzo di figure segnaletiche, particolarmente formate e messe su alti piloni, i singoli posti di guardia sono in grado di comunicare tra loro. Se un fuggiasco dovesse superare fortunosamente anche un posto di guardia, questi segnali al posto di guardia successivo metterebbero un termine al suo viaggio. In questo modo i tesori ottenuti sono portati senza pericolo alla lontana capitale del re. Nessuna possibilità di portarli via inosservati, ma anche nessuna possibilità per i numerosi lavoratori di sgusciare inosservati! Al muro limitante, infatti, pattugliano soldati! Dai loro volti si vede che non conoscono pietà.

                   3.                     Silenziosamente il viaggio prosegue verso la capitale. Il funzionario ha rivolto tutta la sua attenzione alla guida del veicolo. Upal s’immerge nei suoi pensieri ed è visibilmente contrario ad ogni conversazione. La strada comincia a fare delle curve, presto si devono percorrere delle salite e superare dei dislivelli a velocità sibilante. Il muro a destra e a sinistra diviene sempre più alto e non permette più nessuno sguardo dal veicolo sul territorio separato. La strada passa ora attraverso paesaggi più abitati. È vero che nelle immediate vicinanze non si vedono abitazioni, ma ad una certa regolare distanza comincia ad emergere qua e là traccia di attività umana: campi coltivati e case d’abitazioni come da noi sono in uso in Oriente. In prossimità di questa strada statale nessuno può costruire e mai un abitante potrebbe avventurarsi nelle vicinanze, altrimenti la sua vita sarebbe perduta.

                   4.                     All’orizzonte emerge una città, la meta del lungo viaggio. Secondo il nostro tempo questo viaggio può essere durato circa due ore, ma in questo tempo è stato percorso almeno il doppio della distanza che un treno espresso della Terra percorrerebbe nel medesimo tempo. La regione è splendida, la città è imponente. Essa sta presso un largo fiume e si estende in parte a terrazze, su una dolce ascendente propaggine montuosa, circondata da un maestoso muro.

 

* * *

                   5.                     Una meravigliosa fortezza si eleva su una collina in mezzo alla città, la fortezza reale del potente dominatore. Tutto appare così affine alla Terra, e tuttavia stranamente orientale. Così potevano aver l’aspetto le case dell’antica Babilonia. Forse vedo dinanzi a me una specie di copia dell’antica Babilonia, nella quale troneggiava un Nabucodonosor, non meno imponente, temuto e – scellerato, come lo era lui.

                   6.                     Il veicolo entra ora in una rimessa posta alle mura della città, con copertura a volta, e si ferma. Una ciclopica opera muraria si accalca tutt’intorno. Per quanto si possa abbracciare al primo sguardo ci si trova in una roccaforte ben custodita, la quale è in grado di resistere a qualsiasi forza. È la casa del tesoro del regno, dove affluiscono tutti i tesori che sono estratti fuori. Un gran numero di uomini sono qui occupati, ovunque si nota un animato movimento. M’interessa l’abbigliamento che, somigliante ai costumi a noi noti degli antichi Greci, consiste, per i lavoratori, in una corta tunica. I funzionari di più alto grado portano, oltre a questa, ancora dei mantelli; i piedi sono protetti da alti stivali stringati.

                   7.                     Upal e il funzionario adesso sono entrati all’interno. Egli ringrazia il suo accompagnatore e si dirige ad una porta che costui gli ha indicato. Apre e si trova in un vasto ambiente, nel quale siedono molti uomini visibilmente occupati a scrivere. Il capo di quest’ufficio prende le carte che Upal consegna e gli dice di aspettare. Dura a lungo prima che egli ritorni; ora lo conduce in un’altra stanza. Upal è solo; nessun cambiamento si mostra nei suoi tratti che riveli una qualche emozione. È silenziosamente rivolto in se stesso, solo l’occhio talvolta risplende all’improvviso furtivamente, ma la ferrea forza di volontà dell’uomo doma qualsiasi sentimento traditore. Un servitore entra e lo invita a seguirlo.

                   8.                     Lo conduce in una stanza nella quale siedono parecchi alti funzionari di questa casa del tesoro, i quali lo guardano interessati. Essi lo esortano, incoraggianti. Il presidente di questa consulta gli notifica ancora una volta la piena libertà e gli consegna un gran numero di carte; per ultimo, con particolare accento, un documento che autorizza Upal a prelevare dalle casse reali la grossa somma che gli spetta, come trovatore della pietra-aurea. Upal adesso è ricco, molto ricco. – Gli si comunica con insistenza di attendere ogni giorno di essere chiamato dal re. Egli acconsente a questo, afferma di essere pronto, ed è rilasciato.

 

* * *

                   9.                     Un servitore lo porta fuori attraverso un lungo corridoio; adesso sta nuovamente davanti ad una porta sulla quale c’è un’iscrizione in una scrittura a me sconosciuta. Upal la apre. È l’ufficio cassa, una stanza a volta, separata da un muro con piccole vetrate, dietro ad ognuna siede un uomo. Upal presenta il suo attestato ad uno sportello e riceve un gran numero di sacchetti che nasconde nella sua veste. Apre un sacchetto, è pieno di sottili, quadrangolari piastre bianche, ognuna porta un segno, – è l’oro monetizzato di Mallona; per ottenerlo egli ha rischiato più di una volta la sua vita.

                 10.                  Mi vien da ridere. Questi sassolini sono quindi soldi, soldi come da noi, qual è il suo valore, in che cosa sta? – Sì, in che cosa sta, infatti, il valore del nostro oro, non è anche un prodotto della fantasia, un’immaginazione che ci dà l’illusione che la nostra moneta abbia valore? – Se si valutassero qui questi soldi, noi otterremmo solo una mollica per questi sassolini quadrangolari – Che cosa dobbiamo stimare? Le cose oneste, il lavoro utile, sono stati divorati da molto tempo dall’idolo fatto da sé del fantasma del denaro. L’apparenza, la presunzione ha riportato la vittoria e creato i tesori che la ruggine e le tarme divorano.

                 11.                  Upal si è allontanato dall’ufficio cassa e una magica potenza mi spinge a seguirlo ancora. Egli adesso esce dall’imponente edificio e si ritrova all’interno delle mura della città, davanti ad una piazza all’aperto che attraversa velocemente. L’uomo trae un profondo sospiro, istintivamente afferra il tesoro nascosto nella sua veste, getta ancora un’occhiata d’addio all’edificio appena lasciato e, con passo veloce, si affretta per i vicoli della periferia, nella quale presto si trova.

 

* * *

                 12.                  Vedo costruite case caratteristiche dappertutto, e posso paragonarle solo con quelle dell’Oriente. Tetti piatti come si usa là, ma qui di regola sono ricoperti con splendide piante in fiori, come i giardini pensili di Semiramide. Le finestre sono alte e larghe, fornite di tende che lasciano intravedere ariosi ambienti. Il vetro qui sembra essere sconosciuto, ma ben vedo dappertutto delle tende a rullo, di un materiale trasparente, solido, a me sconosciuto, che sembra assicurare lo stesso servizio delle finestre di vetro. Le case non sono costruite a caserme di molti piani, ma sono alte solo due piani, estese in lunghezza e provviste per lo più di lati che racchiudono un giardino. Ovunque aleggia aria mite. Gli uomini che vedo sono tutti molto muscolosi, di robusta e grossa costituzione. Questo deve provenire dalla particolarità di questo pianeta, le cui caratteristiche fisiche devono essere certamente diverse da quelle della nostra Terra, già in seguito alla sua più grande lontananza dal Sole e dal differente tempo di rotazione. Mi accorgo adesso che l’atmosfera qui sembra essere più densa e la pressione dell’aria è maggiore. Cercherò di esaminare questo più tardi, poiché m’interessa penetrare più profondamente nei misteri dell’Universo che si rivelano a me.

                 13.                  Upal è giunto in una zona che presenta case più piccole, è sufficiente un po’ di osservazione per riconoscere che qui c’è un luogo di povertà. Le case sono basse, strette, molte sono solo una specie di casupole. Adesso silenzioso sta davanti ad una di queste e si guarda intorno con sguardo scrutatore. Il vicolo è vuoto, non si vedono uomini. Batte ad una porta bassa di robusto legno. Una voce dall’interno s’informa sul disturbatore. Quando egli fa il suo nome, risuona dall’interno un grido represso e, frettolosamente gli è aperto. Una donna anziana, dall’aspetto gracile, i cui tratti del volto rivelano miseria e preoccupazione, apre e guarda con espressione incredula di massima sorpresa per il nuovo arrivato. Poi, quando lei vede che l’impossibile è realtà, lancia un grido e gli getta le braccia al collo. Un cuore di madre è lo stesso, anche su questo mondo estraneo!

 

* * *

                 14.                  Upal dolcemente si libera dalle braccia della madre piangente forte di gioia e la conduce premurosamente verso una porta mezza aperta, dalla quale risuonano preoccupate domande su che cosa sia successo. Entrambi entrano e Upal va rapido ad un giaciglio sul quale giace un uomo malaticcio. Qui si ripete la medesima scena. Upal si china sul letto di suo padre ammalato. Adesso comincia un interrogatorio senza fine. Upal racconta, e un gioioso stupore costringe i due anziani al silenzio, quando essi ascoltano che lui è ritornato ricco, quale trovatore della pietra-aurea.

                 15.                  Upal tira fuori i suoi tesori dalla veste e mostra l’ordine di pagamento che lo autorizza a prelevare ancora molto di più. Grande è la gioia degli anziani genitori: dunque tutta l’amara povertà, nella quale essi si trovavano, adesso ha una fine improvvisa. Il padre, guardandolo con sguardo interrogativo, gli domanda a bassa voce, mentre la madre si adopera in operosa premura a preparare qualcosa da mangiare: “Hai fatto così come ti avevo detto io?”. Altrettanto a bassa voce risponde il figlio: “L’ho fatto; solo a te devo il ritrovamento, avvenuto però più tardi!”. Upal dà alla madre un po’ del suo tesoro e la prega di procurare il cibo migliore, nel frattempo lui vuol rimanere accanto al padre. La donna acconsente volentieri e, con tante carezze, si allontana per andare a prendere il meglio.

                 16.                  Padre e figlio sono adesso soli. Il vecchio si è sollevato dal suo giaciglio. Una volta questo corpo, ormai rovinato dalla malattia e dalla miseria, deve aver avuto una forza enorme. Solo adesso, che la gioia di avere nuovamente il figlio ha rinfrescato le spente forze, si può intravedere come doveva essere stato quel vecchio al tempo della sua giovinezza. Upal somiglia certamente molto a suo padre, tuttavia egli, nonostante tutta la forza, non somiglia a quella stessa immagine giovanile, e ciò sorge in me spontaneamente con l’osservazione di quest’uomo anziano.

                 17.                  Il vecchio porge la mano al figlio e lo tira amorevolmente al suo fianco: “Hai sofferto molto nel lungo tempo che hai passato là?”. – Così egli domanda in tono preoccupato. Negli occhi di Upal passa un lampo selvaggio. Tutto l’odio a lungo trattenuto si rispecchia nel suo volto e dalla più profonda, più amara anima, egli esclama: “Ho sofferto oltre ogni dire, ma la pena non è loro condonata; dovranno pur scontarla un giorno – che l’Iddio Padre mi possa esaudire! – Tutti dovranno scontarla! Tutti!”

                 18.                  “Figlio mio, chi si vendica da sé, strappa al Padre la vendetta di mano. Solo Lui esercita la ricompensa nella giusta misura. La pena sofferta è ancora troppo fresca nel tuo cuore, lasciala mitigare col tempo, affinché pensieri di pace entrino nel tuo cuore”.

                 19.                  Upal si domina e, muto, guarda in basso dinanzi a sé. Il vecchio prosegue:

                 20.                  “È diventato molto diverso dai tempi della mia giovinezza, così che non mi posso certo meravigliare di sentire da te ancora parecchio su come stanno adesso le cose nelle cave di Wirdu. Ai miei tempi, quando viveva ancora il nostro ultimo buon re Maban, era un onore andare alla ricerca della splendida pietra aurea: un’impresa eroica intrapresa per la propria audacia e per le energie che possiede la pietra. La pietra-bianca si trova anche in altri luoghi di Mallona, ma l’eccellente pietra-aurea si trova solo qui.

                 21.                  Mai fu cercata prima così avidamente la pietra-bianca e la pietra-aurea, mai fu sacrificato un uomo per questo. Gli audaci uomini liberi quella volta sfidavano il pericolo per amore del popolo e del re. Adesso sono costretti e spinti dentro i prigionieri di guerra e i cittadini che non possono versare le pesanti tasse.

                 22.                  O re Areval, quando sarà saziata la tua avidità!?.

                 23.                  Upal digrigna i denti quando sente questo nome, e dall’eccitazione esprime quasi sibilando le parole: “Mai sarà soddisfatta l’avidità di questo mostro! Maledetto sia questo capo di Mallona che dissangua il paese, assassina i cittadini, e per delle misere tasse che noi non potevamo pagare, m’inviò in quegli abissi. Maledizione a lui, fino a che sarà saldato ogni delitto di cui si è macchiato!

                 24.                  Il vegliardo si drizza in alto, con occhi tristemente seri guarda suo figlio e in tono pieno di rimprovero, eppur pieno d’amore dice: “Upal, re Areval mi ha ucciso la cosa più cara che avessi: tua sorella Fedijah, ed io non l’ho maledetto! L’Iddio Padre dice: “Mia è la vendetta!”. – Non lasciarti rubare da Areval la fede in Lui, il Signore del mondo, il Quale nella Sua Sapienza lascia anche un simile re ancora sul trono, però ti ha fatto trovare la pietra-aurea e ti ha riportato sicuro alla casa paterna! Figlio mio, il mio dolore fu grande quando vidi morire Fedijah per colpa di Areval. Sarebbe ancora più grande però se io vedessi morire la tua anima, distrutta per causa sua”.

                 25.                  Upal afferra la mano del padre e, in segno di profondissima devozione, se la pone sul cuore. Con voce tranquilla dice: “Padre, solo la fede nell’Iddio Padre mi ha sostenuto! Senza di questa non sarei qui. Io so di essere prescelto ancora per una grande azione, e con la mia vita la compirò!”. Egli ha parlato con occhi lampeggianti e il vecchio, preoccupato, gli domanda: “Tu mi nascondi qualcosa, figlio mio, che cosa hai in mente?”.

                 26.                  “Non ti nasconderò nulla, padre mio, tu devi sapere tutto, tutto! Devo annunciarti quel che ho scoperto nelle cave di Wirdu.

                 27.                  Quando allora fu deciso il mio destino che io dovessi andare come uno schiavo alla ricerca della pietra-bianca in sostituzione delle tasse non versate, tu, padre mio, mi rivelasti le esperienze che ti capitarono un giorno nelle cave di Wirdu; forse sarebbero potute essermi utili. Padre mio, quanto riccamente mi ricompensò la tua premura! Quella profondissima caverna, infatti, che tu raggiungesti e la cui esistenza portavi rinchiuso fino allora nel tuo petto come segreto – ben sapendo quanta poca felicità avrebbero portato i tesori che là erano nascosti – io la ritrovai.

                 28.                  Non fu facile ritrovarla. Innumerevoli passaggi sono stati trivellati nella roccia, fino a raggiungere quelle gallerie naturali, quelle ampie caverne e quelle voragini che il fuoco ha creato e nelle quali si trova la pietra-bianca disseminata nella roccia. Tutti i passaggi artificiali arrivano ancora oggi, come ai tuoi tempi, ad un fiume sotterraneo, la cui superficie evapora a causa del calore del vicino fuoco e che tu conoscesti come un confine della vita dalla morte. Immutato è ancora l’enorme vestibolo roccioso attraverso il quale scorre il fiume: l’unica porta per le terribili profondità che, piene di soffocanti vapori, nasconde i tesori di Areval, la pietra-bianca e la pietra-aurea. Avevo attentamente seguito il tuo consiglio: calcolare con precisione i tempi del mare, perché la pericolosità dei vapori sta strettamente in relazione con questo. In pochi giorni compresi che era possibile raggiungere le maggiori profondità solamente quando l’alto riflusso del mare non impediva ai vapori velenosi di uscire verso l’inaccessibile regione del cratere Marda, alla sede del maligno demone Usglom, vincere il quale è il più grande desiderio di Areval.

                 29.                  Trovai il posto da te indicato nel fiume sotterraneo e vidi, con profonda gratitudine nel cuore, l’inosservato piccolo segno che tu un giorno scavasti nelle rocce; non immaginando allora che sarebbe potuto diventare la salvezza per tuo figlio. Di fronte a questo, posto sull’altra riva, trovai, quasi seppellito, l’ingresso ad un passaggio roccioso che tu un giorno dovesti aver percorso e che non fu notato dagli altri schiavi, i quali, come me, erano condannati al lavoro forzato. Vapore che stordiva uscì da questo verso di me, una prova che questo passaggio doveva condurre profondamente all’interno, così che in un primo momento dovetti rinunciare a penetrarvi. Presto tuttavia mi accorsi come soltanto per il tempo dell’alta marea si dileguava il vapore dal passaggio e che, eccetto queste ore, non era pericoloso percorrerlo per la durata di quasi una mezza giornata. Volli osare, poiché se ero al posto giusto, mi doveva attendere la libertà. Tu certamente un giorno, da uomo libero, avevi trovato in quel posto la pietra-aurea, ma non avevi messo al sicuro l’intero ritrovamento, piuttosto avevi lasciato indietro una buona parte dello stesso, scacciato dai vapori ascendenti. Ora era importante per me ritrovarla; la riuscita racchiudeva in sé, libertà e ricchezza.

                 30.                  Ben provvisto di manga[2], attrezzature e prodotti alimentari – che sono concessi con abbondanza quando lo schiavo dichiara di intraprendere un viaggio mortale allo scopo della scoperta – mi portai. giù, avendo cura che nessuno osservasse quale via io prendevo Avevo ben scelto il tempo. Era quasi la fine dell’alta marea quando fui all’ingresso del passaggio roccioso, dal quale si alzava ancora solo un leggero vapore. Presto diminuì del tutto e, quando percorsi il passaggio, mi soffiò contro aria pura e fresca. Solo strisciando potei avanzare, blocchi di roccia m’impedivano la via, faticosamente dovetti rimuovere gli ostacoli. Alla fine si allargò la ripida via che conduceva nella profondità e deviò fortemente verso la parte opposta a quella in cui generalmente si cercano i tesori.

                 31.                  Il passaggio si divideva in due bracci, io scelsi quello deviante a destra; tu mi avevi assicurato che l’altro braccio conduceva ad una voragine senza fine, dalla quale non era più possibile nessuno scampo per chi vi fosse precipitato. Nuovamente dovetti strisciare attraverso stretti crepacci e raggiunsi così la meravigliosa piccola caverna che tu mi avevi descritto, dove dalle rocce spuntava la pietra-bianca. Tu dicesti che alla fine della caverna c’era un abisso dal quale saliva il vapore velenoso, spinto da inspiegabili correnti d’aria e, come in un fumaiolo, veniva succhiato ad un’altezza che non ti fu possibile scorgere. Io vidi l’abisso, ma da lì non salivano più i vapori. Le potenze sotterranee del fuoco e dell’acqua avevano provocato dei cambiamenti nel corso degli anni; silenzioso e quieto stava il profondo abisso davanti a me. Se guardavo su, al margine di questo, allora brillava su di me, da enorme altezza, una stella. Era la luce del Sole che appariva attraverso una fenditura delle rocce, e rischiarava debolmente la terribile profondità.

                 32.                  Riconobbi dove mi trovavo; ero in un luogo dal quale un tempo, il fuoco fu scacciato dalla potenza dell’acqua che ancora udivo rumoreggiare nella profondità; ero in una conca raffreddata, strappata al dio del fuoco, il demone Usglom, che qui, vinto, lasciò i suoi tesori in uno dei posti più straordinari il quale, libero dai vapori, regalano allo scopritore senza alcuna fatica le ricchezze accumulate.

                 33.                  Io qui non avevo più da temere i vapori che un tempo, uscendo in alto attraverso quella fenditura rischiarata dal Sole, ti avevano scacciato, perché la profonda mugghiante, diluviante acqua rendeva impossibile la mossa contraria. Perciò avevo il tempo, oltre che la possibilità, di esaminare con precisione questa caverna. Dopo breve ricerca, illuminando le pareti con il manga, trovai il posto dal quale tu spezzasti la pietra-aurea, e trovai anche l’altra metà ancora saldamente fissata nella pietra-bianca che Usglom non ti concesse di portare con te. Presi l’oggetto rinvenuto e, quando consegnai la pietra, nascosi un frammento nella mia bocca, sperando di salvarlo per te. Deve portarti la salute, padre! Io ritengo cosa di poco valore essere un ladro alla proprietà del re; egli ci ha rubato certamente molto di più!

                 34.                  Upal prende dalla sua veste una piccola pietra marrone scuro e la mette davanti al padre stupito, il quale l’afferra avidamente e l’osserva con sguardo raggiante.

                 35.                  “Sì, è questa la rara, preziosa pietra che può darmi e mi darà di nuovo la salute. Nascondila bene, figlio mio; anch’io non considero un delitto che tu l’abbia sottratta per amore di tuo padre; io, infatti, ho certamente un sicuro diritto su questo ritrovamento”.

                 36.                  “Se lo stupore non fosse stato così grande alla consegna della pietra-aurea, tanto che non si pensò più di esaminare il mio corpo, essa non sarebbe tua proprietà”. Dice Upal sorridendo. “Tuttavia, ascolta ancora. In me si mosse il desiderio di esaminare la voragine più da vicino; mi sembrò, infatti, quasi sicuramente che questa dovesse contenere molti più tesori di quanti ce ne fossero nella caverna in cui mi trovavo. Trovai una discesa, mi legai alla corda portata con me, fissai questa ad un macigno e osai lasciarmi andare ulteriormente nella voragine. A breve profondità trovai una vasta fenditura nella ripida parete rocciosa, strisciai dentro e giunsi in una grande caverna tondeggiante.

                 37.                  Padre, tutto lo splendore di re Areval non è in grado di dare neanche un luccichio di ciò che ha creato là il demone. Un trono del principe Weiskee si aprì dinanzi a me. La luce nella mia mano si rifletteva in migliaia di cristalli. Il soffitto e il suolo erano coperti di pietre preziose che la terra rocciosa solidificata vi aveva partorito. E più in là, sempre più in profondità, potevo passeggiare nella mai vista caverna di Wirdu, che certamente per la prima volta calpestava un figlio di Mallona. La pietra bianca e la pietra aurea stavano in questa camera del tesoro in quantità innumerevole; le pietre più preziose che adornano la corona di Areval, là tu ne trovi a migliaia. Tale ricchezza in possesso di un uomo lo renderebbe signore del mondo”.

                 38.                   “E tu hai taciuto su quello che hai trovato?”, domanda grave il padre di Upal.

                 39.                  “L’ho fatto, e non rivelerò niente nemmeno ad Areval. Egli non deve godere nulla di ciò che ho scoperto io. Non hai dovuto anche tu un giorno promettere al re, al saggio Maban, di tacere sul tuo viaggio della morte? Lui sapeva bene quanta poca felicità si trovava nelle ricchezze che nasconde solo la piccola caverna conosciuta da noi solamente. Quanto più m’imporrebbe di tacere se egli vivesse ancora e sapesse che cosa ho trovato. No! Areval non lo saprà mai, mai! Oh, egli deve solo stare dinanzi a me, lo stolto re, deve solo domandare! Lui e il suo ipocrita cancelliere dovranno ottenere una descrizione del viaggio della morte che mai e poi mai farà loro trovare quello che io ho contemplato”.

                 40.                  All’ingresso si odono passi strascicati. La madre di Upal ritorna con i cibi che ha comprato. Velocemente gli uomini si scambiano uno sguardo pieno di comprensione. Upal nasconde la pietra-aurea marrone nella sua veste e lodando ad alta voce saluta la madre che, con gioia, fruga dal cesto il cibo, per offrirlo agli affamati.

 

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Cap. 5

Dal passato del regno di Mallona

 

                   1.                     La forza che mi ha condotto qui mi afferra nuovamente e mi porta via dalla casupola di Upal. Avevo il desiderio di sondare quali storie fossero nascoste nella famiglia menzionata da Upal e da suo padre. Quando il desiderio in me è diventato volontà, mi sento sollevare in alto e vedo ora, davanti al mio sguardo, sorgere delle immagini viventi che mi danno la risposta. – Lasciami guardare, devo tacere per comprendere gli avvenimenti velocemente variabili e coalizzati in sé, e poi li descriverò.

                   2.                     Molto tempo è già passato da quando regnava re Maban, il padre dell’attuale dominante re Areval. Fu lui che fondò il grande impero di Mallona; prima di lui, infatti, sui quattro continenti del pianeta regnavano parecchi re. Questi quattro continenti si chiamavano Nustra, Monna, Sutona e Mallona. Il re di Monna fu l’ultimo della sua stirpe e per eredità Maban divenne re anche di questa parte. I due continenti erano tuttavia separati come lo sono l’Asia dall’America, ed era più facile giungere a Monna dalla terza parte di Nustra – che era unita con Mallona come lo sono l’Europa e l’Asia – che non da Mallona; come la via dall’Europa verso l’America è più vicina di quella dell’Asia. Su questo pianeta inoltre la distanza era ancora più breve della distanza tra l’America e l’Europa, rappresentata dall’oceano Atlantico della Terra.

                   3.                     Stava nell’interesse di Maban concludere una stretta alleanza col re di Nustra; già per il motivo che il potente regno dei sutoni, sotto il suo tiranno Ksontu, mirava al potere assoluto e, per questo motivo, furono condotte per lungo tempo tra Maban e il re di Sutona guerre sanguinose ed estremamente crudeli. Quest’alleanza fu fatta perché il popolo di Nustra era diventato debole e indolente. Il popolo sperava di poter vivere sotto Maban più sicuro e in pace, indisturbato da Ksontu, poiché, secondo il suo modo di vedere, i tre imperi insieme potevano costringere alla calma il reiterato perturbatore della pace.

                   4.                     Tuttavia Ksontu, nella consapevolezza della sua forza e potenza, non temeva i tre imperi uniti, e nella sua arroganza voleva strappare a sé tutto il dominio, o perire. Il suo paese era povero di quei tesori che Maban otteneva dal sottosuolo del suo impero; il popolo dei Sutoni però era violento, senza esigenze, quand’anche rozzo e ignorante.

                   5.                     Si venne alla guerra. Quando Maban concluse l’alleanza con l’impero di Nustra, Ksontu dal suo impero situato a sud (come l’Africa) attaccò di sorpresa il nuovo, indebolito alleato e lo vinse rapidamente. Maban corse in aiuto con imponenti potenziali bellici e la fortuna della guerra a lungo ondeggiò da una parte e dall’altra. La superiorità, l’abilità strategica di Maban giunse a prevalere sul selvatico valore di Ksontu e delle sue schiere, e Ksontu fu costretto a divenire soggetto a tributo. Maban seppe ben stimare il valore del re vinto e del popolo. Egli temeva eventuali successive sollevazioni e, per ottenere un pacifico affratellamento, ricorse a dei mezzi che, indipendentemente dalla forza della spada, riconciliassero insieme le popolazioni.

                   6.                     Egli sposò la figlia di Ksontu, la innalzò a legittima regina e, con questa mossa, guadagnò l’ex nemico a grande amico. Secondo le leggi nei quattro imperi, infatti, la successione era concessa non solo in linea discendente ma, pienamente, nel caso non si trovassero discendenti, anche in linea ascendente. Ksontu, con questo passo di Maban, entrò per il momento nel rango di successore al trono, finché non fossero nati eredi dal matrimonio con sua figlia. Egli godette la piena fiducia e la rappresentanza del re; fu dunque, senza fatica, co-regnante per il resto dei suoi già inoltrati anni.

                   7.                     Riconobbe la benevola intenzione di suo genero e poiché egli, oltre ad essere notevolmente più vecchio di Maban, all’infuori di sua figlia non aveva eredi, si sottomise volentieri, e rimase un buon amico dell’energico Maban, solo che il suo sangue caldo diveniva spesso scomodo per l’attuale sovrano assoluto di Mallona.

                   8.                     Maban non ebbe bisogno a lungo di esercitare indulgenza verso Ksontu, il re, infatti, abituato ad imprese belliche, a rozzi costumi, alla semplicità e perfino alle privazioni, condivise il destino di molti despoti passati sulla Terra, i quali s’immersero nel vortice dei piaceri e dei vizi a loro prima sconosciuti, poiché scambiarono la loro precedente semplicità con il lusso a loro disposizione. La natura vigorosa di Ksontu, tendente all’azione, sprofondò subito nel fango della lussuria e, nel bel mezzo di ogni piacere sensuale, goduto in eccesso, la morte lo colse di sorpresa.

                   9.                     Maban era ora l’incontrastato signore dell’intero pianeta e il nome del suo regno divenne il nome dello stesso pianeta. Dal matrimonio di Maban con la figlia di Ksontu nacquero due figli, Muhareb e Areval, entrambi di caratteri differenti. Il primogenito, Muhareb, ereditò le caratteristiche più nobili di suo padre; egli era serio, indagatore, animato da profondo senso religioso e da irremovibile legalità e giustizia.

                 10.                  Già negli anni giovanili superava tutti i coetanei in intelligenza e discernimento. Poteva piangere a dirotto per l’infelicità di un estraneo e provava la più grande gioia per la felicità di quelli che gli erano più vicini, e perfino per il forestiero. La sua educazione si addiceva a quella del futuro erede del potente impero; tuttavia fu inutile volergli insegnare, nel corso degli anni, gli intrighi di una cosiddetta politica astuta. Il suo senso di giustizia e di verità rifiutava ogni sotterfugio. Egli voleva agire allo scoperto e, in verità, era frequente il terrore dei consiglieri del re Maban, i quali erano abituati ad agire con ogni sorta di stratagemma per raggiungere i loro scopi, tanto più che Maban non era contrario al principio che la verità dovesse talvolta essere offuscata per raggiungere tanto più sicuramente uno scopo.

                 11.                  Il governo del vasto impero era difficile. Governare i quattro potenti imperi principali, equivalenti ai presenti quattro continenti di Mallona, richiedeva una saggia ripartizione. Ciascuno dei tre imperi annessi aveva un viceré che, completamente dipendente da Maban, non era nominato a vita, ma dipendeva solo dalla benevolenza del sovrano. Maban poteva spodestare e incoronare a piacere. Le entrate di tutti gli stati erano amministrate dalla sua capitale. Abilmente egli a poco a poco organizzò le cose in modo che un regno, eccetto il suo, nelle alte cariche amministrative mai fosse guidato da cittadini del proprio paese, ma sempre da funzionari che erano originari e nativi di un altro paese. Egli impedì, con un continuo cambio, la formazione dell’interesse locale, e dopo un certo tempo spediva volentieri a casa quei funzionari che forse sentivano nostalgia della patria.

                 12.                  In questo modo ottenne che i funzionari governativi stringessero, con la sede della loro attività, solo un relativo interesse, e non arrivassero nella posizione di trattare con il popolo con particolare riguardo ad interessi locali. A dir il vero l’autorità crebbe, ma con ciò a poco a poco anche un governo più severo che, posto in mani sbagliate, avrebbe potuto sviluppare conseguenze devastanti. Maban sapeva questo e, con la sua completa autocratica posizione di forza e con una scrupolosa formazione del carattere dei dignitari destinati alle alte cariche, credette di poter prevenire ogni eventuale spiacevole conseguenza per il futuro

                 13.                  Egli proibì l’acquisto di fondi e terreni come proprietà privata; tutto apparteneva allo Stato, il quale distribuiva proprietà fondiarie a cittadini degni; tuttavia non come proprietà per il proprio uso, ma solo in quanto ispettori superiori delle singole comunità, alle quali essi erano preposti, e al cui benessere dovevano provvedere. Costoro erano grandi amministratori che, in verità, facevano avere ai loro sottoposti, in abbondante misura, remunerazioni secondo il valore del lavoro fornito. Raccoglievano tutti i prodotti del loro impero, così che nessun abitante potesse ottenere qualche cosa dalla mano del suo vicino, ma si doveva rivolgere sempre ai grandi depositi locali di provviste, depositi che erano costruiti dallo Stato e provvedevano per un’uguale buona fornitura di ogni necessità. In ogni luogo si trovavano depositi di provviste e case di lavoro che erano amministrate secondo leggi precise. Mallona era il modello di ogni futuro sociale dello Stato che, sulla Terra, è ambito da determinati partiti.

                 14.                  Come mezzo di pagamento valeva già allora il bianco ‘Rod[3] che introdusse Maban, quella pietra-bianca che si trovava principalmente a Mallona, l’impero vero e proprio di Maban. Questa pietra valeva solo come rarità della natura, finché non fu riconosciuto il vero e proprio ricco luogo di ritrovamento. Così Maban trovò i ricchi giacimenti nel suo paese e introdusse il Rod come mezzo di pagamento. Per rendere impossibile il possesso del denaro come moneta corrente e assicurare e proteggere il lavoro del singolo, egli escogitò il seguente espediente:

                 15.                  Ogni cittadino che produceva qualcosa, sia che consegnasse i suoi prodotti ai magazzini di deposito o che eseguisse lavori necessari nelle fabbriche statali, sia che provvedesse anche nell’arte per il divertimento dei cittadini, era indennizzato dalle casse pubbliche e dai molteplici posti di pagamento degl’imperi. Ogni cittadino, infatti, era un impiegato statale. La piastra di Rod, di differente valore, consegnatagli per una qualche prestazione, era marcata col suo nome e contrassegno mediante un inchiostro indelebile davanti ai suoi occhi; questi due contrassegni erano iscritti d’ufficio nei registri degli abitanti. Il valore del suo lavoro era condizionato dalla tariffa fissata dallo Stato, così che era esclusa l’ingiustizia. Inoltre, lavori sgradevoli o pericolosi erano valutati maggiormente rispetto a quelli che non richiedevano troppo sacrificio di sé.

                 16.                  Il compenso ricevuto aveva valore solo per l’esecutore del lavoro: soltanto costui, infatti, poteva ricevere, per le sue piastre e nei punti di distribuzione del suo luogo di residenza, le cose necessarie. Se voleva andare in viaggio gli era consentito, tuttavia senza un attestato ufficiale del suo luogo d’origine egli non poteva ricevere nulla dalle altre casse. Il Rod ritirato come pagamento, era raccolto nei punti d’incasso e inviato di nuovo alla cassa centrale, là era ripulito dai contrassegni d’inchiostro e poi riutilizzato (produzione e rimozione dell’inchiostro era un segreto di Stato).

                 17.                  Queste condizioni monetarie crearono situazioni di vita completamente particolari.

                 18.                  Ogni casa apparteneva allo Stato, i cittadini prendevano in affitto i loro locali d’abitazioni e pagavano la locazione col loro guadagno. La libera coltivazione di un giardino appartenente ad ogni casa era permessa, così che l’abitante poteva provvedere a se stesso per le sue necessità quotidiane. Come sulla Terra, erano esistenti città che si sviluppavano per sedi dell’industria; e come il contadino della Terra, altrettanto la popolazione rurale provvedeva alla coltivazione dei prodotti del terreno. La valutazione statale del lavoro, che ciascuno poteva scegliersi secondo libera scelta, il riconoscimento in generale della pari utilità e necessità di tutti i lavori, difficilmente lasciavano prosperare l’orgoglio di classe. Una cosa simile la impedivano anche le scuole pubbliche, perché queste erano liberamente accessibili a chiunque, e con ciò si provvedeva in generale per l’uguale formazione del sapere e capacità conosciute su Mallona.

                 19.                  Anche l’età era onorata. Dopo un determinato periodo di lavoro, i cittadini avevano diritto al mantenimento gratuito; tuttavia ne facevano uso solo ammalati e deboli. Era, infatti, ritenuto come disonorevole trascorrere il proprio tempo in ozio, soprattutto perché il lavoro delle persone anziane era pagato meglio che quello dei più giovani, i quali ancora in pieno possesso di tutte le forze, potevano lavorare più facilmente e più velocemente.

                 20.                  Questi tratti principali dell’amministrazione statale, che Maban introdusse, incontrarono dapprima una forte opposizione nell’impero dei rammolliti abitanti di Nustra. Con queste nuove leggi essi furono tuttavia costretti a rinunciare alla loro floscia vita e a lavorare seriamente. In verità, alcuni insoddisfatti tentarono di ribellarsi, ma Maban non ammetteva scherzi e procedette con ferrea severità contro i ribelli, cosicché il popolo, intimidito, presto si piegò. In breve il popolo di Nustra ricevette la benedizione del lavoro, e poiché il carattere dello stesso era tale da seguire volentieri le abitudini nella vita regolare, così negli anni successivi fu proprio Nustra che si attenne ostinatamente a quest’istituzione, quando la snervata mano di Areval distrusse nuovamente l’opera di suo padre.

                 21.                  Maban riconosceva molto bene che un’opera poteva durare solo quando avrebbe temprato il carattere dei suoi sudditi, soprattutto quello dei grandi del paese; quando avrebbe provveduto che la generazione crescente accogliesse in sé pienamente i suoi principi; quando felicità e comodità avrebbero regnato nei vasti imperi e con ciò sarebbero rimaste sconosciute miseria e penuria.

                 22.                  La nazionalizzazione di tutte le prestazioni e valutazioni del lavoro, unitamente alla peculiarità dell’introdotto mezzo di pagamento, mise una sicura fine al dominio di questi ultimi nominati nemici d’ogni felicità. L’educazione dei caratteri era tuttavia un’operazione ampiamente più difficile! Maban cercò di realizzarla riunendo frequentemente intorno a sé tutti gli uomini ai quali aveva concesso, o pensava di concedere, i posti di maggiore responsabilità dell’impero. Egli cercò di influire su questi col suo esempio e di imprimere in loro, nel rapporto diretto, saldamente i suoi principi. I tre viceré degli imperi dovevano rimanere spesso a lungo alla sua corte, affinché egli potesse dar loro una precisa visione di tutti i progressi del governo del paese. Spesso, del tutto inaspettatamente, con lunghi viaggi, egli stesso si convinceva del vero stato delle cose. Allora era inesorabilmente severo se, in tali viaggi di controllo, trovava irregolarità nei distretti amministrativi, riconoscendo e ricompensando però anche il più piccolo dei suoi funzionari che compisse con precisione i lavori spesso difficili. Nessuna meraviglia dunque che egli fosse amato e onorato dappertutto, anzi lo si elogiava come il realizzatore della pace eterna.

                 23.                  Per elevare il carattere del popolo all’altezza spirituale di una formazione più raffinata, per formare e per dar prova di coraggio, valore e capacità personale dello spirito e del corpo, erano celebrate particolari feste che, similmente ai giochi olimpici, offrivano competizioni sportive dello spirito e del corpo. L’arte della poesia, l’arte della parola, l’arte della rappresentazione, erano pertanto molto sviluppate; l’agilità fisica, in seguito a queste feste, divenne una condizione fondamentale dell’educazione giovanile. Ognuno in queste feste poteva ottenere un premio che, sempre ricevuto dalla mano del re, conferiva onore e molteplici benefici. I vincitori ottenevano il diritto di chiedere a Maban una grazia, secondo le loro particolari inclinazioni, grazia che era sempre concessa, se quanto chiesto con la preghiera si mostrava fattibile. Esistevano speciali accademie per la realizzazione di nuove invenzioni che erano realizzate nell’impero. Qui ad ognuno era data l’occasione di realizzare le proprie idee, di provare il loro valore o non valore, di fabbricare modelli e fare delle prove.

                 24.                  Nessun serio inventore era ostacolato per mancanza di mezzi economici; i laboratori statali, infatti, gli offrivano tutto il necessario non appena un’idea prospettava al comitato solo la pur minima probabilità sulla possibilità della sua realizzazione, sebbene questo comitato, in assoluto, non esaminasse troppo minuziosamente le proposte in arrivo. Maban aveva ordinato di esercitare, in questa parte, la più grande tolleranza, e ottenne in tal modo enormi successi nel campo della tecnica. – Teste geniali sulla Terra soffrono troppo spesso, solo per l’impossibilità della realizzazione delle loro idee per mancanza di soldi. Il governo terreno solitamente non è facile da convincere su idee scarsamente realizzabili o su progetti non provati che porterebbero al successo solo attraverso molteplici esperimenti. Qui era diverso: su Mallona si continuò a sperimentare perfino progetti apparentemente senza prospettiva, da quando importanti nuove scoperte erano state fatte per caso, in seguito al fallimento degli esperimenti normalmente progettati. (Anche su Mallona, infatti, non raramente c’erano inventori involontari come il bottaio, il quale voleva far soldi e trovò la porcellana!).

                 25.                  La scoperta più eccellente per Maban fu l’invenzione di veicoli rotabili enormemente veloci, i quali permettevano il collegamento per ogni dove, su strade particolarmente spianate. L’ingegneria era giunta a non temere più ostacoli riguardo al disagio del terreno. Le singole località erano collegate sempre in linea direttissima per mezzo di strade sulle quali potevano viaggiare nei due sensi in pazzesca velocità, veicoli di differente grandezza. Ovviamente anche queste strade erano statali; i veicoli erano forniti alle comunità dallo Stato, e l’utilizzo degli stessi spettava gratuitamente a chiunque dimostrasse di dover intraprendere un viaggio più o meno lungo.

                 26.                  La navigazione sul mare non si svolgeva quasi per nulla. Essa non era necessaria per collegare gli imperi di Nustra e Monna separati dall’acqua. Il mare, infatti, – in alcuni punti molto ricco d’isole e senza grandi profondità – era stato superato dagli ingegneri di Maban con la costruzione di giganteschi ponti da un’isola all’altra e con questi, in differenti punti, si collegavano l’un con l’altro i due continenti. Se il pianeta Mallona fosse stato esposto, come la nostra Terra, al brusco cambiamento delle stagioni, e se queste, altrettanto avessero agitato le sue acque causando violente tempeste in primavera e autunno, anche l’altamente sviluppata arte degli ingegneri avrebbe presto fallito nella resistenza contro gli elementi. Mallona tuttavia possedeva un’altra disposizione dell’asse che la nostra Terra, e per questo le zone si presentavano più uniformi e le stagioni meno ricche di cambiamenti, anche se sufficienti da separare in modo considerevole l’estate e l’inverno, il tempo di pioggia e quello di sole.

                 27.                  Contemporaneamente alla scoperta dei veloci veicoli rotabili, un esperto chimico aveva inventato un esplosivo, con il quale si potevano ottenere enormi effetti. La sua combinazione era tuttavia protetta come massimo segreto di Stato, e la sua produzione, su ordine del re, era disposta solo per particolari scopi. Questo segreto rese Maban invincibile per tutti i nemici: egli, infatti, grazie all’enorme potere esplosivo, era in grado di distruggere con un colpo solo interi territori! Nell’ultima guerra, con il suo terribile esplosivo, aveva realmente distrutto una non insignificante montagna, cinta da una fortezza, così che una resistenza nemica contro di lui, attrezzato con tali armi, sarebbe stata impossibile.

                 28.                  Questa scoperta, stranamente, non portò ad una costruzione di armi da fuoco, la cui forza di distruzione, a dir il vero, in confronto alla forza distruttiva di quest’esplosivo sarebbe apparsa insignificante. Certamente però furono inventate, per questa ragione, potenti macchine perforatrici e particolari attrezzature di lavoro ad alta velocità, come scavatrici per la costruzione di gallerie sotterranee. Poi catapulte che potevano scagliare l’esplosivo da grande distanza verso un bersaglio che, esplodendo, distruggeva tutto in un vasto raggio uguale a un fendersi di cratere.

                 29.                  Maban custodì questo terribile segreto con ogni cura; egli sapeva molto bene che questo lo aveva aiutato ad ottenere la sua illimitata potenza, e gliela rendeva sicura.

                 30.                  Sotto il suo governo sorse anche il valore della pietra-aurea che, solo raramente si trovava situata nel Rod, la pietra-bianca. Essendo un prodotto del fuoco, essa si trovava solo a grandi profondità, soprattutto nelle già descritte caverne sotterranee della regione craterica di Marda. La sua estrazione era legata a grandi pericoli. Per questo ci voleva coraggio e forza, e proprio perciò Maban stabilì grosse ricompense e il conseguimento di speciali onori per la sua consegna, allo scopo di avere, attraverso questo, come pericolosa vittoria sportiva, un ulteriore mezzo per il temperamento dei caratteri.

                 31.                  La pietra-aurea era ritenuta un mezzo magico che dava salute, prometteva forza e lunga vita al possessore; polverizzata, doveva guarire ogni malattia. Era naturale che la credenza che si attribuiva alla forza della pietra riuscisse a compiere molte cose di cui la pietra stessa era certamente incapace. Maban lo sapeva molto bene; ciononostante appoggiò tutto ciò che potesse servire alla sua considerazione, poiché egli rendeva omaggio al principio economico: stabilisci un valore altissimo e tienilo elevato al massimo; così avrai una sicura scala per la valutazione di qualsiasi lavoro. L’esagerato ambizioso valore della pietra-aurea favorì all’inizio certamente la buona intenzione, ma più tardi divenne una rovina.

                 32.                  Anni erano passati dall’inizio del governo di Maban, e i suoi figli già menzionati Muhareb e Areval erano diventati uomini adulti. Maban poneva tutte le speranze sul suo degno figlio maggiore e successore al trono Muhareb, mentre Areval, dal sangue caldo come sua madre, manifestava spesso caratteristiche caratteriali che ricordavano al padre troppo bene il suocero Ksontu: caratteristiche che a lui non piacevano, cosa che tuttavia, in vista dell’eventuale successione al trono a lui sembravano meno pericolose di quanto non lo fossero.

                 33.                  Areval era intelligente ma perfido, avido di piaceri e, tuttavia per prudenza, di nuovo sobrio. Egli invidiava suo fratello maggiore e temeva in lui il futuro sovrano. Egli stesso desiderava essere sovrano e cercava di circondarsi di fedeli che parteggiassero saldamente per lui. A poco a poco, quanto più vecchio diventava il padre, tanto più si consolidava nella sua anima un determinato piano. Egli assunse all’improvviso un atteggiamento di devozione e, nei confronti del padre, finse di essere il più ardente ammiratore dei suoi progetti. Gli riuscì così bene a tenere la maschera, che Maban ebbe sempre più fiducia in lui e suppose che solo l’esuberante gioventù l’avesse portato in precedenza al traviamento e che adesso, il maturando uomo, riconosceva come tale e disprezzava quel tipo di vita. Egli gli affidò l’amministrazione di un distretto vicino alla città residenziale e Areval riuscì ad ottenere la sua fiducia, tanto che dopo alcuni anni lo pose come viceré di Nustra. Era questo che Areval voleva: alla sua ambizione era offerto per il momento a sufficienza! Nella sua residenza egli non era proprio più quel buon sovrano che sembrava, e anche se si assoggettava per forza alle leggi amministrative stabilite da Maban, in realtà era un uomo che restava ostinato dove solo poteva, il quale egoisticamente e passionalmente perseguiva solo un unico scopo: servire se stesso e le sue cupidigie!

                 34.                  I periodi che egli doveva trascorrere alla corte di suo padre gli apparivano come una punizione; durante gli stessi, infatti, egli era totalmente sottomesso alla volontà di suo padre. Sempre, dopo il ritorno nel suo regno, diventava tanto più scatenato. Non gli fu difficile, tra gli abitanti di Nustra che, com’è noto, erano inclini alla sensualità e all’avidità di piaceri, trovare dei seguaci della sua vita. Costoro non desideravano nient’altro che avere Areval per loro stabile sovrano. Il suo più vicino seguito provvedeva anche fedelmente affinché Maban, nonostante gli fossero pervenuti alcuni rapporti, rimanesse all’oscuro sulla vera attività di suo figlio, mentre Areval, con la vita smodata, poneva il primo germe di una strisciante malattia che distruggeva spirito e corpo.

                 35.                  Il contrasto tra i due fratelli Muhareb e Areval si era ancora più rafforzato quando, nel corso degli anni, si rivelava sempre più che le disposizioni statali di Maban non potevano portare ai risultati sperati, sebbene la popolazione non raggiungesse un alto ideale morale, dal quale era ancora molto lontana. Per il momento essa si piegò soltanto alla volontà di Maban che tutto costringeva, il quale con mano di ferro sapeva attuare ciò che riconosceva come giusto. Il partito di quelli che erano stati fatti grandi da lui, senza distinzione di stato sociale e culto genealogico, i quali prima avevano un altrettanto grande ruolo in Mallona come adesso ancora sulla Terra, pendevano certamente con esaltato amore al loro re. Quelli che si credevano volentieri dei grandi che per mancanza di particolari meriti non erano più al vertice – derubati del privilegio di nascita e diritto genealogico come di molti altri vantaggi – nutrivano in sé un odio nascosto che trasmisero ai loro discendenti. A questi ultimi, i diritti perduti spettanti ai loro padri, l’impossibilità di possesso e dominio, l’uguaglianza e soprattutto la necessità di un lavoro per vivere, apparivano loro come un’assurdità che sarebbe stato un giorno l’obiettivo più ambito da eliminare.

                 36.                  Da Muhareb non c’era da aspettarsi un cambiamento. La sua profonda venerazione per il padre e la conoscenza delle buone intenzioni, erano troppo profondamente radicate in lui perché potesse un giorno rigettare le sue disposizioni. Negli ambienti interessati si conosceva questa condizione disperata. Così i capi degli oppositori segreti di Maban speravano che, se fosse stato Areval a salire un giorno al trono, tutto sarebbe stato diverso.

                 37.                  A Muhareb, nella sua profonda consapevolezza, queste correnti non rimasero nascoste. Egli ne soffriva; il suo cuore, infatti, che amava gli uomini, prevedeva quali lotte dovessero sorgere nel caso fosse dovuto salire lui al trono. Rabbrividiva al pensiero di dover versare sangue per consolidare il suo trono. Egli sapeva come Areval si procurasse sempre più seguaci segreti, ma non era tuttavia in grado di comunicare a suo padre le prove che possedeva, del complotto diretto contro di lui. Sapeva certamente troppo bene che suo padre non avrebbe esitato, in caso di necessità, a sacrificare il sangue del suo secondo figlio per salvare la sua creazione.

                 38.                  Muhareb aveva da condurre in sé un’immane lotta, dalla quale venne fuori con un gioioso sentimento di vittoria. Era deciso a non contrapporre i popoli in una violenta guerra civile e consegnare suo fratello alla rovina, bensì a confidare fermamente nella Forza suprema che aveva permesso a Maban di raggiungere cose tanto grandi. Questa Forza avrebbe fatto trovare anche a lui i mezzi per conservare e proteggere quanto era stato raggiunto.

                 39.                  Era usanza a Mallona che il matrimonio fosse intrapreso solo molto tardi da parte degli uomini. Si pretendeva che ogni uomo avesse prima fornito prova del suo dinamismo e valore del carattere, prima che fosse trovato degno di portare a casa una moglie. La ragione stava nel sentimento religioso dei popoli, che a questo riguardo era la stessa in tutti i quattro imperi. La Divinità si rappresentava in due principi separati: buono e cattivo, tuttavia non osteggiandosi reciprocamente, bensì integranti. Il più sacro insegnamento primordiale diceva: “Ciò che giace nel grembo della Divinità è vita e forza per la vita. L’attività della vita è il tessuto per la vita. Tutto ciò che serve a quest’attività, è emanazione della Forza divina. Se accade che quest’emanazione sia interrotta, allora la Divinità un giorno morirà”.

                 40.                  Secondo questa dottrina, anche un’azione cattiva era il risultato della Forza divina. Se non si possedeva abbastanza forza per ostacolarla, ci si sottoponeva ad essa come voluta dalla Divinità. A tale riguardo si vedeva perfino nel proprio nemico come vincitore l’efflusso della Forza divina, e ci si sottometteva a lui senza mormorazione, finché la Forza divenuta consapevole dell’oppressione fosse stata in grado di sbarazzarsi del giogo. Su questo si basava in gran parte il successo di Maban.

                 41.                  Il buono, ossia tutto ciò che era gradito all’uomo, era onorato nella forma del bello, e precisamente come principio femminile; il duro, l’energico, che poteva presentarsi anche come cattivo, era onorato nella figura dell’uomo. Una bella donna dotata era considerata come speciale dalla Divinità. In lei si vedeva la quintessenza di ciò che si doveva venerare come segno visibile del Suo operato.

                 42.                  L’uomo, che doveva mettersi in azione per dimostrare la sua aspirazione ad essere l’immagine della Divinità, veniva perciò anche considerato degno di sposare una donna solo allora, quando avesse fornito prova del suo dinamismo. Una conseguenza di questa concezione era quella che, specialmente la bella donna, molto facilmente fosse sottoposta al laccio della vanità. Per una donna bastava solo essere bella per essere tenuta altamente in considerazione. Che dunque la donna dovesse esercitare un potere nell’intera vita degli abitanti di Mallona, e fosse in grado di evocare i più grandi pericoli, nel caso in cui avidità di piaceri, sensualità e venalità fossero subentrate al posto dei semplici costumi, ciò è facilmente spiegabile.

                 43.                  Inoltre nei templi esisteva un culto attraverso il quale era celebrato la bellezza della donna, e che, ai tempi dei puri costumi dell’impero, si svolgeva dignitosamente e memore del senso vero e proprio; tuttavia più tardi questo culto degenerò in orge dissolute. Un fenomeno diffuso anche nell’antica Grecia.

                 44.                  Gli uomini più altolocati dello Stato potevano elevare a loro consorte, in maniera incontrastata, la più povera fanciulla del paese. Questi casi erano molto frequenti; tuttavia l’uomo doveva aspettarsi un rifiuto. Decisivo per la fanciulla era il fatto che egli si guadagnasse la gloria nel suo ambito. Lei non temeva niente di più se non che l’uomo del suo cuore potesse rendersi ridicolo con una qualunque azione. Anche le vittorie nei giochi pubblici valevano per lei come un eccellente onore dell’amato.

                 45.                  Il matrimonio, una volta concluso, era indissolubile, inoltre l’uomo poteva avere solo una donna. Questo accadeva anche in seguito alla concezione religiosa che la dualità della Divinità, operante in una unità, non si potesse più separare una volta sviluppata in sé la volontà all’attività, da cui far scaturire sempre nuove opere. Quindi anche la donna, come principio della vita latente, e l’uomo, come quello della forza vitale attiva, non si potevano separare, per non distruggere nuovamente la volontà di vita risvegliata in loro.

                 46.                  Muhareb si era guardato intorno tra le figlie del Paese e in tutta segretezza aveva trovato una fanciulla che, per lui, personificava l’ideale di ciò che aveva sempre desiderato. Lei era Fedijah, la sorella di Upal, il fortunato trovatore della pietra-aurea.

                 47.                  Tra Muhareb e Fedijah era nato un intimo sentimento di puro amore; tuttavia Fedijah non sapeva chi fosse Muhareb. Egli aveva finora tenuto nascosto il suo alto rango, per essere sicuro che sarebbe stato amato per se stesso. In questa maniera si era convinto di quale gioiello in purezza di cuore, virtù e fervido amore avesse trovato in quella fanciulla. Egli era fermamente disposto ad elevarla a sua sposa. Ostacoli a dare esecuzione a questo suo desiderio non ne esistevano. Le caratteristiche già descritte autorizzavano ogni bella fanciulla all’unione con l’uomo più altamente in vista del Paese, e Fedijah era perfettamente bella.

                 48.                  In una festa, chiamata “nascita della Divinità”, che rappresentava la massima festa dell’anno, le fanciulle più belle furono stabilite per il servizio divino nel tempio. A Fedijah fu affidata la cerimonia dell’accensione delle offerte e, in quest’occasione, Areval, il quale trascorreva il suo tempo come di solito alla corte di suo padre, la vide e provò una profonda passione per lei. Per mezzo dei suoi fedeli, a lui devoti per la vita e per la morte, s’informò subito chi fosse la bella offerente, e un giorno Fedijah scomparve senza lasciar tracce. Muhareb, stando al fianco di suo fratello, ne sentì l’esclamazione d’ammirazione sull’affascinante bellezza di Fedijah e subito il sospetto penetrò in lui, poiché conosceva troppo bene la maschera virtuosa di suo fratello Areval.

                 49.                  Areval, dopo la scomparsa di Fedijah, ritornò subito nel suo regno. Muhareb, sicuro che il fratello avesse rapito la sua promessa sposa e mirasse a trascinarla con violenza nel suo regno, si affrettò a precederlo con una vettura rotabile più veloce, e impartì gli ordini necessari per fermare il seguito di Areval in un luogo poco abitato.

                 50.                  Areval giunse in una vettura sfarzosamente mascherata e, furente per l’improvvisa interruzione del suo viaggio, voleva imperiosamente balzare contro gli uomini che circondarono la sua vettura. Ma si trovò di fronte suo fratello Muhareb, il quale con la spada in mano entrò da solo nell’abitacolo della vettura e la perquisì. Addormentata da sostanze narcotizzanti, egli trovò Fedijah in un angolo nascosto della vettura, in uno stato che gli confermò come Areval disprezzasse i più sacri sentimenti del popolo, compresi quelli legati al rispetto della bellezza femminile.

                 51.                  Folle di collera e dolore, alzò la spada contro suo fratello, e lo avrebbe ucciso se questi, nella sua paura per il fratello, che lo superava di molto nella forza fisica, non avesse usato lo stratagemma di gettarsi velocissimo dietro il corpo di Fedijah e adoperarlo come copertura. Pochi istanti bastarono a Muhareb per tornare in sé e distogliersi dal fratricidio. Egli apostrofò Areval, lo costrinse ad ubbidirgli e a non lasciare la vettura. Quando Areval accennò ad opporsi, Muhareb gli saltò addosso e lo legò con forza. Subito dopo ordinò di ritornare verso la capitale.

                 52.                  I fedeli di Areval e di Muhareb avevano certamente notato che all’interno del veicolo era sorta una disputa tra i fratelli, tuttavia nessuno aveva osato andar dentro. In silenzio fu accolto l’ordine di Muhareb e il viaggio di ritorno andò a velocità vorticosa.

                 53.                  Nessuna parola scambiarono i fratelli durante il viaggio, mentre Fedijah rimaneva in profondo stordimento. Giunto alla meta, Muhareb affidò la ancor sempre esanime fanciulla ad un fedele servitore, il quale la portò nella casa dei genitori, poi costrinse Areval a seguirlo da Maban per dare delle spiegazioni davanti al padre. Questi, in verità, s’indignò per l’azione di suo figlio, che secondo le regole vigenti era stata più che un’infamia; tuttavia cercò di conciliare i fratelli a causa del terribile scandalo che l’episodio avrebbe suscitato nel popolo. Muhareb insistette per una piena pubblica accusa contro suo fratello; secondo la propria convinzione, infatti, solo una severa punizione avrebbe potuto salvare l’usanza del popolo che, per colpa di Areval, era stata minata nel suo più profondo significato. Lungimirante, egli comprendeva che solo con l’eliminazione del male poteva essere impedito l’iniziante decadimento dell’antica fede, il disprezzo dei sacri sentimenti.

                 54.                  Maban, diventato oramai vecchio, era invece d’altra opinione; perciò si diede da fare per salvare l’apparenza esteriore, ritenendo di dover eliminare la sciagura interna anche senza far chiasso. Muhareb a suo padre espose tutti i pericoli e gli dimostrò fin dove, nell’impero, la sua indulgenza avesse già portato le anime. Maban però rimase nella sua decisione e ordinò a suo figlio perfino di tacere e di perdonare Areval.

                 55.                  Appena quest’ordine fu pronunciato dalle labbra di Maban, Muhareb si alzò, lanciò uno sguardo a suo padre e al trionfante Areval, s’inchinò in silenzio e andò via. Da quel momento Muhareb e poco dopo anche Fedijah, scomparvero. Nessuno vide più i due. Passarono decenni. Maban invecchiava a vista d’occhio, poiché la pena per il suo primogenito gli divorava il cuore. Morì, e Areval divenne re di Mallona.

 

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Cap. 6

Re Areval

 

                   1.                     Le immagini del passato hanno smesso di attraversare la mia anima e di nuovo vedo davanti a me la capitale, la patria di Upal, l’ex sede della casa regnante di Maban, la residenza dell’attuale re Areval. Sull’altura del monte sta un palazzo splendente, le sue pareti risplendono come vetro opalino di colore bluastro. Splendidi arabeschi di fattura assai accurata ornano le aperture e i cornicioni delle finestre. Il tetto splende d’oro, s’innalza notevolmente inclinato e, tutt’intorno al cornicione di chiusura, porta un’inferriata d’oro. L’intero edificio è di notevole dimensione, contiene estesi saloni e dal suo punto d’osservazione domina l’intera città costruita a terrazze ai piedi del monte.

                   2.                     Un’ampia scalinata, come unico accesso, conduce dai primi edifici della città ai vestiboli della fortezza. Una robusta triplice muraglia, coronata di merli e torri triangolari, cinge la sede reale. Dappertutto vedo soldati, le guardie del corpo del re che sorvegliano particolarmente la grande scalinata e rendono impossibile a uno straniero di poter penetrare nel palazzo. La guardia non mi è d’impedimento, nessuna delle porte saldamente chiuse, mi è d’impedimento. In fretta, attraverso grandi sale sfarzose colme dei grandi dell’impero radunati, attraverso vasti vestiboli e corridoi e giungo ad una serie di ambienti dall’alta volta preziosamente arredati. Solo di sfuggita il mio sguardo scorre su ogni specie di suppellettili, su preziosi, luccicanti oggetti di sfoggio, armi e decorazioni; la forza che mi trascina, infatti, non mi permette nessun minuzioso sguardo panoramico.

                   3.                     Ora mi trovo in un’ampia stanza, e sotto la sua finestra aperta, su un divano, tra morbidi cuscini, giace il corpo di un uomo vestito preziosamente che, agitato, si rotola di qua e di là. Un diadema con una grande, sfavillante pietra adorna la sua fronte; l’espressione del viso è sconvolta; l’uomo soffre in maniera evidente. È Areval, il potente re di Mallona. Davanti a lui sta un grosso uomo in lunga veste talare che, immobile, rivolge gli occhi fissi al re, e con le mani nascoste nelle ampie maniche ne osserva le condizioni.

                   4.                     Il malato geme e soffre per i dolori, i suoi occhi fissano improvvisamente nel vuoto e sembrano vedere cose strane. Bruscamente compie movimenti respingenti, si solleva e grida:

                   5.                     “Cacciate via quella faccia dai miei occhi!” –

                   6.                     Velocemente il grosso uomo si avvicina, pone la sua mano sulla fronte del re, mormora incomprensibili parole e gli porge da bere da una ciotola. Avidamente questi sorseggia la bevanda rinfrescante e ricade esausto nei cuscini. Il re chiude gli occhi e si assopisce; un’espressione di disprezzo e di scherno si mostra sul volto del suo consolatore. Costui allora apre la tenda davanti alla finestra aperta, si china sull’ammalato e gli sussurra all’orecchio sommesse parole.

                   7.                     Profondi respiri annunciano subito il pesante sonno del re e il soccorritore si ritira soddisfatto. Va alla porta, la apre e ordina ai due servitori che aspettavano fuori di sorvegliare il sonno del re. Poi attraversa tre lunghissime sale e giunge in una stanza in cui soldati e servitori sorvegliano l’accesso alle camere più interne del re. Pieni di profondo rispetto e d’attesa, costoro lo guardano. Con accento tranquillo, che suona tuttavia pungente e acuto all’orecchio, egli dice: “Il re è affaticato, oggi non riceve!”

                   8.                     Due dei servitori vanno nella grande sala attigua, nella quale si erano radunati i grandi del re, per annunciare la revoca. Un altro spinge indietro una tenda di un’alta porta; si vede un lungo corridoio che sbocca in una camera aperta. Questi attraversa il grande corridoio e, nella camera rotonda, saluta un uomo che guarda dentro flemmatico, il quale, tranquillo e gentile, osserva chi viene. È il viceré di Monna che qui aspetta Karmuno, il sommo sacerdote e primo confidente di re Areval.

                   9.                     In tono confidenziale il viceré domanda: “Come sta il fratello nostro e signore?”.

                 10.                  Gli viene la sommessa risposta: “Meglio di quanto si potesse sperare. La malattia progredisce lentamente. La testa rimane lucida, anche se la capacità di pensare talvolta si offusca. Signore, non è ancora il momento di agire!

                 11.                  Un’ombra corre veloce sul volto del viceré. Poi, alzando la mano in segno di saluto, sorridendo, dice tranquillamente: “Possiamo aspettare. Karmuno conosce il suo amico e a lui confiderà tutto. Monna è preparata nel caso che il fratello nostro e signore vada al popolo dei morti”.

                 12.                  Con cautela il sommo sacerdote si avvicina al viceré: “Areval non potrà tenere né oggi né prossimamente il consiglio del paese. Utilizzate questo tempo. Io cercherò di disporre il re a porvi come sostituto, questo ci porterà più vicini allo scopo. Nel caso in cui voi sarete qui correggente di Areval, potrete anche fidarvi completamente del generale Arvodo? Nelle sue mani sta il potere dell’esercito a Mallona. Pericolo minaccia se voi non sarete sicuro dell’uomo”.

                 13.                  Il viceré respinge e dice di malumore: “Karmuno, io lo so, voi non siete amico del generale, però la diffidenza va oltre a ciò che dovrebbe essere. Arvodo è saldamente legato a me, io ho completa fiducia in lui, ed egli, infatti, è fedele; tuttavia non sa quali piani ci legano. Non deve neanche saperli fino a quando l’ora non sarà vicina”.

                 14.                  Un leggero sorriso di difesa scorre sul magro viso del sacerdote: “Io temo che Arvodo non si lascerà ingannare. Guai a noi se egli facesse un doppio gioco e sorgessero nel suo petto piani ambiziosi!”

                 15.                  Il viceré si alza e dice brevemente: “Noi siamo prudenti e vigilanti, Karmuno, e anche voi lo siete, il successo quindi non ci mancherà”.

                 16.                  Egli saluta con la mano ed esce dalla porta che dà nella grande sala di ricevimento.

                 17.                  Per un momento il sacerdote rimane nella posizione servile avuta finora. Poi si alza in tutta la sua altezza, segue con occhi velenosi colui che, allontanandosi, mormora parole sommesse, e dopo lo segue.

                 18.                  Nella sala di ricevimento si è fatto il vuoto. In una nicchia stanno due uomini. L’uno è in pieno assetto di guerra. Una specie di splendente corazza a scaglie gli copre la parte superiore del corpo, un ondeggiante mantello bianco con ricamati degli ornamenti pende dalle sue spalle, con ai fianchi una larga spada. È un ideale del bell’uomo secondo i nostri concetti, d’aspetto vigoroso e intelligente. Una leggera barba piena incornicia il nobile viso, l’occhio è chiaro. Le labbra leggermente serrate e le palpebre un po’ abbassate mostrano che egli si sforza di celare ogni intima emozione con grande sangue freddo. Quello che gli sta accanto, il compagno più piccolo, vestito quasi uguale, mostra una sorprendente somiglianza con lui; riconosco: essi sono fratelli!

                 19.                  Il viceré passa davanti ai due, sorridendo benevolmente e sollevando la destra. Un saluto che è concesso solo a persone amiche. Entrambi ringraziano, abbassando la destra a terra e chinando il capo.

                 20.                  Karmuno adesso si avvicina e indirizza la parola a quello più grande:

                 21.                  “Arvodo voglia sempre darmi prova della sua amicizia!”

                 22.                  Cortesemente l’interpellato risponde: “Karmuno sa come far felici i suoi amici con il suo amore”.

                 23.                  Sospirando il sacerdote dice: “Le condizioni del re oggi non gli permettono di dare al generale nuove prove della sua fiducia. Egli è molto malato!”

                 24.                  “L’arte di Karmuno saprà allontanare, come già spesso, la sua malattia. Nelle sue mani Areval è ben protetto”.

                 25.                  Uno sguardo indagatore del sacerdote e medico colpisce colui che parla, il quale tuttavia lo guarda negli occhi sorridendo con gentilezza. Poi dice gravemente: “Arvodo dovrebbe essere nominato oggi stesso generale superiore di Mallona; nella sua custodia il re Areval potrà dormire al sicuro da tutti i nemici!”

                 26.                  Affermando, Arvodo mette la sua destra sul petto e dice in tono assai serio: “Al nostro signore, al re Areval, appartengono i miei servizi e la mia vita. I suoi nemici sono i miei!”

                 27.                  Karmuno non sa cosa rispondere su questo. Egli saluta e se ne va! I due fratelli si scambiano uno sguardo d’intesa, poi anch’essi si voltano verso l’uscita della sala e lasciano il palazzo.

                 28.                  Quando entrambi stanno sui gradini della grande scalinata, Arvodo guarda la città che si stende davanti a lui e la stupenda regione montana che la circonda. Osservando con solennità il meraviglioso panorama, dice sottovoce al fratello: “Un paesaggio splendido e leggiadro, e una città che testimonia la potenza del nostro popolo: e tuttavia è solo un posto di anime depravate! Potrò io riportarle indietro? Ho paura davanti ad un tal compito e alla sua felice riuscita”.

                 29.                  Senza attendere una risposta dal fratello, scende in fretta i gradini. Alla base della scalinata, oltre alle guardie, c’è Upal, in atteggiamento d’attesa che lo osserva con inquietudine. Lo sguardo fisso di Upal induce il generale a guardarlo più da vicino. Un particolare movimento del capo, chinante e nello stesso tempo rotatorio, non appariscente, che Upal compie col suo saluto, sorprende chiaramente Arvodo. Egli fa cenno di avvicinarsi e gli domanda a bassa voce: “Chi sei?”. – Upal guarda con gioia nel nobile volto del generale e bisbiglia: “Signore, un servitore degli infelici! Upal è il mio nome”.

                 30.                  “Vuoi parlarmi?”.

                 31.                  “Sì signore, però in segreto, e a voi solamente!”

                 32.                  “Vieni quando sarà scesa la sera”.

                 33.                  Upal mette la mano sul petto e si allontana in silenzio.

                 34.                  Arvodo ora si volta veloce dalla parte di suo fratello, a lui sussurra all’orecchio: “È un fedele!”, e va veloce a una piazza, dove ci sono un gran numero di piccole vetture, come le ho viste nel viaggio di Upal verso la capitale. I fratelli salgono su un veicolo preziosamente adornato che è guidato da un servitore di Arvodo, e velocemente corre attraverso le larghe strade della città affollata di popolo.

                 35.                  Le case, non molto alte, sono addobbate di fiori, sui tetti piatti sono applicati dappertutto giardini artificiali. Vedo nei vasi ogni specie di piante rampicanti dalle larghe foglie a me sconosciute, raggruppate a pergolati che offrono ombreggiati luoghi di riposo. Verso la strada, troppo spesso vedo tende colorate, tirate per proteggersi da sguardi curiosi. Tutto presenta benessere degli abitanti, perfino ricchezza. Siamo nel quartiere dei benestanti, i quali non devono lottare con le preoccupazioni della vita. La vettura di Arvodo si ferma adesso davanti ad un grande edificio. I due fratelli scendono ed entrano nella casa; questa è la loro. Sono ricevuti dai domestici e condotti nelle stanze interne.

                 36.                  Arvodo si libera dell’armatura; indossa un’ampia veste da casa a forma di mantello, simile alla toga romana. Suo fratello ha fatto la stessa cosa e adesso si recano sul tetto della loro abitazione, dove possono intrattenersi, lontani da orecchi indiscreti. Una stretta scala conduce su, sbarrata in alto con un cancello. Arvodo chiude questo a chiave ed entrambi i fratelli sono ormai indisturbati nel giardino pensile, un raffinato capolavoro di giardinaggio. Prosperosi fiori, tutt’intorno ci sono pergolati, gli alberi piantati tra pietre artisticamente sistemate; in nessun luogo vasi sgraziati, tutto è leggiadro, imitato fedelmente alla natura e tuttavia non opprimendo troppo il tetto della casa.

                 37.                  Arvodo si siede nella sua veranda, dalla quale si può osservare la via d’ingresso al giardino pensile, suo fratello lo osserva preoccupato e pieno d’amore. In silenzio lo sguardo del generale scorre sul profumato sfarzo dei fiori dei giardini confinanti. Una buia piega si è messa tra le sue sopracciglia e, sospirando, ora il suo sguardo incontra quello di suo fratello.

                 38.                  “I tuoi pensieri non sono gioiosi; per quale ragione?”. Gli domanda il giovane Rusar.

                 39.                  “Come potrebbero esserlo, se mi vedo ostacolato in tutto! Areval ha saputo strappare a sé tutti i tesori, tanto che al popolo, privato di ogni proprietà, non è rimasto nulla. Anche noi, i grandi, dipendiamo solo dalla sua grazia. Egli con un ordine perentorio può fare di chiunque un mendicante, e l’ha anche già fatto con molti che osarono opporsi a lui. L’esercito è, per la maggior parte, a lui devoto; certamente esso conduce l’oziosa, sontuosa vita solo grazie ai suoi tesori. Sì, se i tesori di Wirdu appartenessero a me, quanto presto sarebbe finita con questo re, il quale ha portato il popolo così profondamente in basso, popolo che un giorno Maban rese grande!

                 40.                  “Mio fratello dimentica completamente che egli è la speranza dell’esercito, il quale guarda a lui con orgoglio come al generale più capace che si coprì di gloria bellica?”.

                 41.                  Arvodo scoppia in una risata: “Una bella, una splendida gloria, marciare con una potenza superiore contro una compagnia ribelle di Nustra che, stanca del fardello, non può più pagar le tasse e perciò si ribella! Un’opera ancora maggiore, di vincerla; un’opera vergognosa tuttavia, fu quella di punirla e rappresentare io il carnefice! – Da nostro padre imparammo i principi e le aspirazioni di Maban. Con raccapriccio riconosco quanto siamo sprofondati in basso. Con dolore vedo che forse non è più possibile nessun ritorno e che i popoli di Mallona sono stati rovinati e distrutti da questo re che la maledizione della Divinità ci ha dato. Io ho giurato di fare un tentativo che possa portare a un cambiamento. È in gioco la mia vita, però non voglio tentare inutilmente”.

                 42.                  “Perché scoraggiarsi così, i viceré di Nustra e di Sutona sono dalla tua parte, essi sono fedeli”.

                 43.                  “Certo, anche se fedeli, solo per non dovere servire Areval più a lungo. Anche il fiacco re di Monna io non temo. I giorni del viceré di Nustra sono contati, egli è vecchio e presto andrà agli dèi. Se per il momento mi riuscirà di regnare a Monna al suo posto, allora mio fratello saprà conservarsi il posto che io gli concederò”.

                 44.                  A queste parole gli occhi di Rusar brillano, ed egli, chinandosi al fratello sussurra: “Nessun potere potrà separarmi da te; io con te voglio morire, o vivere per salvare il lascito di re Maban”.

                 45.                  “Forse questo significherà morire”, dice malinconico Arvodo. “Se non riuscirà il colpo di mano di raggiungere i tesori di Areval al primo tentativo, e quindi finanziare l’esercito, siamo perduti. Tu sai com’è attento Karmuno, questo dominatore dell’ammalato, decrepito re, il quale domina nel paese e a tutti mostra un aspetto così remissivo da ingannare la maggioranza. Io so dove mira. Egli vuole ottenere la mano di Artaya per assicurarsi il diritto al trono mediante la figlia di Areval, una volta sposato con lei”.

                 46.                  Impetuoso, ribatte Rusar: “Artaya, moglie dell’abbietto Karmuno? Mai!”

                 47.                  “Artaya è così vicina anche al tuo cuore, che il pensiero ti fa andare così in collera?”. Domanda Arvodo.

                 48.                  “Fratello, voi tutti giudicate male la fanciulla! Lei non è come il padre, la falsità le è estranea”.

                 49.                  “Voglia Dio Padre che tu asserisca la verità, tuttavia sorveglia il tuo cuore. Io ho notato già da lungo tempo che i tuoi occhi non la guardano indifferente. Dimmi, fratello: se tu potessi ottenere la sua mano, riusciresti a prendere, per vie pacifiche, ciò che io potrei solo con la forza? In altre parole, diventare sovrano di Mallona? A te sta la scelta: tra tuo fratello, e Artaya!

                 50.                  “Come se non sapessi che Areval, mai mi concederebbe la mano della sua unica figlia! Anche se lui volesse, l’opposizione di Karmuno non si potrebbe superare. Solo la forza potrà portare anche me al traguardo desiderato. Se mio fratello sarà sovrano di Nustra, lo sarà anche presto di Mallona. Dalla sua mano otterrei poi la sposa”.

                 51.                  “Se lei stessa lo vorrà, certamente!”. Rusar guarda di malumore il fratello. Arvodo aggiunge: “Oppure non devo io anche restituire al popolo la libertà di decisione concessa da Maban alla donna, libertà seppellita da lungo tempo da Areval?”.

                 52.                  “Perdona l’impulso d’egoismo in me”, risponde imbarazzato Rusar. “Come sempre, hai ragione”.

                 53.                  Il suono di un campanello risuona dai locali sottostanti. Arvodo si alza.

                 54.                  “Siamo disturbati, silenzio!”

                 55.                  Agli ultimi gradini, prima del cancello chiuso, appare un servitore. Egli annuncia che eminenti ospiti attendono Arvodo e aspettano nelle stanze sottostanti. In fretta i fratelli aprono e si recano giù. In una camera preziosamente arredata, le cui ampie finestre aperte fanno entrare liberamente l’aria mite, stanno sei grandi del Regno, e Arvodo li saluta con gentilezza e imponenza. Il più vecchio di loro, un uomo apparentemente di mezza età, si fa avanti e dice in tono di sottomissione: “Signore del popolo guerriero, su incarico e nel nome del re, del nostro signore, vi consegno il simbolo del potere che d’ora in poi voi dovrete portare insieme con lui. L’insidioso dolore gli ha oggi negato la gioia di consegnarvi questo segno onorifico davanti ai grandi del Regno riuniti insieme; è tuttavia sua volontà non sottrarvelo per lungo tempo. Egli con ciò si mette sotto la protezione del suo generale; voglia questi portarlo quale uno dei più grandi di Mallona”.

                 56.                  Il portavoce consegna al generale un anello. È l’esatta riproduzione di quello che già conosciamo; non riesco a scoprire nessuna differenza tra questo e quell’altro già visto.

                 57.                  Arvodo rimane freddo, prende in consegna l’anello, lo infila al quarto dito della mano destra, la chiude a pugno e la alza in alto: “Il potere che Areval mi dà, non è dato ad un indegno. Attendo il momento in cui io potrò mettere il mio ringraziamento ai piedi del re stesso! Ditegli: il suo generale, da questo momento, farà buona guardia!

                 58.                  I presenti s’inchinano profondamente e nello stesso tempo esclamano: “Noi onoriamo in te la potenza del nostro re Areval, salute a te e a lui!”. Nelle più cortesi locuzioni ora Arvodo e suo fratello parlano con gli ambasciatori, i quali mostrano la più profonda devozione all’ormai più potente uomo: al rappresentante del re, al comandante di tutti gli eserciti di Mallona, colui che è investito del potere regale e non deve rispondere più a nessun altro se non soltanto al suo sovrano. – Gli ambasciatori si allontanano e i fratelli sono soli. – Il giovane Rusar non può portare più a lungo la maschera dell’indifferenza. Abbracciando eccitato suo fratello maggiore, esclama trionfante. “Lo scopo è raggiunto!”

                 59.                  Rabbuiandosi Arvodo guarda in basso e dice cupo: “Sì, è raggiunto, ma il prezzo è alto! Io sacrifico il mio stesso animo, il mio io migliore. Ciò che il padre c’insegnò, onestà, fedeltà, verità e lealtà sono diventate ombre in me a causa dello scopo. Sarà possibile un giorno cogliere deliziosi frutti da questa semina d’inganno, per salvare il lascito di Maban?”.

                 60.                  Rusar parla senza riflettere: “Mio fratello ci riuscirà; ora bisogna solo andare avanti, e non lambiccarsi il cervello!”

                 61.                  Sul volto di Arvodo compare un moto di fermissima risolutezza, ed egli si erge alto: “Sì, ci riuscirò! Che cosa però ha indotto il re a compiere un passo così insolito da inviarmi l’insegna del potere regale? Mai è stata usanza nei nostri paesi di conferire il potere in altro modo se non personalmente dal re davanti al popolo e alla corte radunata. Devo andare da lui! Devo sapere le ragioni e adempiere il dovere di porgere subito il mio ringraziamento. Seguimi dal re!”

                 62.                  In una stanza preziosamente arredata re Areval siede a fianco di una giovane, meravigliosa fanciulla. È sua figlia. Essi sono totalmente immersi in un gioco strano, simile agli scacchi. Areval sembra aver superato la crisi. Nulla, infatti, rivela in lui che era malato. Adesso la figlia compie una mossa decisiva e, scoppiando in una chiara risata, dichiara il padre sconfitto.

                 63.                  Areval fa cenno col capo e respirando profondamente si appoggia sui cuscini del divano. I suoi occhi si posano compiacenti su Artaya, la cui splendida ma fredda bellezza, denuncia che in questo cuore di fanciulla l’animo è stato poco sviluppato. Artaya è consapevole del suo splendente aspetto esteriore, ma interiormente è calcolatrice, spietata e avida; sempre pronta ad imporre i propri desideri ad ogni costo, qualunque conseguenza ne derivi; sottomessa ai suoi stati d’animo, senza freno interiore, è un degno germoglio del padre.

                 64.                  Entra un servitore e annuncia al re che il generale Arvodo è pronto ad ascoltare i suoi desideri. Negli occhi stanchi di Areval passa improvvisamente un lampo; egli sorride e ordina che il generale sia condotto da lui che lo attende con ansia. Artaya si alza; lentamente mette da parte il gioco con le figure e si mostra premurosa verso il padre. È evidente che vuol guadagnare tempo per salutare l’atteso, nonostante vi sia l’usanza che le donne si allontanino quando è prevista una visita maschile. Solo quando l’ospite è già stato ricevuto dal padrone di casa, hanno loro accesso, se invitate. Il pesante tappeto appeso davanti alla porta d’ingresso è spinto indietro e, l’alto Arvodo, vestito in splendente corazza a scaglie, appare. Lo sguardo esigente di Artaya colpisce Arvodo, cosa che a lui non passa inosservato, poi s’infila velocemente in una stanza attigua. Arvodo si ferma davanti alla porta, piega le sue braccia profondamente a terra. Il re lo guarda penetrante e fa un movimento, come per indicare che deve venire più vicino. E così avviene.

                 65.                  All’improvviso Areval balza in piedi e dice:

                 66.                  “Arvodo, voi siete il mio primo generale, avete il dovere di proteggere la mia vita con la vostra! Siete voi disposto a farlo?”.

                 67.                  Arvodo risponde: “Il mio re lo sa!”

                 68.                  “Io vi ho dato il sigillo del mio potere, lo porterete voi così come lo porto io?”. Il re alza la mano e mostra l’anello al suo dito. Esso è uguale a quello che Arvodo ha ricevuto dagli inviati. “Mai ne farete uso indebito?”.

                 69.                  “Se il mio re ne dubita, allora restituisco quello che ho ricevuto!”

                 70.                  Arvodo fa un movimento, come per sfilarsi l’anello dal dito.

                 71.                  Il viso di Areval è deformato dall’angoscia. Egli guarda Arvodo che, immobile dallo stupore, con affanno ascolta attentamente le parole bisbigliate

                 72.                  “Artaya ti ama, lo so da molto tempo, tu devi diventare il suo consorte, tu dovrai ottenere il trono dopo di me! Tu sei il più degno di tutte le canaglie adulatrici che si chinano dinanzi a me. In te io voglio e riconquisterò la forza che cerco. Hahaha, allora dovranno di nuovo tremare dinanzi a me come prima i farabutti che ora mi deridono e mi scherniscono perché sono malato e debole! In me, però, vive ancora la scintilla che tu attizzerai in fiamma! Tu dovrai essere il braccio che guida la mia volontà!

                 73.                  Areval respira pesantemente per l’agitazione interiore, all’improvviso fissa un angolo della stanza: “Guarda là, là, nella nebbia nera ondeggiano di nuovo, facce guardano con occhi incandescenti. Io le conosco: questi è mio fratello e Fedijah e altri, i quali mi maledicono! Arvodo, proteggimi da loro, si avvicinano!”. Pieno di paura Areval si aggrappa al generale e cerca di nascondersi dietro di lui. Questi si alza di scatto. Rapidamente pensieri frenetici germogliano nella sua testa, mentre comprende la situazione, e coerentemente al suo deciso carattere cerca di restare padrone del momento.

                 74.                  Estrae la sua spada dal fodero e dice con voce ferma, e ad alta voce: “Guarda, re Areval, così io caccio via nel nulla anche i tuoi invisibili nemici!”. Poi vibra violenti colpi nell’aria verso l’angolo dove il re ha visto le facce e, scoppiando in un’allegra risata, si mette egli stesso nell’angolo estremo. Poi rivolto al re, guardandolo fisso negli occhi, infila la spada nel fodero ed esclama: “Io ho vinto, re Areval; mostrami dove c’è ancora un nemico, affinché lo annienti!”

                 75.                  Il volto di Areval mostra stupore e ammirazione: “Un portento, Arvodo, un portento tu sei!”. Sussurra egli balbettando: “Ha la stessa forza di Karmuno, gli spiriti fuggono davanti alla sua spada. Egli mi proteggerà – proteggerà!”. Gli occhi di Areval sono stanchi; come dopo ogni attacco, anche adesso subentra in lui il bisogno di dormire. Arvodo gli corre vicino e lo adagia sul suo luogo di riposo. – Areval mormora: “Bene, così, bene. Domani ti vedrò di nuovo, hai capito? Domani!”. Poi si addormenta.

                 76.                  Arvodo sta per dirigersi alla porta per dare ordini ai servitori fuori in attesa, quando la tenda rapida viene tirata indietro da un lato e, precipitosamente, Artaya ne viene fuori. Arrossata e con occhi raggianti, la bella fanciulla sta davanti al generale e dice sorridendo: “Non preoccupatevi per il padre, il suo sonno resterà indisturbato, me ne occupo io. Arvodo non ha nessuna risposta per il desiderio di mio padre?”.

                 77.                  Arvodo replica con cortesia: “Gentil donna, il re è ammalato, domani starà meglio, e allora i suoi desideri saranno forse altri”.

                 78.                  Artaya lo guarda corrucciata: “Fa lo stesso se si cambiano i suoi desideri: i miei restano e io ti voglio!”. Con passione corre incontro ad Arvodo e si getta nelle sue braccia: “Ascolta, io voglio te, te! Tu non mi resisterai!”. Velocemente avvinghia Arvodo e lo bacia. “Adesso sei mio, con questo bacio sono unita a te. Rifiutami, e allora dovrai temere la mia vendetta!

                 79.                  Con destrezza Artaya scompare nella stanza attigua, lasciando Arvodo mezzo intontito. Di là risuonano delle voci e, per evitare che qualcuno sopraggiungendo lo scorga, il generale lascia in fretta la stanza e il palazzo reale.

 

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Cap. 7

Alle caverne di Wirdu

                   1.                     Arvodo è arrivato come stordito nel suo palazzo. Apprende col cuore alleggerito che suo fratello ha lasciato la casa. Ora è per lui gradevole non dover sostenere discorsi; egli vuole essere solo per riflettere su ciò che c’è da fare. Si ritira nel suo studio solitario, malinconico guarda a terra, mentre le sensazioni più contraddittorie attraversano il suo petto. Vede col pensiero suo fratello – che, come lui sa, ama Artaya – nelle catene della gelosia, qualora gli rivelasse quello che è accaduto. Vede se stesso alla meta, se cederà ad Artaya e al desiderio del re: due personaggi che egli disprezza! A lui sorride il volto sogghignante del sommo sacerdote Karmuno, il quale aspira egli stesso al potere, e attraverso il clero esercita nel paese un potente influsso sui ceti sociali. Questi, infatti, credono di vedere in lui l’uomo attraverso cui la Divinità rivela al re Areval la Sua volontà.

                   2.                     Arvodo non si sente abbastanza sicuro sulla riuscita di un temerario colpo di mano, tuttavia può scegliere solo tra questo e la nuova via che si sta aprendo: diventare consorte di Artaya. Per il primo gli occorre l’incondizionata fedeltà dell’esercito. Ma gli è fin troppo noto come questa dipenda dai mezzi che egli potrà concedere all’esercito viziato dai tesori di Areval. A dir il vero, nel grande impero non vi è nome che sia stimato dall’esercito come il suo, ma questo rispetto da solo non gli giova a niente senza tesori propri. Sui sorveglianti e le guardie dei depositi del tesoro nella capitale del re, così come sulle numerose guarnigioni degli stessi, Arvodo non ha alcun potere ufficiale; là comandano solo ed esclusivamente Areval e Karmuno.

                   3.                     Il patrimonio di Arvodo è enormemente insufficiente a sostenere, solo per un giorno, la paga che la guardia del corpo del re consuma; questa, infatti, è tre volte superiore a quella di tutti gli altri soldati nell’impero. Egli rabbrividisce al pensiero di essere il marito di Artaya, la cui bellezza non lo rende cieco. Secondo la legge le sarebbe sottomesso poiché non è di sangue reale. Lei resterebbe sempre la sua padrona, e presto si dimenticherebbe di lui tra le braccia di un favorito. Un legame con lei gli sarebbe il sicuro annientamento dei suoi santi doveri verso il segreto di Maban, segreto che gli fu affidato dal padre morente.

                   4.                     Davanti agli occhi di Arvodo affiora il volto del padre e rivive ancora una volta il momento in cui il suo sguardo, che si sta spegnendo, gli si posa addosso nella sicura speranza che, come figlio, egli compirà ciò che a lui non è riuscito. Nella sua memoria sono incise profondamente le parole con le quali pronunciò al morente la grave, solenne promessa. Egli è fermamente disposto a mantenerla. Arvodo si alza di scatto, deciso a percorrere ulteriormente la strada una volta iniziata. I mezzi, per giungere allo scopo, si dovranno trovare.

                   5.                     Nel frattempo si è fatto buio. Arvodo va alla finestra e sposta le tende, così che il caldo soffio della sera passi attraverso la stanza. Dopo pochi istanti un servitore entra e mette sul tavolo un sostegno metallico. Esso possiede una sfera luminosa che irradia una luce chiara e tuttavia soave, la quale illumina intensamente le parti oscure della stanza. È una lampada-manga che, bruciando senza fiamma, solo per le sue caratteristiche chimiche, può irradiare una luce più intensa di tutte le nostre sorgenti di luce artificiale.

                   6.                     Il servitore annuncia ad Arvodo che un uomo chiede di parlare al generale, poiché questi l’avrebbe convocato per l’ora serale. Ad Arvodo viene in mente l’incontro col fedele, e subito ordina di condurre a lui l’atteso. Presto Upal entra e si ferma riverente alla porta. Il servitore che l’ha accompagnato è mandato via da Arvodo con l’ordine di fare in modo che nessuno li disturbi. Arvodo guarda fisso Upal, adesso ben vestito, e gli dice:

                   7.                     “Tu mi hai dato il segno dei fedeli, ma io non ti ho mai visto, Come posso riconoscerti?”.

                   8.                     Upal, anziché dare una qualsiasi risposta, cerca in una tasca segreta della sua veste e consegna al generale una lettera chiusa. Arvodo prende la missiva, apre e legge a lungo con crescente stupore. Poi si rivolge ad Upal con tono amichevole:

                   9.                     “Con questa lettera ti ho riconosciuto veramente come appartenente alla lega dei fedeli! Un intercessore migliore come lo scrivente di questa lettera non avresti potuto averlo. Ti credo. Ormai so che posso fidarmi di te, ma raccontami quello che, secondo la lettera, vuoi comunicare solo ed esclusivamente a me”.

                 10.                  Upal trae un profondo respiro e comincia a raccontare la storia della sua vita. Descrive come sua sorella scomparsa fu rapita da Areval e, di nuovo, liberata da Muhareb. Egli confessa il suo intenso odio verso il re che, dopo la scomparsa di Muhareb, scatenò tutta la sua ira contro la sua famiglia e non ebbe pace finché questa non fu ridotta nella più grande miseria; come il padre scampò alla persecuzione di Areval perché si consacrò al servizio del tempio, nel più basso gradino dei servitori. Quando si ammalò, tuttavia fu dimesso anche da lì e lasciato senza pane. Divenuto vecchio e debole, viveva solo col misero sostegno di Upal e di alcuni amici compassionevoli che gli erano rimasti dai tempi migliori. Upal descrive ora intensamente come divenne schiavo del re nelle caverne di Wirdu, perché non poteva più pagare le imposte, e come là trovò la pietra-aurea che lo rese ricco.

                 11.                  “Areval non ti ha riconosciuto come fratello di Fedijah, quando gli hai fatto rapporto sul tuo ritrovamento?”. Domanda Arvodo.

                 12.                  “Signore, io non ho visto il re, Karmuno ascoltò il mio rapporto, il re era malato! Sono anche passati molti anni da quando mi ha visto l’ultima volta; il mio nome è cambiato, Areval non sa chi sia Upal. Il compito della mia vita è nascondermi da lui, per annientarlo. Per questo divenni già molto tempo fa un membro nell’alleanza dei fedeli. Rovinarlo è tutto per me! E tu, signore, vendicherai in quello scellerato, anche mia sorella e la mia casa!

                 13.                  Upal è chinato in basso davanti ad Arvodo e in segno della sua indissolubile dedizione piega profondamente la schiena davanti a lui. Arvodo gli va incontro e gli mette la mano sul capo: “Tu ti pieghi a me! Orsù. Io accetto l’offerta, Upal. Sii dunque uno dei miei, ormai legato a me fino all’ultimo!”

                 14.                  Upal afferra le mani del generale e sussurra con voce soffocata: “Grazie, signore, di avermi accolto! Tuttavia lo schiavo può già adesso mostrarsi riconoscente e, per Schodufaleb[4], signore, io lo voglio!

                 15.                  Upal ora riferisce al sempre più stupito generale, ciò che egli ha scoperto nelle caverne di Wirdu. Che non è poi così difficile portare alla luce gli immensi tesori. Che egli potrebbe mostrargli la via per farlo e che ad Arvodo dovrebbe essere facile, con i mezzi di cui egli segretamente dispone, raccogliere un immenso potere, più grande di quello del re. Egli riferisce come lui, per mezzo di una macchina volante e col vento favorevole, abbia ricercato instancabilmente fino a trovare l’enorme fenditura nella roccia che arriva in profondità, fino all’interno delle caverne. Come ha poi osato abbassarsi con la macchina e fatto così enormi scoperte.

                 16.                  Quasi terrificato, Arvodo fissa Upal: “Tu hai osato innalzarti nelle arie? In verità ci sono pochi in Mallona che sono così audaci da salire sulle aeronavi. Noi temiamo quest’elemento insicuro dell’aria e anche dell’acqua”.

                 17.                  Sorridendo, Upal dice: “Non è così pericoloso come lo ritengono il popolo e i grandi: non mi sono venuti incontro demoni ostili per distruggere l’aeronave. Grande fu lo spirito del maestro Mirto, il quale scoprì il mezzo per volare, ma troppo piccolo fu lo spirito del popolo per apprezzare ciò che egli ci diede. Buon per noi però, signore, che sia così, altrimenti come potresti portare alla luce quei tesori?”.

                 18.                  Calmo e freddo sta Arvodo, poi dice all’improvviso: “Voglio vedere i tesori. Sei tu pronto a mostrarmeli? A portarmi laggiù col velivolo?”

                 19.                  Felice risponde Upal: “Signore, io sapevo che ti saresti affidato a me! Ancora una cosa: tu osi in maniera risoluta ciò che all’infuori di me nessuno ha mai compiuto. Ordina, io sono pronto!”

                 20.                  “Dov’è il tuo velivolo?”.

                 21.                  “Esso sta ben nascosto in una regione inaccessibile, in un luogo conosciuto solo a me. In vettura si giunge facilmente quasi fin là”.

                 22.                  “Quanto tempo hai bisogno per riportarci indietro?”.

                 23.                  “Signore, sarebbe bene se tu potessi dedicare due giornate per questo, solo di notte, infatti, possiamo, non visti, percorrere la via”.

                 24.                  “Prepara tutto per il viaggio domani sera. Mi aspetterai al grande lago, là, dove la strada passa più vicina alle sue rive. Io verrò non appena cala il Sole. Adesso va, lungo è il viaggio che dobbiamo fare. Ciò che ho ancora da dire, lo riservo per domani”.

                 25.                  Upal saluta in silenzio con sguardo profondo e se ne va’.

                 26.                  Arvodo rimane profondamente assorto nei pensieri, i suoi occhi brillano arditamente e le sue labbra bisbigliano: “Sarei quasi alla meta se ciò che mi ha detto quest’uomo è completamente vero!”

 

* * *

                 27.                  È una notte rischiarata dalle stelle. Ad Occidente s’irradia ancora lo splendore sfolgorante del Sole che tramonta, un caldo vento serale soffia balsamico sui campi. Nel cielo, come un meraviglioso spettacolo, splendono allo Zenit e all’Orizzonte due lune. Esse mostrano fasi differenti. Durante la notte sorgerà anche la terza luna, come un disco chiaramente illuminato. Queste lune però sono più piccole dell’unica della nostra Terra. Esse insieme non offrono ancora la luminosità che la nostra luna dispensa alla Terra. Ad Oriente si trova in lontananza la città, circondata al lato sud da boschi e prati, mentre il lato nord è dominato dalla superba fortezza del re.

                 28.                  All’orizzonte si levano alte montagne, confondendosi nel profondo blu della notte. Un vasto lago si estende tra una catena montuosa e la città, il suo chiaro flusso è immobile come uno specchio. Un’ampia strada conduce dalla città alla sua riva. È la strada maestra che collega la capitale di Areval con la prossima importante città del suo regno. Essa scorre accanto alla strada statale prima descritta, sulla quale sono fatti arrivare i tesori dalla regione dei crateri.

                 29.                  Una solenne quiete si stende sull’intero paesaggio, sul quale guardano giù, col loro chiaro luccichio, le scintillanti stelle del firmamento. Vicinissimo al lago si trova un’alta boscaglia di cespugli fioriti che chinano i loro rami fino a terra. Nell’ombra di questi sta nascosto Upal che, alzando di tanto in tanto solo la testa, guarda attento lungo la strada se si avvicina Arvodo. L’ora che il generale gli ha dichiarato è già passata e angosciosi dubbi, che degli ostacoli rendano impossibile il suo arrivo, attraversano la sua anima.

                 30.                  Ecco però che in fondo, sulla strada maestra, compare un punto nero che si avvicina velocemente. È una delle veloci vetture rotabili di cui si servono gli abitanti di Mallona. Ora Upal sa che la sua attesa non è stata vana. Egli balza in piedi e si mette in modo tale che il possessore della vettura che si avvicina a velocità folle, debba notarlo. La vettura procede più lentamente. Upal riconosce Arvodo avvolto in un mantello scuro e un servitore, il conducente del veicolo. La vettura si ferma, Arvodo saluta colui che attende e gli ordina di sedersi accanto a lui. Upal sale e, come spinto da una forza invisibile, il veicolo corre di nuovo velocemente lungo la strada.

                 31.                  Arvodo si mantiene silenzioso. Indica con cenni a Upal di non voler parlare alla presenza del servitore: anche se in verità gli risulta fedele, tuttavia non occorre che sia informato sulla meta e sullo scopo del viaggio. Upal informa sottovoce Arvodo su quanto dovranno viaggiare. Il servitore riceve gli ordini necessari dal generale ed ora il veicolo va precipitosamente alla sua meta.

                 32.                  Secondo il nostro calcolo del tempo sono trascorse delle ore. La vettura si ferma in mezzo ad alte montagne. La via qui passa per una graziosa valle, alla cui fine si mostrano una pianura e una quantità di case. È una località di nome Resma, la prima importante stazione sulla strada maestra. Upal e Arvodo scendono; quest’ultimo dà al suo servitore l’ordine di aspettarlo per un certo tempo a Resma, e comportarsi esattamente così come il suo padrone gli ha già spiegato prima della partenza.

                 33.                  Il veicolo scompare dalla strada. Upal va avanti, curvando a sinistra della strada, nel vicino bosco, Arvodo lo segue. Upal prende la sua via su sentieri appena visibili che vanno sotto gli alberi. Egli si guarda attorno per vedere se non ci siano uomini nelle vicinanze. Poi estrae dalla sua veste un robusto stelo, ne toglie l’involucro e una chiara luce risplende da questa torcia-manga, illuminando chiaramente i sentieri e le circostanti zone del bosco. Presto i due si trovano tra frantumi di rocce e Upal dice:

                 34.                  “Signore, il velivolo sta nascosto lassù sull’altura. Nessuno può trovarlo; la via però è molto faticosa. Da qui, lungo questo sentiero roccioso, parte una via verso la pianura. Voi prendete questa, così più tardi potrò prelevarvi dalla pianura con il velivolo, in caso diverso dovete salire con me su queste rocce”.

                 35.                  Arvodo dice brevemente: “Va’ avanti, io non temo alcuna fatica e ti seguo”.

                 36.                  Upal fa cenno col capo e si dirige ai piedi di una montagna fittamente rivestita di piante, le cui smembrate pareti rocciose si ergono minacciose nella notte.

                 37.                  Tenendosi spesso con le mani alle radici degli alberi, attraverso sterpaglia e tra rocce a forma di torre vanno per il sentiero non battuto verso la cima della montagna. Upal aiuta il compagno illuminando i punti dove questi può mettere con sicurezza il piede, e finalmente la vetta è raggiunta. È una roccia brulla che domina la regione e offre una splendida vista, a sinistra nella valle, a destra su una modesta montagna, dietro alla quale si congiunge la regione vulcanica, che è la meta del viaggio degli uomini temerari.

                 38.                  La sommità della rupe è larga e disunita. Le rocce formano un groviglio, come se una forza selvaggia le avesse scagliate disordinatamente. “Fatevi da parte”, dice Upal. “Qui starete al sicuro, io devo aprire la caverna!”. Egli indica un posto all’aperto davanti ad un enorme mucchio di blocchi rocciosi a forma di torre messi uno sopra l’altro, e indica al generale il punto d’osservazione più sicuro, per quello che ha intenzione di fare.

                 39.                  “È qui il velivolo?”, domanda Arvodo.

                 40.                   “Qui, dietro quel macigno nella caverna che io ho scoperto!”

                 41.                  “Come pensi di toglierlo?”.

                 42.                  “Col Nimah![5]”.

                 43.                  “Tu possiedi questo?”, chiede stupito Arvodo.

                 44.                  “Sì signore, tuttavia non nella sua totale potenza”.

                 45.                  “Allora apri la caverna”.

                 46.                  Upal si dirige verso le rocce, faticosamente spinge via alcuni grossi blocchi, così che si formi una breccia; poi s’infila attraverso questa, prendendo con sé la fiaccola-manga. Per lungo tempo non c’è alcun rumore. All’improvviso si muove un grande macigno e Arvodo si allontana di alcuni passi dalla restante parete. Si è creata una grande apertura che, nascosta dal blocco roccioso, costituisce l’ingresso a un’ampia caverna. Dentro sta Upal davanti ad una strana macchina[6] e chiama Arvodo con un cenno della mano. Questi si avvicina, prende in mano la fiaccola manga e osserva con stupore il velivolo fermo. Parti dello stesso sono smontate. Upal le porta nel posto all’aperto davanti alla caverna e le monta con rapidità e sicurezza.

                 47.                  Adesso la macchina si presenta come un solido telaio che sotto racchiude una specie di gondola che non tocca il suolo. Nella parte superiore una grande ruota a pale girevoli sta sopra i viaggiatori. Anche ai lati si trovano due ruote a pale, le cui rotazioni sono misurate precisamente con quelle della ruota di salita; esse impediscono che la navicella si giri su se stessa quando quest’ultima rotea vorticosamente. Queste ruote laterali causano l’avanzamento in collegamento con una terza ruota che si trova dietro. Alla base della navicella ci sono robuste ed elastiche molle per ammortizzare l’urto nell’atterraggio. L’intera macchina è fatta di un metallo solido e leggero, tuttavia non si vede il vero e proprio meccanismo di trazione che deve far girare le ruote a pale. Questo è applicato nel doppio fondo e nascosto nelle pareti laterali.

                 48.                  Upal ha preso un vaso dalla caverna e versa della polvere biancastra in un’apertura al lato della navicella.

                 49.                  “Provvediti con sufficiente forza motrice!”, osserva Arvodo.

                 50.                  “Non preoccupatevi signore”, è la risposta. “Quello che ho preso con me è sufficiente per fare il viaggio di andata e ritorno due volte!”

                 51.                  Upal mette nella navicella diversi oggetti, il cui uso è a noi sconosciuto, poi sale dentro e invita Arvodo a fare la stessa cosa. Entrambi si siedono. Alcune mosse di Upal, e la ruota a pale superiore comincia a girare attorno al proprio asse, dapprima lentamente, poi a velocità pazzesca. Si fa sentire un lieve, profondo suono che continua a poco a poco ad aumentare, prodotto dall’enorme veloce movimento rotatorio. Upal ha la mano su una manopola che regola la velocità della rotazione.

                 52.                  Nel momento in cui il velivolo comincia a muoversi, entrano in azione anche le ruote laterali nel movimento rotatorio. C’è un breve scossone e il velivolo adesso si alza leggero e sicuro con i suoi occupanti, salendo nella limpida aria notturna. Il suono ronzante è uniforme, perciò la velocità è regolata. Upal mette in movimento la ruota a pala posteriore e ora il velivolo prende velocemente il suo volo in avanti. Nella parte anteriore della navicella si trova una sporgenza metallica mobile, somigliante al timone di una nave: è il timone della macchina. Il velivolo è sollevato mediante la ruota a pale superiore, mediante le ruote laterali è tenuto stabile e con queste, unitamente alla terza ruota, sospinto nella direzione desiderata. Tutto avviene a velocità incredibile, come si può notare dal forte riscontro d’aria spostata. Anche il timone, sul quale agisce la resistenza dell’aria, consente di governare il tutto con sicurezza.

                 53.                  Quest’invenzione è stata possibile realizzarla su Mallona grazie a tre circostanze. In primo luogo l’atmosfera è più densa e tranquilla, non così sferzata dalle tempeste come sulla Terra, e per questa ragione anche stabile. In secondo luogo la forza motrice è la sostanza chimica Nimah, il famigerato esplosivo di Maban. Simile alla nostra dinamite essa, non mescolata, può esercitare una forza colossale verso una direzione e, se mischiata con altre sostanze, non è esplosiva, ma diventa regolabile, così che nel suo effetto appare simile alla più intensa pressione che si possa pensare di ottenere dal vapore. Questa sostanza è prodotta nelle fabbriche statali in forma innocua, e venduta. Essa, con il nome Maha, serve per la propulsione di tutti i veicoli e anche per la forza motrice del meccanismo nascosto nelle pareti di questa navicella. In terzo luogo, in Mallona si dispone di una lega metallica di elevata durezza, resistente e leggera che porta in sé, nella più giusta proporzione, tutte le caratteristiche dell’acciaio e dell’alluminio, perciò è in grado di resistere alla grande sollecitazione meccanica che fornisce la potente spinta alle ruote a pala.

                 54.                  È una splendida vista per Arvodo che, attraverso un rialzamento a forma di cupola, protetto dalle forti correnti d’aria dai bordi della navicella, per la prima volta volteggia sopra monti, boschi e abissi di quel superbo mondo fatto di montagne. Egli è incapace di esprimere qualsiasi parola; Upal è interamente occupato con la guida del velivolo, così che il discorso che Arvodo intendeva fare durante il viaggio non avviene.

                 55.                  Gli uomini temerari si librano ad un’altezza tale che l’occhio degli abitanti viventi sotto non li può scoprire nel cielo notturno. Presto essi stessi non vedono neanche più i luoghi abitati sotto di loro. All’orizzonte il cielo si arrossa leggermente, la regione dei crateri si avvicina: la meta del viaggio. Upal sale più in alto. È necessario togliersi da qualsiasi portata dei vapori velenosi che da lì salgono: essi potrebbero uccidere qualsiasi essere respirante. Con tesa attenzione Upal fa planare lì il velivolo con volo moderato. Sotto si mostrano le insondabili profondità di vulcani spenti, montagne di scorie indurite, masse di lava pietrificata. Quella zona, nella quale lavorano gli schiavi del re, è sorvolata intorno in ampio arco per precauzione, nel caso di occhi troppo pieni di attenzione. Adesso quest’arco deve essere esteso fino ad un semicerchio per trovare il cratere che conduce nelle caverne di Wirdu.

                 56.                  Dopo breve tempo Upal arresta completamente il movimento dell’elica posteriore. Fa rientrare il timone anteriore, così che esso si pone a lato della navicella. Ora regola anche le ruote laterali e il velivolo si libra immobile sopra una terribile conca, la cui profondità si spalanca come un nero abisso. Upal sussurra sommesso: “Siamo sul posto, lì c’è l’ingresso!”

                 57.                  Arvodo guarda giù rabbrividendo. Il suo valoroso cuore, quando vede l’abisso sotto di sé, batte più in fretta. Comprime saldamente le labbra, e taglia corto: “Giù! Il Padre universale ci protegga”. Il ronzante suono della ruota a pale diviene più profondo quando Upal gira con prudenza la manopola regolante, e il velivolo si abbassa lentamente in verticale sull’apertura del cratere. L’orribile abisso sembra un mostro affamato che si precipita con le fauci aperte sulla sua preda, le rocce strappate vengono fuori sempre più distintamente. Ai lati della navicella si sprigionano vampe come in pieno giorno. Upal ha tolto i foderi alle fiaccole manga fissate sul velivolo e, uguale ad una meteora, il velivolo s’inabissa nelle insondabili profondità del cratere.

 

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Cap. 8

Le caverne di Wirdu

 

                   1.                     Quale imponente vista mai veduta di forze ormai solidificate di un’opera passata si presenta ora! Arvodo è sopraffatto dalla maestosità della natura creatrice che gli si rivela. Blocchi di lava violentemente smembrati, neri, bruciati, anneriti e bagnati dalla rugiada cadente, lo circondano minacciosi. La luce dello splendente manga cade scintillante sulle fantastiche formazioni di rocce laviche. Spesso queste appaiono come spaventosi, terrificanti mostri che si ergono dagli abissi. Poi come fantasmi di giganti circondano il velivolo che si abbassa lentamente e, ingannando senso e occhio, cambiano spesso le loro forme e si librano verso l’alto, dove scompaiono.

                   2.                     Tuttavia questo spettacolo non esercita nessun effetto su Upal. Egli già conosce gli inoffensivi spaventi di questi dintorni, certamente non s’inabissa per la prima volta in questa terribile conca. Con mano sicura egli guida il velivolo e regola la rotazione della ruota di volo il cui ronzante suono riecheggia cupo e spaventoso nelle volte delle rocce. Il cratere si allarga verso il basso, prendendo una direzione un po’ di lato. Perciò Upal fa girare lentamente pure la guidante elica posteriore, per evitare le rocce che, sotto, sembrano impedirgli l’accesso.

                   3.                     Il velivolo s’inabissa sempre di più. Upal regola la ruota di volo in modo che la macchina volteggi irremovibile e liberamente pacata. Egli indica verso sinistra e getta la piena luce della fiaccola manga sulle rocce. Arvodo vede un’ampia caverna. “Signore”, spiega Upal. “Qui è il punto sul quale mi arrampicai per trovare la prima caverna dei tesori. Là un giorno io stavo al bordo dell’abisso sul quale noi volteggiamo e vidi l’accesso al cratere solo come un debole spiraglio di luce sopra di me. Se fosse giorno, allora vedreste da qui brillare la luce del Sole. Solo più tardi mi divenne chiaro che doveva essere possibile arrivare in questo luogo dall’alto, come l’ho mostrato adesso. Tuttavia senza velivolo è impossibile. Ora fate attenzione, signore, si apre la prima stanza del tesoro di Usglom”.

                   4.                     Ansiosamente Arvodo guarda sulla parete rocciosa mentre il velivolo si abbassa di nuovo. Si apre una fenditura, si allarga fino a diventare spelonca, e la piena luce della fiaccola manga cade su quel posto che Upal ha già descritto a suo padre.

                   5.                     Arvodo emette una forte esclamazione di stupore. Sì, qui giacciono ammucchiati i tesori tanto cercati e aspettano solo che la mano li raccolga senza fatica. “Areval, tu sarai vinto!”, sussurra Arvodo a bassa voce. “Vorrei entrare in questa caverna: Upal, vi puoi condurre la navicella?”.

                   6.                     “Signore, rinunciatevi, più in basso giacciono ancora altri tesori, non meno ricchi di questi, ma comodamente da raggiungere. Questi qui non si possono prendere. Sarebbe pericoloso portare il velivolo troppo vicino alle rocce”.

                   7.                     “Bene, ti seguo, mostrami questi luoghi!”

                   8.                     Di nuovo il velivolo si abbassa, un leggero mormorio d’acqua risuona dall’abisso. Arvodo, alza attento la testa e rivolge uno sguardo interrogativo a Upal. Questi spiega: “È il mare che rumoreggia sotto e s’infiltra scrosciante per il periodo dell’alta marea. Adesso affluisce solo ancora per poco tempo al grande bacino nell’interno, dal quale una volta Usglom l’ha respinto”.

                   9.                     Ora le fiaccole manga illuminano un terreno solido verso il quale il velivolo si dirige. Un leggero urto, ed esso si posa sicuro sul fondo del cratere che, come un gigantesco vestibolo s’inarca sopra i temerari. Il loro sguardo si perde tutt’intorno nella più profonda oscurità. La luce delle fiaccole non è in grado di raggiungere le confinanti pareti rocciose. Upal arresta del tutto il movimento della ruota di volo. Solo un sordo fragore d’acqua, che riecheggia in molti echi sulle arcate di quest’immensa volta naturale, turba la quiete in questa tomba di ogni vita. Arvodo rabbrividisce istintivamente quando Upal lo incoraggia a lasciare la navicella e seguirlo. È pur sempre questo veicolo l’unico mezzo per sfuggire alla morte qui in agguato. Preoccupato egli ascolta il fragoroso suono dell’acqua.

                 10.                  “Il velivolo è al sicuro qui?”, egli domanda.

                 11.                  “Assolutamente al sicuro! In profondità e lontano da qui, l’acqua affluisce ad un bacino sotterraneo che l’alta marea riempie continuamente. Qui noi siamo quasi così in basso come la sponda marina, ma sempre ancora più in alto di quanto una grande alta marea possa raggiungere questo luogo. Fidatevi di me, signore; se non avessi misurato e calcolato tutto, come avrei osato allora mostrarvi il regno di Usglom!

                 12.                  Arvodo fa cenno col capo, prende una delle fiaccole manga e ordina a Upal di mostrargli la via successiva. Upal ubbidisce e prosegue sul terreno pianeggiante. Si vede che l’acqua, un tempo, l’ha lavato e spianato. Una gigantesca battaglia degli elementi di fuoco e acqua deve essere avvenuta qui molto tempo fa, a discapito di Plutone; dappertutto ci sono le tracce.

                 13.                  Upal indica più volte i segni incisi nella roccia che lui stesso ha scolpito come segno di riconoscimento della via. Essi conducono verso una parete laterale del vulcano solidificato che adesso appare nel getto della luce. Upal cammina veloce sulla sabbia granulosa che un tempo le onde del mare ha gettato dentro, esamina attentamente gli enormi crepacci della roccia e si ferma davanti ad una crepa più stretta. In questa egli entra con Arvodo.

                 14.                  Dopo pochi passi il crepaccio si allarga fino a diventare una caverna splendente, come gli uomini ne hanno già visto una in alto. Qui sono stati prodotti infiniti tesori. Ovunque cristalli scintillanti, nei quali si rifrange la luce delle fiaccole manga; il bianco Rod anche qui fa capolino dalla roccia accanto alla preziosa pietra-aurea.

                 15.                  Arvodo è sopraffatto, non crede ai suoi occhi. Tocca le pietre preziose, ne stacca alcune con l’impugnatura della sua spada e mostra un’emozione che, come uomo dotato di forte volontà, mai ha ancora provato. Finalmente trova parole di gratitudine per Upal. Fissandolo profondamente negli occhi dice: “Tu sei il più fedele dei fedeli presto verificherai come saprò ringraziarti coi fatti!”

                 16.                  Upal si china profondamente dinanzi a lui e in tono di vera sottomissione sussurra: “Signore, vendicate mia sorella in Areval. Questi tesori non sono nulla per me, la vendetta per me è tutto!”. Arvodo fa cenno col capo in silenzio, egli comprende Upal. Poi domanda:

                 17.                  “Ne conosci ancora altre di tali caverne?”.

                 18.                  “Ricche come questa, no! Se ne trovano però ancora molte di più piccole. È possibile che ce ne siano ancora altre a me sconosciute. Non ho esplorato tutti i passaggi qui sotto”.

                 19.                  “Mostrami anche le altre che tu conosci!”

                 20.                  Upal, attraverso la crepa, va di nuovo sulla via precedente. Lungo la parete rocciosa si aprono spesso delle caverne più piccole nelle quali egli fa luce. Ovunque spunta la pietra-bianca oppure si mostrano preziosi cristalli nelle pietre: una camera del tesoro che cela in sé incommensurabili valori. Camminando lungo le rocce, adesso devono deviare in curva quasi ad angolo retto; gli audaci intrusi sono giunti alla rotonda interna dell’ex cratere.

                 21.                  “Signore, più lontano io non sono mai andato, torniamo indietro”, esorta Upal.

                 22.                  Arvodo, la cui intraprendenza è ora fortemente aumentata, dice: “Abbiamo tempo, andiamo avanti. Forse scopriremo ancora di più: un’occasione così favorevole deve essere sfruttata. La via per il ritorno non possiamo perderla!”

                 23.                  “Come voi comandate, signore!”

                 24.                  I due uomini proseguono con prudenza. Il terreno non è più così piano, lo coprono pietre e detriti. Un silenzio mortale li circonda, il mugghiare dell’acqua è cessato totalmente. Il mare non spinge le sue onde nel bacino nella fase di bassa marea che subentra a quest’ora. Al lato delle rocce si apre un nuovo passaggio, la cui fine è a perdita d’occhio. Arvodo alza la lampada, vi entra e vede che è praticabile. Il suolo è coperto di sabbia bianca frammista a conchiglie.

                 25.                  “Attraverso questo passaggio un tempo fluttuava il mare e doveva condurre fuori, fino allo stesso mare!”

                 26.                  Upal si guarda intorno stupito: “Signore, avete ragione, ci sono conchiglie. Qui lateralmente la via va in profondità. Lì un giorno i flutti del mare presero il loro corso, essi vennero da questo passaggio!”

                 27.                  Arvodo, meditabondo, guarda la caverna: “Upal, dobbiamo sapere dove conduce questa via. Se da qui si può raggiungere il mare, allora sarà facile per noi portare in salvo i tesori segretamente. Ci dobbiamo però anche assicurare di non essere scoperti. La non conoscenza di un accesso all’interno ci potrebbe rovinare”. – Upal approva quest’opinione ed entrambi si voltano decisi verso la caverna sconosciuta.

                 28.                  Entrano in un vasto spazio a forma di galleria. Alle sue pareti si riconoscono chiaramente gli effetti dell’acqua che, un tempo, con grande forza penetrante le ha levigate. È facile camminare sulla soffice sabbia marina. I due uomini procedono a lungo in avanti. Il tortuoso passaggio, che talvolta si allarga molto, non mostra nessuna fine, i blocchi di roccia non lo sbarrano e la sua origine per loro è un mistero.

                 29.                  Finalmente il passaggio si allarga fino a diventare una grande caverna, la via cessa all’improvviso e un caos di blocchi rocciosi compare dinanzi a loro. Su questi devono arrampicarsi per passare, se vogliono raggiungere il fondo che adesso si estende davanti a loro. Per un momento esitano se proseguire o tornare indietro. Entrambi, tuttavia, sanno che il desiderio di conquistar chiarezza li dovrà assolutamente condurre oltre. La discesa non è senza pericoli, ma è compiuta, poiché notevole è l’altezza dalla quale essi scendono.

                 30.                  Adesso si trovano sul fondo di un bacino di lago sotterraneo ormai asciutto. Fantastiche alte formazioni rocciose non permettono di scoprire dove dirigersi per trovare l’antico punto d’accesso dell’acqua. Profonda sabbia copre il suolo dal quale si levano alti blocchi di roccia. Immense conchiglie, un tempo dimore degli abitanti del mare, si trovano incastrate tra gli scogli, e un gran numero di più piccole giacciono sparse dappertutto. Mentre proseguono trovano scheletri di grandi animali acquatici che un tempo abitavano il lago. Millenni devono essere passati, quando essi animavano i flutti.

                 31.                  Meravigliati gli uomini si guardano intorno, perplessi su dove dirigersi: davvero il caos delle rocce impedisce la visione d’insieme. All’improvviso un suono leggero e lamentoso vibra nel mortale silenzio di questo luogo, poi ancora un altro. I suoni si susseguono uno all’altro in una melodia che, apparentemente, giunge da grande distanza. Istintivamente Arvodo ha messo mano alla spada, Upal tiene la fiaccola raggiante abbassata a terra e, a testa protesa, i due uomini ascoltano attentamente i sommessi suoni.

                 32.                  Upal dapprima trova parole di stupore: “Canta Munga, la figlia di Usglom, per metterci in guardia!”

                 33.                  Arvodo risponde sinistro: “Non sono né Munga, né Usglom, li disprezzo entrambi. È un uomo che canta il lamento funebre della casa reale. Dobbiamo sapere chi è. Abbassa la fiaccola, così che illumini solo la via, e ora, verso la risonanza della voce!”

                 34.                  Non è facile trovare la direzione. In queste cupole di roccia gli echi ingannano. Arvodo tuttavia ha un orecchio fine e trova la giusta via, nonostante tutti gli ostacoli. Dietro le rocce, che essi devono aggirare, risuona la voce lamentosa più forte e più piena, un segno che si stanno avvicinando.

                 35.                  Ora sono presso la ripida sponda dall’altra parte del bacino dell’ex lago; chiaro risuona il canto giù dall’altura. Camminando carponi con precauzione sui blocchi di roccia, gli uomini si arrampicano. S’ingannano? Là splende della luce! Velocemente essi coprono le fiaccole manga con gli involucri di protezione; un’oscurità impenetrabile li circonda. Presto l’occhio vi si abitua e si vede splendere su di loro un chiaro bagliore di luce.

                 36.                  Prudenti come gatti, gli uomini continuano ad avanzare piano piano. Arvodo porta la spada sotto il braccio, pronta all’uso. Ora sentono chiaramente il canto di due voci. Comprendono le parole: è il lamento per un morto, cantato solo per i membri della casa reale, e suoi ultimi versi vanno smorzandosi. Essi dicono:

“Amata in vita, la morte non ci può separare,

la tua anima, infatti, vive grazie alle sue azioni

che splendono tutte piene di gloria e meravigliose.

Va’ dal Padre di tutto il vivente;

l’amore ti custodisca e un giorno ci riunirà!”

                 37.                  Durante questo canto i due uomini si sono arrampicati fino al margine e intravedono un toccante gruppo di persone.

                 38.                  In una grotta rocciosa giace, elevato, il cadavere disteso di una donna meravigliosamente bella vestita con una veste celeste. La grotta è piena di cangianti cristalli, come quelli già visti da Arvodo. All’ingresso sono appese lampade accese che gettano una chiara luce sullo spazio circostante. Al capo del cadavere sta la figura venerante dell’eremita del mare; ai piedi il giovane uomo che egli ha chiamato Muraval. Entrambi avevano fatto risuonare il canto funebre, le cui note avevano guidato Arvodo e Upal.

                 39.                  Quando Upal vede il gruppo che, lontano solo circa venti passi, si offre allo sguardo meravigliato, il suo volto s’irrigidisce in un indicibile spavento. Arvodo lo nota e sussurra all’immobile compagno: “Tu conosci questi uomini?”. Allora un grido acuto risuona dalla sua bocca. Prima che Arvodo lo possa impedire, Upal salta su e, con l’esclamazione di: “Fedijah, sorella!”, si precipita sul cadavere stupendo.

                 40.                  Egli vuole abbracciarla, ma la sua mano tocca una fredda pietra. Il cadavere della donna, che un giorno era attraversato di calda vita, ora è irrigidito nel marmo, pietrificato dai vapori mummificanti di questa caverna. Confuso, guarda in alto al volto del venerabile vegliardo, il cui sguardo si posa penetrante sull’intruso, e con una forte esclamazione: “Muhareb, mio re!”, cade privo di coscienza tra le braccia del giovane Muraval che gli è accorso accanto.

                 41.                  Quando Arvodo vede che non può trattenere il compagno, si porta anche lui al bordo della sponda. Egli ode le esclamazioni di Upal e guarda stupito la nobile figura del vegliardo.

                 42.                  Costui è dunque il legittimo re scomparso e a lungo cercato, il fratello di Areval? Egli non riesce a comprenderlo. Confuso il suo occhio vaga intorno sul singolare ambiente, la bella salma pietrificata, l’imponente vegliardo, lo svenuto Upal. Egli è confuso e non riesce a prendere nessuna ferma decisione.

                 43.                  Quieta risuona all’improvviso la voce del vegliardo al suo orecchio. Pienamente convincente egli ordina di seguirlo. Il vegliardo ha preso la fiaccola manga caduta di mano a Upal. Un appiglio, e tutte le lampade nella grotta che nasconde il cadavere, si spengono. Poi fa un cenno al giovane. Entrambi afferrano Upal ancora privo di sensi, lo alzano e vanno veloci verso una buia caverna, il proseguimento di quel passaggio che Arvodo e Upal avevano tentato di trovare.

                 44.                  Il silenzioso corteo va a passo veloce attraverso una galleria. All’improvviso splende in lontananza una debole luce. Ancora un breve tratto e soffia loro incontro aria fresca, addolcita dal vapore del mare. Il passaggio che prosegue verso il basso ora si allarga velocemente. La caverna si trasforma in una stretta gola, nella quale dall’alto guardano giù le stelle raggianti. Davanti a loro si estende il mare, il cui orizzonte è bordato di rosso splendente, il primo saluto mattutino del nuovo giorno nascente.

 

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Cap. 9

Un figlio del re

                   1.                     Il corteo si è allontanato dal mare, va su al terrazzo che noi già conosciamo. L’occhio di Arvodo guarda meravigliato la grandiosità fiorente tutt’intorno. È il paradiso nascosto che circonda la residenza dei due eremiti presso il mare. Con Upal ancora senza sensi sono giunti nel loro rifugio e lo mettono giù su un giaciglio di muschio. Il vegliardo pone le sue mani sul capo dello svenuto e lievemente le sue labbra si muovono in silenziosa preghiera. Poi si avvicina ad Arvodo, gli fa un cenno ed entrambi si mettono in disparte per non disturbare il sonno di Upal, prostrato dalla potenza degli avvenimenti. Alla fine Arvodo trova le parole, e tra i due si sviluppa il seguente dialogo:

                   2.                     “Il mio compagno ti ha chiamato col nome dello scomparso figlio del re Muhareb. Sei tu il legittimo re di Mallona?”.

                   3.                     “Io sono Muhareb, figlio di Maban. Sono il legittimo re, ma ora troneggia Areval, nella sua capitale!

                   4.                     In urgente, emozionato tono, e con gesti imploranti, Arvodo si avvicina:

                   5.                     “Signore, dammi una prova, affinché io non possa dubitare, per me tutto dipende da questo!”

                   6.                     “La prova non ti servirà a nulla, Arvodo. Io ti conosco, conosco i tuoi piani, poiché a me è concesso dal Padre universale di leggere nei cuori degli uomini, di riconoscere il loro volere, se è buono o cattivo. Voglio tuttavia fornirti la prova che tu pretendi! Con ciò adempio certo l’ordine di Colui al Quale soltanto io servo ancora”.

                   7.                     Il vegliardo si allontana e torna presto indietro con quel cofanetto che ho già visto prima e che contiene il tesoro.

                   8.                     “Arvodo, un giorno Maban fece produrre tre anelli, come segno del potere assoluto della sua casa, e li fece tagliare da una e la stessa pietra-aurea. La pietra mostra, su fondo bianco, l’immagine di Furo, l’eroico capostipite della nostra stirpe, coperta con l’elmo della potenza e della forza che egli un giorno, in una dura lotta, dovrebbe aver strappato al demone Usglom stesso. Tu sai che da allora Usglom odia la nostra stirpe ed è intenzionato a rovinarla. Ad Areval e a me Maban diede a ciascuno un anello; egli stesso portava sempre il terzo. Dopo la morte di Maban, Areval possedeva il suo anello, esso splende adesso alla tua mano come segno del suo favore rivolto a te. Egli ha messo una parte del suo potere nella tua mano. Qui c’è il terzo, identico anello”. Il vegliardo apre il cofanetto e mostra ad Arvodo l’anello che vi giace.

                   9.                     Il generale osserva con stupore il gioiello. Vede anche il diadema regale che giace sul fondo del cofanetto, fregiato con uno scintillante diamante d’incalcolabile valore. Egli non dubita più! Solo Areval, infatti, in particolari occasioni, porta un anello uguale in segno della sua dignità regale. Guarda il proprio anello al dito, s’inginocchia davanti a Muhareb e dice:

                 10.                  “Mio signore e mio re, restituisco questo segno del mio potere alla mano cui appartiene. L’ordine di mio padre morente è adempiuto. Egli sapeva che il mio sovrano viveva e mi ordinò di fare ogni sforzo per riportarti il potere cui rinunciasti. Tu solo puoi essere il salvatore del popolo degenerato. Io ho giurato di cercarti, ed ecco, ho avuto la fortuna di trovarti. Oh, vieni dal tuo popolo, rinuncia a questa solitudine nella quale sei vissuto finora! Tutti i cuori accorreranno giubilanti a te, al legittimo re di Mallona!

                 11.                  Tranquillo e immobile l’alto vegliardo guarda l’uomo inginocchiato. Egli non prende l’anello, lo solleva da terra e dolcemente dice:

                 12.                  “Signore e re di Mallona non sono io, né Areval. Nessuno di voi Lo conosce più. Io però L’ho riconosciuto e adempirò la Sua volontà. Vedo che il tuo cuore è colmo di fervore, però prende vie sbagliate. Io non posso più salvare il popolo. Un animale che vuol vivere nel fango ritorna sempre là, dove si trova bene. I popoli di Mallona sono diventati un tale animale, e similmente i grandi del popolo, bestie feroci. Se non si distolgono dal loro operare, allora non sarà possibile nessun aiuto, dovranno portare le conseguenze della loro colpa”.

                 13.                  “Si distoglieranno, signore, se tu dai loro l’esempio! Il tuo ricordo non è spento in loro, Ancora si elogia il principe Muhareb come l’incarnazione della virtù. Ritorna come nostro re!”

                 14.                  “Così inizierà un bagno di sangue come ancora non ce n’è stato. Passato il primo entusiasmo, il moralista raccoglierà odio, dove vuol seminare amore. L’animale vuole avere il suo pantano. Cerca di tirarlo fuori dopo che ha disimparato a desiderare delle più pure dimore, ed esso ti divorerà. Non cercherò mai di strappare con violenza dalle mani di Areval ciò che lui ha ricevuto dalla volontà del Padre universale. Ogni dominatore è tale come lo richiede il suo popolo. Il popolo e i grandi fanno di lui solo ciò che egli è.

                 15.                  Areval però è diventato un mostro da se stesso. Egli opprime il popolo e dilapida assieme alle sue canaglie quello che ha estorto a questo. Ciò che Maban ha costruito, egli l’ha da molto tempo distrutto. Come il primo fu un campione del bene, così quest’ultimo è un campione del male. Perché dunque i popoli di Mallona, attraverso l’esercizio del bene che Maban insegnava, non trovarono la forza di opporsi alle tentazioni del male attraverso Areval? Perché non erano buoni, perché Maban s’illudeva e credette che la sua virtù imposta avesse anche la forza di una trasformazione delle cattive caratteristiche che nei nostri popoli provengono già dai padri. In Maban era stato creato l’ultimo baluardo contro la rovina che un giorno avrebbe fatto sicuramente irruzione. Egli fu un ultimo segnavia, per mostrare ai suoi popoli quali vie essi dovessero percorrere per sollevarsi dal fango dell’avidità di piaceri e di cupidigia. A me doveva essere riservato di continuare la sua opera se i popoli volevano ricordarsi della loro dignità, dignità che avrebbero dovuto preservare quali creature dell’eterno Padre universale.

                 16.                  Essi tuttavia non l’hanno fatto, si sono soltanto piegati alla violenza. Il dominatore non ha nessun potere sulla mentalità servile di un popolo che spesso si cela dietro il desiderio di legge e diritto. Per conservare l’ordine pubblico non c’è bisogno di nessuna violenza, non appena la consapevolezza del giusto è vivente in ogni singolo. Ma se questa manca, solo allora comincia il potere e la durezza della legge secondo la volontà di un potente, il quale spesso necessita egli stesso maggiormente della legge.

                 17.                  Arvodo, io, in spirito, vidi arrivare quest’ora. Sapevo che essa mi avrebbe indotto alla decisione di ritornare ancora una volta nello splendore esteriore. So anche che, a costo di diventare un tiranno più duro di quanto lo è Areval, io piegherei questo mondo con la forza. La via però passa poi su cadaveri e sangue. Il mezzo è distruzione, annientamento delle anime, le quali se ne vanno in collera, sete di vendetta e cupidigia, perdendo il successivo sviluppo nella Casa del Padre universale. Vedo anche le ulteriori, inevitabili conseguenze. Io so che non può essere evitato l’annientamento dei corpi, il come me lo svela ancora la mano del Padre universale. Io però ho scelto, e non lascio più questo luogo, nel quale ho ottenuto la luce dell’anima; ho sentito il soffio dell’eterno Spirito e riconosciuto le vere destinazioni dell’essere umano. Non posso essere il salvatore da te sperato, ed esigo che tu taccia di me! E ora ritorna dai tuoi servitori!”

                 18.                  “Esigi anche che io rinunci ai progetti che coltivo in me?”.

                 19.                  “L’adempimento di tutti i progetti, come li hai preparati tu, non sta nelle mie mani, né nelle tue: esso è guidato secondo le sublimi intenzioni dell’Eterno! Tutti i progetti non potranno mai contrastare lo scopo ultimo cui tende l’umanità, possono solo ritardare il suo raggiungimento. Agisci secondo ciò che riconosci, io non ti ostacolerò”.

                 20.                  “E se ora questi progetti m’impedissero di tacere che Muhareb, il vero re di Mallona, vive?”.

                 21.                  “Allora non te lo posso impedire, dopo che una buona volta hai trovato questa verità. Non devi credere però che Muhareb possa essere visto, se non è volontà del Padre universale. È stata la Sua volontà che voi mi trovaste. Il vostro velivolo che vi ha portato nelle profondità della caverna di Wirdu, poteva essere sfracellato, avrei potuto rovinarvi, ma entrambe le cose non sono accadute. Io agisco secondo la volontà di Colui che mi prescrive nel cuore ciò che devo fare. Andate entrambi in pace, vi condurremo indietro. Giungerete sicuri di nuovo tra i vostri. Il nostro modo di agire non è lo stesso!”

                 22.                  Muhareb ha parlato con tale forza di convinzione che ad Arvodo è impossibile rispondere qualcosa. Cupo egli guarda in basso dinanzi a sé, poi, indicando la striscia del mare all’orizzonte che diventa sempre più chiara dice:

                 23.                  “Si avvicina il tempo in cui devo ritornare. Ci ostacolerai?”.

                 24.                  “No! Hai sentito, ti accompagneremo. Aspetta qui, vedrò come si sente il tuo accompagnatore!

                 25.                  Senza attendere risposta, Muhareb si allontana e va al giaciglio di Upal. Lo trova sveglio e in appassionato colloquio col giovane. Quando vede Muhareb che si avvicina, salta su e corre dal vegliardo. Muhareb accoglie l’uomo profondamente scosso tra le sue braccia e gli sussurra parole tranquillizzanti.

                 26.                  “Upal, adesso non è il momento di rispondere a tutte le tue domande, ma avrai la risposta a ciò che ti è necessario sapere. Porta indietro il compagno, il tempo stringe. Quando avrai adempiuto quest’incarico, allora riconduci il tuo velivolo subito qui da me. Vedi là, l’alto spuntone roccioso che si erge maestoso lontano nel mare? Lo vedrai anche dall’alto del cratere nel quale ti sei calato. Tieni la direzione su questo, così non sbaglierai per arrivare alla nostra baia segreta. Ti aspetto. Lascia tornare a casa Arvodo da solo. Sii riservato nei suoi riguardi, affinché un giorno tu non abbia nulla di cui pentirti!

                 27.                  Upal guarda sorpreso Muhareb e domanda: “Il generale è nelle nostre vicinanze?”.

                 28.                  “Lo è e ti aspetta! Ti senti di nuovo in forze?”.

                 29.                  “Lo sono! Oh, quante domande si accalcano sulla mia lingua; tuttavia le reprimo e ubbidisco al tuo ordine!

                 30.                  Muhareb si allontana con un cenno ad Upal e al giovane. Entrambi lo seguono. I tre si recano da Arvodo che è in attesa. Questi è là dove Muhareb lo ha lasciato, e guarda fisso al mare aperto. Quando ode il rumore dei passi, si volta, fissa intensamente Muhareb negli occhi e gli si avvicina. Upal e il giovane restano istintivamente indietro, poiché intuiscono che il generale desidera parlare con Muhareb da solo. Arvodo dice bisbigliando:

                 31.                  “La tua decisione di rinunciare al trono è per sempre, Muhareb?”.

                 32.                  “Lo è!”

                 33.                  “Il lascito di Maban a mio padre, che è stato il suo vassallo più fedele, consisteva nell’incarico di cercarti e portarti indietro. Il re sapeva che suo figlio era vivo e non poteva credere che si fosse completamente allontanato da lui. Questo lascito dopo la morte di mio padre è passato a me: deve esso per sempre andare a vergogna?”.

                 34.                  “Ti ho già dato la mia risposta, essa rimane confermata!”

                 35.                  “Così mi sciogli dal giuramento che io feci al padre morente?”.

                 36.                  “Senza forza è la tua promessa, promessa che non sapevi se avresti mai potuto adempiere. Libero, e senza obbligo stai tu di fronte a me!

                 37.                  Arvodo guarda Muhareb con stupore; di malumore esclama:

                 38.                  “Il tuo rifiuto uccide in me i migliori moti del cuore. In te non vive lo spirito di tuo padre. Essere e voler restare un uomo delle caverne, quando un trono attende, io non lo comprendo!

                 39.                  “Poiché non puoi comprendere la mia decisione, allora è meglio che ci separiamo in fretta. Agisci secondo la tua conoscenza, io seguo la mia. Le nostre strade non sono le stesse”.

                 40.                  Muhareb si volta un attimo e fa cenno ai due che sono rimasti indietro. Un gesto del vegliardo indica la via verso la sponda del mare, e Arvodo si accinge a percorrerla. Muhareb precede. Upal e il giovane, che portano entrambi delle fiaccole manga, seguono. Percorrono una gola diversa dalla prima, dalla quale uscirono dall’interno del monte, e presto si trovano tra rocce restringenti. Li accoglie una via di caverne simile alla prima e procedono a lungo in linea tortuosa profondamente nell’interno. Sembra che questa via sia praticabile solo per il tempo della bassa marea, la sabbia sotto i piedi, infatti, è umida, e gocciolanti sono anche le rocce restringenti. All’improvviso Muhareb gira a destra e sale in alto tra le rocce. Adesso un’ampia galleria conduce all’insù. Questa si allarga ed essi entrano in un ampio vestibolo roccioso.

                 41.                  Subito Upal riconosce il luogo. Sono giunti nuovamente là, dove avevano scoperto il passaggio per il bacino del lago prosciugato. Muhareb ha ricondotto i suoi accompagnatori per una via più veloce verso il fondo del cratere, vicino al luogo in cui avevano lasciato il velivolo. Una buia notte li circonda, tale che la luce delle fiaccole manga non scaccia. Adesso in lontananza la luce si rispecchia su barre e superfici metalliche, ecco che risplende la forma del velivolo che spunta dall’oscurità.

                 42.                  Arvodo, rabbuiandosi, guarda il velivolo. Egli lo rivede con sentimenti diversi di quando lo ha lasciato. Il desiderio ardente di sfuggire rapidamente a queste terribili tombe sotterranee, si fa sentire in lui con prepotenza. Muhareb guarda penetrante il generale. Arvodo evita il suo sguardo. Certamente dall’ultimo ostinato rifiuto sono sorti in lui pensieri che, sebbene ancora non chiari, hanno provocato un dissidio tra loro.

                 43.                  “Le nostre vie non sono le stesse!”, risuona in lui. Bene, allora che si dividano presto, e ognuno vada per la sua strada.

                 44.                  Upal è entrato nella macchina e ha ordinato tutto. Accende tutte le fiaccole manga che circondano la navicella, fa girare la ruota di volo spingente verso l’alto e annuncia al generale che è già pronto per la partenza.

                 45.                  Muhareb, al quale i pensieri di Arvodo sono divenuti chiari, dice: “Il Padre universale che vi ha condotto qui, protegga il vostro ritorno!”

                 46.                  Arvodo sale a bordo della navicella. Ancora una volta ribolle in lui, quando guarda negli occhi il vegliardo.

                 47.                  “Ti rivedrò?”, domanda.

                 48.                  “Decide la Volontà del Padre universale, non noi. Fa’ la Sua Volontà. Non farti abbagliare dai tesori di Usglom, allora salverai te stesso, e noi ci rivedremo”.

                 49.                  Lo sguardo di Arvodo mostra sdegno. Con poche parole dà ad Upal l’ordine per la risalita. La ruota di volo gira più in fretta. La macchina si solleva e volteggia in alto verso l’uscita del cratere, guidata con sicurezza dalla mano esperta di Upal.

                 50.                  Il viaggio riesce senza incidenti. L’apertura del cratere è superata. Il crepuscolo si estende sopra il paese. Upal fa salire il velivolo alto nell’aria, per giungere senza essere visto al luogo disabitato dal quale erano saliti. Una scoperta dello stesso sarebbe ora più facile che nelle tenebre notturne. Veloce il velivolo sguscia con loro nell’aria.

                 51.                  Upal adesso dice ad Arvodo, immerso in profondi pensieri, quanto segue:

                 52.                  “Signore, se è vostro desiderio, guiderò il velivolo ai piedi del monte, sulla cui vetta lo nascondo sempre. Con ciò vi risparmierete la discesa e arriverete in fretta nel luogo dove vi aspetta il vostro servitore con la vettura. Abbiamo sprecato molto tempo nelle caverne di Wirdu, recuperarlo forse vi sarà utile!

                 53.                  Arvodo fa cenno col capo, gli è palesemente gradito perdere il compagno. Egli dice: “Fa’ così. Ti aspetto il più presto possibile nel mio palazzo. Taci con chiunque, ricorda il tuo giuramento”.

                 54.                  Upal alza il braccio destro e mette la mano sul suo capo: un segno che i fedeli fanno per esprimere la loro incondizionata accettazione. Con la massima attenzione ora guida il volo della macchina. Presto hanno sorvolato la regione dei crateri e si avvicinano a zone più abitate. Adesso sotto di loro si estendono ampi boschi; il velivolo si abbassa rapidamente e volteggia presto a bassa quota sopra le cime degli alberi. Ora si mostra la ripida cima ascendente della montagna sulla quale Upal nasconde il suo velivolo. Ai piedi di questo monte si estende la pianura cui egli è diretto. Lentamente il velivolo si abbassa. Un leggero urto, ed esso si ferma sulla valle prativa, attraverso la quale uno stretto sentiero si perde nel vicino bosco ai piedi del monte.

                 55.                  “Signore”, dice Upal, “questo sentiero vi condurrà con sicurezza al luogo in cui vi aspetta il conducente!”

                 56.                  Arvodo scende dalla navicella, porge la mano ad Upal e dice: “Prepara tutto, affinché in viaggi futuri nulla ti manchi. Non so ancora per che cosa mi deciderò. Voglio però che tu sia pronto in ogni momento ad intraprendere ulteriori viaggi. Provvedi il tuo deposito lassù con tutto quello di cui hai bisogno”.

                 57.                  “Signore, per questo mi occorrerà qualche tempo per essere preparato in ogni cosa”.

                 58.                  “Allora non indugiare e torna da me solo quando hai compiuto tutto bene”.

                 59.                  Upal ripete il segno dell’accettazione. Quando Arvodo si volta e si dirige veloce verso il bosco, nel quale presto scompare, la macchina si leva di nuovo nell’aria e volteggia, come previsto, verso il luogo di salvataggio.

 

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Cap. 10

Il veleno dell’egoismo

                   1.                     Arvodo ha raggiunto velocemente il luogo in cui il suo conducente lo aspettava, e ritorna presto alla città del re. Appoggiato dietro, nell’angolo del suo veicolo, è immerso in profondi pensieri. La sua anima lotta per una decisione che ormai è obbligato a prendere. Gli avvenimenti degli ultimi giorni passano davanti al suo occhio spirituale e, involontariamente, conduce un monologo a bassa voce:

                   2.                     “La meta che mi prefiggevo in Muhareb è perduta. Mai più questo cavernicolo oserà un’azione coraggiosa. In lui è sprofondato lo spirito di Maban. La sua via non è la mia. Che vada per le sue strade, io percorrerò le mie! Ma quali dovranno essere? I tesori trovati sono incommensurabili. Con questi, per mezzo della forza, conquisterò facilmente ciò che Areval mi ha già dato a metà: il potere totale! A che scopo adesso ancora la forza? Il frutto mi è cresciuto da sé da parecchio tempo col favore di Areval. Dalla sua mano posso prendere lo scettro in qualsiasi momento.

                   3.                     Se Areval sapesse che Muhareb vive, la paura di suo fratello lo consegnerebbe a me interamente nelle mani. Muhareb non vuole essere re di Mallona. Io, stolto, gli volevo consegnare il potere. Suvvia, ormai le forze serviranno per me stesso. Areval cadrà quando lo voglio io. Il prossimo re si chiamerà Arvodo. L’equiparazione dei diritti davanti al popolo, come re riconosciuto, mi giungerà però solo attraversa la mano di Artaya. Io odio questa donna che vive solo per se stessa e per i suoi piaceri. La mano di Artaya mi darà certamente l’equiparazione del diritto al trono, però lei rimarrà sempre la regina, per tutto il tempo che vivrà”.

                   4.                     Arvodo fa un profondo respiro e ripete:

                   5.                     “Per tutto il tempo che vivrà! E se un giorno schiacciassi questa serpe? Sarebbe questo un delitto? Mio fratello stesso non è intontito di lei? Come la prenderà, vedendomi come suo rivale? Egli dovrà dimenticare, a causa dell’alta meta che attende sia me, che lui. Ora riconosco chiaramente che con la forza si va solo probabilmente e faticosamente alla meta, mentre l’altra via è sicura e senza fatica. Allora il saggio sceglie sempre il sentiero percorribile e non quello scabroso. – E Muhareb, il cavernicolo, che cosa farà? Nulla, come non ha fatto nulla durante tutti questi anni. Perché mi preoccupo ancora di questo cavernicolo? Che preghi pure sul cadavere di Fedijah, soltanto questo egli riconosce come sua destinazione. La mia è quella di regnare, strappare di mano lo scettro al debole Areval, per diventare un principe come non ce n’è stato ancora nessuno!

                   6.                     Arvodo s’infiamma a questo pensiero. La sua decisione è presa ed egli, impaziente, guarda verso l’orizzonte, al cui bordo scintilla, nello splendore del mattino irrompente, la fortezza reale della capitale.

 

* * *

                   7.                     Per comprendere il resto, è necessario inserire qui alcune spiegazioni sulle condizioni cosmiche del pianeta come sono state sondate, dopo diversi tentativi della medium. Il pianeta Mallona orbitava intorno al Sole ad una distanza di circa 300 milioni di miglia. Esso possedeva, come già detto, un’atmosfera ampiamente più densa, per questo vi dominava una pressione atmosferica più forte che da noi. Poiché l’asse del pianeta non era inclinato in un angolo di 23½ gradi come quello della Terra, bensì di meno, ciò aveva per conseguenza che le zone del pianeta erano sottoposte ampiamente a meno oscillazioni di temperatura. In relazione con l’atmosfera più densa, che concentrava l’effetto dei raggi del Sole, era evitato con questo che, nonostante la grande distanza dal Sole, la distribuzione di luce e calore fosse meno che sulla nostra Terra. Al contrario, le stagioni erano sempre uguali come nelle nostre zone temperate. Solo all’equatore c’era un calore quasi costante, il quale faceva dell’ardente cintura di Mallona un deserto, ben evitato dai suoi abitanti.

                   8.                     I continenti di Mallona erano situati principalmente verso la metà settentrionale dell’emisfero; aldilà delle zone roventi il paese era ancora inesplorato e anche disabitato. Gli abitanti evitavano di penetrare in quelle regioni che non offrivano loro nessun mezzo di sussistenza. Erano ancor meno inclini alla navigazione, da passare per mare attraverso l’ardente cintura e stabilirsi di là della stessa. Il motivo di ciò stava nelle tempeste che ogni anno, sia nei periodi autunnali sia in quelli estivi, rendevano i mari insicuri come sulla Terra, e danneggiavano e distruggevano facilmente le piccole imbarcazioni in uso. Per scopi di viaggi le loro vetture rendevano inutili le navi, che tuttavia erano usate su piccoli bacini e sui fiumi.

                   9.                     Su Mallona dominava una profonda avversione verso le aeronavi e il loro uso. Nessun abitante osava tanto facilmente affidarsi agli insicuri elementi, poiché bastava il sicuro suolo per il veloce spostamento. Aeronauti e uomini di mare che, di quando in quando, usavano i natanti dei quali ben conoscevano la costruzione, erano considerati una specie di dementi caduti in preda ai demoni dell’acqua e dell’aria, ed erano diventati dipendenti dagli umori degli invisibili elementi. Una paura superstiziosa circondava la loro attività, attribuendole parvenza soprannaturale, basata su un patto con i poteri invisibili. In tal caso non era consigliabile mettere le mani addosso ai natanti e ai loro possessori, per non far adirare gli utili elementi.

                 10.                  Queste circostanze fecero sì che Muhareb potesse vivere sulla costa inesplorata, non troppo lontana dalla residenza del re. Inoltre, che Upal rimanesse in possesso di un’aeronave, indisturbato, giacché nessuno avrebbe osato distruggere la stessa sull’altura rocciosa, anche se ne fosse stata scoperta l’esistenza.

 

* * *

                 11.                  Arvodo sfugge ai miei occhi, e lo sguardo si rivolge nuovamente alla costa sulla quale dimora Muhareb.

                 12.                  Essi velocemente emergono davanti a me. Vedo la macchina volante di Upal nella baia giacente sulla sabbia bianca, lui stesso con Muhareb davanti all’ingresso della caverna in appassionato colloquio. Vedo il giovinetto pescare su una piccola barca. Mi sento attratta dai due, per essere testimone della loro conversazione. Adesso distinguo precisamente le voci e comprendo il senso del loro discorso.

                 13.                  Upal domanda: “Posso sapere perché hai respinto il generale? Egli sembra davvero di buone intenzioni e d’animo nobile!

                 14.                  Risponde Muhareb: “Non è, né l’una né l’altra cosa. Una bella coltre esteriore nasconde i moti di un cuore che ha solo bisogno dell’occasione per manifestarsi peggio che Areval. È facile essere buoni, se manca l’occasione per agire con cattiveria. Forte è la sua volontà, tuttavia usata solo per eseguire ciò che porta vantaggio. Queste anime, quando si trovano davanti alla decisione di rinunciare a qualcosa per amor di un premio interiore, cadono. Il veleno che tutti gli abitanti di Mallona hanno assorbito, distrugge anche lui, ed egli non trova in sé la forza per distruggerlo!

                 15.                  Upal domanda pieno di stupore: “Un veleno che tutti gli abitanti di Mallona hanno assorbito? Quale veleno?”.

                 16.                  “Il veleno della depravazione, al quale Maban cercò di contrapporre l’ultimo mezzo: l’obbedienza! Se gli abitanti di questo mondo si fossero piegati, se avessero difeso le istituzioni dello Stato e compreso lo spirito che vi si trovava, sarebbero stati salvati, e sarebbero felici. Sagge leggi, adempiute volontariamente secondo il loro senso educativo, conducono un popolo alla spirituale ed esteriore libertà. Accade invece il contrario quando le leggi escogitate sono travisate, quando servono per la conservazione del potere repressivo, per l’inganno e per fini personali: allora esse conducono al declino, alla rovina.

                 17.                  Presto io ho riconosciuto dove i popoli di Mallona dovranno giungere se non percorreranno la via dell’ordine che Maban aveva indicato. Lì c’è la salvezza, pur se ardua è la via per raggiungerla. Duro deve poter essere il liberatore, egli non deve usare nessun riguardo nemmeno verso la propria carne e sangue, se si tratta di estirpare errori riconosciuti. Lì mancò Maban! Egli distrusse di nuovo, con la condiscendenza, dove aveva costruito. Quello che i suoi contemporanei sopportavano ancora di malavoglia, sarebbe potuto divenire caro e prezioso alla generazione successiva. Egli però non doveva lasciar agire il focolaio della distruzione che conosceva e che viveva in Areval. L’ha fatto, e per conseguenza la caduta è stata più profonda, come mai i nostri popoli sprofondarono prima.

                 18.                  Ora il disastro si avvicina a passi veloci. L’ora della fine non è più lontana. Nel re si fonde l’anima del popolo: il sovrano, infatti, è un prodotto del suo sentimento. Nessun popolo libero, puro nel suo sentimento, tollera un tiranno. Solo uomini di sentimento servile possono diventare schiavi. Il seguito del sovrano può dominare con lui se il popolo si piega. Se il popolo non lo vuole allora esso presto produce vittoriosi combattenti per la libertà. – Ma il sublime pensiero conduce alla vittoria solo se nel petto degli uomini non tutto è ancora morto. Deve essere ancora possibile, sull’altare del cuore, accendere una fiamma di sacrificio consacrata alla suprema Potenza onniregnante che ci chiamò in vita: a quello Spirito universale cui siamo debitori di ringraziamento, e dobbiamo render conto del nostro volere, pensare e operare! La fiamma interiore è il faro per la direzione del nostro operare. Essa consuma ciò che è impuro. Da una scintilla può diventare una fiamma splendente. Se l’egoismo ha distrutto quest’altare, presto la fiamma del sacrificio arderà soffocante. Allora sarà finita con il futuro di un popolo: i migliori si estingueranno, uccisi dalla potenza del male vincente. Questo trionferà per breve tempo, si befferà e schernirà la voce ammonitrice degli ultimi giusti, nella sua smisurata sete di potere crederà di poter colpire in faccia anche la potenza dell’Universo, e nel folle accecamento scaverà a se stesso la propria tomba”.

                 19.                  Muhareb ha parlato con l’entusiasmo del veggente, Upal ascolta senza fiatare. Dopo una pausa, l’oratore continua:

                 20.                  “Già suona al mio orecchio il raspare dei badili tombali. Ci sarà silenzio, totale silenzio, solo quando il morto sarà sotterrato. La desolazione mai più si animerà di nuovo. In me è morto il figlio del re, perché non fu possibile concedermi di salvare il popolo. Da questa solitudine io ho cercato uomini nel cui cuore l’altare non fosse ancora crollato, e non ho trovato nessuno.

                 21.                  A me, al primogenito figlio del re, stanno a disposizione tutte le invenzioni che il popolo stolto ha disprezzato. Di queste è nascosto qualcosa nelle caverne qui intorno. Ho imparato a stimare altamente il genio nell’uomo che assoggettò a sé le forze della natura. L’uomo, per mezzo dello spirito dimorante in lui, è il potente sovrano in ogni ambito della natura. Questo lo eleva oltre le debolezze del suo corpo, e gli spiriti degli elementi si rendono sottomessi ai suoi piedi. Su Mallona, soltanto pochi hanno riconosciuto la forza incommensurabile dello spirito che ci fu donato, per divenire noi stessi creatori nella sfera data. Attraverso la dominazione delle forze della natura, l’uomo può penetrare sempre più profondamente nella Sapienza del Padre universale. Noi dobbiamo dominare gli elementi. Non per egoismo, bensì per imparare a conoscere e ad amare sempre di più il Legislatore. Il popolo disprezza il dono celeste. Superstizione, indolenza, sensualità e paura non permettono che diventi loro proprietà, ciò che lo spirito dei savi invece trovò.

                 22.                  Innumerevoli scoperte sono state fatte e, nonostante ciò, ora il popolo si allontana da ogni innovazione. Esso ha paura delle conquiste dello spirito, e non vuole essere disturbato nella sua comodità. Là in quell’insenatura, l’acqua fluisce in una caverna nascosta. Ben custodita, vi troverai una nave veloce, con la quale i mari possono essere solcati in sicurezza. Nessuno ha mai voluto salirvi a causa della superstizione, e per paura che i demoni dell’acqua inghiottissero il temerario; così questa grande invenzione è rimasta senza valore. A me però essa serve qui da anni, per visitare luoghi lontani sconosciuti, per osservare con i miei stessi occhi l’agire dei popoli. Perciò non mi è estraneo quello che accade intorno. Riconosco come lo spirito nell’uomo si spenga sempre di più, come sia morta nelle anime la fede nello scopo della vita. Con quest’interruzione di ogni sviluppo è subentrato l’irrigidimento; ciò che è stato conquistato, va di nuovo perduto; il giudizio e l’annientamento sono in agguato.

                 23.                  Ti sei fidato di Arvodo e gli hai mostrato perciò i tesori all’interno della montagna. In te vive ancora l’ardimento. Hai odiato Areval come il distruttore del bene e hai creduto che Arvodo si mostrasse propenso ai tuoi desideri, come vendicatore del tuo destino. Ma tu sei per lui solo un mezzo: egli non ha nessun sentimento per te, e nemmeno per me. Anch’io avrei dovuto essere per lui il mezzo redditizio per scopi che presto si riveleranno. Dopo che è stato respinto da me, infatti, troverà ora presso Areval ciò che egli cerca: soddisfacimento della sua sete di potere che, irresistibile, irromperà dal suo interiore! – Non tornare indietro da lui, il tuo destino sarebbe suggellato. Hai cercato un amico e hai trovato un nemico che ti distruggerà. Ho richiesto la tua venuta per dirti questo, ma sia libera la tua decisione!

                 24.                  “Arvodo dovrebbe essere falso?”, domanda stupito Upal. “Non è egli il capo segreto dei fedeli che si sono consacrati, per far vincere di nuovo il diritto e portare a termine i progetti di Maban? Io faccio parte del patto. Egli lo sa e dovrebbe distruggermi? Sono suo schiavo e mi sono piegato a lui!

                 25.                  “Ciò che ieri era a noi ancora estraneo, può essere già oggi decisione e azione. Ieri lui non ha voluto quello che oggi gli appare necessario. Seguimi, impara a conoscere Mallona con i miei occhi! Io ti darò luce, e i veli dell’oscurità cadranno davanti alla tua conoscenza! Devo compiere l’ultimo viaggio. L’ultimo tentativo di scuotere gli spiriti, mi è stato raccomandato. Sii il mio accompagnatore. Seguimi! Lo vuoi?”.

                 26.                  Deciso, Upal balza in piedi ed esclama: “Lo voglio!”

 

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Cap. 11

Il viceré di Nustra

                   1.                     Ora si spingono avanti delle nuvole, non vedo più la sponda del mare. L’immagine cambia. Dalla nebbia, che vela la mia vista, si formano lentamente chiari contorni.

                   2.                     Un vasto salone s’inarca verso di me, è la grande sala di ricevimento del re Areval. Tutti i nobili del regno sono qui riuniti e aspettano l’entrata del re. C’è tensione sui tratti degli uomini che stanno intorno ad un sontuoso trono, e lanciano sguardi furtivi e meravigliati al sommo sacerdote Karmuno. Costui sta immobile presso i gradini del trono, gli occhi rivolti ad una grande porta dalla quale deve entrare il re. Finora Karmuno è sempre stato il sostegno del re, quando si mostrava ai grandi del regno. Adesso è cambiato. Areval non ha più bisogno di lui, sia come medico sia come consigliere. I grandi sussurrano e si rallegrano di questa disgrazia, tuttavia essi temono sempre l’uomo, un giorno così potente. Sono noti il suo dinamismo, la sua potenza come sommo sacerdote del regno, la sua intelligenza e, non meno di tutto, la sua viltà.

                   3.                     Ora passa un movimento attraverso l’adunanza. La grande porta si apre di scatto, entrano guardie armate a passo di marcia – la guardia del corpo del re – preziosamente vestite, e si dispongono in due file, dalla porta fino al trono. Davanti ai gradini sta Karmuno.

                   4.                     Areval entra a passo fermo, non si scorge più nulla in lui della precedente malattia. Alla sua destra cammina il generale Arvodo, ai due seguono i viceré di Monna e Sutona, a questi seguono Rusar, fratello di Arvodo, con i principali capi dello Stato. Il corteo giunge lentamente fino ai gradini del trono. Karmuno sale due di questi e si rivolge al re. Il corteo si ferma. Chiara, ma fredda come l’acciaio tagliente, la voce del sacerdote riecheggia attraverso il salone:

                   5.                     “Grande re, tu hai convocato i nobili di Mallona affinché udissero che cosa hai deciso per il bene del Paese e dei suoi abitanti. Il potente Spirito dell’Universo ha illuminato il tuo sentimento per scegliere il giusto. Secondo l’antica usanza dei Padri io qui ti domando, come rappresentante dell’eterna Divinità: «Sei sicuro che la decisione che sei intenzionato ad annunciare qui, sia scaturita dall’eterna Volontà, alla quale noi tutti siamo sottomessi?»”.

                   6.                     Areval risponde con fermezza: “Ne sono certo!”

                   7.                     “Sei tu disposto anche in seguito a servire solo questa Volontà?”.

                   8.                     “Lo voglio!”

                   9.                     “Allora mostrati nello splendore della Sua volontà e comunica il Suo messaggio al popolo in ascolto!”

                 10.                  “Lo farò!”

                 11.                  Queste parole rappresentano un’usuale cerimonia, escogitata per unire inseparabilmente il potere mondano e quello spirituale. In essa c’è una notevole forza per il collegamento degli animi: lo si scorge dalle espressioni degli ascoltatori che sono ormai ansiosi di ascoltare il messaggio veniente.

                 12.                  Areval non ha più degnato di uno sguardo Karmuno che sta a fianco. Sale sul trono e dice:

                 13.                  “Uomini di Mallona, fedeli del mio trono! È piaciuto al demone della morte mandare un fedele vassallo nel regno delle ombre. Nustra, il nostro stato vicino, è priva da due giorni del governatore. Perciò, sapendoci uniti con la volontà dell’eterna Divinità, siamo disposti a nominare un nuovo viceré e a concedergli il potere nel Paese. La nostra scelta è fatta, resta ancora da annunciarla.

                 14.                  Rusar, figlio di Mutro, uno dei più nobili che ancora serviva Maban, fratello del nostro generale Arvodo, vieni avanti!”

                 15.                  Sui volti dei presenti si mostra stupore, solo Arvodo e i viceré non sono sorpresi. Rusar stesso lo è tuttavia più di tutti; titubante si avvicina e s’inginocchia al trono. Areval continua a parlare:

                 16.                  “Rusar, quale governatore di Nustra alzati e prestami il giuramento di fedeltà!”

                 17.                  Karmuno recita ora una lunga formula del giuramento che Rusar ripete. Areval lo tira su e, avvicinandolo a sé, lo incorona con un anello d’oro adorno di una pietra-aurea. Adesso i viceré di Monna e Sutona si congratulano con lui, anche nel salone tra i presenti c’è una certa animazione. Risuonano alte esclamazioni, gioiosi accoglimenti per la nomina. Sembra che Karmuno voglia parlare. Areval ordina silenzio all’adunanza e, prima ancora che il sommo sacerdote possa prendere la parola, comincia ad esprimere lui stesso la conclusione della cerimonia. Egli dice piegandosi: “Il volere della Divinità, al quale io m’inchino, è adempiuto. Su! Rusar, mostrati al popolo nella tua nuova dignità!

                 18.                  Con lo sguardo fiammante, ma lo stesso sorridendo, il sommo sacerdote si è inchinato profondamente come tutti i presenti, indietreggiando. Nella generale eccitazione, non tutti hanno notato che il sommo sacerdote avrebbe dovuto dire: “Il volere della Divinità, cui il re s’inchina, è adempiuto!” – e lui, come rappresentante della Divinità, sarebbe dovuto rimanere in piedi, mentre il re e i presenti si dovevano inchinare profondamente. Quelli però che conoscono il cerimoniale, ora sanno anche che Areval, con quest’eccezione dell’antico costume, ha gettato al sommo sacerdote il guanto di sfida.

                 19.                  Rusar, guidato dai viceré, attraverso il passaggio formato dalla guardia del corpo, si reca fuori dal salone. Segue Areval con Arvodo. Entrambi si ritirano subito nelle stanze interne del castello. Lentamente si spegne il chiasso provocato dalla formazione di un imponente corteo trionfale, preceduto da un araldo che annuncia al popolo la nomina del nuovo viceré. Mentre Rusar gode tutti gli onori, Areval e Arvodo si consigliano nella stanza del re.

                 20.                  Li vedo soli. Il benevolo cambiamento nel modo di fare di Areval si manifesta ora ancora più chiaramente che durante il grande ricevimento. Da quando egli sa, dal generale, che Muhareb è vivo, le precedenti allucinazioni sono scomparse. La consapevolezza di un imminente pericolo l’ha portato allo sviluppo della massima energia. Egli vuole allontanare la sciagura che minaccia il suo trono e medita sui mezzi per difendersi dall’eventuale ritorno del fratello.

                 21.                  Arvodo ha capito perfettamente di guadagnare il re totalmente per sé, e sostituirsi a Karmuno. Egli sa che, per questo, il sommo sacerdote lo odia a morte, ma è abbastanza intelligente da mostrare sempre un’apparente cordialità nei suoi confronti. Tuttavia oggi il modo di agire di Areval gli ha mostrato che il re intende eseguire un’intenzione nascosta, intenzione che lui vuole scoprire. Egli attende solo il momento favorevole in cui poterne intuire i segreti pensieri. Areval parla ora chiaro e schietto: “Sei contento del tuo re, Arvodo? Tuo fratello è viceré come desideravi tu. Io ti devo molto, e anche per te dovrà esserci la ricompensa. La mia volontà è che tu ottenga presto la mano di Artaya. Allora ti riconoscerò. Tu sarai l’uomo che fa per me, e che mi aiuterà ad oscurare la gloria di Maban”.

                 22.                  L’espressione di Arvodo non rivela la profonda soddisfazione del suo cuore. Con voce calma risponde: “Il mio re sa che la mia devozione è illimitata. Comanda, signore, che cosa devo fare!”

                 23.                  “Solo una domanda, Arvodo! Quali sentimenti tu credi che nutra il sommo sacerdote Karmuno verso di te? È tuo nemico?”.

                 24.                  “Se il sorriso a fior di labbra è un segno d’amicizia, allora egli è il mio migliore amico, ma io non mi fido della facciata esterna. Egli invidia il favore che il mio re mi concede. Chi vede nella sua anima e riconosce ciò che giace nella sua profondità?”.

                 25.                  “Sicuramente niente di buono per me e per te. Con te ho spezzato le catene che mi legavano a lui. Si sforzerà di forgiarle di nuovo. Io conosco questo dominatore di tutti i templi del regno. Dipende da lui evocare lo stato d’animo nel popolo e far sì che gli obbedisca la schiera dei sacerdoti in tutti i paesi. Se volessi essere veramente re, unico monarca in tutti i paesi, dovrei annientare l’intera razza che gli ubbidisce. Devo spartire con lui il dominio di Mallona e vedo arrivare il giorno nel quale scoppierà una lotta con lui fino alla fine”.

                 26.                  Sinistro, Arvodo guarda il re: “Ha pensato, il mio re, come si dovrebbe condurre questa lotta?”.

                 27.                  Areval si china verso di lui: “Finché dipendevo da lui nella mia malattia, era una cosa impossibile, ma adesso che sei tu al mio fianco, è possibile. Il potere dei templi deve essere rovesciato. Il popolo guarda a questi con timore superstizioso e il potere dei demoni gli sembra più grande di quello del re. Io devo dimostrare che gli dèi mi ubbidiscono, che nel re si unificano tutte le forze. Karmuno per lunghi anni si è preoccupato di minare il potere del re, diffondendo la dottrina secondo cui esso sarebbe sottoposto al potere della Divinità che si rivela soltanto nel tempio principale di Mallona. Tu sai come tutti vanno in pellegrinaggio alle porte del santuario per avere consiglio e come, un responso favorevole o sfavorevole, entusiasmi o pietrifichi gli animi. Perfino i miei soldati non ne sono liberi. È incerto quanti oserebbero agire contro il verdetto della Divinità di Karmuno, oppure fare ciò che comanda il re”.

                 28.                  “Perciò la cosa migliore sembra quella di vivere in pace con Karmuno, piuttosto che provocarlo”.

                 29.                  “E continuare ad esserne schiavo? No, mai più! Lui oppure io, insieme non possiamo governare. L’impero o il tempio: uno deve cadere. Non senza riflettere, oggi mi sono rifiutato di terminare il cerimoniale nell’antica forma. Voglio mostrare che il re non ha bisogno di mediatori, per agire nel nome della Divinità. La Divinità dimora anche in me, oppure da nessuna parte”.

                 30.                  Gli occhi di Areval sono incandescenti. Il rancore coltivato così a lungo contro il sacerdote si esprime ora chiaramente dai suoi tratti. Presto però egli domina l’eccitazione e bisbiglia a bassa voce ad Arvodo: “L’eremita al mare finora non è stato pericoloso, ma chi è al sicuro dalle spie di Karmuno? Se egli scopre il segreto, allora lo saprà usare contro di me. La mia stessa sicurezza richiede un’azione rapida. Arvodo, provvedi affinché l’eremita sia arrestato dai più fedeli della guardia senza farsi riconoscere! Poi lo si porti a Sutona; nel castello di Ksontu sarà custodito bene e concluderà là i suoi giorni. Egli non mi deve scuotere il regno. Non lui, e non Karmuno! – E adesso vieni con me da Artaya. Il re ti condurrà dalla sposa!”

                 31.                  Areval si alza e, appoggiato leggermente ad Arvodo, lascia la stanza.

                 32.                  Un leggero rumore alla parete desta la mia attenzione. Il mio sguardo penetra la stessa e, all’interno del robusto muro scopro uno stretto spazio segreto. Karmuno abbandona questa postazione da spia, dalla quale origlia le più segrete conversazioni del re nella sua stessa stanza.

 

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Cap. 12

A Nustra

                   1.                     Dalla capitale Mallona si dipartono strade direttissime verso le diverse città dell’impero, vie di collegamento sulle quali si percorrono, senza difficoltà, su mezzi veloci, lunghe distanze in breve tempo. Ad Oriente di Mallona vedo la strada principale che conduce al vicino regno di Nustra. Più veloce dei mezzi ora io scivolo dolcemente attraverso l’aria e ammiro l’abilità artistica con cui è stata costruita questa strada. Nulla è in grado di ostacolare il corso rettilineo. Fiumi, valli, precipizi sono superati da ponti e montagne sono state fatte saltare in aria a causa della strada. Sul fondo livellato i mezzi non subiscono nessuna vibrazione. In verità queste strade sono un capolavoro, contro il quale mi appaiono manchevoli le nostre vie di transito.

                   2.                     Quanto più mi allontano dalla capitale, tanto più fantastico diventa il paesaggio. Vedo sorgere all’orizzonte possenti catene montuose, giganteschi monti innevati splendono dinanzi a me nei raggi del Sole. Un imponente mondo alpestre, come confine di due continenti, simile agli Urali tra l’Europa e l’Asia, mi s’innalza davanti, quasi volendo arrestare la mia intrusione. La strada continua a elevarsi e inerpicarsi, evitando talvolta i giganteschi ostacoli ad incredibile altezza. Voragini e valli sono superate da ponti con stupefacenti arcate. Nell’altezza da capogiro, vicinissima a nevai e ghiacciai, la strada ora serpeggia alle massime altitudini che deve oltrepassare. E in mezzo al silenzio di un irrigidito mondo di ghiaccio, essa conduce il viaggiatore in sicurezza e senza pericolo su un altopiano coperto di neve, il confine che separa Mallona e Nustra.

                   3.                     Io ammiro l’arte degli ingegneri per aver eseguito tali costruzioni, le quali indubbiamente sarebbero impossibili sulla nostra Terra. Il peso delle masse non permetterebbe tali costruzioni ad archi, come qui si vedono. Crollerebbe tutto su se stesso, se si volessero costruire ponti ad arcate di tali estensioni.

                   4.                     La minor forza d’attrazione del pianeta Mallona rende solo qui possibile eseguire queste realizzazioni. Come nella pura aria montana sento chiaramente le altre condizioni cosmiche. E anche la pietra primordiale del pianeta mi sembra essere sostanzialmente diversa da quella della Terra. Essa mi sembra più leggera nella sua struttura; masse più leggere[7], come i prodotti del periodo cretaceo e triassico, che qui coprono le cappe di neve, e si levano nere dai ghiacciai bianco blu. Qui però non resisto più a lungo. Mi sento spinta incessantemente oltre la fine dell’altopiano e poi giù verso Nustra, al regno di Rusar, il cui mezzo di viaggio, come quelli dei suoi numerosi accompagnatori, mi seguono.

                   5.                     Adesso l’altura è superata. Il paese si estende vasto dinanzi a me. Verso Nustra i monti si abbassano bruscamente e numerosi campi fertili, boschi verdeggianti, laghi sfavillanti, dolci catene di colline stanno ormai davanti al mio sguardo estasiato. Esso va a valle in corsa vorticosa. I mezzi scivolano giù per il rettilineo ondulato, simile ad uno scivolo d’immensa lunghezza. In breve tempo il viaggio verso la valle è concluso, e ora continua attraverso un territorio pianeggiante e fertile, verso la capitale del paese che porta lo stesso nome. Il Sole è già alto all’orizzonte quando compaiono in lontananza le costruzioni di Nustra e si è fatta sera quando Rusar, col suo seguito, entra nell’ampia rimessa.

                   6.                     Nustra si è adornata per il ricevimento del nuovo viceré. Ovunque sfavillano cataste di legno, e grandi mazzi di fiaccole-manga illuminano chiaramente le strade e le piazze principali. La via che porta al palazzo del sovrano su un colle è particolarmente illuminata a festa. Una folla, lietamente eccitata e riccamente ingioiellata, si muove per le strade e saluta con scroscianti esclamazioni di evviva il viceré che sta entrando. Rusar sta su una vettura sfarzosa, vestito di un abito intessuto d’oro e accoglie le acclamazioni ringraziando. Sembra felice per tutti gli onori e si rallegra della simpatia del popolo. Il corteo scompare dietro le porte aperte del castello reale. Nustra possiede di nuovo un sovrano.

                   7.                     Vedo una vasta sala parata a festa. Rusar, i viceré di Monna e di Sutona siedono su un rialzo e guardano alla folla movimentata di cortigiani e nobili del vicereame, ai quali il nuovo sovrano offre un ricevimento. Qui mi sembra di essere trasportata ai tempi del sontuoso impero romano. Le tavole si piegano sotto le pietanze servite. Gli ospiti non sono più completamente padroni dei loro sensi a causa delle bevande inebrianti. Danzatrici mostrano le loro arti e contorcono i corpi slanciati in danze sensuali ed eccitanti. Si esibiscono giocolieri che cercano di intrattenere gli spettatori con salti spericolati. Qui si genera un’orgia come non se ne può immaginare una più selvaggia, e nelle occasioni di festa, già da lungo tempo, accade in tutte le parti dell’intero regno di Mallona, per il divertimento dei grandi.

                   8.                     Nemmeno a Rusar è assolutamente estranea una pratica del genere. Areval, infatti, cercava di scacciare le sue efferate visioni attraverso sfrenati baccanali[8], ai quali egli partecipava non senza quella stimolante cupidigia in cui la gioventù ricade così facilmente. Il viceré di Monna, al lato destro di Rusar, è di ottimo umore. Egli ha appena chiamato a sé una bella danzatrice e, tenendo la fanciulla in braccio, dice a Rusar: “O nustror, i fiori del tuo paese sono amabili, tuttavia te ne posso mostrare di non meno belli appena ti piacerà di visitare il mio paese. Promettimi di farlo, per contemplare le meraviglie del mio giardino d’amore”.

                   9.                     Rusar risponde tranquillo: “Noi sappiamo, monnor[9], quale raffinato intenditore tu sia in questioni d’amore, ma ho ancora poco desiderio per questi. Il dovere del sovrano è di rendere felice il suo popolo!

                 10.                  Esplodendo in una sonora risata, il viceré stringe a sé la fanciulla ed esclama con voce balbettante: “Non rendo io felice il mio popolo? Vedi così comincio con i figli del popolo”.

                 11.                  Il viceré di Sutona, chiamato il sutor, ride altrettanto forte: “Chi non saprebbe che ti sforzi per diventare il padre dei figli del tuo paese! Anche il nustror si eserciterà ancora in questi stupendi doveri”.

                  12.                    In quest’istante risuona una musica fragorosa. La fanciulla si svincola dalle braccia del viceré e corre dalle altre danzatrici, le quali si sono ordinate per un girotondo e ora danno inizio ad una danza che provoca il massimo immaginabile in sfrenatezza ed eccitazione dei sensi. Un generale delirio afferra gli ospiti. Essi battono le mani seguendo il ritmo, esclamano approvazione e si mischiano alle danzatrici. Presto, tutto gira vorticosamente, tra urla ed esclamazioni di piacere.

                  13.                    Disgustata da quest’immagine, mi distolgo. Ho dato un profondo sguardo alla scelleratezza degli abitanti di questo pianeta. È sufficiente…

                 14.                  Adesso l’immagine si cambia. Nebbie passano davanti e, poco a poco, si formano altre figure. Adesso è più chiaro.

                 15.                  Riconosco Karmuno e Rusar, fratello di Arvodo, in una piccola stanza del castello di Nustra. Karmuno ha seguito in segreto il nuovo viceré, e pieno di zelo parla con insistenza a Rusar. Buio e pallido il giovane fissa lo sguardo a terra, mentre il sommo sacerdote cerca di persuaderlo. Adesso sento anche le parole, e le comprendo:

                 16.                  “Via con tutti i dubbi, io sono per il successo. Quale amore fraterno abbia per voi Arvodo, lo riconoscete dal suo modo di fare. Egli vi sottrae l’amore di Artaya. Oppure credete che mi sia rimasto estraneo ciò che vi agita? Il potere di Arvodo, che egli esercita da un po’ di tempo sul re, lo conduce alla meta riconosciuta. Egli vuole diventare re di Mallona! Adesso vi ha fatto viceré di Nustra, perché la vicinanza del fratello gli è d’ostacolo. Egli sposerà Artaya, e la sua mano lo renderà erede al trono”.

                 17.                  Passionale, Rusar s’accende d’ira: “Questo non lo deve fare!”

                 18.                  Con fredda espressione il sacerdote dice: “Volete voi impedirlo, quando Artaya stessa desidera questo legame, e altrettanto Areval?”.

                 19.                  Mandando un gemito, Rusar sospira: “Lei mi ha fatto credere che il suo cuore si fosse rivolto a me, e ora…”.

                 20.                  “Il fratello le piace di più. Niente di nuovo, signore, con questa donna. Artaya conosce solo se stessa. Se sapesse che il cuore di Arvodo è infiammato per lei, sarebbe presto stanca di lui. Ma così lo deve conquistare; lei non ha pace finché non vince sull’uomo. Lui sarebbe il primo a non piegarsi davanti al suo sorriso, e questo la sua vanità non lo tollera. Voi, signore, diventereste il suo schiavo, e gli schiavi sono messi da parte appena non si ha più bisogno di loro”.

                 21.                  Rusar digrigna i denti dall’irritazione: “Io non sarò mai uno schiavo di questa donna. Sia ucciso l’amore per lei, e viva per lei solo odio!

                 22.                  Karmuno sorride di nascosto e i suoi occhi brillano trionfanti. Sottovoce sussurra a Rusar: “Io conosco un mezzo per potervi vendicare di questo tradimento!”

                 23.                  “E come?”.

                 24.                  “Lo scoprirete quando incontrerete Arvodo!”

                 25.                  “Egli adesso è più potente di noi tutti e, è mio fratello!”

                 26.                  “È il vostro signore che non vi risparmierà, nel caso gli sembrasse necessario!”

                 27.                  “Quale mezzo conoscete voi?”.

                 28.                  Rusar guarda il sacerdote con aria interrogativa, questi lo fissa gelido negli occhi e risponde a bassa voce:

                 29.                   “Muhareb vive”.

                 30.                  Come morsicato da un serpente, Rusar sobbalza. Pieno di terrore egli fissa il sacerdote e balbetta: “Muhareb vive? Impossibile!”

                 31.                  “Perché impossibile?”.

                 32.                  “Perché mio fratello poco fa è tornato da un viaggio durante il quale ha avuto prove della morte di Muhareb. Egli ha visto e ha parlato con l’uomo nelle cui braccia Muhareb è morto!

                 33.                  “Così vi ha detto Arvodo e voi gli avete creduto. Non avete sospettato che il fratello ha mentito per amor dei suoi scopi segreti, scopi che io conosco! Muhareb è vivo, e io conosco la sua dimora!”

                 34.                  “Voi conoscete la sua dimora? Dove sta?”.

                 35.                  “Signore, i segreti non si rivelano subito. Vedete, Arvodo vi ha ingannato. Areval non teme il Muhareb morto, ma tanto più quello vivo. Da Arvodo egli ha saputo della sua esistenza e Arvodo sa sfruttare bene la sua paura. Adesso sapete come vostro fratello ha il potere sul re. – Togliete al re la sua paura di Muhareb e poi si troveranno anche i mezzi per far cadere Arvodo”.

                 36.                  “Karmuno, io vi conosco, voi già possedete i mezzi e sperate di impiegarli. Voi non siete mai stato un amico di Arvodo. Adesso non lo sono più nemmeno io, perciò parlate”.

                 37.                  “È necessario che Muhareb cada, o che sia riconosciuto come legittimo re. Per cosa vi decidereste voi?”.

                 38.                  Rusar domanda cauto: “Si deve stabilire questo già adesso? Forse non è consigliabile né l’una né l’altra cosa. Agite in modo che le vie rimangano aperte”.

                 39.                  Rallegrato, Karmuno si avvicina a Rusar: “Vedo che mi comprendete. Se siamo alleati, guideremo noi i destini di Mallona! Afferrate ora con mano ferma le redini del governo. Il clero del paese sarà informato da me per sostenervi. Ciò che succede presso Areval non ci rimarrà segreto. Se io voglio, i muri hanno occhi e orecchi. Né Areval né Arvodo sfuggono a questa rete”.

                 40.                  Ma, nel frattempo, cosa succederà con Muhareb?”

                 41.                  Astuto, Karmuno sorride: “Un figlio di re che si seppellisce nella solitudine, diventa inabile per il trono. Abbiamo bisogno del suo nome, non della sua persona. Lasciate dapprima sorgere a Nustra la voce che Muhareb vive ed è stato visto. Del viceré di Monna siamo sicuri, egli seguirà i nostri piani. Anche là il nome di Muhareb minerà l’autorità di Areval, ancor di più poi in Mallona stessa. Solo gli avvenimenti ci dimostreranno quanto grande è il potere che conferisce il nome di Muhareb, allora decideremo. I suoi fedeli saranno i nostri”.

                 42.                  “Voi conoscete anche quest’alleanza?”. Domanda Rusar con stupore non celato.

                 43.                  “Al sommo sacerdote di tutti i templi, nulla può essere estraneo! Non a tutti spetta il frutto di ciò che lui ha seminato. I più astuti, quelli che sanno aspettare, possono fare il raccolto. Arvodo non ci ha pensato, ma lo verrà a sapere”.

                 44.                  Rusar ha ascoltato Karmuno con stupore. Nei suoi pensieri si forma chiaramente l’immagine di questo sacerdote che sembra onnisciente, il quale dominava illimitatamente il re, finché Arvodo gli contese palesemente questo potere. Costui aveva preso provvedimenti anche per questo caso e possedeva certamente una rete di spie, confidenti e complici. Egli intuisce il pericolo di un’alleanza con quest’uomo, ma riconosce anche l’impossibilità di sottrarsi a lui. In una specie di resistenza dice: “E se ora rivelo ad Arvodo ciò che mi avete confidato? Se rivelo a lui di cosa siete a conoscenza?”.

                 45.                  Sorridendo freddamente e guardandolo in maniera eloquente, Karmuno taglia corto: “Provateci!”

                 46.                  Rusar sa, Karmuno per lo spavento non indietreggerebbe davanti a nessun ostacolo. Egli si alza e, costringendosi ad un sorriso, dice: “Con un tale tentativo non voglio perdere l’amicizia di Karmuno. Un sapere comune comporta un agire comune. A ciò sono pronto!”

 

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Cap. 13

Nel tempio della bellezza

                   1.                     Sono di nuovo a Mallona e sto davanti al tempio principale dell’impero. È una costruzione oltremodo grandiosa. Colonne che si ergono in alto circondano l’edificio principale, e davanti a ciascuna colonna splende una grande fiaccola manga. Il tempio è come un gigantesco cubo, non mostra nessuna finestra, ma solo una grande porta d’accesso decorata con figure in rilievo di significato simbolico. Sopra la porta vedo la statua colossale di una meravigliosa donna: la rappresentazione della bellezza, per la cui adorazione Maban un giorno costruì questo tempio.

                   2.                     L’intero edificio colpisce grazie al suo aspetto imponente. Esternamente è senza sfarzo, tuttavia fanno impressione i rapporti di grandezza, il colonnato e il flusso di luce che di notte scorre giù dalle colonne illuminando a giorno l’edificio, così come i più vicini dintorni. Noto che il tempio porta un secondo rialzo a cubo molto più piccolo che serve da altare. Qui, in particolari giorni festivi, sono accesi imponenti fuochi dell’offerta e, dalla specie di fiamma accesa, il sommo sacerdote Karmuno annuncia poi la soddisfazione o l’insoddisfazione della Divinità.

                   3.                     Entro attraverso la grande porta nell’interno del tempio. Solenne silenzio e oscurità mi circondano. Sullo sfondo vedo luci multicolori che illuminano debolmente il santuario del tempio. Là sono erette statue di donne di perfetta bellezza che s’inclinano tutte verso un punto centrale, punto che è tracciato da un podio in pietra con sei gradini.

                   4.                     Cosa significa questo gruppo di statue? – Mi è data la risposta:

                   5.                     “Tu vedi qui rappresentato il numero delle buone caratteristiche nell’uomo. Ogni singola figura personifica una di queste: la bontà, il perdono, l’indulgenza, l’amore, la misericordia, la fiducia, il valore, ecc.

                   6.                     Tuttavia esse s’inclinano tutte verso il principio vivificante della forza vitale d’azione, dalla quale soltanto dipende la loro esistenza. Su questo podio, nei giorni dell’offerta, appare la figura mobile di un uomo gigantesco che, avvolto dal vapore nebuloso di fumi aromatici, si mostra per breve tempo alla moltitudine come la suprema Divinità Schodufaleb. Le statue circostanti sono poi sostituite da belle fanciulle viventi che, senza toccarsi, rimangono per lungo tempo nelle posizioni assegnate. Quando compare il gigante, anche loro diventano mobili, si accostano a lui e l’intero gruppo sprofonda poi sul pavimento”.

                   7.                     Karmuno sa costruire e sfruttare al meglio il suo inganno da prete. Questo tempio è fin troppo spesso testimone di orge della specie più bassa, orge che si compiono nei bui vestiboli in onore della Divinità.

                   8.                     La forza dello spirito mi attrae al podio. Vi metto il piede e – m’immergo. Sono adesso in un passaggio debolmente illuminato e giungo ad un alto portale. Si apre. Giungo in uno spazio più grande, nel quale stanno degli uomini armati. Essi sono dipendenti di Karmuno, guardiani del tempio e servitori, i quali sono sempre pronti ad eseguire anche i suoi ordini cruenti. Poi giungo ad una seconda grande porta, e anche questa si apre. Entro in un locale stupendamente adornato nel quale alcuni sacerdoti aspettano e passano il tempo giocando. Da come mi pare, essi fanno la guardia davanti ad una piccola porta rivestita di ferro: i loro sguardi, infatti, si rivolgono spesso a questa, come se aspettassero che da lì debba entrare qualcuno.

                   9.                     Anche questa porta per me non è un ostacolo, essa si apre e mi trovo davanti ad una seconda. Devo aprirne sei di tali solide porte, prima di giungere in un locale più ampio e chiaramente illuminato.

                 10.                  Su un posto elevato troneggia Karmuno. Intorno a lui, in cerchio, siedono undici sacerdoti, uomini di mezza età, dagli occhi dei quali traspaiono fermezza e scaltrezza. Ogni tre di loro formano il sommo ceto sacerdotale del paese da loro stessi rappresentato. Sono penetrata nel più segreto consiglio del tempio che si riunisce in questo luogo protetto per ricevere gli ordini di Karmuno. Questi adesso parla e dice:

                 11.                  “Sommi sacerdoti dell’impero! Io vi saluto nella più segreta camera del consiglio del nostro santo tempio. Siamo qui riuniti come custodi del popolo, come mediatori della Divinità e, come amici e confidenti. Come tali, vogliamo consigliarci su ciò che esige il nostro interesse nel prossimo futuro. Ciascuno faccia rapporto veritiero sulle condizioni del proprio paese sotto la nostra influenza. Mansor, sommo sacerdote di Nustra, comincia tu col tuo rapporto”.

                 12.                  Un grosso uomo dall’aspetto imponente, dal naso acutamente curvo e occhi intelligenti che però brillano perfidamente, si alza solenne dalla sua sedia e dice:

                 13.                  “Amati fratelli! Non è cambiato molto a Nustra da quando eravamo qui riuniti l’ultima volta, tuttavia devo riferire buoni progressi sulla via designata. Il popolo di Nustra è facile da guidare, appena gli si lascia la sua comodità. Esso è attaccato alle abitudini, e per questo, molti ritengono le vecchie, sempre meglio che le nuove. Perciò sono ancora altrettanto infatuati, come lo erano una volta, per Maban, e lo ritengono un dio che a suo tempo è disceso per il bene del popolo. Voi lo sapete, fratelli, quanto ci è stato difficile mettere le nostre idee al posto di quelle predominanti di Maban, per guidare i sentimenti del popolo, come lo esige il nostro interesse. Ora quest’opera, grazie alla pigrizia degli spiriti, è riuscita. Adesso a Nustra si pensa come vogliamo noi.

                 14.                  Tu, supremo della nostra lega, saggio Karmuno, volevi che fosse creata l’atmosfera per Rusar, il nuovo viceré: ciò è accaduto! Dai templi dell’intera Nustra i nostri fedeli servitori hanno annunciato la volontà della Divinità: che Rusar sia soddisfatto! Grazie ai nostri preparativi, per lui bruciano sugli altari le fiamme del sacrificio alte e splendenti. Rusar, se si mostrerà generoso e seguirà le indicazioni di questo sommo Consiglio, potrà rimanere il più felice governante di un popolo felice. Che il nostro dominio a Nustra sia scosso, non c’è da temere”.

                 15.                  Karmuno domanda meditabondo: “Gli abitanti di Nustra parlano ancora molto del figlio di Maban, Muhareb?”.

                 16.                  “Un intero ciclo di leggende si è tessuto intorno alla persona del principe. La sua scomparsa è interpretata in tutti i sensi. Una volta è stato assassinato, un’altra volta sarebbe annegato, altre volte lo avrebbe rapito il demone Usglom. Poi si sostiene che, a causa della bontà del suo essere, sia stato rapito non dal demone, bensì da Anarba, la dea della bellezza, e che viva nel suo giardino incantato come prigioniero, in giovanile freschezza. Il suo nome basta per riempire gli abitanti di Nustra di profondo rispetto!

                 17.                  “Va bene, più tardi parleremo ancora di lui. Tutti i posti dello Stato a Nustra sono ancora occupati dagli uomini a noi fedeli?".

                 18.                  “Lo sono”.

                 19.                  “Ti ringrazio. Ora riferisci tu, sommo sacerdote di Monna, come vanno le cose presso di voi nell’impero?”.

                 20.                  Un uomo un po’ corpulento, sul cui viso tondeggiante può essere letta la gioia del piacere, si alza e parla:

                 21.                  “Salute sia sempre al nostro tempio e ai suoi fedeli servitori. Se c’è un posto su Mallona dove va tutto bene per noi, è proprio nel regno di Monna. Voi sapete, fratelli miei, che il monnor conduce una vita di abbondante godimento e teme ogni serio lavoro. Volentieri egli lascia le redini del governo a quegli uomini che non disturbano i suoi piaceri. E poiché sono riuscito a dimostrargli che negli ambienti del nostro tempio sussiste indulgenza con le sue debolezze e noi siamo in grado di portare per lui le sue preoccupazioni, così il monnor si è dimostrato ben disposto di affidare al tempio il maggior carico del lavoro”.

                 22.                  “E tu porti questo carico?”. Lo interrompe Karmuno, freddo e indagatore.

                 23.                  “Per l’onore del tempio, il suo servitore ha preso volentieri su di sé il grande carico, poiché tale esso è. A piene mani il monnor distribuisce denaro al popolo. Chi lo ossequia non ha bisogno di lavorare. I mezzi affluiscono a lui in quantità insospettata: negli ultimi tempi, infatti, la pietra-bianca si è trovata in quantità incredibile nelle regioni del fuoco del nostro Paese che si estendono lungo il mare. Egli sarebbe obbligato a consegnare tutta la pietra-bianca coniata alle casse dello Stato, tuttavia ne trattiene per sé la maggior parte”.

                 24.                  “Chi è il coniatore capo in Monna?”, domanda Karmuno.

                 25.                  “Volto, uno dei servitori più fedeli del nostro tempio”.

                 26.                  “Lo so. Su tua disposizione suo fratello divenne sovrintendente dei tesori di pietre-bianche estratte dalle montagne. Egli tuttavia consegna allo Stato solo la metà, l’altra metà la ricevi tu e la nascondi nel tempio di Monna”.

                 27.                  Queste parole producono un grande stupore nella cerchia dei presenti. Il sommo sacerdote, rimasto quasi senza parole, finalmente balbetta: “Su questo, supremo, io volevo appunto riferire, giacché al tuo occhio nulla sfugge”.

                 28.                  “Io mi chiamo Karmuno, colui che vede lontano!”, osserva freddamente il sommo sacerdote, e accentando in maniera tagliente, soggiunge: “Adesso riferisci altro!”

                 29.                  Il sommo sacerdote di Monna è intimidito. Egli è incerto su quanto Karmuno è venuto a sapere sulla sua attività, poiché non era sua intenzione chiarire questo. Adesso sente che se fosse sorpreso a mentire, ciò gli potrebbe essere fatale, per cui si decide a non tacere nulla. Con voce sicura prosegue:

                 30.                  “Nel tempio sono ammucchiati grandi tesori di cui Areval non sa nulla, che però sono a disposizione del Consiglio del tempio, non appena si prenderà una decisione in merito. È anche rimasto segreto che il tempio sfrutti per sé una miniera particolarmente ricca, i cui ritrovamenti affluiscono solo a noi con l’aiuto di Volto e di suo fratello”.

                 31.                  “Da dove prendi gli operai?”, domanda Karmuno.

                 32.                  Osservando con sguardo scrutatore il sommo sacerdote, l’interrogato risponde: “Sommo, tu lo sai”.

                 33.                  Karmuno fa cenno col capo e dice: “Parla a causa degli altri”.

                 34.                  All’inizio titubante, ma poi sempre più sicuro, il relatore prosegue:

                 35.                  “È ormai da circa un anno che in Monna una setta, alla cui attività noi non avevamo attribuito troppa importanza, ha cominciato a diffondersi fortemente, e per noi in maniera pericolosa. Rammento ai fratelli che si trattava di gente la quale sosteneva che il nostro tempio della bellezza fosse diventato un focolaio del vizio, e che l’alto significato ad esso proprio, di essere sotto Maban un luogo di elevazione, sarebbe stato profanato, poiché le sacerdotesse del tempio sarebbero diventate venali prostitute. Voi sapete che noi abbiamo deciso di punire tali dicerie e abominevoli calunnie nel modo più severo, con la morte.

                 36.                  Poiché ora accadde che in una piccola località sorse un uomo il quale sosteneva che la Divinità, apparsa ogni anno visibilmente nel nostro tempio – e voi, amici miei, certo non ne dubitate, poiché è stata vista spesso coi vostri occhi” (un sorriso cinico e un moto dileggiante d’approvazione coglie l’adunanza a queste parole), “non sarebbe veramente mai entrata nelle mura del tempio stesso. Essa, infatti, non dimorerebbe nei cumuli di sassi fatti da noi stessi, ma nel petto dell’uomo. –Cercate la Divinità in voi! Purificate voi stessi, il tempio primordiale della Divinità! Siate voi stessi sacerdoti del santuario interiore!’. – Così suonava la nuova dottrina sorgente. Essa trovò seguaci nella classe più povera con estrema rapidità e presto procurò a noi, propriamente i veri sacerdoti, odio e disubbidienza. Riunioni segrete erano tenute dai suoi nuovi seguaci. Il profeta girava nel paese ed era protetto e nascosto dai seguaci. Il malcontento verso di noi minacciava di sfociare in aperta ribellione, se la pericolosa setta non fosse stata sradicata e distrutta.

                 37.                  Sono contento di poter riferire qui che questo è riuscito. Da alcune spie ho saputo presto dove si tenevano le riunioni. Ho lasciato che si rallegrassero nell’illusoria sicurezza, e un giorno le fedeli truppe del monnor hanno snidato questi traditori dai loro nascondigli insieme al loro profeta. Nessuno è sfuggito al tempio, e ora essi scavano come suoi schiavi nella regione del fuoco di Monna alla ricerca dell’inestimabile pietra-bianca. Questi sono gli operai dei quali ha domandato l’illuminato sommo sacerdote!

                 38.                  Questo discorso trova generale approvazione. Il sommo sacerdote di Nustra domanda ancora: “Che cosa è accaduto con l’infame calunniatore e rivoltoso?”.

                 39.                  Indifferente, il suo collega risponde: “Poco tempo fa è stato bruciato!”

                 40.                  “E il pericolo in Monna è totalmente eliminato?”.

                 41.                  “Totalmente! Da quando le caverne del demone Usglom ospitano i fanatici, ognuno è convinto della loro infamia. In Monna regnano nuovamente la calma e la precedente fede”.

                 42.                  L’adunanza è particolarmente contenta di quanto ha sentito. L’occhio acuto di Karmuno passa dall’uno all’altro. Si fa silenzio nell’ampia sala, il lieve borbottio di approvazione tace quando egli dice:

                 43.                  Fratelli, è giusto che i tesori che si ammassano nel tempio del paese di Monna non ammuffiscano là. Ogni sommo sacerdote ne ha parte, come anche i due sacerdoti subordinati che stanno a lui più vicino. Discuteremo più tardi sul loro migliore impiego. Siete soddisfatti così?”.

                 44.                  Risuonano gioiose esclamazioni di entusiasmo che manifestano il desiderio di far scendere la salute della Divinità Schodufaleb sull’illuminato sommo sacerdote di tutti i Paesi. Karmuno ha di nuovo forgiato le catene per legare a sé le anime dei presenti. Egli conosce l’avidità e il suo potere.

                 45.                  “Sommo sacerdote di Sutona, adesso riferisci tu”, dice Karmuno sedendosi, mentre cessa immediatamente l’umore gioioso.

                 46.                  Dalla fila dei sacerdoti si alza un uomo dal cui volto traspare un valore spirituale. Calmo, impenetrabile, quasi come una maschera appaiono i suoi tratti. Quest’uomo si domina perfettamente; la sua bocca potrebbe ridere, mentre il suo cuore sanguina. Dai suoi occhi scuri, profondi come il mare, vedo un’invincibile forza di volontà. Una lunga barba si avvolge a riccio intorno al nobile profilo marcato, con la bocca sottile e saldamente chiusa. Quando si alza con tranquillo garbo, mi colpisce il suo aspetto regale. In verità, questo è un uomo il cui aspetto esteriore lo fa sembrare degno di un trono. Adesso parla lentamente con voce melodiosa.

                 47.                  “Non ho nulla di nuovo da riferire a questo alto Collegio. Che cosa dovrebbe accadere di nuovo agli abitanti di Sutona, a questo popolo montano che sta un centinaio d’anni indietro rispetto a Mallona, Nustra e Monna? Il popolo propende a ciò che ha ricevuto attraverso di noi; non vuole nient’altro ed è soddisfatto!

                 48.                  Karmuno ha guardato l’oratore con un po’ di diffidenza, e ora lo interrompe:

                 49.                  “Sappiamo che il sutor è un gigante nel corpo, ma dotato del cervello di un bambino. L’esperienza insegna che anche i bambini diventano ribelli e si rivoltano contro i loro genitori. Non lo hai mai visto in Sutona?”.

                 50.                  “Mai, sommo, e in Sutona non lo vedrò mai!”

                 51.                  Quest’uomo sa mettere nell’espressione della sua voce una tale pienezza di convinzione che queste parole soffocano subito qualsiasi dubbio in tale possibilità. Karmuno evidenzia solo in tono tagliente: “Tu vegli, non è vero, sul popolo e sul sutor?”.

                 52.                  Rivolgendo l’occhio completamente al sommo sacerdote, l’interrogato dice con impressionante calma e sicurezza:

                 53.                  “Io veglio, sommo, e veglierò!”

                 54.                  Karmuno china il capo. Anche gli altri sacerdoti col loro movimento fanno intendere che considerano in maniera evidente Sutona come inferiore e non pericolosa. Il sommo sacerdote di Sutona si siede.

                 55.                  Karmuno adesso si alza e bisbiglia al sacerdote che sta seduto alla sua destra, il suo fidato scrivano, alcune parole. Costui prende da una borsa un gran numero di fogli simili alla pergamena. Al sacerdote che siede a sinistra dà ciò che pare un ordine, dopo di che costui si dirige verso l’uscita. Egli si assicura che le diverse porte siano ben chiuse e che nessun ascoltatore indesiderato possa sentire ciò che Karmuno si propone di comunicare al Collegio. Torna indietro annunciando che vi è massima sicurezza. Ansiosi, i sacerdoti guardano a Karmuno, la cui espressione promette loro importanti comunicazioni. Egli dice:

                 56.                  “Nobili fratelli e confidenti, illuminati sommi sacerdoti dei nostri paesi! Voi avete sentito quale apparente calma e quale pace regnino su tutti i continenti di Mallona. Sapete che disordini e ribellioni contro i nostri insegnamenti – che la Divinità stessa ci ha rivelato, affinché i popoli potessero vivere in pace – sono stati da noi puniti e soppressi. È meglio che singoli pervertitori periscano totalmente, piuttosto che avvelenino il pensiero dei popoli.

                 57.                  In seguito a ciò vi ricordo che la mia casata, sotto il governo di Maban stesso, dovette sopportare delle persecuzioni, perché al re, altrimenti grande, non sembrava giusto che nel Consiglio dei sacerdoti si sostenesse la convinzione che al mediatore tra la Divinità e gli uomini spettasse fede incondizionata e, alle sue parole, illimitata forza di legge. Allorché una grande schiera di sacerdoti si associò a questo saggio insegnamento, Maban ci bandì. Areval ci richiamò e, vedete, una felice pace regna nei paesi da quando noi stiamo accanto al re, il quale ha trovato in noi i suoi più fedeli compagni, e in me il suo più leale consigliere”.

                 58.                  Sono dati segni di approvazione. Karmuno prosegue:

                 59.                  “Deve rimanere così anche in futuro? Vedo nelle vostre facce che voi tutti lo desiderate, e anch’io sono di quest’opinione. Vedete però, un pericolo sta in agguato dietro di noi. La frustrazione del nostro successo non è più lontana, se non rimaniamo uniti come lo siamo stati finora per evitare la rovina. Perciò ascoltate:

                 60.                  Voi tutti sapete che re Areval, durante la presentazione di Rusar, negò a me, al sommo sacerdote, la supremazia mediante la formula a voi ben nota. Io ho cercato la causa più profonda del suo agire e ne ho trovata la vera ragione. Due parole soltanto e riconoscerete la grandezza di quella sciagura che ci minaccia:

Muhareb vive!”

                 61.                  Un’esplosione non poteva provocare un effetto più paralizzante di questa notizia. Solo il gran sacerdote di Sutona non mostra nessun segno di agitazione. Esclamazioni di stupore, di spavento, domande eccitate provocano una confusione di voci, in cui quella forte del sommo sacerdote diviene impercettibile. Quando l’eccitazione si placa, Karmuno prosegue:

                 62.                  “Il figlio del re, il cui nome ancora oggi gli abitanti di Nustra sentono con un brivido di riverenza, appartenendo a lui con anima e corpo nel caso egli sviluppasse la forza per legarli a sé – vive! Egli potrebbe strappare il potere del re ad Areval: esso, infatti, appartiene a lui, all’erede al trono un giorno scomparso. Tuttavia, grazie alla Divinità, Schodufaleb lo ha disposto così: Muhareb non ci sembra pericoloso, invece Areval sì! Ascoltate ciò che sono venuto a sapere:

                 63.                  Come eremita sconosciuto e misero, Muhareb viveva sulla sponda del mare. Egli ha abdicato. Io ho esplorato il suo nascondiglio. L’ho fatto cercare, e i nostri fedeli servitori del tempio lo dovevano catturare di nascosto. Tuttavia la sua dimora è vuota, come ho visto io stesso. Da lì è scomparso, e dove sia andato, mi è sconosciuto. Egli deve essere trovato, e io lo troverò! Lasciate fare a me. Non temo che egli aspiri di nuovo al potere, lo avrebbe dovuto già fare prima. Tuttavia la cosa peggiore è che Areval sappia che suo fratello vive. La consapevolezza di essere innocente della morte di Muhareb, ha restituito forza ad Areval e, con ciò, la sua capacità di resistenza verso di noi. Perciò quell’irriverenza verso di me, perciò ci è resa più difficile l’ultima vittoria, alla quale eravamo già così vicini.

                 64.                  Noi però al posto della regalità vogliamo stabilire il dominio spirituale assoluto del tempio. Se governa lo spirito, di cui noi abbiamo cura, e che riconosciamo come il migliore, allora ai suoi rappresentanti spetta anche il potere esteriore. Il mondo sia sottomesso al nostro spirito, non viceversa. Il nome di Muhareb ci serve per assicurarci questo potere. Guidato con intelligenza, il malcontento contro Areval crescerà, se il popolo viene a sapere che Muhareb vive! Ben inteso, egli viva solo fino a quando ci servirà, e sparisca non appena dimostri sete di potere!

                 65.                  Ecco, prendete questi fogli: essi contengono le istruzioni che ognuno dovrà adempiere nel suo Paese. Se saranno eseguite così come indicato, la vittoria non mancherà. Ciascuno legga con zelo e in pace questa sera, e porti a termine quello che gli dice il foglio. Ci riuniremo qui di nuovo domani per la seduta e decideremo fermamente ciò che serve al tempio. Ne siete soddisfatti?”.

                 66.                  Da tutte le parti risuona una generale approvazione. Un vivace, appassionato borbottio attraversa la sala per lungo tempo. Karmuno lascia che gli animi eccitati si calmino, poi abbandona il suo posto e dice con volto smaliziato:

                 67.                  “Siete affaticati, fratelli, e bisognosi di riposo. Perciò chiudo la seduta!”

                 68.                  Ancora approvazione e sorrisi soddisfatti dei presenti. Karmuno preme ad una decorazione della parete. Una parte di questa si sposta indietro mostrando un’uscita segreta. Lui e i sacerdoti s’introducono nel passaggio e, attraverso successive porte, giungono in una vasta stanza, preziosamente arredata. Tavole riccamente imbandite con cibi, invitano al godimento, e morbide poltrone invitano al ristoro.

                 69.                  Ora si apre una stanza attigua e una schiera di bellissime fanciulle si riversano ridendo e scherzando verso i sacerdoti. Sono le “dee” del santo tempio della bellezza. La ben custodita, sicura stanza è il giardino d’amore dei suoi sacerdoti che qui fanno sacrifici…

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Cap. 14

Viaggio di ritorno del sutor

 

                 70.                  Alla stazione di Nustra, in un punto centrale di strade che sboccano nella città per i noti veicoli, c’è molto movimento. I viceré di Monna e Sutona si congedano da Rusar per ritornare alle loro residenze. Visite di re sulla nostra Terra mostrano non meno formalità e sfarzo che qui. Vedo file di soldati e un seguito formidabile dei sovrani, funzionari e curiosi che si accalcano intorno alla stazione di Nustra. Qui non esistono rotaie, ma molte sbarre si stendono attraverso la rimessa, in mezzo alle quali i veicoli possono entrare e uscire senza impedimenti. L’intero traffico è regolato proprio come in una stazione sulla Terra. In un luogo particolarmente protetto c’è una lunga fila di vetture coperte. Sono il seguito cortigiano dei viceré.

                 71.                  Il monnor è appena salito sulla sua spaziosa vettura, dopo essersi congedato da Rusar e dal sutor. Una musica si fa sentire, e tra esclamazioni di ‘evviva’, fuori dalla rimessa esce prima un corteo di tre vetture, poi il monnor nella sua sfarzosa, e infine una fila di sei veicoli nei quali si trova il seguito. La colonna imbocca la direzione est e presto giungerà al mare dove, grazie ad una lunga serie di ponti che collegano le isole, non incontrerà nessun ostacolo per raggiungere il continente Monna.

                 72.                  Rusar parla animatamente col sutor. A una certa distanza scorgo la maestosa figura del sommo sacerdote di Sutona. Quest’ultimo già a tarda sera è giunto da Mallona, proveniente dalle riunioni del Consiglio dei sacerdoti, per accompagnare a Sutona il suo sovrano. Egli è circondato dai sacerdoti di Nustra di grado elevato, e parla tranquillamente col sommo sacerdote del Paese.

                 73.                  Ora vi è di nuovo movimento: si avvicina il momento della partenza. Il sutor si congeda da Rusar e sale sulla propria vettura. Questa è una specie di vettura salone che permette un po’ di movimento, provvista di sedili e tavoli pieghevoli e, da tutte le parti, provvista di veduta panoramica. I lati e la parete anteriore sono protetti da un materiale simile al vetro che è flessibile come la mica. Il materiale è un prodotto sconosciuto, trasparente, infrangibile, in grado di sostituire il nostro vetro. Il conducente della vettura si trova su un alto sedile posteriore, protetto dalla corrente d’aria da una visiera di materiale simile al vetro. Indossa un casco, cosicché non può guardare all’interno della vettura, tuttavia può guidare la stessa comodamente attraverso leve e ogni genere di congegni.

                 74.                  Il sutor ora si rivolge al sommo sacerdote del suo Regno. Un movimento della mano gli fa capire di salire sulla vettura del re. Il sutor si rivolge ancora una volta a Rusar, lo abbraccia e torna indietro. Adesso si sente una musica, saluti con le mani da tutte le parti, esclamazioni e grida. Lentamente la fila di vetture esce dalla rimessa, volgendosi però verso sud, ugualmente verso il mare.

                 75.                  Secondo il nostro calcolo del tempo, il corteo del sutor potrà essere stato per strada da circa un’ora. Mi sorprende che la sua vettura viaggi molto separata dalle altre. Il corteo che lo precede e che lo segue mantiene una notevole distanza dalla vettura regale: in viaggi del genere, questa è una particolare disposizione del sutor, il quale vuol restare il più possibile indisturbato dal suo seguito. I due passeggeri sono seduti finora silenziosi uno di fronte all’altro, lanciando sguardi indifferenti al paesaggio abitato. Adesso gli abitati sono diventati sempre più scarsi e i viaggiatori possono essere sicuri che sguardi curiosi non li infastidiscano oltre. Delle vetture che vanno in senso opposto, il sutor è sicuro: in simili viaggi regali, infatti, le vie da stazione a stazione sono chiuse per il traffico comune, finché il sovrano non è passato.

                 76.                  Il sutor si rivolge adesso al suo sommo sacerdote e dice amichevolmente: “Ora basta col dovere. Siamo sulla via di casa verso Sutona e possiamo di nuovo ricordarci della nostra dignità di uomini. Deponi la tua maschera dell’inavvicinabilità, mio Curopol. Sii di nuovo amico, non sacerdote!”

                 77.                  Come se queste parole espresse con affetto avessero sciolto un incantesimo, dal volto del sommo sacerdote scompare quell’aspetto mascherato. Gli occhi, che finora sembravano freddi e insondabili, assumono un’espressione di mitezza, la bocca, chiusa fermamente, sorride. L’intera figura si distende e con la sua profonda, sonora voce, questo splendido uomo dice: “Non appena lascio Sutona, nel mio interiore m’irrigidisco come ghiaccio. Solo la tua parola fa risplendere nuovamente il sole della patria”.

                 78.                  “Va diversamente a me, Curopol? È un bene che noi di Sutona siamo rimasti integri dal servilismo degli altri. Schodufaleb ci protegga da loro!”

                 79.                  Malinconico e serio, l’interpellato guarda il sutor e, con tono angosciato, dalle sue labbra risuona:

                 80.                  “Schodufaleb è diventato sordo alle nostre preghiere. Nemmeno Sutona salva più ciò che è abbandonato alla rovina. Da noi stessi andiamo alla malora”.

                 81.                  “Lo so”, risponde il sutor, “e non meritiamo nulla di meglio! La mia permanenza là, in quei paesi, mi ha di nuovo riempito di ribrezzo. Un alito pestifero, un odore di fradiciume ed esalazione di marcio sale da lì, dove ogni sentimento tendente al superiore, è morto. – Essi ridono di noi, e non comprendono che la venerazione della Divinità ci dà ancora un valore interiore che loro hanno perduto da molto tempo. E che l’energico sutone, su Mallona, sia ancora il solo che sente scorrere nelle sue vene un sangue puro, non rovinato da voglie e passioni!”

                 82.                  “Sì, non rovinato, ma anche incapace di esclamare contro i nemici della sua purezza un tuonante ‘stop’. Una volta il sutone era temuto per il suo operare pieno di forza, così dichiarano i nostri canti e le antiche tradizioni. Non tollerava il male, onorava la Divinità e la sua azione. Egli è sprofondato giù da quell’altezza. Il suo corpo è ancora pieno di vigore, ma debole è la sua volontà. Oseresti tu, o sutor, andare contro Areval con i tuoi sudditi, per proteggere i beni spirituali di Mallona? Rispondi negativamente, tu sai bene quanto me che la fine del nostro popolo sarebbe sicuro; oggi, infatti, il sutone non è più temibile appena scende dalle sue montagne.

                 83.                  È vero che le gigantesche montagne della patria ci proteggono dalle invasioni rapaci dei vicini, ma una spedizione bellica dei nostri sarebbe di poco successo. Il sutone si dissecca facilmente nelle miti pianure e, presto, si lascia catturare dai lusinghieri suoni del piacere. Nel Paese il sutone è ancora oggi potente, il potere dei monti mantiene pura la sua anima. Se scende dalle sue montagne, presto diventa snervato e debole. L’isolamento è perciò ancora l’unico mezzo per conservare il nostro popolo. Restiamo così, finché piace a Schodufaleb e – finché Egli non lascia ancora sopravvenire su di noi la rovina”.

                 84.                  Il sommo sacerdote ha accentato seriamente le ultime parole e con gesto di approvazione il sutor domanda:

                 85.                  “Che cosa ha deciso di nuovo la banda dei sacerdoti, per accelerare la rovina che tu hai previsto già da molto tempo?”.

                 86.                  “Signore, Karmuno è il demone Usglom incarnato in agguato nelle profondità, altrimenti il suo senno non avrebbe pensato qualcosa di così mostruoso. Già da qualche tempo il tempio domina in tutti i paesi e si arroga ogni potere nel mondo. Karmuno ha diffuso lentamente la dottrina secondo cui la Divinità si manifesta a Mallona solo attraverso i sommi sacerdoti; che si rivela solo a loro, e che ogni mortale deve ubbidire solo alla volontà che parla attraverso il sacerdote. Ora vuole consolidare ulteriormente il dominio su tutti gli animi. Egli impone che ogni mortale si scelga un sacerdote al quale affidare tutte le sue preghiere, tutti i suoi desideri, le sue azioni e i suoi pensieri, affinché costui le sottoponga alla Divinità per la decisione.

                 87.                  Che piano gigantesco sia questo, tu fai presto a capirlo. Su Mallona non potrà accadere più nulla che Karmuno non lo venga a sapere. Imporre la costrizione delle coscienze, l’istupidimento e la schiavitù dello spirito, sarà presto il compito di colui che è chiamato ad accendere nei cuori la luce della Divinità. Karmuno ha escogitato perfette regole affinché il sacerdote possa raggiungere più facilmente il suo scopo. Con gioia saranno eseguite le disposizioni, esse, infatti, assicureranno il dominio di ogni singolo nel proprio distretto, e nello stesso tempo alta ricompensa con la più severa attuazione!

                 88.                  “E tu, Curopol, come eseguirai queste regole?”.

                 89.                  “Io saprò togliere loro il veleno, renderò innocue le punte e provvederò che gli abitanti di Sutona rimangano ciò che sono stati finora, dovessero nel frattempo fisicamente perire. Io sono e rimango ‘sutone’, non schiavo di Karmuno!

                 90.                  “Schodufaleb, protegga la tua impresa! Io ti sosterrò con gioia come ho fatto finora. Che cos’altro hai appreso nel Consiglio dei sacerdoti?”.

                 91.                  “Karmuno ha annunciato che Muhareb vive: una notizia a noi già nota da molto tempo, che lui tuttavia vuole sfruttare per i suoi scopi. Egli pensa di istigare gli animi attraverso questo fatto contro Areval, e di guidarli a suo piacimento”.

                 92.                  “Muhareb non ambisce al trono di re!”

                 93.                  “Karmuno lo sa, e per questo osa tale gioco”, risponde Curopol.

                 94.                  Riflessivo, il sutor domanda “Hai parlato e visto Upal, colui che ha trovato la pietra aurea?”.

                 95.                  “No, signore. Upal è scomparso. Nessuno, neanche i suoi genitori sanno dove egli si trovi. Perciò temo che i vecchi siano in pericolo, e sono preoccupato per il destino di questo coraggioso. Egli è l’unico che possiede il terribile segreto per la produzione del materiale esplosivo Nimah, che un giorno il suo antenato scoprì e lo affidò a Maban. Da allora questo segreto di Stato è custodito, e solo in caso di bisogno potrà essere prodotto da fidatissimi. Voglia Schodufaleb evitare che un giorno dobbiamo chiamare da noi Upal, per difendere il nostro paese”.

                 96.                  Dopo una lunga pausa di mutismo, il sutor si alza e domanda:

                 97.                  “Che cosa pensa il clero sul nobile Numo che insegnava in Monna, e osava dichiarare la verità sul tempio?”.

                 98.                  Curopol risponde indugiando: “Signore, è avvenuto come io temevo. Tutto ciò che è nobile è stato annientato, la verità soffocata e scacciata. Solo menzogna, inganno e schiavitù hanno su Mallona ancora prospettive di successo. La cattiveria trionfa dappertutto e perciò nemmeno il castigo è più lontano. Come, e attraverso che cosa essa arriverà, lo sa solo la Divinità; tuttavia colpirà anche noi; noi, infatti, siamo tutti partecipi alla grande colpa”.

                 99.                  “Tu mi eviti, Curopol! Rispondi: che cosa è stato del nobile Numo?”.

              100.                Sommessa e commossa suona la risposta: “Lo hanno bruciato!”

              101.                Come morso da un serpente velenoso, il sutor si accende d’ira: “Bruciato, Numo, questo nobile, la cui bocca esprimeva solo verità, il cui cuore batteva per tutto ciò che è buono, l’amico dei poveri e degli oppressi? – Ucciso? O misera umanità, vergognosi sacerdoti che soffocano il meglio solo per servire se stessi! Questi seguono il vizio, praticano ogni cattiveria, deridono la Divinità! Maledizione a questi carnefici! Curopol, io non afferro ciò che dici: è proprio vero?”.

              102.                “È vero!”. Suona sommessa la voce.

              103.                Mandando un gemito, il sutor si getta sui cuscini della vettura e lacrime scorrono sulle sue guance. Dura a lungo prima che si riprenda. Poi si rivolge a Curopol e dice sottovoce:

              104.                “Adesso sento chiaramente la verità delle tue continue profezie sull’avvicinarsi della punizione. Con Numo è morto l’ultimo tentativo della Divinità di allontanare la rovina da Mallona. I popoli sono impantanati nei vizi, gli animi morti. Il bene è soffocato; il male trionfa. Su Mallona regna peste, putrefazione e morte! Nessun soffio di vento fresco scaccia il suo asfissiante respiro e noi, – noi precipitiamo altrettanto nella rovina. Periremo a causa di noi stessi. Siamo troppo deboli per succedere al cedente giorno. Dunque benvenuta notte! Coprici con i tuoi veli, annientaci, uccidici!

              105.                Le ultime parole del sutor diventano un sussurro. Curopol guarda con profondo dolore nel cuore del suo amico e signore.

              106.                La vettura nel frattempo ha raggiunto la costa del mare. Audaci costruzioni di ponti si lanciano da un’isola all’altra e portano ormai i viaggiatori verso la patria Sutona. L’immobile intrico di rocce forma una corona attorno alla costa di Nustra; sono comodi nascondigli per imbarcazioni che forse con la tempesta temono le onde del mare. Non si vede però alcuna vela, nessuna nave, poiché le alte arcate dei ponti collegano più facilmente e senza pericoli i continenti.

              107.                In quest’istante la vettura del sutor passa sopra un’arcata che, in gigantesco slancio, dall’ultima roccia di Nustra, dal mare si stende sopra verso Sutona; allorché dietro un blocco smembrato spunta fuori un’imbarcazione, nella quale siedono tre persone. Curopol la vede. Un movimento istintivo verso il sutor fa sì che costui sollevi lo sguardo. Anche lui scorge l’imbarcazione e si spaventa. Curopol indica l’imbarcazione che scompare dietro le rocce e, respirando faticosamente, la sua bocca manda fuori: “Muhareb, Upal! Con loro si avvicina la vendetta!”

 

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Cap. 15

La ribellione

                   1.                     Nelle descrizioni della veggente che in un certo qual modo riviveva nuovamente il passato, trasportando gli avvenimenti contemplati nel presente, dopo l’ultima immagine subentrò un arresto. Si vedeva chiaramente nella mimica della faccia che lei vedeva, sì, degli avvenimenti, ma taceva ostinatamente su di loro. Infine comunicò a tratti alcuni fatti, ma proibì di trascriverli finché lei stessa non lo avesse richiesto.

                   2.                     Dopo alcuni giorni, in cui nel frattempo continuarono frequenti tentativi, lei riferì quanto segue:

                   3.                     Adesso scrivete di nuovo ciò che ho visto. Sono terribili e incredibili gli avvenimenti di cui sono stata testimone. Se volessi descrivere tutti i particolari, nessuno mi crederebbe e ci si burlerebbe di me. Perciò dico solo a grandi linee quello che allora accadde.

                   4.                     Karmuno e la sua banda di sacerdoti aveva saputo diffondere eccellentemente la voce del ritorno di Muhareb. Egli era esaltato come figlio di Maban, avendo ereditato le caratteristiche del padre, e avrebbe potuto portare l’impero di nuovo al più alto periodo aureo. La speranza in tempi migliori trovò un’illuminazione tanto più buia, quando fu noto che Areval voleva sottrarsi ad ogni influenza del tempio, al quale proprio Maban aveva conferito una così alta importanza.

                   5.                     Le voci sorgenti che il legittimo sovrano Muhareb sarebbe ricomparso, all’inizio trovarono incredulità. Specialmente Rusar non voleva pensare a questa possibilità, nonostante Karmuno gli avesse dato personalmente comunicazione su questo fatto. Egli tuttavia conosceva troppo bene il sommo sacerdote. La sua intenzione apertamente espressa, di servirsi del nome di Mahareb per i suoi scopi, faceva sospettare che lui avrebbe istruito una persona che per Karmuno recitasse il ruolo del principe ritornato. Quando però un giorno Upal comparve davanti a Rusar e gli spiegò non solo la verità su Muhareb, ma anche le intenzioni di suo fratello Arvodo, allora l’ira soverchiò l’ingannato e giurò al re, come al suo generale, una terribile vendetta.

                   6.                     Egli fece pressione su Upal per indicargli il nascondiglio nel quale Muhareb si teneva ora nascosto. Upal lo fece, e all’improvviso Muhareb fu sorpreso da Rusar con un gran seguito che gli rendeva omaggio come legittimo re. Quando Rusar lo ebbe trovato nella piccola capanna al mare, osservando con stupore quell’uomo venerabile, gli domandò indugiante: “Sei tu Muhareb, figlio di Maban?”. Con la dignità dell’uomo cosciente del proprio valore, che si aspetta l’onore a lui dovuto, questi rispose semplicemente: “Io lo sono!”, mentre i suoi occhi si posavano penetranti su Rusar. E quando egli s’inchinò dinanzi a lui, per rendere omaggio al suo legittimo re e signore, Muhareb non lo impedì, ma accettò l’omaggio e in silenzio seguì il viceré. Appoggiò il braccio sulla spalla del suo giovane accompagnatore e, con lui e con Rusar, salì volentieri nella sfarzosa vettura che li portò nella capitale di Nustra.

                   7.                     Io ho visto Muhareb nello splendore regale, il prezioso diadema adornava la sua fronte, l’anello splendeva a un dito della sua mano destra. Una travolgente maestà usciva dalla sua persona e affascinava il popolo di Nustra, il quale gli rendeva omaggio entusiasta. Tutti gli onori gli furono tributati; egli dimorava nel palazzo di Rusar, ma rimaneva di poche parole e dai suoi occhi si poteva vedere quanto poco il suo cuore fosse toccato da tutto quello splendore.

                   8.                     Poi vidi Muhareb circondato da una grande moltitudine di popolo. I grandi di Nustra e gli inviati di Monna e Mallona erano adunati; Muhareb parlò a lungo e insistentemente davanti a questi, come un profeta che è pieno del suo mandato divino. Egli mise in guardia il popolo dalla sua avidità di piaceri e dalla sua effeminatezza. Dimostrò loro la caducità dello splendore terreno e la necessità di tendere agli imperituri beni spirituali. Spiegò di non essere venuto a predicare la disobbedienza verso suo fratello, bensì l’ubbidienza verso la Divinità e il Suo Ordine. Quest’Ordine tuttavia il popolo l’aveva già abbandonato da lungo tempo e lui, come figlio di re che ha deposto il potere terreno per conquistare quello spirituale, voleva mostrare le vie tramite le quali ognuno potesse giungere a quest’ultima meta della vita.

                   9.                     Il discorso fu d’imponente effetto. Il popolo era commosso e mancò poco che adorasse Muhareb come il visibile rappresentante della Divinità Schodufaleb. Muhareb tuttavia li esortò a rientrare in se stessi e a riflettere su ciò che aveva detto, respingendo con decisione ogni ulteriore onore.

                 10.                  Vidi anche Karmuno che, travestito e irriconoscibile, aveva ascoltato questo discorso. Nel Consiglio dei sacerdoti di Nustra, egli spiegò che il tempio dovesse ora utilizzare il movimento suscitato da Muhareb per legare il popolo al tempio ancora più saldamente che finora. A questo scopo sarebbe stato intanto necessario sostenere i discorsi di Muhareb. Egli doveva essere ascoltato, affinché poi si potesse agire come richiedeva l’interesse del tempio. Il giorno dopo, i sacerdoti predicarono il pentimento nel regno di Nustra e cercarono di indirizzare la pia fiducia degli abitanti verso il tempio principale di Mallona, dove avrebbe troneggiato visibilmente la Divinità.

                 11.                  A Mallona io ho visto re Areval e Arvodo. Entrambi erano irritati al massimo per gli omaggi di Rusar. Areval ordinò di trattare gli abitanti di Nustra come ribelli, qualora non gli avessero consegnato Muhareb. Gli abitanti di Nustra tuttavia neanche ci pensarono a dar seguito all’intimazione. Rusar si richiamò, nei confronti di suo fratello, al giuramento prestato al loro padre morente.

                 12.                  Arvodo non comprendeva perché Muhareb, quel giorno sulla sponda del mare, avesse rifiutato ciò che adesso con evidenza faceva volentieri in Nustra: mirare al dominio di Mallona! Se Muhareb diventava sovrano, allora cadeva Areval e con lui il generale. Egli perciò istigò Areval contro suo fratello, e ben presto l’esercito di Areval si armò per una spedizione bellica contro Nustra.

                 13.                  Muhareb rabbrividì quando udì della spedizione vendicativa. Egli certamente sapeva con quali mezzi spaventosi Areval avrebbe potuto diffondere morte e devastazioni, grazie al terribile esplosivo Nimah. Upal era pronto ad affidare a Muhareb il segreto del suo antenato accuratamente custodito, la produzione del Nimah, per debellare la violenza con la violenza. Muhareb però non voleva nessun spargimento di sangue. Aveva altri scopi che il potere. Egli diede a Upal gli ordini necessari e, un giorno, Muhareb scomparve. Il velivolo di Upal lo portò via di nascosto con il suo giovane accompagnatore.

                 14.                  L’astuto Karmuno si comportò del tutto indifferente. Approvò soltanto le disposizioni di Areval, pensando tra sé che con la campagna militare avrebbe tanto prima annientato il fratello a lui così scomodo e avrebbe avuto Areval in suo potere. Egli conosceva troppo bene i nervi sovreccitati del re ancor sempre interiormente malato, e sapeva di aver bisogno solo di una spinta favorevole, possibilmente in assenza di Arvodo, per dominarlo di nuovo completamente. Questo momento arrivò.

                 15.                  Le caverne di Wirdu negli ultimi tempi non avevano più dato i proventi come di solito. Areval aveva comunicato al generale e confidente Arvodo, le preoccupazioni dei funzionari, i quali consideravano questa forte flessione pericolosa per le casse dello Stato. Arvodo tranquillizzò il re e gli riferì delle scoperte di Upal, scoperte che lui stesso aveva visto. Da quel momento Areval si considerò come vincitore del demone Usglom, guardiano dei tesori, il cui odio contro la sua stirpe non aveva più bisogno di temere. Nonostante il terrore interiore, egli nutriva il desiderio di vedere gli incommensurabili tesori, e Arvodo glielo promise.

                 16.                  In verità Arvodo credeva di trovare dal mare l’insenatura solitaria, dalla quale un passaggio l’avrebbe condotto all’interno della Terra, anche senza ulteriore aiuto. Gli mancava tuttavia Upal con il suo velivolo come guida sicura. Perciò lo fece cercare, ma non lo trovò. Convocò i genitori, e quando questi, conformemente a verità, dichiararono di non saper nulla della dimora di Upal, fece gettare gli anziani in prigione. Adirato, promulgò che Upal, lo scopritore della pietra-aurea, ovunque lo si trovasse, fosse fatto prigioniero come disubbidiente.

                 17.                  Quest’ordine indignò i fedeli, cui apparteneva anche Upal, i quali finora avevano riconosciuto in Arvodo il loro fraterno superiore. Oltretutto Upal era considerato un favorito della Divinità, altrimenti non avrebbe mai trovato la pietra-aurea. Contro Arvodo sorse perciò un’atmosfera minacciosa, da cui ancora una volta Karmuno seppe trarne presto profitto. Egli fomentò il nascente odio, quando il generale lasciò la capitale per marciare contro Nustra.

                 18.                  Non lontano dalla sede del re, alle rive del lago, si trovava la splendida residenza di campagna di Areval, dove egli si rifugiava per godere piena tranquillità. Qui si sentiva sicuro, nessun intruso, infatti, si poteva avvicinare a questa tranquilla sede di riposo, pena la punizione del lavoro nelle caverne di Wirdu. Areval faceva piacevoli passeggiate con sua figlia Artaya nel solitario parco della residenza di campagna. Nessun servitore li accompagnava. Qui Areval si sentiva totalmente sicuro; il vasto parco, infatti, era circondato da un alto muro. Presso un limpido laghetto, circondato da alti e fitti cespugli, Areval oppure Artaya usavano a volte fare il bagno. Accanto al laghetto si trovava un grande prato, circondato da boschetti impenetrabili.

                 19.                  E quando i due volevano visitare il prato, restarono stupiti. Nel mezzo del campo stava la strana macchina volante di Upal e, quando essi si avvicinarono, si sentì un rumore nei cespugli. Uscì l’alta figura di Muhareb. Accanto a lui il suo giovane accompagnatore. I fratelli stavano uno di fronte all’altro: Areval pallido e col respiro ansimante, Muhareb in maestosa grandezza di spirito, gli occhi scuri malinconicamente rivolti al re.

                 20.                  “Sono venuto a metterti in guardia, fratello”. Risuonò energico dalle labbra di Muhareb. “Tu mi perseguiti, ma io non sono tuo nemico. Hai mandato il tuo generale contro i tuoi sudditi ribelli, o come credi che siano. Questi tuttavia non sono da punire. Si sbagliano coloro che a Nustra credono che io aspiri al trono. Il mio scopo è salvare le loro anime, come vorrei salvare la tua. Perciò desisti dallo spargimento di sangue, e chiama indietro Arvodo!

                 21.                  “Chiamare indietro Arvodo?!”, si schernì il re. “Raffinata e astuta pensata! Nel frattempo Rusar guadagna tempo per occupare tutti i passi montani. Gli abitanti di Nustra si fanno gioco del mio potere. Non mi fido di te che dimori nelle caverne di Wirdu, e con Usglom, il nemico mortale della stirpe di Furo[10], hai concluso un patto per rovinarmi!”

                 22.                  “Nulla mi è più lontano della tua rovina, fratello! Il passato l’ho perdonato e dimenticato. Il trono che tu adesso occupi, non lo desidero! Fedijah riposa nel regno di Usglom, i suoi tesori (di Usglom) la circondano; egli si è riconciliato con la stirpe di Furo. Lo spirito di Fedijah esige riconciliazione tra noi”.

                 23.                  Con la menzione di questo nome, Areval sobbalzò. I suoi occhi si dilatarono, il suo respiro si arrestò. Guardava intorno a sé come demente e bisbigliò frettoloso: “Che Fedijah riposi nel regno di Usglom, lo so da Arvodo. Lei esige riconciliazione – tu dici – da me?”.

                 24.                  Muraval, il giovane accompagnatore di Muhareb, guardava con compassione l’impaurito re. E come se questo sguardo avesse una forza magnetica, Areval si volse verso il giovane. Quando gli occhi dei due s’incontrarono, Areval mandò un urlo, barcollando indietro, e si appoggiò ad Artaya che gli stava più vicino.

                 25.                  “Muhareb, chi è questo giovane? Dal suo viso mi vengono incontro gli occhi di Fedijah. Così mi guardò lei quando mi respinse, così mi perseguita ancora oggi il suo sguardo nei miei sogni e da sveglio. Chi è costui con gli occhi di Fedijah?”.

                 26.                  Imperturbabile, grave e calmo Muhareb rispose:

                 27.                  “Il figlio tuo e di Fedijah! Io l’ho allevato, io lo porto al padre! Egli è l’erede di quest’impero, – tuo figlio!

                 28.                  Come se delle mazzate avessero colpito il re, così fu l’imponente effetto di queste parole. Areval crollò sotto il loro effetto; il suo senno malato non poté afferrare subito ciò che era stato detto. Vide di nuovo emergere i fantasmi una volta scacciati: essi stavano davanti a lui in palpabile violenza. Una folle paura lo colse. Violento, raccolse le sue forze e lanciò contro il fratello queste parole:

                 29.                  “Menti, mostro! Tu sei venuto solo per rovinarmi! Stai facendo con me una buffonata, un inganno che io annienterò. Arvodo, dammi la tua spada! Le forme che tu hai ucciso rivivono di nuovo. Io stesso le voglio uccidere!”

                 30.                  Areval aprì bruscamente la sua sopravveste, sotto la quale portava sempre nascosta una corta spada, la estrasse e scagliò l’arma contro il giovinetto che stava lì tranquillo. Colpì fin troppo bene. La punta della spada si conficcò profondamente nel petto di Muraval. Anche Artaya lanciò un urlo quando un fiume di sangue sgorgò dal petto del giovane, il quale crollando fu afferrato da Muhareb e Upal…

                 31.                  Areval fissò assente e irrigidito il morente, mentre le intense grida d’aiuto di Artaya echeggiavano nel parco. Da lontano risposero forti richiami. La vigilante servitù accorse per essere sul luogo in pochi istanti. Allora Muhareb e Upal afferrarono il corpo senza vita del giovane, lo portarono in fretta sul velivolo e lo adagiarono con cautela nella navicella.

                 32.                  Già si udivano i servitori irrompere attraverso i boschetti, accorsi in fretta alle grida d’aiuto di Artaya, quando il velivolo si alzò. E Muhareb, ritto in piedi, col volto che faceva paura, gli occhi pieni di dolore e collera rivolti al re, tuonò verso costui: “Maledizione a te, re Areval, e ai tuoi! L’ira del Padre universale ti strangoli, strangoli l’assassino del figlio!

                 33.                  Veloce il velivolo si alzò e scomparve. Areval si accasciò svenuto. –

 

* * *

                 34.                  Quando Rusar sentì che suo fratello si avvicinava con un esercito per punire lui e gli abitanti di Nustra a causa della ribellione, non rimase inattivo. Rapidamente furono occupati i passi montani che da Mallona conducevano a Nustra. Era impossibile scendere nelle pianure di Nustra, non prima che le poche vie percorribili e l’unica scorrevole, fossero nelle mani del nemico.

                 35.                  Rusar sapeva di quali terribili esplosivi era dotato l’esercito di Arvodo, e che egli poteva opporre efficace resistenza solo se fosse stato bloccato l’accesso dalle montagne. Dalle alture anche lui, per mezzo di macchine catapulte, poteva lanciare potenti ordigni esplosivi, sebbene questi non possedessero la forza distruttiva del Nimah. La produzione dello stesso era rimasta un segreto di Stato di Areval. Solo la forma più leggera era conosciuta e utilizzata generalmente come forza motrice per le macchine. Solo le alte personalità dello Stato ne conoscevano l’azione più potente, e l’effetto dirompente più terribile che Maban una volta aveva impiegato, rimaneva segreto.

                 36.                  Presto gli eserciti di Rusar e di Arvodo furono uno di fronte all’altro, ma nessuno riuscì a raggiungere il successo. Con efficacia furono difese le alture occupate per tempo, alle quali le truppe di Arvodo non osavano avvicinarsi. Dovevano essere impiegati altri mezzi per punire Nustra, ma le necessarie macchine non furono immediatamente disponibili. Dovevano prima essere fabbricate nelle officine di Stato, e così molto tempo inattivo trascorse, mentre nel frattempo nella capitale Mallona accadevano decisivi avvenimenti.

 

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Cap. 16

La vittoria di Karmuno

 

                   1.                     Areval era completamente crollato per il violento scossone dei suoi nervi: per la maledizione del fratello e per l’assassinio del suo stesso figlio, il quale era un frutto del suo criminoso attentato a Fedijah, un giorno rapita con violenza. Ora venne il momento in cui Karmuno lo dominò come prima completamente. Il sommo sacerdote aveva proibito ai servitori, sotto severissima pena, di dire una sola parola dell’accaduto nel parco. Solo Artaya conosceva quanto successo e lo aveva riferito a Karmuno. Costui seppe immediatamente renderle chiaro quanto fosse importante, nel suo stesso interesse, di tacere sulla faccenda, essendoci forse un erede al trono, la cui morte era incerta.

                   2.                     Ma dove si erano diretti Muhareb e Upal? Sapere questo era importante per il sommo sacerdote, come altrettanto importante era sapere se Muraval avesse ricevuto solo una ferita grave o fosse morto. Egli sospettava che il rifugio di Muhareb fosse sulla sponda del mare, e quest’opinione fu confermata quando Areval gli riferì la scoperta di Arvodo dei meravigliosi tesori nelle caverne di Wirdu.

                   3.                     Subito egli ordinò che un gran numero dei più fedeli servitori del tempio – i quali da lungo tempo avevano dimenticato di aver paura degli dèi, dei demoni e del Padre universale – si apprestassero a penetrare nelle caverne di Wirdu per fare una visita al rifugio di Muhareb. Sotto la sua guida essi giunsero dal mare al piccolo paradiso. Trovarono quella che una volta era stata la dimora del figlio del re, ma era vuota! Nulla rivelava che fosse stata abitata negli ultimi tempi. Fu trovato anche il passaggio all’interno della montagna, il luogo nel quale in passato era giaciuto il corpo pietrificato di Fedijah; ma anche questa grotta era vuota, non vi era più traccia delle preziosità naturali di un tempo.

                   4.                     Con sguardo cupo e pieno di presentimenti, Karmuno ordinò di penetrare più profondamente nelle caverne di Wirdu. Furono collocate innumerevoli fiaccole-manga che illuminavano a giorno le imponenti caverne. Le tracce ancora visibili nella sottile sabbia rivelarono chiaramente quale via era da imboccare; essa conduceva in tutti quei luoghi che un giorno Upal aveva mostrato ad Arvodo. Ma anche qui c’era il vuoto. La preziosa pietra-aurea, il bianco Rod era scomparso; brulla roccia, masse spaccate che si ergevano ovunque, ma non accennavano ai tesori del demone Usglom.

                   5.                     Karmuno trovò anche il posto dove era stato il velivolo di Upal. Egli guardò in su, nel gigantesco camino, il quale si poteva raggiungere solo per mezzo di una tale macchina e si dovette convincere che i tesori che si trovavano là in alto, per il momento, restavano irraggiungibili anche per lui. Col cuore infuriato, dovette ritornarsene con i suoi senza aver concluso nulla. Maledisse l’astuto Upal che, come sicuramente presumeva, lo aveva preceduto. Karmuno fu costretto a contenere la sua ira; contro questi fatti non serviva altro che pazientare.

                   6.                     Areval s’infuriò quando Karmuno gli comunicò che non erano state trovate le minime tracce né di Muhareb né dei tesori. Nel suo cervello malato covava un pensiero che cominciò a dominarlo sempre di più, finché alla fine si raccolse in un ordine terribile.

                   7.                     Posseduto dalla credenza che suo fratello complottasse col demone Usglom la sua rovina, e che Usglom avrebbe interrato i tesori alle più grandi profondità dimorando con Muhareb all’interno della montagna, per rovinare lui e la sua casa, in terribile furore un giorno gridò: “Li voglio affogare entrambi, perché sono io il dominatore di Mallona! A me appartiene tutto questo mondo! Io sono signore del mondo superiore come del mondo inferiore. Usglom, tu, antico nemico della mia stirpe, io ti annienterò!

                   8.                     Egli ordinò: si doveva far saltare in aria le rocce col Nimah e far entrare il mare nelle caverne di Wirdu. In tal modo voleva vincere Usglom e Muhareb, il nemico secolare e il nemico del trono.

                   9.                     Karmuno tentò invano di distoglierlo da questo proposito, ma la folle idea era più forte. Alla fine Karmuno cedette, poiché credeva che quest’impresa non avrebbe avuto gravi conseguenze, oltre al fatto che le caverne si sarebbero riempite d’acqua. In segreto tuttavia sperava che il re, con la presunta vittoria su Usglom, avrebbe finalmente trovato la sua rovina.

                 10.                  Artaya soffriva molto sotto la tirannia di suo padre. Solo lei e Karmuno il re tollerava intorno a sé, sicché a causa di questa situazione, la donna spontaneamente si legava sempre più al sommo sacerdote, il quale sapeva compiangerla e le dava consigli su come affrontare, nel miglior dei modi, gli attacchi del re. Inoltre sapeva presentare Arvodo come un uomo che voleva regnare solo lui attraverso di lei, il quale le avrebbe strappato di mano lo scettro e non ci avrebbe neanche pensato di lasciarla partecipare al potere.

                 11.                  Tutti questi furtivi suggerimenti la fecero riflettere molto, se non fosse meglio diventare la moglie del sommo sacerdote, di cui lei conosceva molto bene potere e influenza. Karmuno, abile in tutti gli artifici, ossequiava la bellezza di Artaya. E poiché si avvicinava la festa della bellezza, in cui era festeggiata per un lungo tempo la fanciulla più bella come dea visibile della bellezza, egli lasciò intuire che Artaya nel suo regno sacerdotale forse avrebbe potuto ottenere la vittoria. La vanitosa creatura fu inebriata dal pensiero di poter ottenere questo premio, premio che in Mallona era considerato il massimo onore cui una donna potesse essere elevata.

                 12.                  Karmuno era ora sicuro della sua preda. Gli fu facile guadagnare il re malato. Arvodo era trattenuto al piè dei monti dal suo esercito, nessuna notizia gli giungeva dell’accaduto. Il giorno della grande festa della dea della bellezza, fu aggiudicato l’ambito premio ad Artaya. Karmuno ottenne la mano della principessa. Il tempio trionfò.

                 13.                  Lontano, sulla sponda del mare, risuonavano poderosi colpi per la posa delle mine, il cui brillamento doveva procurare al mare un accesso nelle caverne di Wirdu…

 

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Cap. 17

Sutona

 

La medium terminò il racconto di quanto aveva visto e spiegò di non poter più riferire altre immagini. Tuttavia, quando si mise l’anello sulla fronte nel modo consueto, pure le rappresentazioni cominciarono di nuovo come se lei fosse personalmente presente agli avvenimenti.

.....................

                   1.                     La forza che mi dà la possibilità di vedere quanto succede a Mallona, mi attira verso il sud del pianeta, dove si trova il grande regno di Sutona. Sorvolo il mare da Nustra e giungo alle audaci strade artistiche: un portentoso ponte, i cui archi si lanciano da isola a isola, finché non si raggiunge la terraferma di Sutona. In parte ho conosciuto questa strada quando ho accompagnato il sutor nel suo viaggio.

                   2.                     Ora emerge il continente di Sutona. Una vasta superficie di spiaggia deserta, poi segue una regione disabitata, per metà brulla, per metà steppa. Il terreno diventa collinare. Riconosco differenti località. Adesso noto un vasto fiume che scorre tranquillo e spinge le sue acque al mare. Una grande città si trova su questo fiume. Qui mi sorprende una vista insolita. Vedo delle imbarcazioni. Gli abitanti di Sutona utilizzano il fiume come via per grossi carichi, sul vasto e profondo fiume spingono anche zattere. Nel sud riconosco imponenti cime tondeggianti, una strada carrozzabile si eleva fin là. Seguo la stessa e presto mi circonda un paesaggio montano che diventa sempre più imponente. I monti salgono ad un’altezza gigantesca, le cime sono abbracciate da veli di nuvole. Il calore quasi insopportabile della steppa è sempre più attenuato da un fresco vento del sud che cala dalle sterminate montagne meridionali.

                   3.                     Le possenti masse montuose si avvicinano sempre più. La strada passa attraverso una vasta valle. Alla mia destra scorre veloce il fiume sul quale scivolano le imbarcazioni guidate da esperti abitanti di Sutona. Adesso si avvicina la capitale, disposta in una conca valliva. Monti giganteschi coperti di neve e ghiaccio formano lo sfondo di un mondo alpino, come non è possibile vederne sulla Terra e contro i quali i monti coperti di neve delle catene montuose di confine tra Mallona e Nustra, sono un nulla.

                   4.                     Contrariamente al raffinato modo di vita degli altri continenti, vedo gli edifici della capitale in semplice costruzione. Senza dubbi si può riconoscere che i suoi abitanti danno più importanza alle necessità pratiche della vita che ai piaceri e al ben vivere.

                   5.                     Sono attirata sempre più all’interno del paese. La capitale è dietro di me. Il fiume ora scroscia impetuoso sui blocchi di roccia e si perde lateralmente in una valle, mentre io seguo la carrozzabile che diventa sempre più stretta. Disordinati gruppi di rocce ricoprono spesso la strada; cascate d’acqua precipitano ora a destra ora a sinistra da notevoli altezze. L’intera regione è disabitata, nessun essere vivente turba la maestà di questa solenne natura.

                   6.                     Adesso la valle si apre. Improvvisamente si erge un alto cono montuoso, circondato da insuperabili montagne gigantesche e sopra questo monte, nella chiara luce del Sole, risplende un castello imponente, come costruito da mani ciclopiche, che guarda in giù minaccioso nel vasto paese. Questo è il castello di Ksontu. Qui ritroverò il sutor e verrò a sapere che cosa ne è stato di Muhareb.

                   7.                     In un alto, ampio salone con grandi aperture per le finestre, vedo il sutor seduto ad un tavolo coperto di fogli. Curopol, il sommo sacerdote e confidente, sta accanto a lui e porge degli scritti che egli firma e restituisce. Adesso questo lavoro è terminato e il sutor domanda:

                   8.                     “Quali notizie ha portato il messaggero da Mallona?”.

                   9.                     “Signore, Karmuno ha vinto. È erede al trono. Artaya diventerà sua moglie. Egli ha disposto, nel nome del tempio, che si cerchi con zelo Muhareb, e ha messo una ricompensa per colui che porterà notizie certe!”

                 10.                  “Come stanno le cose con Muhareb?”.

                 11.                  “Come sempre, signore, vedete voi stesso!”

                 12.                  Curupol mostra una porta chiusa, va verso la stessa e scosta il tappeto un po’ di lato. Il sutor segue e vi guarda attraverso.

                 13.                  Egli vede Muhareb stare presso un’alta finestra ad arco, dalla quale lo sguardo può spaziare liberamente nella valle e sullo splendido paesaggio montano. La stanza non è molto grande, ma alta e arieggiata. Immobile sta la venerabile figura del vegliardo. Gli occhi sono rivolti alle nuvole e scintillano nello splendore del rapimento mistico, le mani sono saldamente strette sul petto. Nessun dubbio, Muhareb nel suo spirito non è nel castello di Ksontu, egli vive nelle lontane regioni della libertà ultraterrena, dove il corpo ancora non può seguire.

                 14.                  Dopo che i due hanno osservato con serietà e compassione il vegliardo immobile, il sutor si volge via. Curopol lascia cadere il pesante tappeto e dice con tono attenuato:

                 15.                  “Sta a lungo così giorno e notte alla finestra, da quando Upal portò qui lui e il giovinetto morto. Solo qualche volta scende alla cripta in cui riposano i corpi di Fedijah e di Muraval. Non parla, mangia e beve solo l’indispensabile e tuttavia, il suo spirito non è morto. Egli vive in regioni migliori, e là vivrà eternamente quando qui infurierà la vendetta”.

                 16.                  “Dov’è Upal?”.

                 17.                  “Ha intrapreso l’ultimo volo a Mallona. Ci porterà notizie da lì. È possibile che lo vedremo oggi stesso. Temo che ci porterà brutte notizie”.

                 18.                  “Perché temi questo?”.

                 19.                  “Perché credo sicuramente che Karmuno abbia fatto ispezionare già da qualche tempo le caverne di Wirdu per cercare Muhareb; credo che gli siano noti i segreti di Upal e avrà scoperto che lui si è preso in tempo i tesori di Wirdu. Dove deve essere fuggito Muhareb, dove deve averlo portato Upal. Se Karmuno non riceve notizia attraverso i sacerdoti di Nustra e Monna, allora saprà che i fuggiaschi sono da cercare solo in Sutona. È impossibile che il velivolo possa nascondersi a lungo nei cieli dell’impero senza essere visto.

                 20.                  Karmuno sa che Upal oserà tutto. Non ci vorrà molto che altri velivoli attraversino l’aria. Per vincere la resistenza degli abitanti di Nustra, Arvodo aveva preteso la rapida costruzione di velivoli, affinché questi, facendo cadere il Nimah dall’alto, uccidessero i difensori dei passi. Come Upal, si troveranno altri temerari. Stimolati dall’alta ricompensa, questi faranno ciò che ordina Karmuno. Siamo anche qui sicuri dal tradimento?”.

                 21.                  “Qui, nell’antico castello di Ksontu, non vive nessun traditore. Io apprezzo la prudenza di Upal, il quale sa prendere le vie su cui nessuno vede il temerario”.

                 22.                  “Il Padre universale conceda che rimanga sempre così!”, risponde Curopol che prende le carte firmate, saluta e si allontana.

                 23.                  Si è fatta notte. Chi è stato in alta montagna sulla nostra Terra, sa quale magico fascino si stende su una montagna nelle calde notti d’estate che splendono nel bagliore della Luna. Nebbie bianche e delicate salgono dai precipizi in figure fantasmagoriche, somigliando a cortei di spiriti che si arrampicano alle altezze e scompaiono nell’etere buio. Il silenzio dell’Universo si diffonde sulla natura sonnecchiante; regna un profondo silenzio sui monti. La luce incerta della Luna non permette di riconoscere i particolari e inganna con certe comparse il viandante che percorre solitarie vie le quali, guardate più da vicino, spesso cadono nel nulla. Così è anche qui.

                 24.                  Alle spalle del castello spunta il disco pienamente illuminato di una luna. Una seconda luna piena sta un po’ più in alto. La falce della terza luna sta in occidente. Adesso vedo come dal disco lunare più alto passa una figura simile ad una T latina. Così deve apparire il velivolo di Upal a grande distanza. Sulla torre del castello la sentinella si muove. Anch’essa ha notato l’apparizione e lo comunica al fedele servitore del sutor.

                 25.                  Vedo che sulla vasta piattaforma del castello sono fatti dei preparativi. Si accendono fiaccole-manga. Adesso dall’alto lampeggia un raggio di luce, poi ancora un altro. È un segnale che dà Upal. Trascorre un lungo tempo d’attesa, ecco che nell’aria si sente un frusciare, prima lieve poi sempre più forte. Il velivolo si abbassa lentamente e presto, silenzioso e immobile, sta sulla piattaforma.

                 26.                  Dalla cabina scendono Upal e due uomini avvolti in mantelli. Curopol si è presentato e saluta Upal. Questi indica i suoi accompagnatori, e presto i quattro si recano all’interno del castello. In una sala chiaramente illuminata il sutor riposa su un divano. Svelto Curopol entra con Upal. Il sutor si alza di scatto, agitato, e lo saluta. “Signore”, gli indirizza la parola Upal. “Porto con me altri due uomini il cui volto voi sicuramente non immaginavate di vedere. Ecco, essi sono qui!”

                 27.                  Curopol introduce gli uomini. Quando questi sollevano le teste abbassate e la chiara luce illumina i loro volti, il sutor si stupisce: davanti a lui, infatti, stanno Arvodo e Rusar!

                 28.                  “Signore, noi siamo profughi, siamo perduti se tu non ci proteggerai”, dice con voce agitata il generale.

                 29.                  “Com’è possibile?”, domanda il sutor meravigliato. “Siete qui entrambi, i fratelli di sentimento ostili? Che cosa è successo; che cosa ha fatto Areval?”.

                 30.                  “Nulla!”, risponde sinistro Rusar. “Ma tanto più Karmuno! Noi siamo vittime della sua astuzia!”

                 31.                  “Raccontate che cosa è successo!”, esclama il sutor.

                 32.                  “Dobbiamo essere noi i messaggeri della propria vergogna? Lascia parlare Upal, egli sa come si sono svolti i fatti”, si difende Arvodo.

                 33.                  Ad un cenno del viceré, riferisce ora Upal:

                 34.                  “Signore, il generale mi aveva cercato, facendo imprigionare i miei vecchi genitori, quando non poterono dichiarare dove io fossi. Quando tuttavia Arvodo partì contro Rusar, li fece liberare. Io lo seppi e perciò mi misi in marcia verso Mallona per portali al sicuro. Travestito, giunsi nella capitale che gozzovigliava nello sfarzo della grande festa del sacrificio. Per me fu una festa di morti: trovai il mio vecchio genitore morto, la madre morente.

                 35.                  Non potevo essere in lutto, piuttosto dovevo rallegrarmi che il Padre universale li avesse presi sotto la Sua protezione, poiché per questo le mie forze non ce l’avrebbero fatta. Lei morì nel giorno della festa del sacrificio, e già nello stesso giorno fu sepolta. Non potevo indugiare, le spie di Karmuno, infatti, stavano in agguato per arrestarmi, nel caso mi avessero scoperto. Perciò dovetti lasciare alle mani di buoni amici gli ultimi servizi d’amore.

                 36.                  Il giorno della festa del sacrificio, Artaya fu eletta regina della bellezza. Karmuno la incoronò e quello stesso giorno lei divenne sua moglie. Areval confermò Karmuno come l’erede del suo impero e fece richiedere al generale il suo anello che gli concedeva lo stesso potere del re. Karmuno, con astuzia, aveva fatto diffondere ovunque in Nustra che gli abitanti sarebbero stati perdonati se si fossero sottomessi volontariamente il giorno della festa. Il popolo, rallegrato di sfuggire agli orrori di una guerra, fu con ciò guadagnato, e nell’esercito di Rusar scemò il coraggio di combattere. Quando Karmuno fu re ereditario, l’esercito di Arvodo fu richiamato. Agli abitanti di Nustra fu concesso il perdono e Rusar deposto dal suo incarico di viceré, perché, per primo, egli aveva estratto la spada contro Areval, piegandosi a Muhareb.

                 37.                  Arvodo si oppose con ira all’ordine del rimpatrio; egli, infatti, voleva contendere la corona all’astuto sommo sacerdote. L’ubbidienza dell’esercito però gli fu rifiutata, e così Arvodo divenne un generale senza truppe. Entrambi i fratelli dovettero fuggire, entrambi messi al bando dall’astuzia di Karmuno. I fratelli s’incontrarono sulla cima della montagna. Essi potevano vedere come le truppe, che prima comandavano, si affratellavano e andavano a Mallona per rendere omaggio al nuovo re ereditario. La guerra era finita prima ancora che cominciasse.

                 38.                  In Mallona è successo anche qualcosa di strano. Areval – nell’illusione che Muhareb vivesse ancora nelle caverne di Wirdu – ha fatto saltare in aria un affluente per mettere le caverne sott’acqua. Doveva essere celebrata una grande festa che significasse la vittoria della stirpe di Furo sul mortale nemico Usglom”.

                 39.                  Spaventato, Curopol domanda: “L’ha fatto?”.

                 40.                  “L’ha fatto! La roccia è dura, ma deve cedere al Nimah. Là dove una volta viveva Muhareb e le gallerie vanno nelle profondità, si è sfondato uno stretto canale e dato accesso all’acqua”.

                 41.                  “Questi pazzi!”, mormora Curopol. “E le conseguenze di tale agire?”.

                 42.                  “Dapprima esse erano solo insignificanti. Areval era soddisfatto che un piccolo fiume si riversasse dal mare nel regno di Usglom, e ha festeggiato la vittoria con una festa come mai se n’erano viste prima. Si dice che da quel giorno lo spirito di Areval si sarebbe ottenebrato a tal punto che non sarebbe stato più visto. Karmuno è al potere da solo sull’impero. Un re sacerdote è adesso sovrano. Possa essere solo a vantaggio di Mallona!

                 43.                  “Quando è stata la festa?”, chiede il sutor.

                 44.                  “Pochi giorni fa!”

                 45.                  “Solo da così poco tempo! Anche l’esplosione è avvenuta nello stesso giorno?”.

                 46.                  “No, signore, era il giorno precedente, ma io temo che avrà ancora brutte conseguenze”.

                 47.                  “Perché dici questo?”.

                 48.                  “Ancora una volta volevo visitare le caverne per andare a prendere le ultime cose preziose dalla ciminiera del vulcano. Non riuscii però a penetrarvi. Quando volli avvicinarmi alla montagna, vapore e gas velenosi scaturivano dal fumaiolo. Entrarci era impossibile. Ho anche notato che l’intera regione dei crateri era attiva in modo più violento che finora. L’afflusso delle acque che ha creato l’esplosione, si è allargato e, dal monte stesso, là dove penetra l’acqua del mare, fuoriesce vapore cocente. Io ho sentito. L’ho sentito sibilare profondamente all’interno della montagna.

                 49.                  Usglom non si arrende così presto! Perciò sfuggii quella regione che avevo cercato con cura, dove raccogliere una sostanza di cui ho ancora bisogno per la produrre del Nimah. E poiché sapevo di poterla trovare anche sulla sponda presso la montagna di confine, corsi là con il velivolo. Un caso fortunato che vi abbia trovato i fratelli. Li raccolsi, e venni qua a Sutona con loro”.

                 50.                  “Cercate rifugio?”, si rivolge il sutor ai fratelli, interrogandoli.

                 51.                  “È così! Ce lo concedi?”.

                 52.                  “Certamente, però capite voi stessi che la mia protezione è molto limitata. Non potete rimanere qui apertamente. Posso però nascondervi, e nel castello di Ksontu sarete al sicuro!

                 53.                  “Non lo sarete, se la mano del Padre universale non vi proteggerà!”, risuona una voce penetrante dall’ingresso della stanza. Tutti guardano là stupiti e vedono Muhareb stare alla porta. La sua alta figura è piegata, il suo passo, come se portasse un grave peso. Upal corre verso di lui per sostenerlo, ed egli accetta grato e sorridente il suo aiuto. Si ferma davanti ad Arvodo, guarda seriamente in faccia il generale e dice in tono pieno di rimprovero:

                 54.                  “Dove ti ha condotto l’ambizione? Hai costruito sulle tue forze! Hai confidato nelle promesse! Non sapevi che la passione non è la base sulla quale il saggio costruisce? Dov’è rimasta l’onestà, la forza della parola, l’adempimento del dovere, la compassione, la fiducia e la fede nel Padre di ogni essere? – Spento, ammutolito è il sentimento nel petto per il bene, la verità e l’onestà. Chi inganna, costui vince solo finché l’inganno distrugge anche il vincitore. Tu l’hai sperimentato e ne sei stato distrutto, come il nostro intero popolo ne sarà distrutto. L’ora della ricompensa si avvicina, essa è già qui!

                 55.                  In quest’istante risuona un inquietante tuono lontano che riecheggia profondo e incessante. Un leggero tremito che ognuno percepisce chiaramente, attraversa il suolo. Il rimbombo scompare e i presenti si guardano spaventati. Solo Muhareb rimane indifferente, all’improvviso si leva dritto ed esclama con occhi luccicanti:

                 56.                  “Padre universale, chiamami Tu! Non voglio più vedere l’ultima miseria. Le generazioni qui sono depravate, esse vanno in rovina, non erano più degne del Tuo Amore. Tu hai cercato di scuoterle, ma esse dormivano. Tu le punisti con un sovrano, come lo meritavano, ma non sentirono il flagello e rimasero indolenti. Tu le asservisti tramite coloro che si chiamano ‘Tuoi sacerdoti’ ed ecco, l’oscurità che questi diffondono tutt’intorno, fa loro bene. Esse non vogliono la Luce e si sforzano di soffocarla. Ora la pazienza è esaurita, la punizione si avvicina e ad altri sarà dato ciò che Tu volevi spargere qui in ricca pienezza. – Anche il Tuo servo è diventato debole, l’ultimo uomo puro, infatti, Muraval, che io ho allevato per il Tuo servizio, è morto. Nulla ormai trattiene la Tua Ira. Oh, accoglimi, non farmi vedere l’ultima cosa spaventosa”.

                 57.                  La voce di Muhareb s’irrigidisce in un leggero sussurro. Il suo volto splende come in una luce ultraterrena. Gli occhi rivolti verso l’alto, sembra come se questi vedessero un altro, meraviglioso mondo. Così rimane immobile, ritto per un breve tempo senza parole. All’improvviso fa un profondo respiro, i suoi tratti si rilassano, il suo corpo crolla. Upal lo afferra e lo lascia scivolare dolcemente a terra. I presenti si avvicinano. – Muhareb è morto!

 

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Cap. 18

La fine di Mallona

                   1.                     Vedo la capitale Mallona. Posso osservare un’immensa agitazione del popolo. L’intero orizzonte sud occidentale è occupato da dense nuvole di fumo, dalle quali lampeggia profondamente rosso infuocato. Si sente un persistente leggero tremito del suolo, un cupo, sotterraneo fragore, al quale spesso seguono colpi più forti. Diversi alti edifici sono crollati.

                   2.                     Una grande moltitudine di uomini sta intorno al palazzo reale di Areval e manda maledizioni contro il re che ha sfidato il demone Usglom e non l’ha affogato come lui credeva. Gli altari del sacrificio delle divinità s’infiammano di offerte per implorare aiuto dai buoni dèi protettori. Inutilmente, l’imperversare nella regione dei crateri diventa sempre peggiore, i terremoti si susseguono sempre più rapidi. Vedo Artaya e Karmuno. Lei vuole fuggire dalla catastrofe, ma Karmuno non lo permette. Come rappresentante della Divinità, deve rimanere nel tempio, oppure il popolo si ribellerà totalmente. Adesso lei è la Divinità personificata. Se fugge, significa che la Divinità si è allontanata dal tempio principale. Artaya si difende, ordina, vuole la sua libertà. Karmuno, questo demone in sembianze umane, la deride pieno di scherno e la rinchiude forzatamente nel tempio della bellezza. Ordina a due servitori di colpirla a morte al minimo tentativo di fuga; Artaya deve mostrarsi al popolo come dea ogni giorno, lei però trema per la sua vita.

                   3.                     Karmuno tiene consiglio con i suoi sacerdoti. È deciso che Arvodo, Rusar e Muhareb con Upal debbano essere assolutamente catturati. Karmuno vuole elevare Nustra a residenza del re, la vicinanza del cratere gli rende adesso impossibile la sede in Mallona. Egli non dubita che lì il fenomeno naturale si acquieterà, ma non si sente più sicuro nelle sue vicinanze. Il nuovo trono imperiale, che presto gli spetterà, se lo vuol poi godere con calma, insieme con i suoi. La sua intenzione trova consenso unanime.

                   4.                     Qui accade qualcosa di spaventoso. All’improvviso trema l’intera regione. Con terribile fragore nella regione dei crateri si sprigiona verso l’alto un flusso di fuoco; uno spaventoso terremoto scuote la capitale. La maggior parte delle case, anche il tempio della bellezza, crolla. Esso seppellisce sotto le sue macerie Artaya, la schiera dei sacerdoti e una quantità di abitanti che si erano rifugiati lì. Terrore e terribile sgomento pervadono i sopravvissuti. Tutti fuggono a casaccio, l’unica preoccupazione è di salvar la vita. Karmuno e Areval abbandonano la fortezza imperiale con pochi fedeli. Riescono a raggiungere una delle vetture veloci e, a folle velocità, fuggono verso Nustra. Non appena hanno abbandonato la città, con un nuovo scossone la fortezza imperiale precipita su se stessa.

                   5.                     Vedo il continente Nustra, là non si avverte nulla della fatale catastrofe. Karmuno giunge a Nustra con Areval. Là sono arrivate nuove notizie spaventose. Messaggeri e fuggiaschi giungono da Monna. I crateri quasi spenti di Monna sulla costa del mare hanno cominciato di nuovo ad imperversare e, all’improvviso, l’intera costa si è inabissata.

                   6.                     Un immenso flusso ha inondato il paese in furia scrosciante, raggiungendo la capitale e mettendola sott’acqua. Il monnor è perito nei flutti che precipitavano da quella parte a velocità pazzesca; la stessa sorte ha subito quasi tutta la popolazione della parte meridionale. Solo la cima meridionale più elevata di Monna è rimasta inviolata. Areval ascolta queste notizie con l’espressione fissa dell’idiota. Poi comprende e ancora una volta, in questo spirito rovinato, raccoglie l’ultima energia:

                   7.                     “Voglio vedere se sono io o no, il vincitore!”, urla. “Dai monti di Sutona voglio vedere la vittoria della mia stirpe. Tu, Karmuno, mi accompagnerai”. Quest’ordine giunge molto opportuno al sommo sacerdote; anch’egli, infatti, ritiene che la montagna di Sutona potrebbe essere il luogo di rifugio più sicuro.

                   8.                     Vedo Upal nel suo velivolo librarsi attraverso l’aria. Egli è in cerca di notizie per abbracciare con lo sguardo ciò che accade nei Paesi. Dall’alto, questo gli è facile. Anche lui è deciso a difendere o a distruggere il ponte che conduce a Nustra, in caso di pericolo.

                   9.                     L’onda dell’alta marea che ha sommerso Monna ha colpito anche la costa settentrionale di Sutona, ma non l’ha danneggiata. Le basse zone costiere disabitate sono state sì inondate, ma il territorio ascensionale ha ostacolato immediatamente i flussi.

                 10.                  Nel cuore di Upal arde la vendetta. Egli vede chiaramente davanti a sé il crollo del popolo. Le ultime parole di Muhareb hanno acceso in lui una specie di gioia di morire; sa che la sua vita è alla fine. Tuttavia, non vuole finirla senza essersi vendicato di coloro cui attribuisce la colpa di tutta quella disperazione.

                 11.                  Perciò sorveglia la strada d’accesso di Nustra e vede la sua previdenza ricompensata. Riconosce la vettura regale che si avvicina veloce, e suppone che in essa ci sia Areval in fuga. Veloce come un uccello rapace, il velivolo si lancia dall’alto. Nella vettura questo è stato subito notato. Il veicolo si ferma, a notevole distanza si avvicinano altre vetture al seguito del re. Upal indovina l’intenzione di Areval: vuole distruggerlo possibilmente con il loro aiuto. Dirige la sua navicella incontro alle vetture che, ancora molto lontane, stanno avvicinandosi, e da un’altezza sicura lancia un oggetto luccicante nel mezzo del ponte.

                 12.                  Risuona una terribile esplosione. Il ponte vacilla, un arco è saltato e sprofonda nei flutti agitati del mare. La vettura di Areval è ora separata dai suoi soccorritori. Upal spinge il suo velivolo alla massima velocità. Veloce come una saetta, la vettura regale corre verso la terraferma, ma Upal la supera. Di nuovo lancia un ordigno esplosivo che colpisce il ponte. Ancora una terribile esplosione, e la continuazione del viaggio è interrotta.

                 13.                  La vettura è costretta a fermarsi. Adesso il velivolo si avvicina. Volteggia fuori dal ponte e Upal vede i volti stravolti di Areval e di Karmuno guardar fuori dal mezzo.

                 14.                   “Abbandonate la vettura”, ordina ai due, “oppure vi sfracello!”

                 15.                  Il re e il sommo sacerdote ubbidiscono. “Tu torna indietro fin dove puoi!”, ordina al conduttore. Tremando, quest’ultimo ubbidisce. Upal ora dirige il suo velivolo sul ponte e a breve distanza sta davanti agli ex più potenti di Mallona.

                 16.                  Upal tiene d’occhio i suoi nemici. Afferra dal fondo della navicella una specie di laccio e lo getta su Karmuno. Prima che costui si possa sottrarre al cappio, con un veloce movimento, questo già scivola attorno al suo corpo. Un colpo secco, e Karmuno crolla saldamente legato. Adesso Upal salta giù dal suo velivolo, si precipita su Areval che sta lì impietrito e lo afferra con possente forza. Lo solleva in alto e, gridandogli: “Tu affoghi Usglom, io affogo te!” scaraventa il re oltre il bordo del ponte nei flutti del mare.

                 17.                  Con furibonda collera si dirige ora da Karmuno, lo lega ancora più saldamente con corde, e grida sogghignando: “Con te non deve andare così in fretta. Troppo calda fu sempre la tua ingordigia. Voglio perciò provvedere al tuo raffreddamento!”. Porta il prigioniero nel velivolo e s’innalza nell’aria con lui, a Sutona.

                 18.                  Anch’io adesso mi libro in alto nell’etere e con lo sguardo abbraccio i vasti paesi. Mallona è un deserto. Sibila, rumoreggia, rimbomba e scricchiola in quelle regioni dove un tempo era cercato il Rod e la pietra-aurea. Montagne sono precipitate e il mare si riversa liberamente nelle terribili voragini di fuoco che già ho descritto quando misi il piede per la prima volta su Mallona. Una spaventosa lotta degli elementi si è scatenata. Soffocanti vapori si sprigionano e, con un ululato tempestoso e a folle velocità, esalazioni scatenate passano sul suolo terrestre. Con alito velenoso esse uccidono ogni cosa vivente. Anche a Monna infuriano gli elementi scatenati. Sembra che esista una relazione tra le regioni dei crateri. All’interno del globo terrestre spinge e pressa. La solida crosta del pianeta tiene ancora, nonostante l’immensa sollecitazione dei vapori sviluppatosi.

                 19.                  L’atmosfera diventa sempre più buia, sempre più impregnata di veleni. Adesso, da entrambi i focolari si accumula un’immensa massa di vapore; essa si estende e ricopre il continente Nustra. Le masse di vapore s’incontrano, confluiscono e si precipitano adesso su Nustra. Batte l’ora di Sutona.

                 20.                  Ancora una volta il mio sguardo penetra la fortezza di Ksontu. In muto sgomento vedo stare il sutor, Curopol, i due fratelli e i servitori sulla torre della fortezza, e guardano verso nord. Là, all’orizzonte, s’innalza un’oscura muraglia di nuvole che lentamente si avvicina aumentando. Ecco che sibila nell’aria: il velivolo di Upal passa sopra la fortezza, vola verso il più vicino ghiacciaio. Sale sempre più in alto, incontro ai nevai.

                 21.                  Giunto lassù, Upal prende il sommo sacerdote legato nelle sue braccia come un fanciullo, lo adagia sulla neve e dice pieno di collera: “Adesso rinfrescati, o potente! Chiama i tuoi dèi, chiama i tuoi sacerdoti! Niente ti potrà più salvare!”

                 22.                  Ritorna al velivolo e lo fa volteggiare in basso. Karmuno non ha emesso un grido. Invano cerca di liberarsi dai legacci. Poi diventa quieto e si prepara a morire.

                 23.                  La scura nuvola si avvicina sempre di più. Una terribile afa e ardenti vapori la precedono. Ecco all’improvviso un sibilare e uno scrosciare. Un uragano si scatena con soffio velenoso e uccide all’istante tutto ciò che vive. Alto nell’aria, il velivolo di Upal è scaraventato qua e là come una piuma, le sue parti sono fatte a pezzi.

                 24.                  Su Mallona non esiste più nessuna vita.

 

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Cap. 19

L’ultima visione

                   1.                     Fluttuo nello spazio, lontana da Mallona. Il pianeta è circondato da vapori, tanto che non si può vedere nulla della sua superficie. Ecco all’improvviso un saettare. Fiamme spuntano dai vapori e vedo come il globo terrestre esplode in mille pezzi. Le lune che lo circondavano perdono la loro orbita e vagano in giro nello spazio assieme alle macerie del pianeta. I resti dell’immenso corpo celeste sfrecciano da tutte le parti, simili a stelle cadenti. Alcune parti cadono anche su altri pianeti del nostro sistema solare, e potranno così raccontare di quella terribile tragedia avvenuta nello spazio.

                   2.                     Adesso vedo scendere giù una figura splendente, come sorta dal nucleo di Mallona. Essa si libra verso il Sole. Un radioso diadema a raggi formato da sette stelle gli adorna il capo, la mano tiene una palma della pace, infinita bontà e mitezza rivelano il volto. La figura mi fa un cenno e dice:

                   3.                     “Comunica ciò che hai visto! Un giorno Mallona doveva diventare il portatore del sommo Amore. Doveva generare una stirpe umana che avesse una libera autodeterminazione propria, affinché conseguisse i più alti beni dello Spirito e diventasse simile a Dio. Soltanto là dove l’umano può divenire un angelo o demone, fiorisce la libertà dello spirito. Se esso riconosce l’Amore del Padre universale e la Sapienza delle Sue Leggi, allora vince la morte e ottiene la vita eterna. Se disprezza entrambi, lo colpirà sicuramente la rovina. Solo una Forza regna nell’Universo, solo un Amore pieno di sapienza! Esso conosce le vie e i mezzi migliori dell’eterno piano della Creazione.

                   4.                     Ora un altro pianeta è scelto per diventare portatore del sommo Amore. Guarda laggiù, tu lo conosci bene, è la tua patria terrena. In quest’ora sorge là il primo uomo, al quale Io pongo profondamente nel cuore il seme spirituale della somma dignità umana. Nulla gli impedirà di progredire al massimo grado della cultura, se non dimentica l’Amore. Allora la nuova stirpe raggiungerà la libertà spirituale e trionferà su ogni male!

                   5.                     La figura si cala giù, e io vedo la Terra venire sempre più vicina. Riconosco la sua superficie e vedo il periodo evolutivo che oggi si chiama era del terziario. Riconosco nelle regioni selvatiche delle specie di animali estinti da molto tempo, vedo l’orso delle caverne e anche l’uomo primitivo.

                   6.                      Ecco che all’improvviso ad Oriente arde una luce rosea. Un lieve fremito percorre l’aria e mi sembra come se una voce mi sussurrasse:

                   7.                     “Là nel lontano Oriente adesso è nata una coppia, la prima, le cui anime hanno ricevuto il seme dell’eterno Spirito. Da questa sorgeranno i popoli che un giorno dovranno camminare nella Luce della Verità”.

 

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Cap. 20

Epilogo

 

La veggente ci rivela ancora un’immagine. Lei vide un paese straniero che, dalla costruzione delle piramidi, riconobbe come l’Egitto.

                   1.                     Proprio allora si scavavano le fondamenta per la costruzione di un tempio. Lì si urtò su un terreno duro e si trovò un gigantesco blocco che sembrava terracotta. A fatica il duro materiale fu aperto battendolo e tolto pezzo per pezzo. All’improvviso l’interno rivelò uno scheletro mezzo bruciato, e furono scoperti i resti di un uomo di gigantesca figura, saldamente adagiato nell’argilla duramente forgiata con il fuoco. Sacerdoti vennero per ispezionare il singolare ritrovamento. Sotto la loro direzione, il blocco fu accuratamente esaminato.

                   2.                     Lo scheletro fu liberato dal suo duro involucro. Portava alla mano destra i resti di un anello metallico, al quale era ancora incastonata una gemma. Questo segno sconosciuto rimase per molti anni come reliquia nel tempio. I Romani portarono poi la pietra in Italia e nelle migrazioni dei popoli fu portata via e nascosta sottoterra. Dopo molti anni la trovò un uomo che la fece di nuovo incastonare in un anello e la lasciò in eredità alla sua famiglia, come rarità.

                   3.                     Quest’anello ci ha parlato dei tempi passati e dello scomparso pianeta Mallona, la cui esistenza finora nessuno aveva sospettato.

                   4.                     “Sarà vera la sua storia?”, – qualcuno sarà tentato di domandare. L’importante è che la conoscenza di Mallona contenga un ammonimento che ognuno potrà trovare dopo aver saputo della sua fine e ora segua lo sviluppo dell’odierna umanità con lo sguardo desto dello spirito…

 

 

[ altri riferimenti / citazioni di Mallona su altre rivelazioni ]

 

 

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[1] Migliaia di anni fa: in un'altra rivelazione comunicata nel 1840 a Jakob Lorber fu detto che la distruzione del pianeta Mallona risale a circa cinquecento anni prima di Abramo. (vedi T.D.N. cap. 16,20-21)

[2]  Sostanza che emette luce per una reazione chimica

[3] Pietra bianca, mezzo di pagamento

[4] La loro massima divinità

[5] La medium spiega successivamente che si tratta di un potentissimo esplosivo in grado di distruggere interi territori.

[6] La giovane medium non conosce questo velivolo, poiché nel 1911 – quando fu fatta questa straordinaria esperienza attraverso la “vista psicometrica” – sulla Terra non esisteva ancora tale mezzo. Anche se già nel 1887 fu costruito un piccolo modello, fu soltanto nel 1930 che il primo prototipo di elicottero si alzò in aria e percorse un chilometro ad un’altezza di solo 18 metri. Nota dell’autore della prefazione.

[7] La giovane medium non conosce questo velivolo, poiché nel 1911 – quando fu fatta questa straordinaria esperienza attraverso la “vista psicometrica” – sulla Terra non esisteva ancora tale mezzo. Anche se già nel 1887 fu costruito un piccolo modello, fu soltanto nel 1930 che il primo prototipo di elicottero si alzò in aria e percorse un chilometro ad un’altezza di solo 18 metri. Nota dell’autore della prefazione.

[7] Osservando le lunghissime arcate dei ponti, la medium ipotizza che la massa del pianeta Mallona sia minore di quella della Terra – nonostante il volume sia maggiore – e dunque trae la conclusione che le arcate non crollino perché il suo peso specifico è minore, come pure la forza di gravità, in quanto quest’ultima è in rapporto alla massa e non al volume. La medium aggiunge inoltre che la distanza dal Sole è di 519,4 milioni di Km. e che l’asse è meno inclinato di quello terrestre. Le percezioni della medium indicanti la minor forza gravitazionale, spiegherebbero il motivo perciò tale pianeta si disintegrò in migliaia e migliaia di asteroidi invece che in pochi pezzi.

[8] Riti orgiastici in onore del dio Bacco, il dio del vino.

[9] Il vicerè di Monna

[10] Capostipite della stirpe di Mallona