Leopold
Engel
(Trascrizione di una visione psicometria, dono della
chiaroveggenza)
L’apocalisse
di
Mallona
La distruzione del pianeta nella fascia
degli asteroidi
Traduzione dall’originale tedesco “MALLONA - Der Untergang des Asteroiden-Planeten”
Edizione originale - Turm Verlag, 74321 Bietigheim-Bissingen Germania
Edizione italiana del 2013 a cura del gruppo: “Amici della nuova Luce”
Copertina di Cristine Scubla
Traduzione testo a cura di Antonino Izzo e Ingrid Wunderlich
Illustrazioni di Vittorio Zocco e Franz Reins
Copyright © by Turm-Verlag
Copyright © by Associazione Jakob Lorber
Casa editrice “Gesù la nuova Rivelazione”. (BG)
Altri riferimenti al pianeta Mallona: J. Lorber nell’opera “Il vescovo Martino - al cap.46”
Cap. 1) Dalla Terra all’Universo
Cap. 2) La provenienza dell’anello
Cap. 3) La pietra aurea
Cap. 4) In patria
Cap. 5) Dal passato del regno di Mallona
Cap. 6) Re Areval
Cap. 7) Alle caverne di Wirdu
Cap. 8) Le caverne di Wirdu
Cap. 9) Un figlio del re
Cap. 10) Il veleno dell’egoismo
Cap. 11) Il vicerè di Nustra
Cap. 12) A Nustra
Cap. 13) Nel tempio della bellezza
Cap. 14) Viaggio di ritorno del sutor
Cap. 15) La ribellione
Cap. 16) La vittoria di Karmuno
Cap. 17) Sutona
Cap. 18) La fine di Mallona
Cap. 19) L’ultima visione
Cap. 20) Epilogo
Citazioni da altre opere
INDICE dei PERSONAGGI
AREVAL secondo figlio del re Maban
ARTAYA figlia del re Areval
ARVODO supremo generale di Mallona
CUROPOL sommo sacerdote di Sutona
FEDIJAH sorella di Upal
FURO capostipite della stirpe di Mallona
KARMUNO sommo sacerdote di Mallona
KSONTU ex dittatore di Sutona
MABAN ex re di Mallona
MANSORE sommo sacerdote di Nustra
MIRTO scopritore dello sfruttamento della forza dell’etere
Il MONNOR titolo del viceré in Monna
MUHAREB primo figlio del re Maban
MURAVAL figlio di Areval e di Fedijah allevato da Muhareb
NUMO mistico maestro di Monna
Il NUSTROR titolo del governatore di Nustra
RUSAR fratello di Arvodo, viceré di Nustra
Il SUTOR titolo del viceré di Sutona
UPAL fratello di Fedijah, rivale di Areval
VOLTO servitore del tempio a Monna
NOMI
MITOLOGICI
ANARBA dea della bellezza
MUNGA figlia di Usglom
NIMRI simbolo dell’astuzia serpentina
SCHODUFALEB nome della massima divinità
USGLOM demone del fuoco
WEISKEE mistica figura leggendaria
NOMI
GEOGRAFICI
MALLONA continente principale del pianeta
MARDA vulcano nelle montagne di Wirdu
MONNA secondo continente
NUSTRA terzo continente
RESMA città di Mallona
SUTONA quarto continente
WIRDU montagna rocciosa in Mallona
NOMI DI COSE
VARIE
MAHA propellente ottenuto dal Nimah
MANGA sostanza chimica luminosa (luce fredda)
NIMAH esplosivo di enorme potenza
OROSTEIN pietra preziosa, insegna del potere del re
ROD pietra bianca, usata come mezzo di pagamento
- - - - - -
Prima dell’esplosione, fra Marte e Giove Dopo, la fascia degli asteroidi
(dal
racconto della medium)
1.
Dai molti
abitanti della Terra che di notte guardano al cielo stellato, spesso è
custodito il desiderio di poter compenetrare lo spazio infinito e andare là, in
quei lontani mondi splendenti, nostri vicini così stupendamente adornati, per
conoscere quei sistemi solari con i loro sospettati pianeti, se su quei mondi
vivano anche esseri umani uguali a quelli della nostra Terra, e se questi
stiano altrettanto sotto le leggi della vita vegetale e intellettuale che gli
uomini maturarono nella vita sulla Terra. Mille nuove domande s’impongono a questa, alla quale mai è riuscito il
tentativo di sciogliere la questione principale, la cui risposta definitiva
nella vita terrena, che ci ha incatenato fisicamente al nostro pianeta, mai
potrà essere data. Riuscirà un giorno all’uomo di trovare mezzi e vie per
attraversare nel corpo, velocemente, lo spazio cosmico? Anche se la tecnica
porterà ancora tanto lontano, ad ogni desiderio di un
temerario volo sulla via fisica, la sfera terrestre sembra contrapporre
insormontabili impedimenti. L’arte dell’ingegneria e della fisica viene meno
all’imperioso “alt” della madre Terra: questo, esclama lei ai suoi figli che si
vogliono strappare fisicamente dal suo grembo!
2.
Altra cosa è
con lo spirito, il quale non proviene dal suo grembo; essa non lo può
incatenare, non gli può esclamare: io ti ordino di
rimanere all’interno dei confini del mio regno! Un figlio di Dio, nato dalla
sostanza del Cosmo, compenetra l’Universo – la sua eterna Patria – dal quale
egli è nato e che a lui rivelerà anche tutti i misteri una volta che si sarà
strappato dalla sua prigione materiale.
3.
Tutti noi nel
profondo dell’anima siamo esseri spirituali, figli di Dio provenienti
dall’eterno primordiale Spirito di Dio! Noi scorgiamo nell’immagine riflessa
del nostro essere l’Essenza dell’eterno Creatore del mondo, del cui dominio ben
rabbrividiamo in timore reverenziale, tuttavia non tremando di paura dinanzi
alla Sua onnipotenza. Noi, infatti, quanto più riconosciamo com’è benfatto
tutto ciò che scaturisce dal Suo Centro di Volontà, tanto più c’infiammiamo in
amore. Percepiamo che quest’Universo mai ci è ostile,
se nella nostra follia non gli opponiamo resistenza; anzi ci è benevolo, utile
e salutare, se riconosciamo la profonda verità della legge primordiale di ogni
vita: Creatore e creatura non sono esseri separati, bensì devono rappresentare
un matrimonio, il quale genera i suoi più ricchi frutti nel più costante perfezionamento!
4.
Anche il mio
spirito riconosce questo scopo del progetto universale, e così io oso penetrare
nei misteri della sua evoluzione per esplorare una piccola parte dello stesso.
Mi libero dei legami del corpo mortale, mi lancio in alto nell’eterno spazio,
lasciando profondamente indietro il mondo, luogo di sofferenze e gioie terrene.
5.
Mi alzo in volo
in spazi inondati dalla luce del Sole. Su di me s’inarca un profondo blu che,
quanto più in alto compenetro l’atmosfera della Terra, tanto più s’intensifica
in un nero impenetrabile. – Adesso ho lasciato questa dietro di me e fluttuo
liberamente nello spazio infinito. Sotto vedo stare sospeso l’imponente globo
terrestre, la cui dimensione si rimpicciolisce sempre di più, quanto più in
alto mi muovo verso una meta a me sconosciuta. Il Sole non riscalda più il
silenzio dello spazio, ma dispensa ancora la sua luce;
io, infatti, non attraverso l’ombra della Terra che, come un lungo cono, si
perde nell’Infinità.
6.
L’anima umana
trema in questo vuoto ed eterno silenzio. Essa, infatti, percepisce qui
l’azione dell’invisibile Divinità, la cui Volontà costringe tutte le splendenti
costellazioni a muoversi secondo le leggi che sono stabilite dal Proprio
arbitrio. Anch’io sono soggetta ad esse, io – cui è
concesso, come uno spirito libero dalle spoglie terrene, di vedere tutte queste
magnificenze, per ammirare le Opere dell’Eterno.
7.
Sempre più in
alto prosegue il volo. Alla mia destra splende un mondo che mi viene incontro
come un disco scintillante, il quale a poco a poco s’ingrandisce e riflette nel
chiarore rossastro i raggi del Sole. Io so, è il pianeta Marte, il quale si
mostra al mio sguardo situato alla mia destra, così vicino, come nessun
astronomo l’ha mai visto. Ora anche lui sprofonda sotto i miei piedi, sempre più
in alto, infatti, procede il volo, verso un astro che si trova proprio sopra la
mia testa. Sotto di me scorgo il disco della Terra, posso riconoscere ancora
chiaramente le macchie che costituiscono i suoi mari, i continenti si
distinguono chiaramente. Riconosco l’Europa, la quale sembra come una penisola
dell’enorme Asia, l’Africa e al margine emergono i continenti dell’America.
8.
Sempre più in
alto procede il volo, reso possibile da una forza a me inspiegabile. E adesso –
adesso s’ingrandisce a vista d’occhio il pianeta che è sospeso sopra la mia
testa e verso il quale mi fa dirigere la forza trainante. Che cos’è questo? Si
mostra a me una copia della Terra? In modo evidente avevo in memoria le masse
continentali della Terra e ora vedo in rassomiglianti forme la copia delle
stesse? È questo un desiderio della mano creativa del Creatore, il quale fa
sorgere quel pianeta che si rivela sempre più al mio sguardo?
9.
Posso
riconoscere chiaramente due enormi parti continentali separate, esse somigliano
a quelle dell’America, solo che l’istmo di Panama manca e il mare si riversa
liberamente tra le due parti. Al margine sinistro emergono altri continenti. Il
volo si dirige verso di loro e, sempre più, è visibile una svolta – evidente,
per raggiungere l’altra parte dell’astro –. Ora vedo che questa somiglia alla
forma dell’Asia unita con l’Europa. La forza che mi trascina mi conduce alla
parte ancora invisibile del pianeta, la quale
trovandosi dalla parte opposta al Sole, si trova nel buio della propria ombra.
Avvicinandomi sempre più alla sua superficie, la gigantesca volta della sfera
occupa l’intero orizzonte. Presto potrò conoscere ciò che nasconde la sua
superficie, ma la distanza è ancora troppo grande per l’occhio umano.
10.
Che stella è mai questa, verso la quale io mi
dirigo? Dopo l’orbita di Marte che ho attraversato, segue certo la zona degli
asteroidi. Dopo questa, l’orbita di Giove! Però non è Giove! Dovrei anche scorgere le sue lune;
veramente questo pianeta sembra di non possedere nessun satellite come la Terra.
È forse uno dei più grossi di quegli asteroidi che, in
gran numero percorrono quello spazio nel cui luogo, per lunghi anni, si è
cercato un pianeta e non è stato trovato, finché la potenza del telescopio
scoprì, a dir il vero, dapprima solo quattro piccoli mondi? Esso mi sembra
troppo imponente nella sua massa, anche l’occhio non trova nello spazio nessuno
dei compagni che dovrebbero pur condividere con lui quest’orbita! – Chi sei tu,
mondo sconosciuto al quale io corro incontro e che adesso mi è venuto così
vicino che posso riconoscerne gradazioni colorate di boschi, pianure, laghi,
mari e fiumi? Rivelami la tua provenienza, il tuo nome! –
11.
Allora sussulta una risposta attraverso la mia anima: “Tu vedi nuovamente
combinate in un tutto le macerie di quello che fu un grande, stupendo mondo, le
quali adesso si spostano velocemente come asteroidi attraverso lo spazio. L’ex pianeta si è ricostituito nella sua bellezza
davanti ai tuoi occhi stupefatti, affinché tu possa comunicare ciò che nessun
occhio umano ha visto prima di te! Tu devi contemplare ciò che migliaia di anni
fa[1]
accadde su di esso! Devi dar testimonianza del Grande Spirito dei mondi che
lasciò accadere ciò che non volle impedire per amor
del grande scopo che era necessario raggiungere!”.
12.
Mi avvicino
sempre più, – ecco – una profonda oscurità mi circonda, una nera, densa notte.
Sono immersa nell’ombra del pianeta e, con velocità pazzesca, corro adesso alla
meta del mio viaggio. Respiro aria come su in alta montagna; nuvole sono da me
dissipate. Tenebrose cime di monti minacciose mi si tendono incontro, come se
volessero rifiutare che il mio piede calpesti il terreno e sveli i suoi segreti, – ma nulla mi può ostacolare!
13.
Il mio volo
rallenta sopra monti, crepacci, lungo vulcani fumanti e in eruzione. Al mio
orecchio batte il tuono fragoroso delle nuvole. Verdi prati si estendono sopra
montagne lievemente arcuate, debolmente illuminate dallo splendore di un
meraviglioso mondo di stelle e dal primo bagliore di un mattino che sta per
spuntare. Su di una tale vetta, circondata da nebbie fluttuanti che ancora
velano il panorama sulla regione situata in basso, termina il mio meraviglioso
viaggio dalla Terra a quel lontano pianeta. Io sto sul territorio di Mallona,
un mondo del nostro Sistema solare, un giorno distrutto.
[indice]
1.
Lentamente l’Oriente si
tinge di rosso. Il Sole sale maestosamente sopra l’orizzonte e scaccia le
nebbie vaganti, le quali tutt’intorno nascondono alla vista le valli profonde,
offuscando ancora le cime dei monti. Si fa più luce, la regione diventa più
chiara. Sempre di più si svela il paesaggio che gli alti monti circondano,
sulla cui parte rivolta verso il mare era terminato il mio audace volo.
2.
Un vento
sostenuto, che soffia dal mare e increspa la sua superficie in leggere onde
coronate di schiuma, disperde gli ultimi spettrali lembi di nebbia. Adesso il
paesaggio sta chiaro dinanzi a me nel rosso di uno splendido, nascente nuovo
mattino. Questa regione è certamente in tutto simile alla Terra, solo che ogni
cosa è enorme ed esercita sull’anima una potente impressione.
3. Il monte, dalla cui cima io guardo giù, è densamente ricoperto di alberi e cespugli, come lo sono anche sulla nostra Terra. Questo monte è l’ultimo nella successione di un’imponente, ma deliziosa catena di monti. A questa segue uno scenario montano di carattere selvaggiamente frantumato che, a quanto pare, fu formato da forze vulcaniche non ancora estinte, e che continuano ancora a modificarlo. Fin dove giunge lo sguardo, il mare è qui separato da possenti rocce che si stagliano ampiamente verso l’alto, e oppongono ai suoi flutti un’insuperabile parete. Questo è assolutamente necessario perché, guardando attentamente, in un breve tratto dietro alla barriera naturale il territorio comincia a scendere e forma una depressione che sta notevolmente più in basso rispetto al livello del mare. Guai alla regione là sotto, se un giorno cedesse il possente muro di rocce: inarrestabili i flutti si riverserebbero in quell’avvallamento e, tutto distruggendo, lo coprirebbero con le acque del mare.
4.
Là dietro,
all’orizzonte, vedo levarsi del fumo; ogni tanto guizzano fiamme, alle quali
segue un lieve tuono sotterraneo. Là devono essere attive forze vulcaniche e
conducono una lotta con il mare che qui scava una profonda insenatura nel
territorio, e anche là dal focolaio, quelle eruzioni sono separate solo
mediante quella ininterrotta, slanciata parete rocciosa.
5.
Sento il
desiderio di prendere in considerazione più da vicino
questo luogo. Ed ecco, il mio corpo si leva lieve come una piuma nell’aria e
spinge alla meta del mio desiderio. – Ora riconosco la forza trainante che ha
reso possibile il mio viaggio dalla Terra: è la mia volontà, la quale è più
forte della resistenza opposta dalla materia.
6.
Che spettacolo
terribile di forze naturali selvaggiamente violente e scatenate si offre qui!
Di simile non ce n’è sulla Terra. Adesso vedo che ho messo il piede su un mondo
diverso, su un mondo estraneo. È una voragine
infernale che qui si manifesta. Prendete tutti i vulcani della nostra Terra,
ammassateli insieme in un posto, così avrete un’immagine di ciò che si mostra
qui. – Qui non c’è una sola voragine dalle quali massi
incandescenti di lava non riversino fiamme e vapori soffocanti. No! Per quanto
lontano giunga l’occhio, si susseguono crateri a crateri,
un efficace laboratorio di forze gigantesche. Qui c’è veramente il regno di
Plutone e Vulcano; essi sono qui signori assoluti. Il loro nemico, però, il dio
Nettuno, il signore di tutte le acque, si mostra in minacciosa vicinanza. Tutto
il paesaggio, così selvaggiamente dilaniato da eruzioni vulcaniche, mostra al
tempo stesso la rilevante depressione, come la conosciamo in certi luoghi anche
sulla Terra. Se non ci fosse la parete rocciosa che delimita il mare, esso
dovrebbe precipitarsi inarrestabile in quell’abisso di fuoco. Guai allora a
questa regione, non si può prevedere quale tremenda catastrofe capiterebbe
improvvisamente sulla stessa!
* * *
7.
Mi libro lungo
la cresta montuosa attraverso questa regione terrificante, dai cui crateri
salgono continuamente fiamme e lave infuocate, spesso scoppiando in aria come
bombe con assordante fragore. Adesso giungo, ad altissima velocità percorrendo
in fretta l’aria, alla fine di questo spaventoso paesaggio. Alte montagne,
scendono a picco sul mare, nude rocce si ergono lungo la costa e offrono una
sosta inospitale al povero naufrago che forse ha salvato fin qui la sua vita.
Là un vasto promontorio si tuffa nel mare; là dietro si unisce un’insenatura, ed
ecco, simile ad una ridente oasi nel deserto,
nell’area di quest’insenatura, si mostra l’immagine di un ridente paesaggio.
8.
Qui verdeggiano
e germogliano meravigliosi fiori, arbusti e alberi, un piccolo paradiso si
manifesta allo sguardo meravigliato. Esso è circondato tutt’intorno da alte,
ripide montagne a picco, dalle quali, da come sembra, è impossibile una discesa
alla costa; verso la parte del mare aperto, la paradisiaca insenatura è
protetta mediante uno strato di rocce che interrompono la forza delle onde: un
porto naturale nel quale la tranquilla superficie dell’acqua riflette gli
altissimi monti. Qui la benevola natura ha creato un luogo di pace, sicuro
dalle possenti forze del fuoco che, di tanto in tanto, si sentono strepitare
con sordi tuoni dietro le montagne, come pure dall’acqua, alla quale è
impossibile inondare la spiaggia oltre il banco di rocce con potenza
distruttiva.
9.
Nel vasto
semicerchio di quest’insenatura protetta dalle tempeste, si è sviluppata una
fiorente vegetazione. Intorno vi sono ovunque alberi carichi di frutti che
invitano ad essere gustati; una sorgente scaturisce
dalla parete rocciosa e scende scrosciando verso il mare. Nel mezzo del
semicerchio, masse rocciose, un tempo certamente precipitate a causa di
terremoti, formano una specie di terrazzo, così che è possibile salire su, fino
ad un terzo della cascante ripida montagna. Anche qui
la roccia, disgregandosi, ha formato un fertile terreno; lì tutto verdeggia e
fiorisce in colori luminosi. Quest’angolo, apparentemente abbandonato, offre in
abbondanza ciò che la benigna madre natura è capace di offrire.
10.
Nel frattempo
il giorno è diventato chiaro, il Sole si riversa con caldi raggi sul piccolo
paradiso. Qui è gradevole, qui dimora la pace. Dimorano anche uomini? Sembra
proprio di no! Ma, non si muove qualche cosa sul
terrazzo?
11.
Giusto, là vedo
un giovane miseramente vestito di pelli! Dà l’impressione di trovarsi dinanzi
ad uno dei giovani germanici che un tempo dovrebbero aver abitato nelle foreste
tedesche. I blocchi di roccia precipitati hanno formato sul terrazzo una cavità
che, fittamente circondata da piante rampicanti in fiore, offre uno spettacolo
particolare. Si potrebbe credere di trovarsi davanti ad un palazzo di roccia
costruito da gnomi, cui l’arte magica dei suoi abitanti ha conferito un
ingresso adornato con fiabesca magnificenza di fiori. Tutt’intorno profuma e
fiorisce. I colori accesi dei calici rallegrano l’occhio davanti all’ingresso
della cavità nella quale ora è scomparso il giovane. Da quest’altezza si presenta una splendida vista sul mare e sull’insenatura.
Veramente una dimora che dovrebbe entusiasmare ogni amico della natura.
12.
Adesso si muove
qualcosa nella cavità; appoggiata al giovane, viene fuori lentamente una figura
che incute profondo rispetto. È un vegliardo con lunghi capelli ondeggianti e
barba. E che occhi! Questo è lo sguardo di un uomo che si è liberato dalla pena
dell’esistenza, il quale vive nel riconoscimento del suo Dio ed è capace di
sondare le profondità della Creazione. Così sembra di somigliare ai potenti
profeti d’Israele, i quali senza paura degli uomini camminavano imperterriti,
ed erano impavidi annunciatori della Parola e della Volontà di Jehova.
13.
Una rozza,
semplice veste, avvolgendo l’intera figura – i fianchi sono tenuti da una cintura
di cuoio – copre il corpo muscoloso del vecchio, che non è per nulla un debole
vegliardo, si appoggia solo affettuosamente al fianco
del giovane. Lentamente i due vengono fuori; adesso il vecchio viene avanti da solo, rispettosamente il giovane rimane
indietro. Il vecchio tende le sue mani al cielo e s’inginocchia. Le sue labbra si muovono in silenziosa
preghiera. Simile ad una statua egli rimane in
immobile posizione. Anche il giovane s’inginocchia, piega il capo al suo petto
e le braccia incrociate su questo.
14.
Il luogo
straordinario, il leggero mugghiare del mare che, insieme al lontano fragore di
eruzioni vulcaniche interrompe soltanto a tratti il silenzio, – e le figure
immobili dei due apparentemente gli unici abitanti di questa cavità rocciosa
sulla quale si riversa la calda, chiara luce del Sole che sale sempre più in
alto, i quali servono, immersi in profonda preghiera,
il loro Dio, è un’immagine di potente impressione! Essa mi colma col
presentimento di grandi cose che si riveleranno.
*
* *
15.
Il vecchio
china la testa profondamente a terra. Le sue braccia tese in alto s’incrociano
sul petto. Egli mormora sommesse parole e sembra rispondere ad
una persona che io non riesco a vedere. A lungo dura questa conversazione con
un essere invisibile. Adesso il vecchio si alza, il suo sguardo cerca il
giovane compagno e questi corre da lui.
16.
“Muraval”, risuona dalle sue labbra. “Dio Padre mi ha dato
chiarimento sul destino cui va incontro Mallona, se presto uno spirito migliore
non farà cambiare i cuori di coloro che si credono padroni del mondo. Saresti
tu pronto ad adempiere gli ordini che Dio Padre mi dà?”.
17.
Il giovinetto
risponde: “Padre, tutto quello che tu mi dici, lo farò, poiché io so che tu non
pretendi da me ciò che non sta nella Volontà di Dio Padre!”
18.
“Vieni,
siediti accanto a me!”. Dice il
vecchio, e si dirige verso un pezzo di roccia piatta, una naturale panca
all’ingresso della cavità contornata di fiori.
19.
Strano, io
comprendo il linguaggio di questi uomini, sebbene essi parlino certamente un idioma
a me completamente sconosciuto! È dunque vero che il libero spirito è
indipendente dalla forma della parola, solo il concetto rivestito di questa
forma parla a lui, ed egli comprende l’impressione che le parole suscitano,
indipendentemente in quale forma esso sia nascosto. Adesso capisco cosa vuol
dire, ‘la parola è vivente’; la parola è il
concetto della lettera o del solo suono racchiuso, il quale è indipendente dal
suo morto involucro; come io sono ora indipendente dal mio corpo che avvolge lo
spirito.
20.
“Muraval”, dice ora
il vecchio al giovinetto. “È giunta l’ora in cui ti posso
spiegare perché l’Iddio Padre ci fece finire in questa regione, regione che
ormai occupo solamente con te già da diciassette rivoluzioni. Per la
diciassettesima volta, oggi il Sole è salito dal mare là alla sponda rocciosa
di quest’insenatura ad arco, come se quell’arco
roccioso gli indicasse l’orbita nella volta celeste. Solo una volta l’anno esso
sfiora lentamente il suo margine, senza gettare l’ombra della roccia nell’insenatura;
che cosa accadrà, quando si avvicinerà il diciottesimo anno?
21.
Muraval, tu
certamente sai, dietro quelle montagne dimorano uomini che noi sfuggiamo. Essi
non sanno nulla di noi, ciò nonostante ti ho dimostrato come loro siano di
sentimento completamente diverso dal nostro. Tu sai che cos’è il peccato, e che
quelli dall’altra parte servono solo il peccato. Un tempo io sono vissuto in
mezzo a loro, onorato e circondato da tutto lo splendore che si possano dare.
Io però non cercavo lo splendore esteriore, io trovavo soddisfacimento solo nel
ricercare la sublime Verità, Verità che non esiste nel trambusto del mondo, e
per la quale il buon Dio, Padre universale, ha preparato una dimora solo in
noi.
22.
Io vedo dove dovrà portare, se a quei dispotici là dietro le
montagne non sarà predicata ancora una volta la Verità, se non sarà messo
davanti a loro uno specchio nel quale possono riconoscere se stessi. Allora il
loro cuore potrebbe essere toccato e il loro sentimento cambiato.
23.
Muraval, figlio
mio, sappi che re Areval domina ormai il mondo. A lui è riuscito, con la forza
del suo generale Arvodo, di spezzare l’ultima resistenza che gli opponeva la
quarta e ultima parte della superficie di Mallona. Egli domina ormai del tutto
Mallona. Un impero, un impero mondiale illimitato gli
è proprio.
24.
Egli tuttavia
non è felice. L’oppressione che i suoi sudditi devono sopportare dai grandi del
re, da molto tempo li ha resi schiavi, quasi come animali. Superbia
inconcepibile, avidità di piaceri, tutte le gioie e i godimenti dell’esistenza
tu li trovi presso gli altolocati; invece, profondissima ignominia e
umiliazione, fame e miseria presso i bassolocati. Solo l’esercito del
dominatore, per mezzo del quale egli mantiene il suo potere, vive nei piaceri e
nell’abbondanza; tutto è proprietà del guerriero, egli è il vero dominatore, il
criminale che serve il re, per servire se stesso.
25.
Come potrebbe,
come dovrebbe essere completamente diverso sul nostro stupendo mondo. Invece di
un luogo della maledizione, Mallona sarebbe un luogo
di sublimi gioie se l’uomo non fosse diventato un infame, profanato in se
stesso! Invece di gettarsi nelle braccia del Padre universale, re Areval ha
preferito quelle dello spirito delle tenebre. Il nostro compito deve essere
quello di osare l’ultimo tentativo, per strapparlo a questa morsa. – Dio Padre,
io ubbidirò! Indica a noi la via e i mezzi!”
26.
Il giovane
ascolta attentamente le parole del vecchio, e con entusiasmo, assicura ancora
una volta la sua disponibilità a tutto.
27.
Il profeta guarda meditando il mare luccicante e dice a bassa voce: “Non è
ancora tempo, ma presto verrà e pretenderà molto da noi, forse tutto quello che
ancora abbiamo da dare. Allora
non spaventarti Muraval, poiché in confronto alla potenza di Dio Padre, quella
del re è solo un soffio, e noi saremo al sicuro sotto la protezione del nostro
eterno Signore e Padre. – Vieni adesso, cogliamo dagli
arbusti i frutti che ci serviranno per il nostro pasto”.
28.
Svelto il vecchio si alza, ugualmente il giovane; entrambi scendono
verso la riva e scompaiono velocemente tra i fiorenti cespugli e alberi.
29.
Sono
immobilizzata con forza magnetica davanti alla grotta. Adesso essa mi spinge a
visitare l’abitazione dei due, e vi entro. Essa è grande, spaziosa, e
lateralmente conduce sotto i blocchi di roccia accatastati l’uno sopra l’altro.
Là c’è il giaciglio dei due, fatto di muschio e
fogliame essiccato. Poche suppellettili sono disposte intorno, ricavate da
gusci duri di grossi frutti, simili ai gusci delle noci di cocco e delle
zucche. Vedo qui anche pelli di animali, alcune utilizzate
come tappeti, altre come tenda, e quella appesa a uno dei giacigli, quello del
vecchio, certamente serve da protezione contro il vento che fa visita alla
grotta. In capo ai giacigli vedo un grosso contenitore, decorato con segni che
non so interpretare; qualcosa mi spinge ad aprirlo per conoscerne il contenuto.
30.
Esso contiene
splendenti gioielli, una corona reale con gemme sfavillanti, e in fondo c’è un
anello d’oro con una grossa pietra bianca. – Questa è la stessa pietra con
incisa una testa come quella che mi è stata mostrata e che porto ancora
impressa nella mente; adesso la riconosco chiaramente: da qui dunque essa
proviene, è stata a lungo qui, in questo contenitore!
[indice]
1.
Di nuovo mi sento
afferrata dalla meravigliosa forza che mi ha reso possibile liberarmi dai
vincoli della Terra e alzarmi in volo fino a questo mondo estraneo, per fare
delle indagini sulla storia dell’anello. Da qui son1o portata
via da questa forza attraverso gli spazi oltre le alte montagne all’interno del
paese. Il volo si dirige al confine di quella regione vulcanica che mi è
già diventata nota. Com’è strano: morte e vita serena, stanno qui, l’una
accanto all’altra.
2.
Lì a sinistra,
sul lontano orizzonte, vedo l’imperversare di forze vulcaniche. Poi segue una
stretta fascia di nuda roccia e, senza passaggio, si chiude in questa un ameno,
fiorente paesaggio; posso abbracciare con lo sguardo boschi, fiumi, campi e
laghi, stupende graziose vallate, dolci colline arrotondate visibilmente
coltivate da diligenti mani umane. Non sono però le regioni coltivate,
l’attuale meta cui io tendo. Sembra essere invece
quella fascia che separa i floridi paesaggi dalla regione del fuoco.
3.
Noto che là
sono attivi e lavorano diligentemente uomini, creature come noi, solo
notevolmente più grandi di statura. Laggiù è sorta una miniera. Profondi
passaggi sono trivellati nella pietra, centinaia, no, migliaia di operai sono
all’opera. Da come però sono sorvegliati rigorosamente e come sembrano oppressi, questi lavoratori non sono uomini felici!
Essi sono costretti a un lavoro cui non si sono dedicati per loro libera
volontà. Spietatamente essi sono sospinti da brutali sorveglianti – ciascuno
dei quali è accompagnato da due uomini armati – in passaggi che, profondamente,
s’introducono nelle rocce, dalle quali vedo venir fuori alcuni uomini
completamente esausti con pietre straordinariamente bianche e irregolarmente
grosse. – Essi gettano via le pietre e, respirando faticosamente, crollano a
terra semi svenuti. Alcuni dei compagni versano acqua su di loro e cercano di
portarli di nuovo in sé. Quanto sono miseri tuttavia questi uomini nel corpo,
sono solo pelle e ossa!
4.
Nei profondi
passaggi essi arrivano così vicini al focolare del fuoco vulcanico e ai suoi
soffocanti vapori, che solo con costante pericolo di vita in quel posto
raggiungono le pietre bianche. Vedo il penoso lavoro di questi infelici lungo
l’intera fascia rocciosa che si estende per miglia e miglia,
5.
Quale alto valore
dovrà possedere quelle pietre, perché così tanti uomini sono sacrificati per la
loro estrazione? Tale lavoro deve mietere migliaia di vite umane. Solo la
violenza è il mezzo per costringere questi infelici a scegliere tra morte o
lavoro. Chi si rifiuta di entrare ancora per lungo tempo nelle cavità, è
spietatamente abbattuto da uomini armati per mezzo di lunghe lance. Molti
preferiscono questa morte veloce, alla lenta uccisione nei vapori dei pozzi
nella roccia.
6.
I barbari
sembrano aver compiuto già parecchie volte il loro lavoro come aiutanti del
boia. Vedo là, dietro quelle rocce, vicino ad una
profonda voragine, giacere corpi senza vita con ferite ancora sanguinanti,
accanto a questi ce ne sono altri i cui volti deformati indicano la morte per
soffocamento causata dai vapori velenosi. Un’immagine dell’orrore e della
ripugnanza. Gli uomini di questo mondo insensibile sono senza nessuna
compassione nel petto?
7.
È proprio così!
I sorveglianti e i numerosi uomini armati non possiedono più, in ogni caso,
alcuna traccia di sentimento umano. Ridendo, essi gettano i cadaveri degli
infelici nella profonda voragine, la quale offre loro
un ultimo luogo di riposo. Quanti saranno quelli che già giacciono nella
profondità, da cui risuona su un cupo imperversare d’acqua? Quanta miseria,
dolori e maledizioni hanno sciacquato le mugghianti acque là, sotto il mare,
nel fondo della terribile voragine!
8.
Non lontano da
questo luogo dello strazio c’è un grande edificio. In quel luogo sono portate
dentro tutte le pietre guadagnate col sangue, esaminate con cura, selezionate
secondo la purezza del colore e immagazzinate in speciali solide stanze. Io
presumo che queste pietre rivestano lo stesso ruolo del denaro sulla nostra
Terra, che il loro valore misuri il valore degli altri
prodotti di questo mondo e, in ogni caso, sono considerate come denaro e
servono come mezzo di pagamento. L’ampio edificio, costruito con enormi pietre
squadrate, somiglia ad una fortezza. Entro e vedo
dappertutto uomini laboriosi che, per mezzo di macchine a me sconosciute,
spaccano le pietre e le tagliano in maneggevoli pezzi quadrangolari, poi questi
sono nuovamente approntanti in sottili piastre che sono imballate in casse
fornite di speciali serrature e sigilli, e caricate su grossi carri.
9.
Davanti all’edificio
inizia un’ampia strada, lastricata con estrema cura, la quale non presenta
nessun’asperità e si perde all’orizzonte, in una lontananza indefinita. Su
questa strada, guidati da due uomini, carri vuoti si avvicinano all’edificio,
mentre quelli carichi se ne allontanano. I carri si muovono da sé, spinti da una forza a me ancora non riconoscibile. Vedo solo
che dalla parte posteriore dei carri emerge un condotto più lungo, dal quale,
senza rumore, sale un leggero vapore. Leggeri, silenziosi e straordinariamente
veloci, questi carri vanno avanti e indietro.
10.
Là da quei
luoghi di lavoro e dell’orrore, davanti all’ingresso di uno dei passaggi nella
roccia, risuona adesso un forte grido. Da tutte le parti si avvicinano
sorveglianti e lavoratori, circondano un uomo profondamente esausto che è
appena uscito dal passaggio e con cura racchiude qualcosa nelle mani. Si
sentono grida di congratulazioni e si manifesta un vivace spingere e tirare.
Voci eccitate diventano sempre più chiare, e un corteo si muove verso l’imponente
deposito dei tesori depredati.
11.
Esso si
avvicina. Dall’edificio esce un imponente personaggio, un uomo con duri,
penetranti occhi, circondato da altri uomini; essi sono i suoi impiegati subalterni, egli stesso è il capo di quest’attività
mineraria. Il corteo adesso gli è molto vicino.
Davanti a lui si presenta quell’uomo che col suo forte grido ha provocato
l’assembramento. Il duro capo, impaziente per l’attesa, domanda: “Sei tu il
fortunato?”.
12.
“Signore,
io lo sono stato”, gli risponde
l’interrogato, e inginocchiandosi gli porge una pietra piatta grande come un
pugno soltanto, la cui superficie inferiore è bianca come la
neve, la superiore invece, di colore marrone scuro.
13.
Il capo guarda
sorpreso la pietra e la prende in consegna. La gira qui e là; stupore s’imprime
nella sua espressione. Con un cenno chiama a sé i suoi
sottoposti e mostra loro l’esemplare, anche questi manifestano la massima
sorpresa.
14.
“Come
ti chiami?”, domanda il severo.
15.
“Upal!”, gli risponde il fortunato trovatore.
16.
“Upal, tu sei
libero e farai rapporto al re, su dove e come hai trovato questa splendida
pietra, la più grossa che io abbia mai visto. Tu sai che per te la morte è
certa qualora ne parlassi ad altri. Preparati al viaggio!”
17.
Il capo ritorna
con i suoi impiegati subalterni nell’edificio. La
moltitudine di soldati e lavoratori si divide di nuovo, ritornando ai luoghi
del loro faticoso lavoro. Upal con alcuni altri funzionari, i quali si
congratulano vivamente con lui e l’osservano con
sguardo invidioso, si reca ad un’altra entrata dell’edificio ed è portato in
una stanza nella quale c’è una tavola preparata con cibi e bevande. Là egli si
rilassa e rinvigorisce le sue indebolite forze con le ghiottonerie solitamente
preparate per i funzionari di grado superiore.
18.
Dopo un po’ di
tempo entra un servitore e gli ordina di seguirlo dal capo supremo. È
accompagnato in una stanza che è arredata come da noi le stanze degli
orientali. Colonne, con pietre variopinte e pareti decorate adornate con tende
multicolori, sorreggono il soffitto. Tappeti ricoprono il pavimento, alte
finestre lasciano entrare la chiara luce del Sole che si riflette sulle lucenti
pareti di pietra. Il superiore porta una veste alla foggia greca, le spalle
coperte da un mantello che giunge fino a terra. Ampi pantaloni, che terminano
in ricamati stivali di cuoio color naturale, completano il suo abbigliamento;
cinto attorno ai fianchi gli pende una larga spada. Egli siede ad un tavolo, davanti a lui ci sono degli scritti. Li
controlla e ne confronta parecchi.
19.
Ad Upal che sta entrando,
egli adesso dice: “Avvicinati e ascolta le disposizioni che valgono per il
fortunato scopritore della pietra-aurea. Tu, finora uno schiavo del re, da
adesso sei un libero cittadino, esonerato da ogni tributo che i sudditi nel
regno di Mallona devono versare. A te è consegnata la somma di 10.000 tese e
potrai chiedere al re una grazia non appena ti riceverà. Cerca di riassumere
bene il tuo discorso, quando starai davanti al potente e mostrerai, a lui e ai
grandi, come hai trovato nelle profondità la pietra-aurea. Qui
c’è il certificato della tua scoperta, la lettera d’immunità e l’assegnazione
del tuo patrimonio”.
20.
Il superiore
gli porge tre documenti, essi nella loro sostanza somigliano in tutto a quelli
della nostra Terra; certamente i segni grafici sono sconosciuti, ornati di intrecci e disordinati. Upal ringrazia con espressione
cupa. Con cura infila i documenti nel suo lacerato abito da lavoro, poi
s’inchina profondamente e se ne va! Il superiore, al suo tavolo, si rivolge ora
ad altri lavori.
21.
Upal percorre
il lungo corridoio che conduce alla grande porta. Adesso esce e abbraccia con
sguardo triste quel paesaggio che, per così a lungo, è stato per lui un luogo
di sofferenze e di un durissimo lavoro da schiavo. Nei suoi tratti si riflette
ciò che l’uomo sente: odio contro gli oppressori, gioia per l’ottenuta libertà,
desiderio di vendetta per le sofferenze sopportate. Respirando profondamente,
l’uomo sta adesso all’ultimo gradino della scala esterna che dal portale
conduce verso la strada, e i suoi occhi guardano bramosi i veicoli che,
velocemente in corsa, animano la strada maestra. Ora si raccoglie e va ad una rimessa nella quale i veicoli scompaiono.
22.
Vita operosa
c’è in questa rimessa. È uno spazio nel quale le pietre, ben imballate e già
lavorate, sono caricate sui veicoli e così portate alla meta a me ancora
sconosciuta. Un veicolo è pronto per la partenza. L’entrata di Upal ha
provocato un certo movimento tra i lavoratori. Certamente tutti sanno che lui
adesso è diventato un uomo libero e ricco, e ognuno invidia la sua fortuna,
mentre tutti loro devono rimanere ancora schiavi, schiavi di un re che, per
arricchirsi, non ha riguardo della loro vita.
23.
“Fortunato”, gli rivolge la parola un
funzionario, il quale sorveglia il caricamento dei tesori sul veicolo pronto
per la partenza. “Tu puoi tornare a casa con questo
mezzo, vuoi?”.
24.
“Voglio
volentieri”, risponde Upal. “Sii certo del mio
ringraziamento!”
25.
“Allora vieni,
mettiti accanto a me!”
26.
Il funzionario
sale sul posto a sedere anteriore del veicolo, il quale offre comodamente
spazio per due persone. Egli porta via ad un uomo
vicino a lui una larga targhetta, che questi porta ad una catena attorno al
collo e la porge ad Upal, il quale se ne orna.
27.
“Tu sai
perché!”, gli sussurra.
28.
Upal silenzioso
fa cenno col capo e occupa il suo posto accanto al funzionario. Questi preme un
tasto e, leggero, silenziosamente il veicolo si muove in avanti lungo la
strada, sulla quale io già vidi l’andirivieni di molti veicoli uguali.
[indice]
1.
La strada si perde in
rettilineo all’orizzonte, in sterminata distanza. A destra e a sinistra essa è
cinta da un robusto muro costruito fino a mezza altezza d’uomo. Dopo che il
veicolo ha lasciato la stazione di partenza, subito la strada si restringe
talmente che solo due veicoli possono andare l’uno
accanto all’altro; uno stretto rialzamento separa la strada in due metà: a
destra per i veicoli che partono e a sinistra per quelli che ritornano. Ad una distanza che può forse corrispondere al nostro
chilometro terreno, vedo a destra e a sinistra avvicendarsi case adibite a
posti di guardia. Queste sono abitate da soldati, i quali sorvegliano
rigidamente ogni veicolo, soprattutto quelli provenienti dalla stazione. Le
guardie sono armate di lunghe lance, con le quali, nonostante la veloce corsa,
abbatterebbero gli occupanti di un veicolo che non sono contrassegnati da una
targhetta come la porta Upal e il funzionario. Oltre a ciò,
ad ogni casa del posto di guardia sono applicate delle saracinesche, con le
quali è possibile chiudere rapidamente la strada carrozzabile.
2.
Per mezzo di
figure segnaletiche, particolarmente formate e messe su alti piloni, i singoli
posti di guardia sono in grado di comunicare tra loro. Se un fuggiasco dovesse
superare fortunosamente anche un posto di guardia, questi segnali al posto di guardia successivo metterebbero un termine al suo
viaggio. In questo modo i tesori ottenuti sono portati senza pericolo alla
lontana capitale del re. Nessuna possibilità di portarli via inosservati, ma
anche nessuna possibilità per i numerosi lavoratori di sgusciare inosservati!
Al muro limitante, infatti, pattugliano soldati! Dai loro volti si vede che non
conoscono pietà.
3.
Silenziosamente
il viaggio prosegue verso la capitale. Il funzionario ha rivolto tutta la sua
attenzione alla guida del veicolo. Upal s’immerge nei suoi pensieri ed è
visibilmente contrario ad ogni conversazione. La
strada comincia a fare delle curve, presto si devono percorrere delle salite e
superare dei dislivelli a velocità sibilante. Il muro a destra e a sinistra
diviene sempre più alto e non permette più nessuno sguardo dal veicolo sul
territorio separato. La strada passa ora attraverso
paesaggi più abitati. È vero che nelle immediate vicinanze non si vedono abitazioni,
ma ad una certa regolare distanza comincia ad emergere
qua e là traccia di attività umana: campi coltivati e case d’abitazioni come da
noi sono in uso in Oriente. In prossimità di questa strada statale nessuno può
costruire e mai un abitante potrebbe avventurarsi
nelle vicinanze, altrimenti la sua vita sarebbe perduta.
4.
All’orizzonte emerge una città, la meta del lungo viaggio. Secondo il
nostro tempo questo viaggio può essere durato circa
due ore, ma in questo tempo è stato percorso almeno il doppio della distanza
che un treno espresso della Terra percorrerebbe nel medesimo tempo. La regione
è splendida, la città è imponente. Essa sta presso un largo fiume e si estende
in parte a terrazze, su una dolce ascendente propaggine montuosa, circondata da
un maestoso muro.
* * *
5.
Una
meravigliosa fortezza si eleva su una collina in mezzo alla città, la fortezza
reale del potente dominatore. Tutto appare così affine alla Terra, e tuttavia
stranamente orientale. Così potevano aver l’aspetto le
case dell’antica Babilonia. Forse vedo dinanzi a me una specie
di copia dell’antica Babilonia, nella quale troneggiava un Nabucodonosor, non
meno imponente, temuto e – scellerato, come lo era lui.
6.
Il veicolo
entra ora in una rimessa posta alle mura della città, con copertura a volta, e
si ferma. Una ciclopica opera muraria si accalca tutt’intorno. Per quanto si
possa abbracciare al primo sguardo ci si trova in una
roccaforte ben custodita, la quale è in grado di resistere a qualsiasi forza. È
la casa del tesoro del regno, dove affluiscono tutti i tesori che sono estratti
fuori. Un gran numero di uomini sono qui occupati, ovunque si nota un animato
movimento. M’interessa l’abbigliamento che, somigliante ai costumi a noi noti
degli antichi Greci, consiste, per i lavoratori, in una corta tunica. I
funzionari di più alto grado portano, oltre a questa, ancora dei mantelli; i
piedi sono protetti da alti stivali stringati.
7.
Upal e il
funzionario adesso sono entrati all’interno. Egli ringrazia il suo
accompagnatore e si dirige ad una porta che costui gli
ha indicato. Apre e si trova in un vasto ambiente, nel quale siedono molti
uomini visibilmente occupati a scrivere. Il capo di quest’ufficio prende le
carte che Upal consegna e gli dice di aspettare. Dura a lungo prima che egli ritorni;
ora lo conduce in un’altra stanza. Upal è solo; nessun cambiamento si mostra
nei suoi tratti che riveli una qualche emozione. È silenziosamente rivolto in
se stesso, solo l’occhio talvolta risplende all’improvviso furtivamente, ma la
ferrea forza di volontà dell’uomo doma qualsiasi sentimento traditore. Un
servitore entra e lo invita a seguirlo.
8.
Lo conduce in
una stanza nella quale siedono parecchi alti funzionari di questa casa del
tesoro, i quali lo guardano interessati. Essi lo
esortano, incoraggianti. Il presidente di questa consulta gli notifica ancora
una volta la piena libertà e gli consegna un gran numero di carte; per ultimo,
con particolare accento, un documento che autorizza Upal a prelevare dalle
casse reali la grossa somma che gli spetta, come trovatore della pietra-aurea.
Upal adesso è ricco, molto ricco. – Gli si comunica con insistenza di attendere
ogni giorno di essere chiamato dal re. Egli acconsente a questo, afferma di
essere pronto, ed è rilasciato.
* * *
9.
Un servitore lo
porta fuori attraverso un lungo corridoio; adesso sta nuovamente davanti ad una
porta sulla quale c’è un’iscrizione in una scrittura a me sconosciuta. Upal la
apre. È l’ufficio cassa, una stanza a volta, separata da un muro con piccole
vetrate, dietro ad ognuna siede un uomo. Upal presenta il suo attestato ad uno sportello e riceve un gran numero di sacchetti che
nasconde nella sua veste. Apre un sacchetto, è pieno di sottili, quadrangolari
piastre bianche, ognuna porta un segno, – è l’oro monetizzato di Mallona; per
ottenerlo egli ha rischiato più di una volta la sua vita.
10.
Mi
vien da ridere. Questi sassolini sono quindi soldi, soldi
come da noi, qual è il suo valore, in che cosa sta? – Sì, in che cosa sta,
infatti, il valore del nostro oro, non è anche un prodotto della fantasia,
un’immaginazione che ci dà l’illusione che la nostra moneta abbia valore? – Se
si valutassero qui questi soldi, noi otterremmo solo una mollica per questi
sassolini quadrangolari – Che cosa dobbiamo stimare? Le cose oneste, il lavoro
utile, sono stati divorati da molto tempo dall’idolo
fatto da sé del fantasma del denaro. L’apparenza, la presunzione ha riportato
la vittoria e creato i tesori che la ruggine e le tarme divorano.
11.
Upal si è
allontanato dall’ufficio cassa e una magica potenza mi spinge a seguirlo
ancora. Egli adesso esce dall’imponente edificio e si ritrova all’interno delle
mura della città, davanti ad una piazza all’aperto che attraversa velocemente.
L’uomo trae un profondo sospiro, istintivamente afferra il tesoro nascosto nella
sua veste, getta ancora un’occhiata d’addio all’edificio appena lasciato e, con
passo veloce, si affretta per i vicoli della periferia, nella
quale presto si trova.
* * *
12.
Vedo costruite
case caratteristiche dappertutto, e posso paragonarle solo con quelle
dell’Oriente. Tetti piatti come si usa là, ma qui di regola sono ricoperti con
splendide piante in fiori, come i giardini pensili di Semiramide. Le finestre
sono alte e larghe, fornite di tende che lasciano intravedere ariosi ambienti.
Il vetro qui sembra essere sconosciuto, ma ben vedo dappertutto delle
tende a rullo, di un materiale trasparente, solido, a me sconosciuto, che
sembra assicurare lo stesso servizio delle finestre di vetro. Le case non sono
costruite a caserme di molti piani, ma sono alte solo due
piani, estese in lunghezza e provviste per lo più di lati che
racchiudono un giardino. Ovunque aleggia aria mite. Gli uomini che vedo sono
tutti molto muscolosi, di robusta e grossa costituzione. Questo deve provenire
dalla particolarità di questo pianeta, le cui caratteristiche fisiche devono
essere certamente diverse da quelle della nostra Terra, già in seguito alla sua
più grande lontananza dal Sole e dal differente tempo di rotazione. Mi accorgo
adesso che l’atmosfera qui sembra essere più densa e la pressione dell’aria è
maggiore. Cercherò di esaminare questo più tardi, poiché m’interessa penetrare
più profondamente nei misteri dell’Universo che si rivelano a me.
13.
Upal è giunto
in una zona che presenta case più piccole, è sufficiente un po’ di osservazione
per riconoscere che qui c’è un luogo di povertà. Le case sono basse, strette,
molte sono solo una specie di casupole. Adesso silenzioso sta davanti ad una di
queste e si guarda intorno con sguardo scrutatore. Il vicolo è vuoto, non si
vedono uomini. Batte ad una porta bassa di robusto
legno. Una voce dall’interno s’informa sul disturbatore. Quando egli fa il suo
nome, risuona dall’interno un grido represso e, frettolosamente gli è aperto.
Una donna anziana, dall’aspetto gracile, i cui tratti del volto rivelano
miseria e preoccupazione, apre e guarda con espressione incredula di massima
sorpresa per il nuovo arrivato. Poi, quando lei vede che l’impossibile è
realtà, lancia un grido e gli getta le braccia al collo. Un cuore di madre è lo
stesso, anche su questo mondo estraneo!
* * *
14.
Upal dolcemente
si libera dalle braccia della madre piangente forte di gioia e la conduce
premurosamente verso una porta mezza aperta, dalla quale risuonano preoccupate
domande su che cosa sia successo. Entrambi entrano e Upal va rapido ad un giaciglio sul quale giace un uomo malaticcio. Qui si
ripete la medesima scena. Upal si china sul letto di suo padre ammalato. Adesso
comincia un interrogatorio senza fine. Upal racconta, e un gioioso stupore
costringe i due anziani al silenzio, quando essi ascoltano che lui è ritornato
ricco, quale trovatore della pietra-aurea.
15.
Upal tira fuori
i suoi tesori dalla veste e mostra l’ordine di pagamento che lo autorizza a
prelevare ancora molto di più. Grande è la gioia degli anziani genitori: dunque
tutta l’amara povertà, nella quale essi si trovavano, adesso ha una fine
improvvisa. Il padre, guardandolo con sguardo interrogativo, gli domanda a
bassa voce, mentre la madre si adopera in operosa premura a preparare qualcosa
da mangiare: “Hai fatto così come ti avevo detto
io?”. Altrettanto a bassa voce risponde il figlio: “L’ho fatto; solo a te devo il ritrovamento, avvenuto però
più tardi!”. Upal dà alla madre un po’ del suo tesoro
e la prega di procurare il cibo migliore, nel frattempo lui vuol rimanere
accanto al padre. La donna acconsente volentieri e, con tante carezze, si
allontana per andare a prendere il meglio.
16.
Padre e figlio
sono adesso soli. Il vecchio si è sollevato dal suo giaciglio. Una volta questo
corpo, ormai rovinato dalla malattia e dalla miseria, deve aver avuto una forza
enorme. Solo adesso, che la gioia di avere nuovamente il figlio ha rinfrescato
le spente forze, si può intravedere come doveva essere stato quel vecchio al
tempo della sua giovinezza. Upal somiglia certamente molto a suo padre,
tuttavia egli, nonostante tutta la forza, non somiglia a quella stessa immagine
giovanile, e ciò sorge in me spontaneamente con l’osservazione di quest’uomo
anziano.
17.
Il vecchio
porge la mano al figlio e lo tira amorevolmente al suo fianco: “Hai sofferto molto nel lungo tempo che hai passato là?”.
– Così egli domanda in tono preoccupato. Negli occhi di Upal passa un lampo
selvaggio. Tutto l’odio a lungo trattenuto si rispecchia nel
suo volto e dalla più profonda, più amara anima, egli esclama: “Ho sofferto oltre ogni dire, ma la pena non è loro
condonata; dovranno pur scontarla un giorno – che l’Iddio Padre mi possa
esaudire! – Tutti dovranno scontarla! Tutti!” –
18.
“Figlio
mio, chi si vendica da sé, strappa al Padre la vendetta di mano. Solo Lui
esercita la ricompensa nella giusta misura. La pena sofferta
è ancora troppo fresca nel tuo cuore, lasciala mitigare col tempo, affinché
pensieri di pace entrino nel tuo cuore”.
19.
Upal si domina
e, muto, guarda in basso dinanzi a sé. Il vecchio prosegue:
20.
“È diventato molto diverso dai tempi della mia giovinezza,
così che non mi posso certo meravigliare di sentire da te ancora parecchio su
come stanno adesso le cose nelle cave di Wirdu. Ai miei tempi, quando viveva ancora
il nostro ultimo buon re Maban, era un onore andare alla ricerca della
splendida pietra aurea: un’impresa eroica intrapresa per la propria audacia e
per le energie che possiede la pietra. La pietra-bianca si trova anche in altri
luoghi di Mallona, ma l’eccellente pietra-aurea si trova solo qui.
21.
Mai
fu cercata prima così avidamente la pietra-bianca e la pietra-aurea, mai fu
sacrificato un uomo per questo. Gli audaci uomini liberi quella volta sfidavano il pericolo per amore del popolo e del re. Adesso
sono costretti e spinti dentro i prigionieri di guerra e i cittadini che non
possono versare le pesanti tasse.
22.
O
re Areval, quando sarà saziata la tua avidità!?”.
23.
Upal digrigna i denti quando sente questo nome, e dall’eccitazione esprime
quasi sibilando le parole: “Mai sarà soddisfatta
l’avidità di questo mostro! Maledetto sia questo capo di Mallona che dissangua il
paese, assassina i cittadini, e per delle misere tasse che noi non potevamo
pagare, m’inviò in quegli abissi. Maledizione a lui, fino a che sarà saldato
ogni delitto di cui si è macchiato!”
24.
Il vegliardo si drizza in alto, con occhi tristemente seri guarda suo
figlio e in tono pieno di rimprovero, eppur pieno d’amore dice: “Upal, re
Areval mi ha ucciso la cosa più cara che avessi: tua sorella Fedijah, ed io non
l’ho maledetto! L’Iddio Padre
dice: “Mia è la vendetta!”. – Non lasciarti
rubare da Areval la fede in Lui, il Signore del mondo, il Quale nella Sua
Sapienza lascia anche un simile re ancora sul trono, però ti ha fatto trovare
la pietra-aurea e ti ha riportato sicuro alla casa paterna! Figlio mio, il mio
dolore fu grande quando vidi morire Fedijah per colpa di Areval. Sarebbe ancora più grande però se io vedessi morire la tua anima,
distrutta per causa sua”.
25.
Upal afferra la
mano del padre e, in segno di profondissima devozione, se la pone sul cuore. Con voce tranquilla dice: “Padre, solo
la fede nell’Iddio Padre mi ha sostenuto!
Senza di questa non sarei qui. Io so di essere prescelto
ancora per una grande azione, e con la mia vita la compirò!”.
Egli ha parlato con occhi lampeggianti e il vecchio, preoccupato, gli domanda:
“Tu mi nascondi qualcosa, figlio mio, che cosa hai in mente?”.
26.
“Non ti nasconderò nulla, padre mio, tu devi sapere tutto, tutto! Devo annunciarti quel che ho scoperto nelle cave
di Wirdu.
27.
Quando allora fu
deciso il mio destino che io dovessi andare come uno schiavo alla ricerca della
pietra-bianca in sostituzione delle tasse non versate, tu, padre mio, mi
rivelasti le esperienze che ti capitarono un giorno nelle cave di Wirdu; forse
sarebbero potute essermi utili. Padre mio, quanto riccamente mi ricompensò la
tua premura! Quella profondissima caverna, infatti, che tu raggiungesti e la
cui esistenza portavi rinchiuso fino allora nel tuo petto come segreto – ben
sapendo quanta poca felicità avrebbero portato i
tesori che là erano nascosti – io la ritrovai.
28.
Non fu facile
ritrovarla. Innumerevoli passaggi sono stati trivellati nella roccia, fino a
raggiungere quelle gallerie naturali, quelle ampie caverne e quelle voragini
che il fuoco ha creato e nelle quali si trova la pietra-bianca disseminata
nella roccia. Tutti i passaggi artificiali arrivano ancora oggi, come ai tuoi
tempi, ad un fiume sotterraneo, la cui superficie
evapora a causa del calore del vicino fuoco e che tu conoscesti come un confine
della vita dalla morte. Immutato è ancora l’enorme vestibolo roccioso
attraverso il quale scorre il fiume: l’unica porta per le terribili profondità
che, piene di soffocanti vapori, nasconde i tesori di Areval, la pietra-bianca
e la pietra-aurea. Avevo attentamente seguito il tuo consiglio: calcolare con
precisione i tempi del mare, perché la pericolosità dei vapori sta strettamente
in relazione con questo. In pochi giorni compresi che era possibile raggiungere
le maggiori profondità solamente quando l’alto riflusso del mare non impediva
ai vapori velenosi di uscire verso l’inaccessibile regione del cratere Marda,
alla sede del maligno demone Usglom, vincere il quale è il più grande desiderio
di Areval.
29.
Trovai il posto
da te indicato nel fiume sotterraneo e vidi, con profonda gratitudine nel
cuore, l’inosservato piccolo segno che tu un giorno scavasti
nelle rocce; non immaginando allora che sarebbe potuto diventare la salvezza
per tuo figlio. Di fronte a questo, posto sull’altra riva, trovai, quasi
seppellito, l’ingresso ad un passaggio roccioso che tu
un giorno dovesti aver percorso e che non fu notato dagli altri schiavi, i
quali, come me, erano condannati al lavoro forzato. Vapore che stordiva uscì da
questo verso di me, una prova che questo passaggio doveva condurre profondamente
all’interno, così che in un primo momento dovetti rinunciare a penetrarvi.
Presto tuttavia mi accorsi come soltanto per il tempo dell’alta marea si
dileguava il vapore dal passaggio e che, eccetto queste ore, non era pericoloso
percorrerlo per la durata di quasi una mezza giornata. Volli osare, poiché se
ero al posto giusto, mi doveva attendere la libertà. Tu certamente un giorno,
da uomo libero, avevi trovato in quel posto la pietra-aurea, ma non avevi messo
al sicuro l’intero ritrovamento, piuttosto avevi lasciato indietro una buona
parte dello stesso, scacciato dai vapori ascendenti. Ora era importante per me
ritrovarla; la riuscita racchiudeva in sé, libertà e ricchezza.
30.
Ben provvisto
di manga[2],
attrezzature e prodotti alimentari – che sono concessi con abbondanza quando lo
schiavo dichiara di intraprendere un viaggio mortale allo scopo della scoperta
– mi portai. giù, avendo cura che nessuno osservasse
quale via io prendevo Avevo ben scelto il tempo. Era quasi la fine dell’alta
marea quando fui all’ingresso del passaggio roccioso, dal quale si alzava
ancora solo un leggero vapore. Presto diminuì del tutto e, quando percorsi il
passaggio, mi soffiò contro aria pura e fresca. Solo strisciando potei
avanzare, blocchi di roccia m’impedivano la via, faticosamente dovetti
rimuovere gli ostacoli. Alla fine si allargò la ripida via che conduceva nella
profondità e deviò fortemente verso la parte opposta a quella in cui
generalmente si cercano i tesori.
31.
Il passaggio si
divideva in due bracci, io scelsi quello deviante a destra; tu mi avevi
assicurato che l’altro braccio conduceva ad una
voragine senza fine, dalla quale non era più possibile nessuno scampo per chi
vi fosse precipitato. Nuovamente dovetti strisciare attraverso stretti crepacci
e raggiunsi così la meravigliosa piccola caverna che tu mi avevi descritto,
dove dalle rocce spuntava la pietra-bianca. Tu dicesti che alla fine della
caverna c’era un abisso dal quale saliva il vapore velenoso, spinto da
inspiegabili correnti d’aria e, come in un fumaiolo, veniva
succhiato ad un’altezza che non ti fu possibile scorgere. Io vidi l’abisso, ma
da lì non salivano più i vapori. Le potenze sotterranee del fuoco e dell’acqua
avevano provocato dei cambiamenti nel corso degli anni; silenzioso e quieto
stava il profondo abisso davanti a me. Se guardavo su, al margine di questo,
allora brillava su di me, da enorme altezza, una stella. Era la luce del Sole
che appariva attraverso una fenditura delle rocce, e rischiarava debolmente la
terribile profondità.
32.
Riconobbi dove mi trovavo;
ero in un luogo dal quale un tempo, il fuoco fu scacciato dalla potenza
dell’acqua che ancora udivo rumoreggiare nella profondità; ero in una conca
raffreddata, strappata al dio del fuoco, il demone Usglom, che qui, vinto,
lasciò i suoi tesori in uno dei posti più straordinari il quale, libero dai
vapori, regalano allo scopritore senza alcuna fatica le ricchezze accumulate.
33.
Io qui non
avevo più da temere i vapori che un tempo, uscendo in alto attraverso quella
fenditura rischiarata dal Sole, ti avevano scacciato, perché la profonda
mugghiante, diluviante acqua rendeva impossibile la
mossa contraria. Perciò avevo il tempo, oltre che la possibilità, di esaminare
con precisione questa caverna. Dopo breve ricerca, illuminando le pareti con il
manga, trovai il posto dal quale tu spezzasti la pietra-aurea, e trovai anche
l’altra metà ancora saldamente fissata nella pietra-bianca che Usglom non ti
concesse di portare con te. Presi l’oggetto rinvenuto e, quando consegnai la
pietra, nascosi un frammento nella mia bocca, sperando di salvarlo per te. Deve
portarti la salute, padre! Io ritengo cosa di poco valore essere un ladro alla
proprietà del re; egli ci ha rubato certamente molto di più!”
34.
Upal prende
dalla sua veste una piccola pietra marrone scuro e la
mette davanti al padre stupito, il quale l’afferra avidamente e l’osserva con
sguardo raggiante.
35.
“Sì, è questa
la rara, preziosa pietra che può darmi e mi darà di
nuovo la salute. Nascondila bene, figlio mio; anch’io non
considero un delitto che tu l’abbia sottratta per amore di tuo padre; io,
infatti, ho certamente un sicuro diritto su questo ritrovamento”.
36.
“Se lo stupore
non fosse stato così grande alla consegna della pietra-aurea, tanto che non si
pensò più di esaminare il mio corpo, essa non sarebbe tua proprietà”. Dice Upal
sorridendo. “Tuttavia, ascolta ancora. In me si mosse
il desiderio di esaminare la voragine più da vicino; mi sembrò, infatti, quasi
sicuramente che questa dovesse contenere molti più tesori di quanti ce ne
fossero nella caverna in cui mi trovavo. Trovai una discesa, mi legai alla
corda portata con me, fissai questa ad un macigno e
osai lasciarmi andare ulteriormente nella voragine. A breve profondità trovai
una vasta fenditura nella ripida parete rocciosa, strisciai dentro e giunsi in
una grande caverna tondeggiante.
37.
Padre, tutto lo
splendore di re Areval non è in grado di dare neanche un luccichio di ciò che
ha creato là il demone. Un trono del principe Weiskee si aprì dinanzi a me. La
luce nella mia mano si rifletteva in migliaia di cristalli. Il soffitto e il
suolo erano coperti di pietre preziose che la terra rocciosa solidificata vi
aveva partorito. E più in là, sempre più in profondità, potevo passeggiare
nella mai vista caverna di Wirdu, che certamente per la prima volta calpestava
un figlio di Mallona. La pietra bianca e la pietra aurea stavano in questa
camera del tesoro in quantità innumerevole; le pietre più preziose che adornano
la corona di Areval, là tu ne trovi a migliaia. Tale ricchezza in possesso di un uomo lo renderebbe signore del
mondo”.
38.
“E tu hai taciuto su quello che hai trovato?”,
domanda grave il padre di Upal.
39.
“L’ho fatto, e
non rivelerò niente nemmeno ad Areval. Egli non deve godere nulla di ciò che ho
scoperto io. Non hai dovuto anche tu un giorno promettere al re, al saggio
Maban, di tacere sul tuo viaggio della morte? Lui sapeva bene quanta poca
felicità si trovava nelle ricchezze che nasconde solo la piccola caverna
conosciuta da noi solamente. Quanto più m’imporrebbe di tacere se egli vivesse
ancora e sapesse che cosa ho trovato. No! Areval non lo saprà mai, mai! Oh,
egli deve solo stare dinanzi a me, lo stolto re, deve solo domandare! Lui e il suo ipocrita cancelliere dovranno ottenere una descrizione
del viaggio della morte che mai e poi mai farà loro trovare quello che io ho
contemplato”.
40.
All’ingresso si
odono passi strascicati. La madre di Upal ritorna con i cibi che ha comprato.
Velocemente gli uomini si scambiano uno sguardo pieno di comprensione. Upal
nasconde la pietra-aurea marrone nella sua veste e lodando ad alta voce saluta
la madre che, con gioia, fruga dal cesto il cibo, per offrirlo agli affamati.
[indice]
1.
La forza che mi ha
condotto qui mi afferra nuovamente e mi porta via dalla casupola di Upal. Avevo
il desiderio di sondare quali storie fossero nascoste nella famiglia menzionata
da Upal e da suo padre. Quando il desiderio in me è diventato volontà, mi sento
sollevare in alto e vedo ora, davanti al mio sguardo, sorgere delle immagini
viventi che mi danno la risposta. – Lasciami guardare, devo tacere per
comprendere gli avvenimenti velocemente variabili e coalizzati in sé, e poi li
descriverò.
2.
Molto tempo è
già passato da quando regnava re Maban, il padre dell’attuale dominante re
Areval. Fu lui che fondò il grande impero di Mallona; prima di lui, infatti,
sui quattro continenti del pianeta regnavano parecchi
re. Questi quattro continenti si chiamavano Nustra,
Monna, Sutona e Mallona. Il re di Monna fu l’ultimo della sua stirpe e
per eredità Maban divenne re anche di questa parte. I due continenti erano
tuttavia separati come lo sono l’Asia dall’America, ed era più facile giungere
a Monna dalla terza parte di Nustra – che era unita con Mallona come lo sono
l’Europa e l’Asia – che non da Mallona; come la via dall’Europa verso l’America
è più vicina di quella dell’Asia. Su questo pianeta inoltre la distanza era
ancora più breve della distanza tra l’America e
l’Europa, rappresentata dall’oceano Atlantico della Terra.
3.
Stava
nell’interesse di Maban concludere una stretta
alleanza col re di Nustra; già per il motivo che il potente regno dei sutoni,
sotto il suo tiranno Ksontu, mirava al potere assoluto e, per questo motivo,
furono condotte per lungo tempo tra Maban e il re di Sutona guerre sanguinose
ed estremamente crudeli. Quest’alleanza fu fatta perché il popolo di Nustra era
diventato debole e indolente. Il popolo sperava di poter vivere sotto Maban più
sicuro e in pace, indisturbato da Ksontu, poiché,
secondo il suo modo di vedere, i tre imperi insieme potevano costringere alla
calma il reiterato perturbatore della pace.
4.
Tuttavia
Ksontu, nella consapevolezza della sua forza e potenza, non temeva i tre imperi
uniti, e nella sua arroganza voleva strappare a sé tutto il dominio, o perire.
Il suo paese era povero di quei tesori che Maban otteneva dal sottosuolo del
suo impero; il popolo dei Sutoni però era violento, senza esigenze, quand’anche
rozzo e ignorante.
5.
Si venne alla
guerra. Quando Maban concluse l’alleanza con l’impero
di Nustra, Ksontu dal suo impero situato a sud (come l’Africa) attaccò di
sorpresa il nuovo, indebolito alleato e lo vinse rapidamente. Maban corse in
aiuto con imponenti potenziali bellici e la fortuna della guerra a lungo
ondeggiò da una parte e dall’altra. La superiorità, l’abilità strategica di
Maban giunse a prevalere sul selvatico valore di Ksontu e delle sue schiere, e
Ksontu fu costretto a divenire soggetto a tributo. Maban seppe ben stimare il
valore del re vinto e del popolo. Egli temeva eventuali successive sollevazioni
e, per ottenere un pacifico affratellamento, ricorse a dei mezzi che,
indipendentemente dalla forza della spada, riconciliassero insieme le
popolazioni.
6.
Egli sposò la
figlia di Ksontu, la innalzò a legittima regina e, con questa mossa, guadagnò
l’ex nemico a grande amico. Secondo le leggi nei quattro imperi, infatti, la
successione era concessa non solo in linea discendente ma, pienamente, nel caso
non si trovassero discendenti, anche in linea ascendente. Ksontu, con questo passo
di Maban, entrò per il momento nel rango di successore al trono, finché non
fossero nati eredi dal matrimonio con sua figlia. Egli godette la piena fiducia
e la rappresentanza del re; fu dunque, senza fatica, co-regnante per il resto
dei suoi già inoltrati anni.
7.
Riconobbe la
benevola intenzione di suo genero e poiché egli, oltre ad essere notevolmente
più vecchio di Maban, all’infuori di sua figlia non aveva eredi, si sottomise
volentieri, e rimase un buon amico dell’energico Maban, solo che il suo sangue
caldo diveniva spesso scomodo per l’attuale sovrano assoluto di Mallona.
8.
Maban non ebbe
bisogno a lungo di esercitare indulgenza verso Ksontu, il re, infatti, abituato
ad imprese belliche, a rozzi costumi, alla semplicità
e perfino alle privazioni, condivise il destino di molti despoti passati sulla
Terra, i quali s’immersero nel vortice dei piaceri e dei vizi a loro prima
sconosciuti, poiché scambiarono la loro precedente semplicità con il lusso a
loro disposizione. La natura vigorosa di Ksontu, tendente all’azione, sprofondò
subito nel fango della lussuria e, nel bel mezzo di ogni piacere sensuale,
goduto in eccesso, la morte lo colse di sorpresa.
9.
Maban era ora
l’incontrastato signore dell’intero pianeta e il nome del suo regno divenne il nome dello stesso pianeta. Dal matrimonio di Maban con la
figlia di Ksontu nacquero due figli, Muhareb e Areval, entrambi di caratteri
differenti. Il primogenito, Muhareb, ereditò le caratteristiche più nobili di suo padre; egli era serio, indagatore, animato da profondo
senso religioso e da irremovibile legalità e giustizia.
10.
Già negli anni
giovanili superava tutti i coetanei in intelligenza e discernimento. Poteva
piangere a dirotto per l’infelicità di un estraneo e provava la più grande
gioia per la felicità di quelli che gli erano più vicini, e perfino per il
forestiero. La sua educazione si addiceva a quella del futuro erede del potente
impero; tuttavia fu inutile volergli insegnare, nel corso degli anni, gli
intrighi di una cosiddetta politica astuta. Il suo senso di giustizia e di
verità rifiutava ogni sotterfugio. Egli voleva agire allo scoperto e, in
verità, era frequente il terrore dei consiglieri del re Maban, i quali erano
abituati ad agire con ogni sorta di stratagemma per raggiungere i loro scopi,
tanto più che Maban non era contrario al principio che la verità dovesse
talvolta essere offuscata per raggiungere tanto più sicuramente uno scopo.
11.
Il governo del
vasto impero era difficile. Governare i quattro potenti imperi principali,
equivalenti ai presenti quattro continenti di Mallona, richiedeva una saggia
ripartizione. Ciascuno dei tre imperi annessi aveva un viceré che,
completamente dipendente da Maban, non era nominato a vita, ma dipendeva solo
dalla benevolenza del sovrano. Maban poteva spodestare e incoronare a piacere.
Le entrate di tutti gli stati erano amministrate dalla sua capitale. Abilmente
egli a poco a poco organizzò le cose in modo che un regno, eccetto il suo,
nelle alte cariche amministrative mai fosse guidato da cittadini del proprio
paese, ma sempre da funzionari che erano originari e nativi di un altro paese.
Egli impedì, con un continuo cambio, la formazione dell’interesse locale, e
dopo un certo tempo spediva volentieri a casa quei funzionari che forse
sentivano nostalgia della patria.
12.
In questo modo
ottenne che i funzionari governativi stringessero, con la sede della loro
attività, solo un relativo interesse, e non arrivassero nella posizione di
trattare con il popolo con particolare riguardo ad
interessi locali. A dir il vero l’autorità crebbe, ma con ciò a poco a poco
anche un governo più severo che, posto in mani sbagliate, avrebbe potuto
sviluppare conseguenze devastanti. Maban sapeva questo e, con la sua completa
autocratica posizione di forza e con una scrupolosa formazione del carattere
dei dignitari destinati alle alte cariche, credette di poter prevenire ogni
eventuale spiacevole conseguenza per il futuro
13.
Egli proibì
l’acquisto di fondi e terreni come proprietà privata; tutto apparteneva allo
Stato, il quale distribuiva proprietà fondiarie a cittadini degni; tuttavia non
come proprietà per il proprio uso, ma solo in quanto
ispettori superiori delle singole comunità, alle quali essi erano preposti, e
al cui benessere dovevano provvedere. Costoro erano grandi amministratori che,
in verità, facevano avere ai loro sottoposti, in abbondante misura,
remunerazioni secondo il valore del lavoro fornito. Raccoglievano tutti i
prodotti del loro impero, così che nessun abitante potesse ottenere qualche
cosa dalla mano del suo vicino, ma si doveva rivolgere sempre ai grandi
depositi locali di provviste, depositi che erano
costruiti dallo Stato e provvedevano per un’uguale buona fornitura di ogni
necessità. In ogni luogo si trovavano depositi di provviste e case di lavoro
che erano amministrate secondo leggi precise. Mallona era il modello di ogni
futuro sociale dello Stato che, sulla Terra, è ambito da determinati partiti.
14.
Come mezzo di
pagamento valeva già allora il bianco ‘Rod’[3]
che introdusse Maban, quella pietra-bianca che si
trovava principalmente a Mallona, l’impero vero e proprio di Maban. Questa
pietra valeva solo come rarità della natura, finché non fu riconosciuto il vero
e proprio ricco luogo di ritrovamento. Così Maban trovò i ricchi giacimenti nel
suo paese e introdusse il Rod come mezzo di pagamento.
Per rendere impossibile il possesso del denaro come moneta corrente e
assicurare e proteggere il lavoro del singolo, egli escogitò il seguente
espediente:
15.
Ogni cittadino
che produceva qualcosa, sia che consegnasse i suoi
prodotti ai magazzini di deposito o che eseguisse lavori necessari nelle
fabbriche statali, sia che provvedesse anche nell’arte per il divertimento dei
cittadini, era indennizzato dalle casse pubbliche e dai molteplici posti di
pagamento degl’imperi. Ogni cittadino, infatti, era un impiegato statale. La
piastra di Rod, di differente valore, consegnatagli per una qualche
prestazione, era marcata col suo nome e contrassegno mediante un inchiostro
indelebile davanti ai suoi occhi; questi due contrassegni erano iscritti d’ufficio
nei registri degli abitanti. Il valore del suo lavoro era condizionato dalla
tariffa fissata dallo Stato, così che era esclusa l’ingiustizia. Inoltre,
lavori sgradevoli o pericolosi erano valutati maggiormente rispetto a quelli
che non richiedevano troppo sacrificio di sé.
16.
Il compenso
ricevuto aveva valore solo per l’esecutore del lavoro: soltanto costui,
infatti, poteva ricevere, per le sue piastre e nei punti di distribuzione del
suo luogo di residenza, le cose necessarie. Se voleva
andare in viaggio gli era consentito, tuttavia senza
un attestato ufficiale del suo luogo d’origine egli non poteva ricevere nulla
dalle altre casse. Il Rod ritirato come pagamento, era
raccolto nei punti d’incasso e inviato di nuovo alla cassa centrale, là era
ripulito dai contrassegni d’inchiostro e poi riutilizzato (produzione e
rimozione dell’inchiostro era un segreto di Stato).
17.
Queste
condizioni monetarie crearono situazioni di vita completamente particolari.
18.
Ogni casa
apparteneva allo Stato, i cittadini prendevano in affitto i loro locali
d’abitazioni e pagavano la locazione col loro guadagno. La libera coltivazione
di un giardino appartenente ad ogni casa era permessa,
così che l’abitante poteva provvedere a se stesso per le sue necessità
quotidiane. Come sulla Terra, erano esistenti città che si sviluppavano per
sedi dell’industria; e come il contadino della Terra, altrettanto la
popolazione rurale provvedeva alla coltivazione dei prodotti del terreno. La
valutazione statale del lavoro, che ciascuno poteva scegliersi secondo libera
scelta, il riconoscimento in generale della pari
utilità e necessità di tutti i lavori, difficilmente lasciavano prosperare
l’orgoglio di classe. Una cosa simile la impedivano anche le scuole pubbliche,
perché queste erano liberamente accessibili a chiunque, e con ciò si provvedeva
in generale per l’uguale formazione del sapere e capacità conosciute su
Mallona.
19.
Anche l’età era
onorata. Dopo un determinato periodo di lavoro, i cittadini avevano diritto al
mantenimento gratuito; tuttavia ne facevano uso solo ammalati e deboli. Era,
infatti, ritenuto come disonorevole trascorrere il proprio tempo in ozio,
soprattutto perché il lavoro delle persone anziane era pagato meglio che quello
dei più giovani, i quali ancora in pieno possesso di
tutte le forze, potevano lavorare più facilmente e più velocemente.
20.
Questi tratti
principali dell’amministrazione statale, che Maban introdusse, incontrarono
dapprima una forte opposizione nell’impero dei rammolliti abitanti di Nustra.
Con queste nuove leggi essi furono tuttavia costretti a rinunciare alla loro
floscia vita e a lavorare seriamente. In verità, alcuni insoddisfatti tentarono
di ribellarsi, ma Maban non ammetteva scherzi e procedette con ferrea severità
contro i ribelli, cosicché il popolo, intimidito, presto si piegò. In breve il
popolo di Nustra ricevette la benedizione del lavoro, e poiché il carattere
dello stesso era tale da seguire volentieri le abitudini nella vita regolare,
così negli anni successivi fu proprio Nustra che si attenne ostinatamente a
quest’istituzione, quando la snervata mano di Areval distrusse nuovamente
l’opera di suo padre.
21.
Maban
riconosceva molto bene che un’opera poteva durare solo quando avrebbe temprato
il carattere dei suoi sudditi, soprattutto quello dei grandi del paese; quando
avrebbe provveduto che la generazione crescente accogliesse in sé pienamente i
suoi principi; quando felicità e comodità avrebbero regnato nei vasti imperi e
con ciò sarebbero rimaste sconosciute miseria e penuria.
22.
La
nazionalizzazione di tutte le prestazioni e valutazioni del lavoro, unitamente
alla peculiarità dell’introdotto mezzo di pagamento, mise una sicura fine al
dominio di questi ultimi nominati nemici d’ogni felicità. L’educazione dei
caratteri era tuttavia un’operazione ampiamente più difficile! Maban cercò di
realizzarla riunendo frequentemente intorno a sé tutti gli uomini ai quali
aveva concesso, o pensava di concedere, i posti di
maggiore responsabilità dell’impero. Egli cercò di influire su questi col suo
esempio e di imprimere in loro, nel rapporto diretto, saldamente i suoi
principi. I tre viceré degli imperi dovevano rimanere spesso a lungo alla sua corte, affinché egli potesse dar loro una precisa
visione di tutti i progressi del governo del paese. Spesso, del tutto
inaspettatamente, con lunghi viaggi, egli stesso si convinceva del vero stato
delle cose. Allora era inesorabilmente severo se, in tali viaggi di controllo,
trovava irregolarità nei distretti amministrativi, riconoscendo e ricompensando
però anche il più piccolo dei suoi funzionari che compisse con precisione i
lavori spesso difficili. Nessuna meraviglia dunque che egli fosse amato e
onorato dappertutto, anzi lo si elogiava come il
realizzatore della pace eterna.
23.
Per elevare il
carattere del popolo all’altezza spirituale di una formazione più raffinata,
per formare e per dar prova di coraggio, valore e
capacità personale dello spirito e del corpo, erano celebrate particolari feste
che, similmente ai giochi olimpici, offrivano competizioni sportive dello
spirito e del corpo. L’arte della poesia, l’arte della parola, l’arte della
rappresentazione, erano pertanto molto sviluppate;
l’agilità fisica, in seguito a queste feste, divenne una condizione
fondamentale dell’educazione giovanile. Ognuno in queste feste poteva ottenere
un premio che, sempre ricevuto dalla mano del re, conferiva onore e molteplici
benefici. I vincitori ottenevano il diritto di chiedere a Maban una grazia,
secondo le loro particolari inclinazioni, grazia che era sempre concessa, se
quanto chiesto con la preghiera si mostrava fattibile. Esistevano speciali
accademie per la realizzazione di nuove invenzioni che erano realizzate
nell’impero. Qui ad ognuno era data l’occasione di
realizzare le proprie idee, di provare il loro valore o non valore, di
fabbricare modelli e fare delle prove.
24.
Nessun serio
inventore era ostacolato per mancanza di mezzi economici; i laboratori statali,
infatti, gli offrivano tutto il necessario non appena un’idea prospettava al
comitato solo la pur minima probabilità sulla possibilità della sua
realizzazione, sebbene questo comitato, in assoluto, non esaminasse troppo
minuziosamente le proposte in arrivo. Maban aveva ordinato di esercitare, in
questa parte, la più grande tolleranza, e ottenne in tal modo enormi successi
nel campo della tecnica. – Teste geniali sulla Terra soffrono troppo spesso,
solo per l’impossibilità della realizzazione delle loro idee per mancanza di soldi. Il governo terreno solitamente non è facile da
convincere su idee scarsamente realizzabili o su progetti non provati che
porterebbero al successo solo attraverso molteplici esperimenti. Qui era
diverso: su Mallona si continuò a sperimentare perfino progetti apparentemente
senza prospettiva, da quando importanti nuove scoperte erano state fatte per
caso, in seguito al fallimento degli esperimenti normalmente progettati. (Anche su Mallona, infatti, non raramente c’erano inventori
involontari come il bottaio, il quale voleva far soldi e trovò la porcellana!).
25.
La scoperta più
eccellente per Maban fu l’invenzione di veicoli rotabili enormemente veloci, i
quali permettevano il collegamento per ogni dove, su strade particolarmente
spianate. L’ingegneria era giunta a non temere più ostacoli riguardo al disagio
del terreno. Le singole località erano collegate sempre in linea direttissima
per mezzo di strade sulle quali potevano viaggiare nei due sensi in pazzesca
velocità, veicoli di differente grandezza. Ovviamente anche queste strade erano
statali; i veicoli erano forniti alle comunità dallo Stato, e l’utilizzo degli
stessi spettava gratuitamente a chiunque dimostrasse di dover intraprendere un
viaggio più o meno lungo.
26.
La navigazione
sul mare non si svolgeva quasi per nulla. Essa non era necessaria per collegare
gli imperi di Nustra e Monna separati dall’acqua. Il mare, infatti, – in alcuni
punti molto ricco d’isole e senza grandi profondità – era stato superato dagli
ingegneri di Maban con la costruzione di giganteschi ponti da un’isola
all’altra e con questi, in differenti punti, si collegavano l’un
con l’altro i due continenti. Se il pianeta Mallona fosse stato esposto, come
la nostra Terra, al brusco cambiamento delle stagioni, e se queste, altrettanto
avessero agitato le sue acque causando violente tempeste in primavera e
autunno, anche l’altamente sviluppata arte degli ingegneri avrebbe presto
fallito nella resistenza contro gli elementi. Mallona tuttavia possedeva
un’altra disposizione dell’asse che la nostra Terra, e per questo le zone si
presentavano più uniformi e le stagioni meno ricche di cambiamenti, anche se
sufficienti da separare in modo considerevole l’estate e l’inverno, il tempo di
pioggia e quello di sole.
27.
Contemporaneamente
alla scoperta dei veloci veicoli rotabili, un esperto chimico aveva inventato
un esplosivo, con il quale si potevano ottenere enormi
effetti. La sua combinazione era tuttavia protetta come massimo segreto di
Stato, e la sua produzione, su ordine del re, era disposta solo per particolari
scopi. Questo segreto rese Maban invincibile per tutti i nemici: egli, infatti,
grazie all’enorme potere esplosivo, era in grado di distruggere con un colpo
solo interi territori! Nell’ultima guerra, con il suo terribile esplosivo,
aveva realmente distrutto una non insignificante montagna, cinta da una
fortezza, così che una resistenza nemica contro di lui, attrezzato con tali
armi, sarebbe stata impossibile.
28.
Questa
scoperta, stranamente, non portò ad una costruzione di
armi da fuoco, la cui forza di distruzione, a dir il vero, in confronto alla
forza distruttiva di quest’esplosivo sarebbe apparsa insignificante. Certamente
però furono inventate, per questa ragione, potenti macchine perforatrici e
particolari attrezzature di lavoro ad alta velocità, come scavatrici per la
costruzione di gallerie sotterranee. Poi catapulte che potevano scagliare
l’esplosivo da grande distanza verso un bersaglio che, esplodendo, distruggeva tutto in un vasto raggio uguale a un fendersi di
cratere.
29.
Maban custodì
questo terribile segreto con ogni cura; egli sapeva molto bene che questo lo
aveva aiutato ad ottenere la sua illimitata potenza, e
gliela rendeva sicura.
30.
Sotto il suo
governo sorse anche il valore della pietra-aurea che, solo raramente si trovava
situata nel Rod, la pietra-bianca. Essendo un prodotto
del fuoco, essa si trovava solo a grandi profondità, soprattutto nelle già
descritte caverne sotterranee della regione craterica di Marda. La sua
estrazione era legata a grandi pericoli. Per questo ci voleva coraggio e forza,
e proprio perciò Maban stabilì grosse ricompense e il conseguimento di speciali
onori per la sua consegna, allo scopo di avere, attraverso questo, come
pericolosa vittoria sportiva, un ulteriore mezzo per
il temperamento dei caratteri.
31.
La pietra-aurea
era ritenuta un mezzo magico che dava salute, prometteva forza e lunga vita al
possessore; polverizzata, doveva guarire ogni malattia. Era naturale che la
credenza che si attribuiva alla forza della pietra riuscisse a compiere molte
cose di cui la pietra stessa era certamente incapace. Maban lo sapeva molto
bene; ciononostante appoggiò tutto ciò che potesse servire alla sua
considerazione, poiché egli rendeva omaggio al principio economico: stabilisci
un valore altissimo e tienilo elevato al massimo; così avrai una sicura scala
per la valutazione di qualsiasi lavoro. L’esagerato ambizioso valore della
pietra-aurea favorì all’inizio certamente la buona intenzione, ma più tardi
divenne una rovina.
32.
Anni erano
passati dall’inizio del governo di Maban, e i suoi figli già menzionati Muhareb
e Areval erano diventati uomini adulti. Maban poneva tutte le speranze sul suo
degno figlio maggiore e successore al trono Muhareb, mentre Areval, dal sangue
caldo come sua madre, manifestava spesso caratteristiche caratteriali che
ricordavano al padre troppo bene il suocero Ksontu: caratteristiche che a lui
non piacevano, cosa che tuttavia, in vista dell’eventuale successione al trono
a lui sembravano meno pericolose di quanto non lo
fossero.
33.
Areval era
intelligente ma perfido, avido di piaceri e, tuttavia per prudenza, di nuovo
sobrio. Egli invidiava suo fratello maggiore e temeva in lui il futuro sovrano.
Egli stesso desiderava essere sovrano e cercava di circondarsi di fedeli che
parteggiassero saldamente per lui. A poco a poco, quanto più vecchio diventava
il padre, tanto più si consolidava nella sua anima un determinato piano. Egli
assunse all’improvviso un atteggiamento di devozione e, nei confronti del
padre, finse di essere il più ardente ammiratore dei suoi progetti. Gli riuscì
così bene a tenere la maschera, che Maban ebbe sempre più fiducia in lui e
suppose che solo l’esuberante gioventù l’avesse portato in precedenza al
traviamento e che adesso, il maturando uomo, riconosceva come tale e disprezzava quel tipo di vita. Egli gli affidò
l’amministrazione di un distretto vicino alla città residenziale e Areval
riuscì ad ottenere la sua fiducia, tanto che dopo alcuni anni lo pose come
viceré di Nustra. Era questo che Areval voleva: alla sua ambizione era offerto
per il momento a sufficienza! Nella sua residenza egli non era proprio più quel
buon sovrano che sembrava, e anche se si assoggettava per forza alle leggi
amministrative stabilite da Maban, in realtà era un uomo che restava ostinato
dove solo poteva, il quale egoisticamente e passionalmente perseguiva solo un
unico scopo: servire se stesso e le sue cupidigie!
34.
I periodi che
egli doveva trascorrere alla corte di suo padre gli apparivano come una
punizione; durante gli stessi, infatti, egli era totalmente sottomesso alla
volontà di suo padre. Sempre, dopo il ritorno nel suo regno, diventava tanto
più scatenato. Non gli fu difficile, tra gli abitanti di Nustra che, com’è
noto, erano inclini alla sensualità e all’avidità di piaceri, trovare dei
seguaci della sua vita. Costoro non desideravano nient’altro che avere Areval
per loro stabile sovrano. Il suo più vicino seguito
provvedeva anche fedelmente affinché Maban, nonostante gli fossero pervenuti
alcuni rapporti, rimanesse all’oscuro sulla vera attività di suo figlio, mentre
Areval, con la vita smodata, poneva il primo germe di una strisciante malattia
che distruggeva spirito e corpo.
35.
Il contrasto
tra i due fratelli Muhareb e Areval si era ancora più rafforzato quando, nel
corso degli anni, si rivelava sempre più che le disposizioni statali di Maban
non potevano portare ai risultati sperati, sebbene la popolazione non
raggiungesse un alto ideale morale, dal quale era ancora molto lontana. Per il
momento essa si piegò soltanto alla volontà di Maban che tutto costringeva, il
quale con mano di ferro sapeva attuare ciò che riconosceva come giusto. Il
partito di quelli che erano stati fatti grandi da lui, senza distinzione di
stato sociale e culto genealogico, i quali prima avevano un altrettanto grande
ruolo in Mallona come adesso ancora sulla Terra, pendevano certamente con
esaltato amore al loro re. Quelli che si credevano volentieri dei grandi che
per mancanza di particolari meriti non erano più al vertice – derubati del
privilegio di nascita e diritto genealogico come di molti altri vantaggi –
nutrivano in sé un odio nascosto che trasmisero ai
loro discendenti. A questi ultimi, i diritti perduti spettanti ai loro padri,
l’impossibilità di possesso e dominio, l’uguaglianza e soprattutto la necessità
di un lavoro per vivere, apparivano loro come un’assurdità che sarebbe stato un
giorno l’obiettivo più ambito da eliminare.
36.
Da Muhareb non
c’era da aspettarsi un cambiamento. La sua profonda venerazione per il padre e
la conoscenza delle buone intenzioni, erano troppo profondamente radicate in
lui perché potesse un giorno rigettare le sue disposizioni. Negli ambienti
interessati si conosceva questa condizione disperata. Così i capi degli
oppositori segreti di Maban speravano che, se fosse stato Areval a salire un
giorno al trono, tutto sarebbe stato diverso.
37.
A Muhareb,
nella sua profonda consapevolezza, queste correnti non rimasero nascoste. Egli
ne soffriva; il suo cuore, infatti, che amava gli uomini, prevedeva quali lotte
dovessero sorgere nel caso fosse dovuto salire lui al
trono. Rabbrividiva al pensiero di dover versare sangue per consolidare il suo
trono. Egli sapeva come Areval si procurasse sempre più seguaci segreti, ma non
era tuttavia in grado di comunicare a suo padre le prove che possedeva,
del complotto diretto contro di lui. Sapeva certamente troppo bene che suo
padre non avrebbe esitato, in caso di necessità, a sacrificare il sangue del
suo secondo figlio per salvare la sua creazione.
38.
Muhareb aveva
da condurre in sé un’immane lotta, dalla quale venne fuori con un gioioso
sentimento di vittoria. Era deciso a non contrapporre i popoli in una violenta
guerra civile e consegnare suo fratello alla rovina, bensì a confidare
fermamente nella Forza suprema che aveva permesso a Maban di raggiungere cose
tanto grandi. Questa Forza avrebbe fatto trovare anche a lui i mezzi per
conservare e proteggere quanto era stato raggiunto.
39.
Era usanza a
Mallona che il matrimonio fosse intrapreso solo molto tardi da parte degli
uomini. Si pretendeva che ogni uomo avesse prima fornito prova del suo
dinamismo e valore del carattere, prima che fosse trovato degno di portare a
casa una moglie. La ragione stava nel sentimento religioso dei popoli, che a
questo riguardo era la stessa in tutti i quattro imperi. La Divinità si
rappresentava in due principi separati: buono e cattivo, tuttavia non
osteggiandosi reciprocamente, bensì integranti. Il più sacro
insegnamento primordiale diceva: “Ciò che giace nel grembo della Divinità è
vita e forza per la vita. L’attività della vita è il tessuto per la vita. Tutto ciò che serve a quest’attività, è emanazione
della Forza divina. Se accade che quest’emanazione sia interrotta,
allora la Divinità un giorno morirà”.
40.
Secondo questa
dottrina, anche un’azione cattiva era il risultato della Forza divina. Se non
si possedeva abbastanza forza per ostacolarla, ci si
sottoponeva ad essa come voluta dalla Divinità. A tale riguardo si vedeva
perfino nel proprio nemico come vincitore l’efflusso della Forza divina, e ci
si sottometteva a lui senza mormorazione, finché la Forza divenuta consapevole
dell’oppressione fosse stata in grado di sbarazzarsi del giogo. Su questo si
basava in gran parte il successo di Maban.
41.
Il buono, ossia
tutto ciò che era gradito all’uomo, era onorato nella forma del bello, e
precisamente come principio femminile; il duro, l’energico, che poteva
presentarsi anche come cattivo, era onorato nella figura dell’uomo. Una bella
donna dotata era considerata come speciale dalla Divinità. In lei si vedeva la
quintessenza di ciò che si doveva venerare come segno visibile del Suo operato.
42.
L’uomo, che
doveva mettersi in azione per dimostrare la sua aspirazione ad
essere l’immagine della Divinità, veniva perciò anche considerato degno di
sposare una donna solo allora, quando avesse fornito prova del suo dinamismo.
Una conseguenza di questa concezione era quella che, specialmente la bella
donna, molto facilmente fosse sottoposta al laccio della vanità. Per una donna
bastava solo essere bella per essere tenuta altamente in considerazione. Che
dunque la donna dovesse esercitare un potere nell’intera vita degli abitanti di
Mallona, e fosse in grado di evocare i più grandi pericoli, nel caso in cui
avidità di piaceri, sensualità e venalità fossero subentrate al posto dei
semplici costumi, ciò è facilmente spiegabile.
43.
Inoltre nei
templi esisteva un culto attraverso il quale era celebrato la bellezza della
donna, e che, ai tempi dei puri costumi dell’impero, si svolgeva dignitosamente
e memore del senso vero e proprio; tuttavia più tardi questo culto degenerò in
orge dissolute. Un fenomeno diffuso anche nell’antica Grecia.
44.
Gli uomini più
altolocati dello Stato potevano elevare a loro consorte, in maniera
incontrastata, la più povera fanciulla del paese.
Questi casi erano molto frequenti; tuttavia l’uomo doveva aspettarsi un
rifiuto. Decisivo per la fanciulla era il fatto che
egli si guadagnasse la gloria nel suo ambito. Lei non temeva niente di più se non che l’uomo del suo cuore potesse rendersi ridicolo
con una qualunque azione. Anche le vittorie nei giochi pubblici valevano per
lei come un eccellente onore dell’amato.
45.
Il matrimonio,
una volta concluso, era indissolubile, inoltre l’uomo poteva avere solo una
donna. Questo accadeva anche in seguito alla concezione religiosa che la
dualità della Divinità, operante in una unità, non si
potesse più separare una volta sviluppata in sé la volontà all’attività, da cui
far scaturire sempre nuove opere. Quindi anche la donna, come principio della
vita latente, e l’uomo, come quello della forza vitale attiva, non si potevano separare, per non distruggere nuovamente la volontà
di vita risvegliata in loro.
46.
Muhareb si era
guardato intorno tra le figlie del Paese e in tutta segretezza aveva trovato
una fanciulla che, per lui, personificava l’ideale di
ciò che aveva sempre desiderato. Lei era Fedijah, la sorella di Upal, il
fortunato trovatore della pietra-aurea.
47.
Tra Muhareb e
Fedijah era nato un intimo sentimento di puro amore; tuttavia Fedijah non
sapeva chi fosse Muhareb. Egli aveva finora tenuto nascosto il suo alto rango,
per essere sicuro che sarebbe stato amato per se
stesso. In questa maniera si era convinto di quale gioiello in purezza di cuore,
virtù e fervido amore avesse trovato in quella
fanciulla. Egli era fermamente disposto ad elevarla a
sua sposa. Ostacoli a dare esecuzione a questo suo desiderio non ne esistevano.
Le caratteristiche già descritte autorizzavano ogni bella fanciulla
all’unione con l’uomo più altamente in vista del Paese, e Fedijah era
perfettamente bella.
48.
In una festa,
chiamata “nascita della Divinità”, che rappresentava la massima festa
dell’anno, le fanciulle più belle furono stabilite per
il servizio divino nel tempio. A Fedijah fu affidata la cerimonia
dell’accensione delle offerte e, in quest’occasione, Areval, il quale
trascorreva il suo tempo come di solito alla corte di suo padre, la vide e
provò una profonda passione per lei. Per mezzo dei suoi fedeli, a lui devoti
per la vita e per la morte, s’informò subito chi fosse la bella offerente, e un
giorno Fedijah scomparve senza lasciar tracce. Muhareb, stando al fianco di suo
fratello, ne sentì l’esclamazione d’ammirazione sull’affascinante bellezza di
Fedijah e subito il sospetto penetrò in lui, poiché conosceva troppo bene la
maschera virtuosa di suo fratello Areval.
49.
Areval, dopo la
scomparsa di Fedijah, ritornò subito nel suo regno. Muhareb, sicuro che il
fratello avesse rapito la sua promessa sposa e mirasse a trascinarla con
violenza nel suo regno, si affrettò a precederlo con una vettura rotabile più
veloce, e impartì gli ordini necessari per fermare il seguito di Areval in un
luogo poco abitato.
50.
Areval giunse
in una vettura sfarzosamente mascherata e, furente per l’improvvisa
interruzione del suo viaggio, voleva imperiosamente balzare contro gli uomini
che circondarono la sua vettura. Ma si trovò di fronte
suo fratello Muhareb, il quale con la spada in mano entrò da solo
nell’abitacolo della vettura e la perquisì. Addormentata da sostanze
narcotizzanti, egli trovò Fedijah in un angolo nascosto della vettura, in uno
stato che gli confermò come Areval disprezzasse i più sacri sentimenti del
popolo, compresi quelli legati al rispetto della bellezza femminile.
51.
Folle di
collera e dolore, alzò la spada contro suo fratello, e lo avrebbe ucciso se
questi, nella sua paura per il fratello, che lo superava di molto nella forza
fisica, non avesse usato lo stratagemma di gettarsi velocissimo dietro il corpo
di Fedijah e adoperarlo come copertura. Pochi istanti bastarono a Muhareb per
tornare in sé e distogliersi dal fratricidio. Egli apostrofò Areval, lo
costrinse ad ubbidirgli e a non lasciare la vettura.
Quando Areval accennò ad opporsi, Muhareb gli saltò
addosso e lo legò con forza. Subito dopo ordinò di ritornare verso la capitale.
52.
I fedeli di
Areval e di Muhareb avevano certamente notato che all’interno del veicolo era
sorta una disputa tra i fratelli, tuttavia nessuno aveva osato andar dentro. In
silenzio fu accolto l’ordine di Muhareb e il viaggio di ritorno andò a velocità
vorticosa.
53.
Nessuna parola scambiarono i fratelli durante il viaggio, mentre Fedijah
rimaneva in profondo stordimento. Giunto alla meta, Muhareb affidò la ancor
sempre esanime fanciulla ad un fedele servitore, il
quale la portò nella casa dei genitori, poi costrinse Areval a seguirlo da
Maban per dare delle spiegazioni davanti al padre. Questi, in verità, s’indignò
per l’azione di suo figlio, che secondo le regole vigenti era stata più che
un’infamia; tuttavia cercò di conciliare i fratelli a causa del terribile
scandalo che l’episodio avrebbe suscitato nel popolo. Muhareb insistette per
una piena pubblica accusa contro suo fratello; secondo la propria convinzione,
infatti, solo una severa punizione avrebbe potuto salvare l’usanza del popolo
che, per colpa di Areval, era stata minata nel suo più profondo significato.
Lungimirante, egli comprendeva che solo con l’eliminazione del male poteva
essere impedito l’iniziante decadimento dell’antica fede, il disprezzo dei
sacri sentimenti.
54.
Maban,
diventato oramai vecchio, era invece d’altra opinione; perciò si diede da fare
per salvare l’apparenza esteriore, ritenendo di dover eliminare la sciagura
interna anche senza far chiasso. Muhareb a suo padre espose tutti i pericoli e
gli dimostrò fin dove, nell’impero, la sua indulgenza avesse già portato le
anime. Maban però rimase nella sua decisione e ordinò a suo figlio perfino di
tacere e di perdonare Areval.
55.
Appena
quest’ordine fu pronunciato dalle labbra di Maban, Muhareb si alzò, lanciò uno
sguardo a suo padre e al trionfante Areval, s’inchinò in silenzio e andò via.
Da quel momento Muhareb e poco dopo anche Fedijah, scomparvero. Nessuno vide
più i due. Passarono decenni. Maban invecchiava a vista d’occhio, poiché la pena
per il suo primogenito gli divorava il cuore. Morì, e Areval divenne re di
Mallona.
[indice]
1.
Le immagini del passato
hanno smesso di attraversare la mia anima e di nuovo vedo davanti a me la
capitale, la patria di Upal, l’ex sede della casa regnante di Maban, la
residenza dell’attuale re Areval. Sull’altura del monte sta un palazzo
splendente, le sue pareti risplendono come vetro opalino di colore bluastro.
Splendidi arabeschi di fattura assai accurata ornano le aperture e i cornicioni
delle finestre. Il tetto splende d’oro, s’innalza notevolmente inclinato e,
tutt’intorno al cornicione di chiusura, porta un’inferriata d’oro. L’intero edificio
è di notevole dimensione, contiene estesi saloni e dal suo punto d’osservazione
domina l’intera città costruita a terrazze ai piedi del monte.
2.
Un’ampia
scalinata, come unico accesso, conduce dai primi edifici della città ai
vestiboli della fortezza. Una robusta triplice muraglia, coronata di merli e
torri triangolari, cinge la sede reale. Dappertutto vedo soldati, le guardie
del corpo del re che sorvegliano particolarmente la grande scalinata e rendono
impossibile a uno straniero di poter penetrare nel palazzo. La guardia non mi è
d’impedimento, nessuna delle porte saldamente chiuse, mi è d’impedimento. In
fretta, attraverso grandi sale sfarzose colme dei grandi dell’impero radunati,
attraverso vasti vestiboli e corridoi e giungo ad una
serie di ambienti dall’alta volta preziosamente arredati. Solo di sfuggita il
mio sguardo scorre su ogni specie di suppellettili, su preziosi, luccicanti
oggetti di sfoggio, armi e decorazioni; la forza che mi trascina, infatti, non
mi permette nessun minuzioso sguardo panoramico.
3.
Ora mi trovo in
un’ampia stanza, e sotto la sua finestra aperta, su un divano, tra morbidi
cuscini, giace il corpo di un uomo vestito preziosamente che, agitato, si
rotola di qua e di là. Un diadema con una grande, sfavillante pietra adorna la
sua fronte; l’espressione del viso è sconvolta; l’uomo soffre in maniera
evidente. È Areval, il potente re di Mallona. Davanti a lui sta un grosso uomo
in lunga veste talare che, immobile, rivolge gli occhi fissi al re, e con le
mani nascoste nelle ampie maniche ne osserva le
condizioni.
4.
Il malato geme
e soffre per i dolori, i suoi occhi fissano improvvisamente nel vuoto e
sembrano vedere cose strane. Bruscamente compie movimenti respingenti, si
solleva e grida:
5.
“Cacciate via quella faccia dai miei occhi!” –
6.
Velocemente il
grosso uomo si avvicina, pone la sua mano sulla fronte del re, mormora
incomprensibili parole e gli porge da bere da una ciotola. Avidamente questi
sorseggia la bevanda rinfrescante e ricade esausto nei cuscini. Il re chiude
gli occhi e si assopisce; un’espressione di disprezzo e di scherno si mostra sul
volto del suo consolatore. Costui allora apre la tenda davanti alla finestra
aperta, si china sull’ammalato e gli sussurra all’orecchio sommesse parole.
7.
Profondi
respiri annunciano subito il pesante sonno del re e il soccorritore si ritira
soddisfatto. Va alla porta, la apre e ordina ai due servitori che aspettavano
fuori di sorvegliare il sonno del re. Poi attraversa tre lunghissime sale e
giunge in una stanza in cui soldati e servitori sorvegliano l’accesso alle
camere più interne del re. Pieni di profondo rispetto e d’attesa, costoro lo
guardano. Con accento tranquillo, che suona tuttavia pungente e acuto
all’orecchio, egli dice: “Il re è affaticato, oggi
non riceve!” –
8.
Due dei servitori vanno nella grande sala attigua,
nella quale si erano radunati i grandi del re, per annunciare la revoca. Un
altro spinge indietro una tenda di un’alta porta; si vede un lungo corridoio
che sbocca in una camera aperta. Questi attraversa il grande corridoio e, nella
camera rotonda, saluta un uomo che guarda dentro flemmatico, il
quale, tranquillo e gentile, osserva chi viene. È il viceré di Monna che
qui aspetta Karmuno, il sommo sacerdote e primo confidente di re Areval.
9.
In tono
confidenziale il viceré domanda: “Come sta il
fratello nostro e signore?”.
10.
Gli viene la sommessa risposta: “Meglio di quanto si potesse sperare. La malattia progredisce lentamente. La testa
rimane lucida, anche se la capacità di pensare talvolta si offusca. Signore,
non è ancora il momento di agire!”
11.
Un’ombra corre
veloce sul volto del viceré. Poi, alzando la mano in segno di
saluto, sorridendo, dice tranquillamente: “Possiamo aspettare. Karmuno
conosce il suo amico e a lui confiderà tutto. Monna è
preparata nel caso che il fratello nostro e signore vada al popolo dei morti”.
12.
Con cautela il sommo sacerdote si avvicina al viceré: “Areval non potrà
tenere né oggi né prossimamente il consiglio del paese. Utilizzate questo tempo. Io cercherò di disporre
il re a porvi come sostituto, questo ci porterà più vicini allo scopo. Nel caso
in cui voi sarete qui correggente di Areval, potrete anche fidarvi
completamente del generale Arvodo? Nelle sue mani sta il potere dell’esercito a
Mallona. Pericolo minaccia se voi non sarete sicuro
dell’uomo”.
13.
Il viceré
respinge e dice di malumore: “Karmuno, io lo so, voi non siete amico del
generale, però la diffidenza va oltre a ciò che
dovrebbe essere. Arvodo è saldamente legato a me, io ho completa fiducia in
lui, ed egli, infatti, è fedele; tuttavia non sa quali piani ci legano. Non deve neanche saperli fino a quando l’ora non sarà vicina”.
14.
Un leggero sorriso di difesa scorre sul magro viso del sacerdote: “Io temo
che Arvodo non si lascerà ingannare. Guai a noi se egli facesse un doppio gioco e sorgessero
nel suo petto piani ambiziosi!”
15.
Il viceré si
alza e dice brevemente: “Noi siamo prudenti e vigilanti, Karmuno, e anche voi
lo siete, il successo quindi non ci mancherà”.
16.
Egli saluta con
la mano ed esce dalla porta che dà nella grande sala di ricevimento.
17.
Per un momento
il sacerdote rimane nella posizione servile avuta finora. Poi si alza in tutta
la sua altezza, segue con occhi velenosi colui che,
allontanandosi, mormora parole sommesse, e dopo lo segue.
18.
Nella sala di
ricevimento si è fatto il vuoto. In una nicchia stanno due uomini. L’uno è in
pieno assetto di guerra. Una specie di splendente corazza a scaglie gli copre
la parte superiore del corpo, un ondeggiante mantello bianco con ricamati degli
ornamenti pende dalle sue spalle, con ai fianchi una
larga spada. È un ideale del bell’uomo secondo i nostri concetti, d’aspetto
vigoroso e intelligente. Una leggera barba piena incornicia il nobile viso,
l’occhio è chiaro. Le labbra leggermente serrate e le palpebre un po’ abbassate
mostrano che egli si sforza di celare ogni intima emozione con grande sangue
freddo. Quello che gli sta accanto, il compagno più piccolo, vestito quasi
uguale, mostra una sorprendente somiglianza con lui; riconosco: essi sono
fratelli!
19.
Il viceré passa
davanti ai due, sorridendo benevolmente e sollevando la destra. Un saluto che è
concesso solo a persone amiche. Entrambi ringraziano, abbassando la destra a
terra e chinando il capo.
20.
Karmuno adesso
si avvicina e indirizza la parola a quello più grande:
21.
“Arvodo voglia
sempre darmi prova della sua amicizia!”
22.
Cortesemente
l’interpellato risponde: “Karmuno sa come far felici i suoi amici con il suo
amore”.
23.
Sospirando il sacerdote dice: “Le condizioni del re oggi non gli
permettono di dare al generale nuove prove della sua fiducia. Egli è molto malato!”
24.
“L’arte di
Karmuno saprà allontanare, come già spesso, la sua malattia. Nelle sue mani
Areval è ben protetto”.
25.
Uno sguardo
indagatore del sacerdote e medico colpisce colui che
parla, il quale tuttavia lo guarda negli occhi sorridendo con gentilezza. Poi
dice gravemente: “Arvodo dovrebbe essere nominato
oggi stesso generale superiore di Mallona; nella sua custodia il re Areval
potrà dormire al sicuro da tutti i nemici!”
26.
Affermando, Arvodo mette la sua destra sul petto e dice in tono assai
serio: “Al nostro signore, al re Areval, appartengono i miei servizi e la mia
vita. I suoi
nemici sono i miei!”
27.
Karmuno non sa
cosa rispondere su questo. Egli saluta e se ne va! I due fratelli si scambiano
uno sguardo d’intesa, poi anch’essi si voltano verso l’uscita della sala e
lasciano il palazzo.
28.
Quando entrambi
stanno sui gradini della grande scalinata, Arvodo guarda la città che si stende
davanti a lui e la stupenda regione montana che la circonda. Osservando
con solennità il meraviglioso panorama, dice sottovoce al fratello: “Un paesaggio splendido e leggiadro, e una città che
testimonia la potenza del nostro popolo: e tuttavia è solo un posto di anime
depravate! Potrò io
riportarle indietro? Ho paura davanti ad un tal compito e
alla sua felice riuscita”.
29.
Senza attendere
una risposta dal fratello, scende in fretta i gradini. Alla base della
scalinata, oltre alle guardie, c’è Upal, in atteggiamento d’attesa che lo
osserva con inquietudine. Lo sguardo fisso di Upal induce il generale a
guardarlo più da vicino. Un particolare movimento del capo, chinante e nello
stesso tempo rotatorio, non appariscente, che Upal compie col suo saluto,
sorprende chiaramente Arvodo. Egli fa cenno di avvicinarsi e gli domanda a
bassa voce: “Chi sei?”. – Upal
guarda con gioia nel nobile volto del generale e bisbiglia: “Signore, un
servitore degli infelici! Upal è il mio nome”.
30.
“Vuoi
parlarmi?”.
31.
“Sì signore,
però in segreto, e a voi solamente!”
32.
“Vieni quando
sarà scesa la sera”.
33.
Upal mette la
mano sul petto e si allontana in silenzio.
34.
Arvodo ora si
volta veloce dalla parte di suo fratello, a lui sussurra all’orecchio: “È un fedele!”, e va veloce a una piazza, dove ci
sono un gran numero di piccole vetture, come le ho viste nel viaggio di Upal
verso la capitale. I fratelli salgono su un veicolo preziosamente adornato che
è guidato da un servitore di Arvodo, e velocemente corre attraverso le larghe
strade della città affollata di popolo.
35.
Le case, non
molto alte, sono addobbate di fiori, sui tetti piatti sono applicati
dappertutto giardini artificiali. Vedo nei vasi ogni specie di piante
rampicanti dalle larghe foglie a me sconosciute, raggruppate a pergolati che
offrono ombreggiati luoghi di riposo. Verso la strada, troppo spesso vedo tende
colorate, tirate per proteggersi da sguardi curiosi. Tutto presenta benessere
degli abitanti, perfino ricchezza. Siamo nel quartiere dei benestanti, i quali
non devono lottare con le preoccupazioni della vita. La vettura di Arvodo si
ferma adesso davanti ad un grande edificio. I due fratelli scendono ed entrano
nella casa; questa è la loro. Sono ricevuti dai domestici e condotti nelle
stanze interne.
36.
Arvodo si
libera dell’armatura; indossa un’ampia veste da casa a forma di mantello,
simile alla toga romana. Suo fratello ha fatto la stessa cosa e adesso si
recano sul tetto della loro abitazione, dove possono intrattenersi, lontani da
orecchi indiscreti. Una stretta scala conduce su, sbarrata in alto con un
cancello. Arvodo chiude questo a chiave ed entrambi i fratelli sono ormai
indisturbati nel giardino pensile, un raffinato capolavoro di giardinaggio.
Prosperosi fiori, tutt’intorno ci sono pergolati, gli alberi piantati tra
pietre artisticamente sistemate; in nessun luogo vasi sgraziati, tutto è
leggiadro, imitato fedelmente alla natura e tuttavia non opprimendo troppo il
tetto della casa.
37.
Arvodo si siede
nella sua veranda, dalla quale si può osservare la via d’ingresso al giardino
pensile, suo fratello lo osserva preoccupato e pieno d’amore. In silenzio lo
sguardo del generale scorre sul profumato sfarzo dei fiori dei giardini
confinanti. Una buia piega si è messa tra le sue sopracciglia e, sospirando,
ora il suo sguardo incontra quello di suo fratello.
38.
“I tuoi
pensieri non sono gioiosi; per quale ragione?”. Gli domanda il giovane Rusar.
39.
“Come
potrebbero esserlo, se mi vedo ostacolato in tutto! Areval ha saputo strappare a
sé tutti i tesori, tanto che al popolo, privato di ogni proprietà, non è
rimasto nulla. Anche noi, i grandi, dipendiamo solo dalla sua grazia. Egli con
un ordine perentorio può fare di chiunque un mendicante, e l’ha anche già fatto
con molti che osarono opporsi a lui. L’esercito è, per la maggior parte, a lui
devoto; certamente esso conduce l’oziosa, sontuosa vita solo grazie ai suoi
tesori. Sì, se i tesori di Wirdu appartenessero a me, quanto presto sarebbe
finita con questo re, il quale ha portato il popolo così profondamente in
basso, popolo che un giorno Maban rese grande!”
40.
“Mio fratello
dimentica completamente che egli è la speranza dell’esercito, il quale guarda a
lui con orgoglio come al generale più capace che si coprì di gloria bellica?”.
41.
Arvodo scoppia in una risata: “Una bella, una splendida gloria, marciare
con una potenza superiore contro una compagnia ribelle di Nustra che, stanca
del fardello, non può più pagar le tasse e perciò si ribella! Un’opera ancora maggiore, di vincerla; un’opera vergognosa tuttavia, fu quella di punirla e
rappresentare io il carnefice! – Da nostro padre imparammo i principi e le
aspirazioni di Maban. Con raccapriccio riconosco quanto siamo sprofondati in
basso. Con dolore vedo che forse non è più possibile nessun ritorno e che i popoli di Mallona sono stati rovinati e distrutti da
questo re che la maledizione della Divinità ci ha dato. Io ho giurato di fare
un tentativo che possa portare a un cambiamento. È in gioco
la mia vita, però non voglio tentare inutilmente”.
42.
“Perché
scoraggiarsi così, i viceré di Nustra e di Sutona sono dalla tua parte, essi
sono fedeli”.
43.
“Certo, anche se fedeli, solo per non dovere servire Areval più a lungo. Anche il fiacco re di Monna io non temo. I giorni
del viceré di Nustra sono contati, egli è vecchio e presto andrà agli dèi. Se
per il momento mi riuscirà di regnare a Monna al suo
posto, allora mio fratello saprà conservarsi il posto che io gli concederò”.
44.
A queste parole
gli occhi di Rusar brillano, ed egli, chinandosi al fratello sussurra: “Nessun
potere potrà separarmi da te; io con te voglio morire, o vivere per salvare il
lascito di re Maban”.
45.
“Forse questo
significherà morire”, dice malinconico Arvodo. “Se non riuscirà il colpo di
mano di raggiungere i tesori di Areval al primo tentativo,
e quindi finanziare l’esercito, siamo perduti. Tu sai com’è attento Karmuno,
questo dominatore dell’ammalato, decrepito re, il quale domina nel paese e a
tutti mostra un aspetto così remissivo da ingannare la maggioranza. Io so dove
mira. Egli vuole ottenere la mano di Artaya per assicurarsi
il diritto al trono mediante la figlia di Areval, una volta sposato con lei”.
46.
Impetuoso, ribatte Rusar: “Artaya, moglie dell’abbietto Karmuno? Mai!”
47.
“Artaya è così
vicina anche al tuo cuore, che il pensiero ti fa andare così in collera?”.
Domanda Arvodo.
48.
“Fratello, voi
tutti giudicate male la fanciulla! Lei
non è come il padre, la falsità le è estranea”.
49.
“Voglia Dio
Padre che tu asserisca la verità, tuttavia sorveglia il tuo cuore. Io ho notato
già da lungo tempo che i tuoi occhi non la guardano indifferente. Dimmi,
fratello: se tu potessi ottenere la sua mano, riusciresti a prendere, per vie
pacifiche, ciò che io potrei solo con la forza? In altre parole, diventare
sovrano di Mallona? A te sta la scelta: tra tuo fratello, e Artaya!”
50.
“Come se non
sapessi che Areval, mai mi concederebbe la mano della sua unica figlia! Anche
se lui volesse, l’opposizione di Karmuno non si potrebbe superare. Solo la
forza potrà portare anche me al traguardo desiderato.
Se mio fratello sarà sovrano di Nustra, lo sarà anche presto di Mallona. Dalla sua mano otterrei poi la sposa”.
51.
“Se lei stessa
lo vorrà, certamente!”. Rusar guarda di malumore il fratello. Arvodo aggiunge: “Oppure non devo io anche restituire al
popolo la libertà di decisione concessa da Maban alla donna, libertà seppellita
da lungo tempo da Areval?”.
52.
“Perdona
l’impulso d’egoismo in me”, risponde imbarazzato Rusar. “Come sempre, hai
ragione”.
53.
Il suono di un
campanello risuona dai locali sottostanti. Arvodo si alza.
54.
“Siamo disturbati,
silenzio!”
55.
Agli ultimi
gradini, prima del cancello chiuso, appare un servitore. Egli annuncia che
eminenti ospiti attendono Arvodo e aspettano nelle stanze sottostanti. In
fretta i fratelli aprono e si recano giù. In una camera preziosamente arredata,
le cui ampie finestre aperte fanno entrare liberamente l’aria mite, stanno sei
grandi del Regno, e Arvodo li saluta con gentilezza e imponenza. Il più vecchio
di loro, un uomo apparentemente di mezza età, si fa avanti e dice in tono di
sottomissione: “Signore del popolo guerriero, su
incarico e nel nome del re, del nostro signore, vi consegno
il simbolo del potere che d’ora in poi voi dovrete portare insieme con lui.
L’insidioso dolore gli ha oggi negato la gioia di consegnarvi questo segno
onorifico davanti ai grandi del Regno riuniti insieme; è tuttavia sua volontà
non sottrarvelo per lungo tempo. Egli con ciò si mette sotto
la protezione del suo generale; voglia questi portarlo quale uno dei più grandi
di Mallona”.
56.
Il portavoce
consegna al generale un anello. È l’esatta riproduzione di quello che già
conosciamo; non riesco a scoprire nessuna differenza tra questo e quell’altro
già visto.
57.
Arvodo rimane
freddo, prende in consegna l’anello, lo infila al quarto dito della mano
destra, la chiude a pugno e la alza in alto: “Il
potere che Areval mi dà, non è dato ad un indegno.
Attendo il momento in cui io potrò mettere il mio ringraziamento ai piedi del
re stesso! Ditegli: il suo generale, da questo momento, farà buona guardia!”
58.
I presenti
s’inchinano profondamente e nello stesso tempo esclamano: “Noi onoriamo in te
la potenza del nostro re Areval, salute a te e a lui!”. Nelle più cortesi
locuzioni ora Arvodo e suo fratello parlano con gli ambasciatori, i quali
mostrano la più profonda devozione all’ormai più potente uomo: al
rappresentante del re, al comandante di tutti gli eserciti di Mallona, colui che è investito del potere regale e non deve
rispondere più a nessun altro se non soltanto al suo sovrano. – Gli
ambasciatori si allontanano e i fratelli sono soli. – Il giovane Rusar non può
portare più a lungo la maschera dell’indifferenza. Abbracciando eccitato suo
fratello maggiore, esclama trionfante. “Lo scopo è raggiunto!”
59.
Rabbuiandosi Arvodo guarda in basso e dice cupo: “Sì, è raggiunto, ma il
prezzo è alto! Io sacrifico il
mio stesso animo, il mio io migliore. Ciò che il padre c’insegnò, onestà,
fedeltà, verità e lealtà sono diventate ombre in me a causa dello scopo. Sarà possibile un giorno cogliere deliziosi frutti da questa semina
d’inganno, per salvare il lascito di Maban?”.
60.
Rusar parla
senza riflettere: “Mio fratello ci riuscirà; ora bisogna solo andare avanti, e
non lambiccarsi il cervello!”
61.
Sul volto di Arvodo compare un moto di fermissima risolutezza, ed egli si
erge alto: “Sì, ci riuscirò! Che
cosa però ha indotto il re a compiere un passo così insolito da inviarmi
l’insegna del potere regale? Mai è stata usanza nei nostri paesi di conferire
il potere in altro modo se non personalmente dal re davanti al popolo e alla
corte radunata. Devo andare da lui! Devo sapere le ragioni e adempiere il
dovere di porgere subito il mio ringraziamento. Seguimi dal
re!”
62.
In una stanza preziosamente arredata re Areval siede a fianco
di una giovane, meravigliosa fanciulla. È sua figlia. Essi sono totalmente
immersi in un gioco strano, simile agli scacchi. Areval sembra aver superato la
crisi. Nulla, infatti, rivela in lui che era malato. Adesso la figlia compie
una mossa decisiva e, scoppiando in una chiara risata, dichiara il padre
sconfitto.
63.
Areval fa cenno
col capo e respirando profondamente si appoggia sui cuscini del divano. I suoi
occhi si posano compiacenti su Artaya, la cui splendida ma fredda bellezza,
denuncia che in questo cuore di fanciulla l’animo è
stato poco sviluppato. Artaya è consapevole del suo splendente aspetto
esteriore, ma interiormente è calcolatrice, spietata e avida; sempre pronta ad imporre i propri desideri ad ogni costo, qualunque
conseguenza ne derivi; sottomessa ai suoi stati d’animo, senza freno interiore,
è un degno germoglio del padre.
64.
Entra un
servitore e annuncia al re che il generale Arvodo è pronto ad ascoltare i suoi
desideri. Negli occhi stanchi di Areval passa improvvisamente un lampo; egli
sorride e ordina che il generale sia condotto da lui che lo attende con ansia.
Artaya si alza; lentamente mette da parte il gioco con le figure e si mostra
premurosa verso il padre. È evidente che vuol guadagnare tempo per salutare
l’atteso, nonostante vi sia l’usanza che le donne si allontanino quando è
prevista una visita maschile. Solo quando l’ospite è già stato ricevuto dal
padrone di casa, hanno loro accesso, se invitate. Il pesante tappeto appeso
davanti alla porta d’ingresso è spinto indietro e, l’alto Arvodo, vestito in
splendente corazza a scaglie, appare. Lo sguardo esigente di Artaya colpisce
Arvodo, cosa che a lui non passa inosservato, poi s’infila velocemente in una
stanza attigua. Arvodo si ferma davanti alla porta, piega le sue braccia
profondamente a terra. Il re lo guarda penetrante e fa un movimento, come per
indicare che deve venire più vicino. E così avviene.
65.
All’improvviso
Areval balza in piedi e dice:
66.
“Arvodo, voi siete il mio primo generale, avete il dovere di proteggere la
mia vita con la vostra! Siete voi disposto a farlo?”.
67.
Arvodo
risponde: “Il mio re lo sa!”
68.
“Io vi ho dato
il sigillo del mio potere, lo porterete voi così come lo porto
io?”. Il re alza la mano e mostra l’anello al suo dito. Esso è uguale a quello
che Arvodo ha ricevuto dagli inviati. “Mai ne farete uso indebito?”.
69.
“Se il mio re
ne dubita, allora restituisco quello che ho ricevuto!”
70.
Arvodo fa un
movimento, come per sfilarsi l’anello dal dito.
71.
Il viso di Areval è deformato dall’angoscia. Egli guarda Arvodo che,
immobile dallo stupore, con affanno ascolta attentamente le parole bisbigliate
72.
“Artaya ti ama,
lo so da molto tempo, tu devi diventare il suo consorte, tu dovrai
ottenere il trono dopo di me! Tu sei il più degno di tutte le canaglie
adulatrici che si chinano dinanzi a me. In te io voglio e riconquisterò la
forza che cerco. Hahaha, allora dovranno di nuovo tremare dinanzi a me come
prima i farabutti che ora mi deridono e mi scherniscono perché sono malato e
debole! In me, però, vive ancora la scintilla che tu attizzerai in fiamma! Tu
dovrai essere il braccio che guida la mia volontà!”
73.
Areval respira pesantemente per l’agitazione interiore, all’improvviso
fissa un angolo della stanza: “Guarda là, là, nella nebbia nera ondeggiano di
nuovo, facce guardano con occhi incandescenti. Io le conosco: questi è mio fratello e Fedijah e
altri, i quali mi maledicono! Arvodo, proteggimi da loro, si avvicinano!”.
Pieno di paura Areval si aggrappa al generale e cerca di nascondersi dietro di
lui. Questi si alza di scatto. Rapidamente pensieri
frenetici germogliano nella sua testa, mentre comprende la situazione, e coerentemente
al suo deciso carattere cerca di restare padrone del momento.
74.
Estrae la sua
spada dal fodero e dice con voce ferma, e ad alta voce:
“Guarda, re Areval, così io caccio via nel nulla
anche i tuoi invisibili nemici!”. Poi vibra violenti colpi nell’aria
verso l’angolo dove il re ha visto le facce e,
scoppiando in un’allegra risata, si mette egli stesso nell’angolo estremo. Poi
rivolto al re, guardandolo fisso negli occhi, infila la spada nel fodero ed
esclama: “Io ho vinto, re Areval; mostrami
dove c’è ancora un nemico, affinché lo annienti!”
75.
Il volto di
Areval mostra stupore e ammirazione: “Un portento, Arvodo, un portento tu sei!”. Sussurra egli
balbettando: “Ha la stessa forza di Karmuno, gli spiriti fuggono davanti alla
sua spada. Egli mi proteggerà – proteggerà!”.
Gli occhi di Areval sono stanchi; come dopo ogni attacco, anche adesso subentra
in lui il bisogno di dormire. Arvodo gli corre vicino e lo adagia sul suo luogo
di riposo. – Areval mormora: “Bene, così, bene. Domani
ti vedrò di nuovo, hai capito? Domani!”. Poi si
addormenta.
76.
Arvodo sta per
dirigersi alla porta per dare ordini ai servitori
fuori in attesa, quando la tenda rapida viene tirata indietro da un lato e,
precipitosamente, Artaya ne viene fuori. Arrossata e con occhi raggianti, la bella
fanciulla sta davanti al generale e dice sorridendo: “Non preoccupatevi per il padre, il suo sonno resterà
indisturbato, me ne occupo io. Arvodo non ha nessuna risposta
per il desiderio di mio padre?”.
77.
Arvodo replica
con cortesia: “Gentil donna, il re è ammalato, domani starà meglio, e allora i
suoi desideri saranno forse altri”.
78.
Artaya lo
guarda corrucciata: “Fa lo stesso se si cambiano i suoi desideri: i miei
restano e io ti voglio!”. Con
passione corre incontro ad Arvodo e si getta nelle sue braccia: “Ascolta, io
voglio te, te! Tu non mi resisterai!”.
Velocemente avvinghia Arvodo e lo bacia. “Adesso sei mio, con
questo bacio sono unita a te. Rifiutami, e allora dovrai temere la mia
vendetta!”
79.
Con destrezza
Artaya scompare nella stanza attigua, lasciando Arvodo mezzo intontito. Di là
risuonano delle voci e, per evitare che qualcuno sopraggiungendo lo scorga, il
generale lascia in fretta la stanza e il palazzo reale.
[indice]
1.
Arvodo è arrivato come
stordito nel suo palazzo. Apprende col cuore alleggerito che suo fratello ha
lasciato la casa. Ora è per lui gradevole non dover sostenere discorsi; egli
vuole essere solo per riflettere su ciò che c’è da fare. Si ritira nel suo
studio solitario, malinconico guarda a terra, mentre le sensazioni più
contraddittorie attraversano il suo petto. Vede col pensiero suo fratello –
che, come lui sa, ama Artaya – nelle catene della gelosia, qualora gli
rivelasse quello che è accaduto. Vede se stesso alla meta, se cederà ad Artaya
e al desiderio del re: due personaggi che egli disprezza! A lui sorride il
volto sogghignante del sommo sacerdote Karmuno, il quale aspira egli stesso al
potere, e attraverso il clero esercita nel paese un potente influsso sui ceti
sociali. Questi, infatti, credono di vedere in lui l’uomo attraverso cui la
Divinità rivela al re Areval la Sua volontà.
2.
Arvodo non si
sente abbastanza sicuro sulla riuscita di un temerario colpo di mano, tuttavia
può scegliere solo tra questo e la nuova via che si sta aprendo: diventare
consorte di Artaya. Per il primo gli occorre l’incondizionata fedeltà
dell’esercito. Ma gli è fin troppo noto come questa
dipenda dai mezzi che egli potrà concedere all’esercito viziato dai tesori di
Areval. A dir il vero, nel grande impero non vi è nome che sia stimato
dall’esercito come il suo, ma questo rispetto da solo
non gli giova a niente senza tesori propri. Sui sorveglianti e le guardie dei
depositi del tesoro nella capitale del re, così come
sulle numerose guarnigioni degli stessi, Arvodo non ha alcun potere ufficiale;
là comandano solo ed esclusivamente Areval e Karmuno.
3.
Il patrimonio
di Arvodo è enormemente insufficiente a sostenere, solo per un giorno, la paga
che la guardia del corpo del re consuma; questa, infatti, è tre
volte superiore a quella di tutti gli altri soldati nell’impero. Egli
rabbrividisce al pensiero di essere il marito di Artaya, la cui bellezza non lo
rende cieco. Secondo la legge le sarebbe sottomesso poiché non è di sangue
reale. Lei resterebbe sempre la sua padrona, e presto si dimenticherebbe di lui
tra le braccia di un favorito. Un legame con lei gli sarebbe il sicuro
annientamento dei suoi santi doveri verso il segreto di Maban, segreto che gli
fu affidato dal padre morente.
4.
Davanti agli
occhi di Arvodo affiora il volto del padre e rivive ancora una volta il momento
in cui il suo sguardo, che si sta spegnendo, gli si posa addosso nella sicura
speranza che, come figlio, egli compirà ciò che a lui non è riuscito. Nella sua
memoria sono incise profondamente le parole con le quali pronunciò
al morente la grave, solenne promessa. Egli è fermamente disposto a mantenerla.
Arvodo si alza di scatto, deciso a percorrere ulteriormente la strada una volta
iniziata. I mezzi, per giungere allo scopo, si dovranno trovare.
5.
Nel frattempo
si è fatto buio. Arvodo va alla finestra e sposta le tende, così che il caldo
soffio della sera passi attraverso la stanza. Dopo pochi istanti un servitore
entra e mette sul tavolo un sostegno metallico. Esso possiede una sfera luminosa
che irradia una luce chiara e tuttavia soave, la quale illumina intensamente le
parti oscure della stanza. È una lampada-manga che, bruciando senza fiamma,
solo per le sue caratteristiche chimiche, può irradiare una luce più intensa di
tutte le nostre sorgenti di luce artificiale.
6.
Il servitore
annuncia ad Arvodo che un uomo chiede di parlare al generale, poiché questi l’avrebbe convocato per l’ora serale. Ad Arvodo viene in mente
l’incontro col fedele, e subito ordina di condurre a lui l’atteso. Presto Upal
entra e si ferma riverente alla porta. Il servitore che l’ha accompagnato è
mandato via da Arvodo con l’ordine di fare in modo che nessuno li disturbi.
Arvodo guarda fisso Upal, adesso ben vestito, e gli dice:
7.
“Tu mi hai dato
il segno dei fedeli, ma io non ti ho mai visto, Come posso
riconoscerti?”.
8.
Upal, anziché dare una qualsiasi risposta, cerca in una tasca segreta
della sua veste e consegna al generale una lettera chiusa. Arvodo prende la missiva, apre e legge a lungo con
crescente stupore. Poi si rivolge ad Upal con tono
amichevole:
9.
“Con questa
lettera ti ho riconosciuto veramente come appartenente alla lega dei fedeli! Un
intercessore migliore come lo scrivente di questa lettera non avresti potuto averlo. Ti credo. Ormai so
che posso fidarmi di te, ma raccontami quello che, secondo la lettera, vuoi
comunicare solo ed esclusivamente a me”.
10.
Upal trae un
profondo respiro e comincia a raccontare la storia della sua vita. Descrive
come sua sorella scomparsa fu rapita da Areval e, di nuovo, liberata da
Muhareb. Egli confessa il suo intenso odio verso il re che, dopo la scomparsa
di Muhareb, scatenò tutta la sua ira contro la sua famiglia e non ebbe pace
finché questa non fu ridotta nella più grande miseria; come il padre scampò
alla persecuzione di Areval perché si consacrò al servizio del tempio, nel più
basso gradino dei servitori. Quando si ammalò, tuttavia fu dimesso anche da lì
e lasciato senza pane. Divenuto vecchio e debole, viveva solo col misero
sostegno di Upal e di alcuni amici compassionevoli che gli erano rimasti dai
tempi migliori. Upal descrive ora intensamente come divenne schiavo del re
nelle caverne di Wirdu, perché non poteva più pagare le imposte, e come là
trovò la pietra-aurea che lo rese ricco.
11.
“Areval non ti
ha riconosciuto come fratello di Fedijah, quando gli hai fatto rapporto sul tuo
ritrovamento?”. Domanda Arvodo.
12.
“Signore, io
non ho visto il re, Karmuno ascoltò il mio rapporto, il re era malato! Sono
anche passati molti anni da quando mi ha visto l’ultima volta; il mio nome è cambiato,
Areval non sa chi sia Upal. Il compito della mia vita è nascondermi da lui, per
annientarlo. Per questo divenni già molto tempo fa un membro nell’alleanza dei
fedeli. Rovinarlo è tutto per me! E tu, signore, vendicherai in quello
scellerato, anche mia sorella e la mia casa!”
13.
Upal è chinato
in basso davanti ad Arvodo e in segno della sua indissolubile dedizione piega
profondamente la schiena davanti a lui. Arvodo gli va
incontro e gli mette la mano sul capo: “Tu ti pieghi a me! Orsù. Io
accetto l’offerta, Upal. Sii dunque uno dei miei,
ormai legato a me fino all’ultimo!”
14.
Upal afferra le mani del generale e sussurra con voce soffocata: “Grazie,
signore, di avermi accolto!
Tuttavia lo schiavo può già adesso mostrarsi riconoscente e, per Schodufaleb[4],
signore, io lo voglio!”
15.
Upal ora
riferisce al sempre più stupito generale, ciò che egli ha scoperto nelle
caverne di Wirdu. Che non è poi così difficile portare alla luce gli immensi
tesori. Che egli potrebbe mostrargli la via per farlo e che ad Arvodo dovrebbe
essere facile, con i mezzi di cui egli segretamente dispone, raccogliere un
immenso potere, più grande di quello del re. Egli riferisce come lui, per mezzo
di una macchina volante e col vento favorevole, abbia ricercato
instancabilmente fino a trovare l’enorme fenditura nella roccia che arriva in
profondità, fino all’interno delle caverne. Come ha poi osato abbassarsi con la
macchina e fatto così enormi scoperte.
16.
Quasi terrificato, Arvodo fissa Upal: “Tu hai osato innalzarti nelle arie? In verità ci sono pochi in Mallona che sono così
audaci da salire sulle aeronavi. Noi temiamo quest’elemento
insicuro dell’aria e anche dell’acqua”.
17.
Sorridendo, Upal dice: “Non è così pericoloso come lo ritengono il popolo
e i grandi: non mi sono venuti incontro demoni ostili per distruggere
l’aeronave. Grande fu lo spirito
del maestro Mirto, il quale scoprì il mezzo per volare, ma troppo piccolo fu lo
spirito del popolo per apprezzare ciò che egli ci diede. Buon
per noi però, signore, che sia così, altrimenti come potresti portare alla luce
quei tesori?”.
18.
Calmo e freddo sta Arvodo, poi dice all’improvviso: “Voglio vedere i
tesori. Sei tu pronto a
mostrarmeli? A portarmi laggiù col velivolo?”
19.
Felice risponde Upal: “Signore, io sapevo che ti saresti affidato a me! Ancora una cosa: tu osi in maniera risoluta ciò
che all’infuori di me nessuno ha mai compiuto. Ordina,
io sono pronto!”
20.
“Dov’è il tuo
velivolo?”.
21.
“Esso sta ben
nascosto in una regione inaccessibile, in un luogo conosciuto solo a me. In
vettura si giunge facilmente quasi fin là”.
22.
“Quanto tempo
hai bisogno per riportarci indietro?”.
23.
“Signore,
sarebbe bene se tu potessi dedicare due giornate per questo, solo di notte,
infatti, possiamo, non visti, percorrere la via”.
24.
“Prepara tutto
per il viaggio domani sera. Mi aspetterai al grande lago, là, dove la strada
passa più vicina alle sue rive. Io verrò non appena cala il Sole. Adesso va,
lungo è il viaggio che dobbiamo fare. Ciò che ho ancora da
dire, lo riservo per domani”.
25.
Upal saluta in
silenzio con sguardo profondo e se ne va’.
26.
Arvodo rimane
profondamente assorto nei pensieri, i suoi occhi brillano arditamente e le sue
labbra bisbigliano: “Sarei quasi alla meta se ciò che mi ha detto quest’uomo è
completamente vero!”
* * *
27.
È una notte
rischiarata dalle stelle. Ad Occidente s’irradia
ancora lo splendore sfolgorante del Sole che tramonta, un caldo vento serale
soffia balsamico sui campi. Nel cielo, come un meraviglioso spettacolo,
splendono allo Zenit e all’Orizzonte due lune. Esse
mostrano fasi differenti. Durante la notte sorgerà anche la terza luna, come un
disco chiaramente illuminato. Queste lune però sono più piccole dell’unica
della nostra Terra. Esse insieme non offrono ancora la luminosità che la nostra
luna dispensa alla Terra. Ad Oriente si trova in
lontananza la città, circondata al lato sud da boschi e prati, mentre il lato
nord è dominato dalla superba fortezza del re.
28.
All’orizzonte
si levano alte montagne, confondendosi nel profondo
blu della notte. Un vasto lago si estende tra una catena montuosa e la città,
il suo chiaro flusso è immobile come uno specchio. Un’ampia strada conduce
dalla città alla sua riva. È la strada maestra che collega la capitale di
Areval con la prossima importante città del suo regno. Essa scorre accanto alla
strada statale prima descritta, sulla quale sono fatti arrivare i tesori dalla
regione dei crateri.
29.
Una solenne
quiete si stende sull’intero paesaggio, sul quale guardano giù, col loro chiaro
luccichio, le scintillanti stelle del firmamento. Vicinissimo al lago si trova
un’alta boscaglia di cespugli fioriti che chinano i loro rami fino a terra.
Nell’ombra di questi sta nascosto Upal che, alzando di tanto in tanto solo la
testa, guarda attento lungo la strada se si avvicina Arvodo. L’ora che il
generale gli ha dichiarato è già passata e angosciosi dubbi, che degli ostacoli
rendano impossibile il suo arrivo, attraversano la sua anima.
30.
Ecco però che
in fondo, sulla strada maestra, compare un punto nero che si avvicina
velocemente. È una delle veloci vetture rotabili di cui si servono gli abitanti
di Mallona. Ora Upal sa che la sua attesa non è stata vana. Egli balza in piedi
e si mette in modo tale che il possessore della vettura che si avvicina a
velocità folle, debba notarlo. La vettura procede più lentamente. Upal
riconosce Arvodo avvolto in un mantello scuro e un servitore, il conducente del
veicolo. La vettura si ferma, Arvodo saluta colui che
attende e gli ordina di sedersi accanto a lui. Upal sale e, come spinto da una
forza invisibile, il veicolo corre di nuovo velocemente lungo la strada.
31.
Arvodo si
mantiene silenzioso. Indica con cenni a Upal di non voler parlare alla presenza
del servitore: anche se in verità gli risulta fedele,
tuttavia non occorre che sia informato sulla meta e sullo scopo del viaggio.
Upal informa sottovoce Arvodo su quanto dovranno viaggiare. Il servitore riceve
gli ordini necessari dal generale ed ora il veicolo va
precipitosamente alla sua meta.
32.
Secondo il
nostro calcolo del tempo sono trascorse delle ore. La vettura si ferma in mezzo
ad alte montagne. La via qui passa per una graziosa valle, alla cui fine si
mostrano una pianura e una quantità di case. È una località di nome Resma, la
prima importante stazione sulla strada maestra. Upal e Arvodo scendono;
quest’ultimo dà al suo servitore l’ordine di aspettarlo per un certo tempo a
Resma, e comportarsi esattamente così come il suo padrone gli ha già spiegato
prima della partenza.
33.
Il veicolo
scompare dalla strada. Upal va avanti, curvando a sinistra della strada, nel
vicino bosco, Arvodo lo segue. Upal prende la sua via su sentieri appena
visibili che vanno sotto gli alberi. Egli si guarda attorno per vedere se non
ci siano uomini nelle vicinanze. Poi estrae dalla sua veste un robusto stelo,
ne toglie l’involucro e una chiara luce risplende da questa torcia-manga,
illuminando chiaramente i sentieri e le circostanti zone del bosco. Presto i
due si trovano tra frantumi di rocce e Upal dice:
34.
“Signore, il velivolo sta nascosto lassù sull’altura. Nessuno può trovarlo; la via però è molto
faticosa. Da qui, lungo questo sentiero roccioso, parte una via verso la
pianura. Voi prendete questa, così più tardi potrò prelevarvi
dalla pianura con il velivolo, in caso diverso dovete salire con me su queste
rocce”.
35.
Arvodo dice
brevemente: “Va’ avanti, io non temo alcuna fatica e
ti seguo”.
36.
Upal fa cenno
col capo e si dirige ai piedi di una montagna fittamente rivestita di piante,
le cui smembrate pareti rocciose si ergono minacciose nella notte.
37.
Tenendosi
spesso con le mani alle radici degli alberi, attraverso sterpaglia e tra rocce
a forma di torre vanno per il sentiero non battuto verso la cima della
montagna. Upal aiuta il compagno illuminando i punti dove questi può mettere
con sicurezza il piede, e finalmente la vetta è raggiunta. È una roccia brulla
che domina la regione e offre una splendida vista, a sinistra nella valle, a
destra su una modesta montagna, dietro alla quale si congiunge la regione
vulcanica, che è la meta del viaggio degli uomini temerari.
38.
La sommità
della rupe è larga e disunita. Le rocce formano un groviglio, come se una forza
selvaggia le avesse scagliate disordinatamente. “Fatevi da parte”, dice Upal. “Qui starete al sicuro, io devo aprire la caverna!”.
Egli indica un posto all’aperto davanti ad un enorme
mucchio di blocchi rocciosi a forma di torre messi uno sopra l’altro, e indica
al generale il punto d’osservazione più sicuro, per quello che ha intenzione di
fare.
39.
“È qui il
velivolo?”, domanda Arvodo.
40.
“Qui, dietro quel macigno nella caverna che io
ho scoperto!”
41.
“Come pensi di
toglierlo?”.
42.
“Col Nimah![5]”.
43.
“Tu possiedi
questo?”, chiede stupito Arvodo.
44.
“Sì signore,
tuttavia non nella sua totale potenza”.
45.
“Allora apri la
caverna”.
46.
Upal si dirige
verso le rocce, faticosamente spinge via alcuni grossi blocchi, così che si
formi una breccia; poi s’infila attraverso questa, prendendo con sé la
fiaccola-manga. Per lungo tempo non c’è alcun rumore. All’improvviso si muove un grande macigno e Arvodo si allontana di alcuni
passi dalla restante parete. Si è creata una grande apertura che, nascosta dal
blocco roccioso, costituisce l’ingresso a un’ampia caverna. Dentro sta Upal
davanti ad una strana macchina[6]
e chiama Arvodo con un cenno della mano. Questi si avvicina, prende in mano la fiaccola manga e osserva con
stupore il velivolo fermo. Parti dello stesso sono smontate. Upal le porta nel
posto all’aperto davanti alla caverna e le monta con rapidità e sicurezza.
47.
Adesso la
macchina si presenta come un solido telaio che sotto racchiude una specie di
gondola che non tocca il suolo. Nella parte superiore una grande ruota a pale
girevoli sta sopra i viaggiatori. Anche ai lati si trovano
due ruote a pale, le cui rotazioni sono misurate precisamente con quelle della
ruota di salita; esse impediscono che la navicella si giri su se stessa quando
quest’ultima rotea vorticosamente. Queste ruote laterali causano l’avanzamento
in collegamento con una terza ruota che si trova dietro. Alla base della
navicella ci sono robuste ed elastiche molle per ammortizzare l’urto
nell’atterraggio. L’intera macchina è fatta di un metallo solido e leggero,
tuttavia non si vede il vero e proprio meccanismo di trazione che deve far
girare le ruote a pale. Questo è applicato nel doppio fondo e nascosto nelle
pareti laterali.
48.
Upal ha preso
un vaso dalla caverna e versa della polvere biancastra in un’apertura al lato
della navicella.
49.
“Provvediti con
sufficiente forza motrice!”, osserva Arvodo.
50.
“Non
preoccupatevi signore”, è la risposta. “Quello che ho preso con me è
sufficiente per fare il viaggio di andata e ritorno due volte!”
51.
Upal mette nella navicella diversi oggetti, il cui uso è a noi
sconosciuto, poi sale dentro e invita Arvodo a fare la stessa cosa. Entrambi si
siedono. Alcune mosse di Upal, e la ruota a pale superiore comincia a girare
attorno al proprio asse, dapprima lentamente, poi a velocità pazzesca. Si fa
sentire un lieve, profondo suono che continua a poco a poco ad aumentare,
prodotto dall’enorme veloce movimento rotatorio. Upal ha la mano su una
manopola che regola la velocità della rotazione.
52.
Nel momento in
cui il velivolo comincia a muoversi, entrano in azione anche le ruote laterali
nel movimento rotatorio. C’è un breve scossone e il velivolo adesso si alza
leggero e sicuro con i suoi occupanti, salendo nella limpida aria notturna. Il
suono ronzante è uniforme, perciò la velocità è regolata. Upal mette in
movimento la ruota a pala posteriore e ora il velivolo prende velocemente il
suo volo in avanti. Nella parte anteriore della navicella si trova una
sporgenza metallica mobile, somigliante al timone di una nave: è il timone della macchina. Il velivolo è sollevato mediante la
ruota a pale superiore, mediante le ruote laterali è
tenuto stabile e con queste, unitamente alla terza ruota, sospinto nella
direzione desiderata. Tutto avviene a velocità incredibile, come si può notare
dal forte riscontro d’aria spostata. Anche il timone, sul quale agisce la
resistenza dell’aria, consente di governare il tutto con sicurezza.
53.
Quest’invenzione
è stata possibile realizzarla su Mallona grazie a tre circostanze. In primo
luogo l’atmosfera è più densa e tranquilla, non così
sferzata dalle tempeste come sulla Terra, e per questa ragione anche stabile.
In secondo luogo la forza motrice è la sostanza chimica Nimah, il famigerato
esplosivo di Maban. Simile alla nostra dinamite essa, non mescolata, può esercitare
una forza colossale verso una direzione e, se mischiata con altre sostanze, non
è esplosiva, ma diventa regolabile, così che nel suo effetto appare simile alla
più intensa pressione che si possa pensare di ottenere dal vapore. Questa
sostanza è prodotta nelle fabbriche statali in forma innocua, e venduta. Essa, con il nome Maha, serve per la propulsione di tutti i veicoli
e anche per la forza motrice del meccanismo nascosto nelle pareti di questa
navicella. In terzo luogo, in Mallona si dispone di
una lega metallica di elevata durezza, resistente e leggera che porta in sé,
nella più giusta proporzione, tutte le caratteristiche dell’acciaio e
dell’alluminio, perciò è in grado di resistere alla grande sollecitazione
meccanica che fornisce la potente spinta alle ruote a pala.
54.
È una splendida
vista per Arvodo che, attraverso un rialzamento a forma di cupola, protetto
dalle forti correnti d’aria dai bordi della navicella, per la prima volta
volteggia sopra monti, boschi e abissi di quel superbo mondo fatto di montagne.
Egli è incapace di esprimere qualsiasi parola; Upal è interamente occupato con
la guida del velivolo, così che il discorso che Arvodo intendeva fare durante
il viaggio non avviene.
55.
Gli uomini
temerari si librano ad un’altezza tale che l’occhio
degli abitanti viventi sotto non li può scoprire nel cielo notturno. Presto
essi stessi non vedono neanche più i luoghi abitati sotto di loro.
All’orizzonte il cielo si arrossa leggermente, la regione dei crateri si
avvicina: la meta del viaggio. Upal sale più in alto. È necessario togliersi da
qualsiasi portata dei vapori velenosi che da lì salgono: essi potrebbero
uccidere qualsiasi essere respirante. Con tesa attenzione Upal fa planare lì il
velivolo con volo moderato. Sotto si mostrano le insondabili profondità di
vulcani spenti, montagne di scorie indurite, masse di lava pietrificata. Quella
zona, nella quale lavorano gli schiavi del re, è sorvolata intorno in ampio
arco per precauzione, nel caso di occhi troppo pieni di attenzione. Adesso
quest’arco deve essere esteso fino ad un semicerchio
per trovare il cratere che conduce nelle caverne di Wirdu.
56.
Dopo breve
tempo Upal arresta completamente il movimento dell’elica posteriore. Fa
rientrare il timone anteriore, così che esso si pone a lato della navicella.
Ora regola anche le ruote laterali e il velivolo si libra immobile sopra una
terribile conca, la cui profondità si spalanca come un nero abisso. Upal
sussurra sommesso: “Siamo sul posto, lì c’è l’ingresso!”
57.
Arvodo guarda
giù rabbrividendo. Il suo valoroso cuore, quando vede l’abisso sotto di sé,
batte più in fretta. Comprime saldamente le labbra, e taglia
corto: “Giù! Il Padre universale ci protegga”.
Il ronzante suono della ruota a pale diviene più profondo quando Upal gira con
prudenza la manopola regolante, e il velivolo si abbassa lentamente in
verticale sull’apertura del cratere. L’orribile abisso sembra un mostro
affamato che si precipita con le fauci aperte sulla sua preda, le rocce
strappate vengono fuori sempre più distintamente. Ai lati della navicella si
sprigionano vampe come in pieno giorno. Upal ha tolto i foderi alle fiaccole
manga fissate sul velivolo e, uguale ad una meteora,
il velivolo s’inabissa nelle insondabili profondità del cratere.
[indice]
1.
Quale imponente vista mai
veduta di forze ormai solidificate di un’opera passata si presenta ora! Arvodo
è sopraffatto dalla maestosità della natura creatrice che gli si rivela.
Blocchi di lava violentemente smembrati, neri, bruciati, anneriti e bagnati
dalla rugiada cadente, lo circondano minacciosi. La luce dello splendente manga
cade scintillante sulle fantastiche formazioni di rocce laviche. Spesso queste
appaiono come spaventosi, terrificanti mostri che si ergono dagli abissi. Poi come
fantasmi di giganti circondano il velivolo che si abbassa lentamente e,
ingannando senso e occhio, cambiano spesso le loro forme e si librano verso
l’alto, dove scompaiono.
2.
Tuttavia questo
spettacolo non esercita nessun effetto su Upal. Egli
già conosce gli inoffensivi spaventi di questi dintorni, certamente non
s’inabissa per la prima volta in questa terribile conca. Con mano sicura egli
guida il velivolo e regola la rotazione della ruota di volo il cui ronzante
suono riecheggia cupo e spaventoso nelle volte delle rocce. Il cratere si
allarga verso il basso, prendendo una direzione un po’ di
lato. Perciò Upal fa girare lentamente pure la guidante elica
posteriore, per evitare le rocce che, sotto, sembrano impedirgli l’accesso.
3.
Il velivolo
s’inabissa sempre di più. Upal regola la ruota di volo in modo che la macchina
volteggi irremovibile e liberamente pacata. Egli
indica verso sinistra e getta la piena luce della fiaccola manga sulle rocce.
Arvodo vede un’ampia caverna. “Signore”, spiega Upal.
“Qui è il punto sul quale mi arrampicai per trovare la prima caverna dei
tesori. Là un giorno io stavo al bordo dell’abisso sul quale noi volteggiamo e
vidi l’accesso al cratere solo come un debole spiraglio di luce sopra di me. Se
fosse giorno, allora vedreste da qui brillare la luce del Sole. Solo più tardi
mi divenne chiaro che doveva essere possibile arrivare in questo luogo
dall’alto, come l’ho mostrato adesso. Tuttavia senza velivolo è impossibile.
Ora fate attenzione, signore, si apre la prima stanza
del tesoro di Usglom”.
4.
Ansiosamente
Arvodo guarda sulla parete rocciosa mentre il velivolo si abbassa di nuovo. Si
apre una fenditura, si allarga fino a diventare spelonca, e la piena luce della
fiaccola manga cade su quel posto che Upal ha già descritto a suo padre.
5.
Arvodo emette
una forte esclamazione di stupore. Sì, qui giacciono ammucchiati i tesori tanto
cercati e aspettano solo che la mano li raccolga senza fatica. “Areval, tu
sarai vinto!”, sussurra Arvodo a bassa voce. “Vorrei entrare in questa caverna:
Upal, vi puoi condurre la navicella?”.
6.
“Signore,
rinunciatevi, più in basso giacciono ancora altri tesori, non meno ricchi di
questi, ma comodamente da raggiungere. Questi qui non si possono prendere. Sarebbe pericoloso portare il velivolo troppo vicino alle rocce”.
7.
“Bene, ti
seguo, mostrami questi luoghi!”
8.
Di nuovo il
velivolo si abbassa, un leggero mormorio d’acqua risuona dall’abisso. Arvodo,
alza attento la testa e rivolge uno sguardo interrogativo a Upal.
Questi spiega: “È il mare che rumoreggia sotto e s’infiltra scrosciante per il
periodo dell’alta marea. Adesso affluisce solo ancora per
poco tempo al grande bacino nell’interno, dal quale una volta Usglom l’ha
respinto”.
9.
Ora le fiaccole
manga illuminano un terreno solido verso il quale il velivolo si dirige. Un
leggero urto, ed esso si posa sicuro sul fondo del cratere che, come un
gigantesco vestibolo s’inarca sopra i temerari. Il loro sguardo si perde
tutt’intorno nella più profonda oscurità. La luce delle fiaccole non è in grado
di raggiungere le confinanti pareti rocciose. Upal arresta del tutto il
movimento della ruota di volo. Solo un sordo fragore
d’acqua, che riecheggia in molti echi sulle arcate di quest’immensa volta
naturale, turba la quiete in questa tomba di ogni vita. Arvodo rabbrividisce
istintivamente quando Upal lo incoraggia a lasciare la navicella e seguirlo. È
pur sempre questo veicolo l’unico mezzo per sfuggire alla morte qui in agguato.
Preoccupato egli ascolta il fragoroso suono
dell’acqua.
10.
“Il velivolo è
al sicuro qui?”, egli domanda.
11.
“Assolutamente
al sicuro! In profondità e lontano da qui, l’acqua affluisce ad
un bacino sotterraneo che l’alta marea riempie continuamente. Qui noi siamo
quasi così in basso come la sponda marina, ma sempre ancora più in alto di
quanto una grande alta marea possa raggiungere questo luogo. Fidatevi di me,
signore; se non avessi misurato e calcolato tutto, come avrei osato allora
mostrarvi il regno di Usglom!”
12.
Arvodo fa cenno
col capo, prende una delle fiaccole manga e ordina a Upal di mostrargli la via
successiva. Upal ubbidisce e prosegue sul terreno pianeggiante. Si vede che
l’acqua, un tempo, l’ha lavato e spianato. Una gigantesca battaglia degli
elementi di fuoco e acqua deve essere avvenuta qui molto tempo fa, a discapito
di Plutone; dappertutto ci sono le tracce.
13.
Upal indica più
volte i segni incisi nella roccia che lui stesso ha scolpito come segno di
riconoscimento della via. Essi conducono verso una parete laterale del vulcano
solidificato che adesso appare nel getto della luce. Upal cammina veloce sulla
sabbia granulosa che un tempo le onde del mare ha
gettato dentro, esamina attentamente gli enormi crepacci della roccia e si
ferma davanti ad una crepa più stretta. In questa egli entra con Arvodo.
14.
Dopo pochi
passi il crepaccio si allarga fino a diventare una caverna splendente, come gli
uomini ne hanno già visto una in alto. Qui sono stati
prodotti infiniti tesori. Ovunque cristalli scintillanti, nei quali si rifrange
la luce delle fiaccole manga; il bianco Rod anche qui fa capolino dalla roccia
accanto alla preziosa pietra-aurea.
15.
Arvodo è
sopraffatto, non crede ai suoi occhi. Tocca le pietre preziose, ne stacca
alcune con l’impugnatura della sua spada e mostra un’emozione che, come uomo
dotato di forte volontà, mai ha ancora provato. Finalmente trova parole di
gratitudine per Upal. Fissandolo profondamente negli
occhi dice: “Tu sei il più fedele dei fedeli presto verificherai come saprò
ringraziarti coi fatti!”
16.
Upal si china profondamente dinanzi a lui e in tono di vera sottomissione
sussurra: “Signore, vendicate mia sorella in Areval. Questi tesori non sono nulla per me, la vendetta
per me è tutto!”. Arvodo fa cenno col capo in
silenzio, egli comprende Upal. Poi domanda:
17.
“Ne conosci
ancora altre di tali caverne?”.
18.
“Ricche come
questa, no! Se ne trovano però ancora molte di più piccole. È possibile che ce
ne siano ancora altre a me sconosciute. Non ho esplorato
tutti i passaggi qui sotto”.
19.
“Mostrami anche
le altre che tu conosci!”
20.
Upal,
attraverso la crepa, va di nuovo sulla via precedente. Lungo la parete rocciosa
si aprono spesso delle caverne più piccole nelle quali
egli fa luce. Ovunque spunta la pietra-bianca oppure si mostrano preziosi
cristalli nelle pietre: una camera del tesoro che cela in sé incommensurabili
valori. Camminando lungo le rocce, adesso devono deviare in curva quasi ad
angolo retto; gli audaci intrusi sono giunti alla rotonda interna dell’ex
cratere.
21.
“Signore, più
lontano io non sono mai andato, torniamo indietro”,
esorta Upal.
22.
Arvodo, la cui intraprendenza è ora fortemente aumentata, dice: “Abbiamo
tempo, andiamo avanti. Forse
scopriremo ancora di più: un’occasione così favorevole deve essere sfruttata.
La via per il ritorno non possiamo perderla!”
23.
“Come voi comandate, signore!”
24.
I due uomini
proseguono con prudenza. Il terreno non è più così piano, lo coprono pietre e
detriti. Un silenzio mortale li circonda, il mugghiare dell’acqua è cessato
totalmente. Il mare non spinge le sue onde nel bacino nella fase di bassa marea
che subentra a quest’ora. Al lato delle rocce si apre un nuovo passaggio, la
cui fine è a perdita d’occhio. Arvodo alza la lampada, vi entra e vede che è
praticabile. Il suolo è coperto di sabbia bianca frammista a conchiglie.
25.
“Attraverso
questo passaggio un tempo fluttuava il mare e doveva condurre fuori, fino allo
stesso mare!”
26.
Upal si guarda intorno stupito: “Signore, avete ragione, ci sono
conchiglie. Qui lateralmente la
via va in profondità. Lì un giorno i flutti del mare presero
il loro corso, essi vennero da questo passaggio!”
27.
Arvodo,
meditabondo, guarda la caverna: “Upal, dobbiamo sapere dove
conduce questa via. Se da qui si può raggiungere il mare, allora sarà facile
per noi portare in salvo i tesori segretamente. Ci dobbiamo però anche assicurare di non essere scoperti. La non
conoscenza di un accesso all’interno ci potrebbe rovinare”. – Upal
approva quest’opinione ed entrambi si voltano decisi verso la caverna
sconosciuta.
28.
Entrano in un
vasto spazio a forma di galleria. Alle sue pareti si riconoscono chiaramente
gli effetti dell’acqua che, un tempo, con grande forza penetrante le ha
levigate. È facile camminare sulla soffice sabbia marina. I due uomini
procedono a lungo in avanti. Il tortuoso passaggio, che talvolta si allarga
molto, non mostra nessuna fine, i blocchi di roccia non lo sbarrano e la sua origine
per loro è un mistero.
29.
Finalmente il
passaggio si allarga fino a diventare una grande caverna, la via cessa
all’improvviso e un caos di blocchi rocciosi compare dinanzi a loro. Su questi
devono arrampicarsi per passare, se vogliono raggiungere il fondo che adesso si
estende davanti a loro. Per un momento esitano se proseguire o tornare
indietro. Entrambi, tuttavia, sanno che il desiderio di conquistar chiarezza li
dovrà assolutamente condurre oltre. La discesa non è
senza pericoli, ma è compiuta, poiché notevole è l’altezza dalla quale essi
scendono.
30.
Adesso si trovano sul fondo di un bacino di lago sotterraneo ormai
asciutto. Fantastiche alte formazioni rocciose non permettono di scoprire dove
dirigersi per trovare l’antico punto d’accesso dell’acqua. Profonda sabbia
copre il suolo dal quale si levano alti blocchi di roccia. Immense conchiglie,
un tempo dimore degli abitanti del mare, si trovano incastrate tra gli scogli,
e un gran numero di più piccole giacciono sparse
dappertutto. Mentre proseguono trovano scheletri di
grandi animali acquatici che un tempo abitavano il lago. Millenni devono essere
passati, quando essi animavano i flutti.
31.
Meravigliati
gli uomini si guardano intorno, perplessi su dove
dirigersi: davvero il caos delle rocce impedisce la visione d’insieme.
All’improvviso un suono leggero e lamentoso vibra nel mortale silenzio di
questo luogo, poi ancora un altro. I suoni si susseguono uno all’altro in una
melodia che, apparentemente, giunge da grande distanza. Istintivamente Arvodo
ha messo mano alla spada, Upal tiene la fiaccola raggiante abbassata a terra e,
a testa protesa, i due uomini ascoltano attentamente i sommessi suoni.
32.
Upal dapprima
trova parole di stupore: “Canta Munga, la figlia di Usglom, per metterci in
guardia!”
33.
Arvodo risponde sinistro: “Non sono né Munga, né Usglom, li disprezzo
entrambi. È un uomo che canta il
lamento funebre della casa reale. Dobbiamo sapere chi
è. Abbassa la fiaccola, così che illumini solo la via, e ora, verso la
risonanza della voce!”
34.
Non è facile
trovare la direzione. In queste cupole di roccia gli echi ingannano. Arvodo
tuttavia ha un orecchio fine e trova la giusta via, nonostante tutti gli
ostacoli. Dietro le rocce, che essi devono aggirare, risuona la voce lamentosa
più forte e più piena, un segno che si stanno
avvicinando.
35.
Ora sono presso
la ripida sponda dall’altra parte del bacino dell’ex lago; chiaro risuona il
canto giù dall’altura. Camminando carponi con precauzione sui blocchi di
roccia, gli uomini si arrampicano. S’ingannano? Là splende della luce!
Velocemente essi coprono le fiaccole manga con gli involucri di protezione;
un’oscurità impenetrabile li circonda. Presto l’occhio vi si abitua e si vede
splendere su di loro un chiaro bagliore di luce.
36.
Prudenti come
gatti, gli uomini continuano ad avanzare piano piano. Arvodo porta la spada
sotto il braccio, pronta all’uso. Ora sentono chiaramente il canto di due voci.
Comprendono le parole: è il lamento per un morto, cantato solo per i membri
della casa reale, e suoi ultimi versi vanno smorzandosi. Essi dicono:
“Amata
in vita, la morte non ci può separare,
la tua anima, infatti, vive grazie alle sue azioni
che splendono tutte piene di gloria e meravigliose.
Va’ dal Padre di tutto il vivente;
l’amore ti custodisca e un giorno ci riunirà!”
37.
Durante questo
canto i due uomini si sono arrampicati fino al margine e intravedono un
toccante gruppo di persone.
38.
In una grotta
rocciosa giace, elevato, il cadavere disteso di una donna meravigliosamente
bella vestita con una veste celeste. La grotta è piena di cangianti cristalli,
come quelli già visti da Arvodo. All’ingresso sono appese lampade accese che
gettano una chiara luce sullo spazio circostante. Al capo del cadavere sta la
figura venerante dell’eremita del mare; ai piedi il giovane uomo che egli ha
chiamato Muraval. Entrambi avevano fatto risuonare il canto funebre, le cui
note avevano guidato Arvodo e Upal.
39.
Quando Upal
vede il gruppo che, lontano solo circa venti passi, si offre allo sguardo
meravigliato, il suo volto s’irrigidisce in un indicibile spavento. Arvodo lo
nota e sussurra all’immobile compagno: “Tu conosci questi uomini?”. Allora un
grido acuto risuona dalla sua bocca. Prima che Arvodo lo possa impedire, Upal
salta su e, con l’esclamazione di: “Fedijah, sorella!”, si precipita sul
cadavere stupendo.
40.
Egli vuole
abbracciarla, ma la sua mano tocca una fredda pietra. Il cadavere della donna,
che un giorno era attraversato di calda vita, ora è irrigidito nel marmo,
pietrificato dai vapori mummificanti di questa caverna. Confuso, guarda in alto
al volto del venerabile vegliardo, il cui sguardo si posa penetrante
sull’intruso, e con una forte esclamazione: “Muhareb, mio re!”, cade privo di
coscienza tra le braccia del giovane Muraval che gli è accorso accanto.
41.
Quando Arvodo
vede che non può trattenere il compagno, si porta anche lui al bordo della
sponda. Egli ode le esclamazioni di Upal e guarda stupito la nobile figura del
vegliardo.
42.
Costui è dunque
il legittimo re scomparso e a lungo cercato, il fratello di Areval? Egli non
riesce a comprenderlo. Confuso il suo occhio vaga
intorno sul singolare ambiente, la bella salma pietrificata, l’imponente
vegliardo, lo svenuto Upal. Egli è confuso e non riesce a prendere nessuna
ferma decisione.
43.
Quieta risuona
all’improvviso la voce del vegliardo al suo orecchio. Pienamente convincente
egli ordina di seguirlo. Il vegliardo ha preso la fiaccola manga caduta di mano
a Upal. Un appiglio, e tutte le lampade nella grotta che nasconde il cadavere,
si spengono. Poi fa un cenno al giovane. Entrambi
afferrano Upal ancora privo di sensi, lo alzano e vanno veloci verso una buia
caverna, il proseguimento di quel passaggio che Arvodo e Upal avevano tentato
di trovare.
44.
Il silenzioso
corteo va a passo veloce attraverso una galleria. All’improvviso splende in
lontananza una debole luce. Ancora un breve tratto e soffia loro incontro aria
fresca, addolcita dal vapore del mare. Il passaggio che prosegue verso il basso ora si allarga velocemente. La caverna si trasforma
in una stretta gola, nella quale dall’alto guardano giù le stelle raggianti.
Davanti a loro si estende il mare, il cui orizzonte è bordato di rosso
splendente, il primo saluto mattutino del nuovo giorno nascente.
[indice]
1.
Il corteo si è allontanato
dal mare, va su al terrazzo che noi già conosciamo. L’occhio di Arvodo guarda
meravigliato la grandiosità fiorente tutt’intorno. È il paradiso nascosto che
circonda la residenza dei due eremiti presso il mare. Con Upal ancora senza
sensi sono giunti nel loro rifugio e lo mettono giù su un giaciglio di muschio.
Il vegliardo pone le sue mani sul capo dello svenuto e lievemente le sue labbra
si muovono in silenziosa preghiera. Poi si avvicina ad Arvodo, gli fa un cenno
ed entrambi si mettono in disparte per non disturbare il sonno di Upal,
prostrato dalla potenza degli avvenimenti. Alla fine Arvodo trova le parole, e
tra i due si sviluppa il seguente dialogo:
2.
“Il mio
compagno ti ha chiamato col nome dello scomparso figlio del re Muhareb. Sei tu
il legittimo re di Mallona?”.
3.
“Io sono Muhareb, figlio di Maban. Sono il legittimo re, ma ora troneggia Areval,
nella sua capitale!”
4.
In urgente,
emozionato tono, e con gesti imploranti, Arvodo si avvicina:
5.
“Signore, dammi una prova, affinché io non possa dubitare, per me
tutto dipende da questo!”
6.
“La prova non
ti servirà a nulla, Arvodo. Io ti conosco, conosco i tuoi piani, poiché a me è concesso dal Padre universale di leggere nei cuori degli
uomini, di riconoscere il loro volere, se è buono o cattivo. Voglio tuttavia
fornirti la prova che tu pretendi! Con ciò adempio certo l’ordine di Colui al
Quale soltanto io servo ancora”.
7.
Il vegliardo si
allontana e torna presto indietro con quel cofanetto che ho già visto prima e
che contiene il tesoro.
8.
“Arvodo, un giorno Maban fece produrre tre anelli, come segno del potere
assoluto della sua casa, e li fece tagliare da una e la stessa pietra-aurea. La pietra mostra, su fondo bianco, l’immagine di
Furo, l’eroico capostipite della nostra stirpe, coperta con l’elmo della
potenza e della forza che egli un giorno, in una dura lotta, dovrebbe aver
strappato al demone Usglom stesso. Tu sai che da allora Usglom odia la nostra
stirpe ed è intenzionato a rovinarla. Ad Areval e a me Maban diede a ciascuno
un anello; egli stesso portava sempre il terzo. Dopo la morte di Maban, Areval
possedeva il suo anello, esso splende adesso alla tua mano come segno del suo
favore rivolto a te. Egli ha messo una parte del suo potere nella tua mano. Qui c’è il terzo, identico anello”. Il vegliardo apre il
cofanetto e mostra ad Arvodo l’anello che vi giace.
9.
Il generale
osserva con stupore il gioiello. Vede anche il diadema regale che giace sul
fondo del cofanetto, fregiato con uno scintillante diamante d’incalcolabile
valore. Egli non dubita più! Solo Areval, infatti, in particolari occasioni, porta un anello uguale in segno della sua dignità
regale. Guarda il proprio anello al dito, s’inginocchia davanti a Muhareb e
dice:
10.
“Mio signore e
mio re, restituisco questo segno del mio potere alla mano cui appartiene.
L’ordine di mio padre morente è adempiuto. Egli sapeva che il mio sovrano
viveva e mi ordinò di fare ogni sforzo per riportarti il potere cui
rinunciasti. Tu solo puoi essere il salvatore del popolo degenerato. Io ho
giurato di cercarti, ed ecco, ho avuto la fortuna di trovarti. Oh, vieni dal
tuo popolo, rinuncia a questa solitudine nella quale sei vissuto finora! Tutti
i cuori accorreranno giubilanti a te, al legittimo re di Mallona!”
11.
Tranquillo e
immobile l’alto vegliardo guarda l’uomo inginocchiato. Egli non prende l’anello,
lo solleva da terra e dolcemente dice:
12.
“Signore e re di Mallona non sono io, né Areval. Nessuno di voi Lo conosce più. Io però L’ho
riconosciuto e adempirò la Sua volontà. Vedo che il tuo cuore è colmo di
fervore, però prende vie sbagliate. Io non posso più salvare il popolo. Un
animale che vuol vivere nel fango ritorna sempre là, dove si trova bene. I
popoli di Mallona sono diventati un tale animale, e similmente i grandi del
popolo, bestie feroci. Se non si distolgono dal loro operare,
allora non sarà possibile nessun aiuto, dovranno portare le conseguenze della
loro colpa”.
13.
“Si distoglieranno, signore, se tu dai loro l’esempio! Il tuo
ricordo non è spento in loro, Ancora si elogia il principe Muhareb come
l’incarnazione della virtù. Ritorna come nostro re!”
14.
“Così inizierà un bagno di sangue come ancora non ce n’è stato. Passato il primo entusiasmo, il moralista
raccoglierà odio, dove vuol seminare amore. L’animale vuole avere il suo
pantano. Cerca di tirarlo fuori dopo che ha disimparato a desiderare delle più
pure dimore, ed esso ti divorerà. Non cercherò mai di strappare con violenza
dalle mani di Areval ciò che lui ha ricevuto dalla volontà del Padre
universale. Ogni dominatore è tale come lo richiede il suo popolo. Il popolo e
i grandi fanno di lui solo ciò che egli è.
15.
Areval però è
diventato un mostro da se stesso. Egli opprime il popolo e dilapida assieme
alle sue canaglie quello che ha estorto a questo. Ciò che Maban ha costruito,
egli l’ha da molto tempo distrutto. Come il primo fu un campione del bene, così
quest’ultimo è un campione del male. Perché dunque i popoli di Mallona,
attraverso l’esercizio del bene che Maban insegnava, non trovarono la forza di
opporsi alle tentazioni del male attraverso Areval? Perché non erano buoni,
perché Maban s’illudeva e credette che la sua virtù imposta avesse anche la
forza di una trasformazione delle cattive caratteristiche che nei nostri popoli
provengono già dai padri. In Maban era stato creato l’ultimo baluardo contro la
rovina che un giorno avrebbe fatto sicuramente irruzione. Egli fu un ultimo
segnavia, per mostrare ai suoi popoli quali vie essi dovessero percorrere per
sollevarsi dal fango dell’avidità di piaceri e di cupidigia. A me doveva essere
riservato di continuare la sua opera se i popoli volevano ricordarsi della loro
dignità, dignità che avrebbero dovuto preservare quali
creature dell’eterno Padre universale.
16.
Essi tuttavia
non l’hanno fatto, si sono soltanto piegati alla violenza. Il dominatore non ha
nessun potere sulla mentalità servile di un popolo che spesso si cela dietro il
desiderio di legge e diritto. Per conservare l’ordine pubblico non c’è bisogno
di nessuna violenza, non appena la consapevolezza del giusto è vivente in ogni
singolo. Ma se questa manca, solo allora comincia il
potere e la durezza della legge secondo la volontà di un potente, il quale
spesso necessita egli stesso maggiormente della legge.
17.
Arvodo, io, in
spirito, vidi arrivare quest’ora. Sapevo che essa mi
avrebbe indotto alla decisione di ritornare ancora una volta nello splendore
esteriore. So anche che, a costo di diventare un tiranno più duro di quanto lo
è Areval, io piegherei questo mondo con la forza. La via però passa poi su
cadaveri e sangue. Il mezzo è distruzione, annientamento delle anime, le quali
se ne vanno in collera, sete di vendetta e cupidigia, perdendo il successivo
sviluppo nella Casa del Padre universale. Vedo anche le ulteriori, inevitabili
conseguenze. Io so che non può essere evitato l’annientamento dei corpi, il
come me lo svela ancora la mano del Padre universale. Io però ho scelto, e non
lascio più questo luogo, nel quale ho ottenuto la luce dell’anima; ho sentito
il soffio dell’eterno Spirito e riconosciuto le vere destinazioni dell’essere
umano. Non posso essere il salvatore da te sperato, ed esigo che tu taccia di
me! E ora ritorna dai tuoi servitori!”
18.
“Esigi anche
che io rinunci ai progetti che coltivo in me?”.
19.
“L’adempimento
di tutti i progetti, come li hai preparati tu, non sta nelle mie mani, né nelle
tue: esso è guidato secondo le sublimi intenzioni dell’Eterno! Tutti i progetti
non potranno mai contrastare lo scopo ultimo cui tende l’umanità, possono solo ritardare il suo raggiungimento. Agisci secondo ciò che riconosci, io non ti ostacolerò”.
20.
“E se ora
questi progetti m’impedissero di tacere che Muhareb, il vero re di Mallona,
vive?”.
21.
“Allora non te
lo posso impedire, dopo che una buona volta hai trovato questa verità. Non devi
credere però che Muhareb possa essere visto, se non è volontà del Padre
universale. È stata la Sua volontà che voi mi trovaste. Il vostro velivolo che
vi ha portato nelle profondità della caverna di Wirdu, poteva essere
sfracellato, avrei potuto rovinarvi, ma entrambe le
cose non sono accadute. Io agisco secondo la volontà di Colui
che mi prescrive nel cuore ciò che devo fare. Andate entrambi in pace,
vi condurremo indietro. Giungerete sicuri di nuovo tra i vostri. Il nostro modo di agire non è lo stesso!”
22.
Muhareb ha
parlato con tale forza di convinzione che ad Arvodo è impossibile rispondere
qualcosa. Cupo egli guarda in basso dinanzi a sé, poi, indicando la striscia
del mare all’orizzonte che diventa sempre più chiara
dice:
23.
“Si avvicina il
tempo in cui devo ritornare. Ci ostacolerai?”.
24.
“No! Hai sentito, ti
accompagneremo. Aspetta qui, vedrò come si sente il tuo accompagnatore!”
25.
Senza attendere
risposta, Muhareb si allontana e va al giaciglio di Upal. Lo trova sveglio e in
appassionato colloquio col giovane. Quando vede Muhareb che si avvicina, salta
su e corre dal vegliardo. Muhareb accoglie l’uomo profondamente scosso tra le
sue braccia e gli sussurra parole tranquillizzanti.
26.
“Upal, adesso
non è il momento di rispondere a tutte le tue domande, ma avrai la risposta a
ciò che ti è necessario sapere. Porta indietro il compagno, il tempo stringe.
Quando avrai adempiuto quest’incarico, allora riconduci il tuo velivolo subito
qui da me. Vedi là, l’alto spuntone roccioso che si
erge maestoso lontano nel mare? Lo vedrai anche dall’alto del cratere nel quale
ti sei calato. Tieni la direzione su questo, così non sbaglierai per arrivare
alla nostra baia segreta. Ti aspetto. Lascia tornare a casa Arvodo da solo. Sii
riservato nei suoi riguardi, affinché un giorno tu non abbia nulla di cui
pentirti!”
27.
Upal guarda
sorpreso Muhareb e domanda: “Il generale è nelle nostre vicinanze?”.
28.
“Lo è e ti
aspetta! Ti senti di nuovo in forze?”.
29.
“Lo sono! Oh, quante
domande si accalcano sulla mia lingua; tuttavia le reprimo e ubbidisco al tuo
ordine!”
30.
Muhareb si
allontana con un cenno ad Upal e al giovane. Entrambi
lo seguono. I tre si recano da Arvodo che è in attesa. Questi è là dove Muhareb lo ha lasciato, e guarda fisso al mare
aperto. Quando ode il rumore dei passi, si volta, fissa intensamente Muhareb
negli occhi e gli si avvicina. Upal e il giovane restano istintivamente
indietro, poiché intuiscono che il generale desidera parlare con Muhareb da
solo. Arvodo dice bisbigliando:
31.
“La tua
decisione di rinunciare al trono è per sempre, Muhareb?”.
32.
“Lo è!”
33.
“Il lascito di
Maban a mio padre, che è stato il suo vassallo più fedele, consisteva nell’incarico
di cercarti e portarti indietro. Il re sapeva che suo figlio era vivo e non
poteva credere che si fosse completamente allontanato da lui. Questo lascito
dopo la morte di mio padre è passato a me: deve esso per sempre andare a
vergogna?”.
34.
“Ti ho già dato
la mia risposta, essa rimane confermata!”
35.
“Così mi
sciogli dal giuramento che io feci al padre morente?”.
36.
“Senza forza è
la tua promessa, promessa che non sapevi se avresti mai potuto adempiere.
Libero, e senza obbligo stai tu di fronte a me!”
37.
Arvodo guarda
Muhareb con stupore; di malumore esclama:
38.
“Il tuo rifiuto
uccide in me i migliori moti del cuore. In te non vive lo spirito di tuo padre.
Essere e voler restare un uomo delle caverne, quando un trono attende, io non
lo comprendo!”
39.
“Poiché non
puoi comprendere la mia decisione, allora è meglio che ci separiamo in fretta.
Agisci secondo la tua conoscenza, io seguo la mia. Le nostre
strade non sono le stesse”.
40.
Muhareb si
volta un attimo e fa cenno ai due che sono rimasti indietro. Un gesto del
vegliardo indica la via verso la sponda del mare, e Arvodo si accinge a
percorrerla. Muhareb precede. Upal e il giovane, che portano entrambi delle
fiaccole manga, seguono. Percorrono una gola diversa dalla prima, dalla quale
uscirono dall’interno del monte, e presto si trovano tra rocce restringenti. Li
accoglie una via di caverne simile alla prima e procedono a lungo in linea
tortuosa profondamente nell’interno. Sembra che questa via sia praticabile solo
per il tempo della bassa marea, la sabbia sotto i piedi, infatti, è umida, e
gocciolanti sono anche le rocce restringenti. All’improvviso Muhareb gira a
destra e sale in alto tra le rocce. Adesso un’ampia galleria conduce all’insù.
Questa si allarga ed essi entrano in un ampio vestibolo roccioso.
41.
Subito Upal
riconosce il luogo. Sono giunti nuovamente là, dove avevano scoperto il
passaggio per il bacino del lago prosciugato. Muhareb ha ricondotto i suoi
accompagnatori per una via più veloce verso il fondo del cratere, vicino al
luogo in cui avevano lasciato il velivolo. Una buia notte li circonda, tale che
la luce delle fiaccole manga non scaccia. Adesso in lontananza la luce si
rispecchia su barre e superfici metalliche, ecco che risplende la forma del
velivolo che spunta dall’oscurità.
42.
Arvodo,
rabbuiandosi, guarda il velivolo. Egli lo rivede con sentimenti diversi di
quando lo ha lasciato. Il desiderio ardente di sfuggire rapidamente a queste
terribili tombe sotterranee, si fa sentire in lui con prepotenza. Muhareb
guarda penetrante il generale. Arvodo evita il suo sguardo. Certamente
dall’ultimo ostinato rifiuto sono sorti in lui pensieri che, sebbene ancora non
chiari, hanno provocato un dissidio tra loro.
43.
“Le nostre vie
non sono le stesse!”, risuona in lui. Bene, allora che si dividano presto, e
ognuno vada per la sua strada.
44.
Upal è entrato
nella macchina e ha ordinato tutto. Accende tutte le fiaccole manga che circondano la navicella, fa girare la ruota di volo
spingente verso l’alto e annuncia al generale che è già pronto per la partenza.
45.
Muhareb, al
quale i pensieri di Arvodo sono divenuti chiari, dice: “Il Padre universale che
vi ha condotto qui, protegga il vostro ritorno!”
46.
Arvodo sale a
bordo della navicella. Ancora una volta ribolle in lui, quando guarda negli
occhi il vegliardo.
47.
“Ti rivedrò?”,
domanda.
48.
“Decide la
Volontà del Padre universale, non noi. Fa’ la Sua Volontà. Non
farti abbagliare dai tesori di Usglom, allora salverai te stesso, e noi ci
rivedremo”.
49.
Lo sguardo di
Arvodo mostra sdegno. Con poche parole dà ad Upal
l’ordine per la risalita. La ruota di volo gira più in fretta. La macchina si
solleva e volteggia in alto verso l’uscita del cratere, guidata con sicurezza
dalla mano esperta di Upal.
50.
Il viaggio
riesce senza incidenti. L’apertura del cratere è superata. Il crepuscolo si
estende sopra il paese. Upal fa salire il velivolo alto nell’aria, per giungere
senza essere visto al luogo disabitato dal quale erano saliti. Una scoperta
dello stesso sarebbe ora più facile che nelle tenebre notturne. Veloce il
velivolo sguscia con loro nell’aria.
51.
Upal adesso
dice ad Arvodo, immerso in profondi pensieri, quanto segue:
52.
“Signore, se è
vostro desiderio, guiderò il velivolo ai piedi del monte, sulla cui vetta lo
nascondo sempre. Con ciò vi risparmierete la discesa e arriverete in fretta nel
luogo dove vi aspetta il vostro servitore con la vettura. Abbiamo sprecato
molto tempo nelle caverne di Wirdu, recuperarlo forse vi sarà utile!”
53.
Arvodo fa cenno
col capo, gli è palesemente gradito perdere il compagno. Egli
dice: “Fa’ così. Ti aspetto il più presto possibile nel mio palazzo. Taci con chiunque, ricorda il tuo giuramento”.
54.
Upal alza il
braccio destro e mette la mano sul suo capo: un segno che i fedeli fanno per
esprimere la loro incondizionata accettazione. Con la massima attenzione ora
guida il volo della macchina. Presto hanno sorvolato la regione dei crateri e
si avvicinano a zone più abitate. Adesso sotto di loro si estendono ampi
boschi; il velivolo si abbassa rapidamente e volteggia presto a bassa quota
sopra le cime degli alberi. Ora si mostra la ripida cima ascendente della
montagna sulla quale Upal nasconde il suo velivolo. Ai piedi di questo monte si
estende la pianura cui egli è diretto. Lentamente il velivolo si abbassa. Un
leggero urto, ed esso si ferma sulla valle prativa, attraverso la quale uno stretto sentiero si perde nel vicino bosco ai
piedi del monte.
55.
“Signore”, dice
Upal, “questo sentiero vi condurrà con sicurezza al luogo in cui vi aspetta il
conducente!”
56.
Arvodo scende
dalla navicella, porge la mano ad Upal e dice:
“Prepara tutto, affinché in viaggi futuri nulla ti manchi. Non so ancora per
che cosa mi deciderò. Voglio però che tu sia pronto in ogni momento ad intraprendere ulteriori viaggi. Provvedi
il tuo deposito lassù con tutto quello di cui hai bisogno”.
57.
“Signore, per
questo mi occorrerà qualche tempo per essere preparato in ogni cosa”.
58.
“Allora non
indugiare e torna da me solo quando hai compiuto tutto bene”.
59.
Upal ripete il
segno dell’accettazione. Quando Arvodo si volta e si dirige veloce verso il
bosco, nel quale presto scompare, la macchina si leva
di nuovo nell’aria e volteggia, come previsto, verso il luogo di salvataggio.
[indice]
1.
Arvodo ha raggiunto
velocemente il luogo in cui il suo conducente lo aspettava, e ritorna presto
alla città del re. Appoggiato dietro, nell’angolo del suo veicolo, è immerso in
profondi pensieri. La sua anima lotta per una decisione che ormai è obbligato a prendere. Gli avvenimenti degli ultimi giorni
passano davanti al suo occhio spirituale e, involontariamente, conduce un
monologo a bassa voce:
2.
“La meta che mi prefiggevo in Muhareb è perduta. Mai più questo cavernicolo oserà un’azione
coraggiosa. In lui è sprofondato lo spirito di Maban. La sua via non è la mia.
Che vada per le sue strade, io percorrerò le mie! Ma
quali dovranno essere? I tesori trovati sono incommensurabili. Con questi, per
mezzo della forza, conquisterò facilmente ciò che Areval mi ha già dato a metà:
il potere totale! A che scopo adesso ancora la forza? Il frutto mi è cresciuto
da sé da parecchio tempo col favore di Areval. Dalla sua mano posso prendere lo
scettro in qualsiasi momento.
3.
Se Areval
sapesse che Muhareb vive, la paura di suo fratello lo consegnerebbe a me
interamente nelle mani. Muhareb non vuole essere re di Mallona. Io, stolto, gli
volevo consegnare il potere. Suvvia, ormai le forze serviranno per me stesso.
Areval cadrà quando lo voglio io. Il prossimo re si chiamerà Arvodo.
L’equiparazione dei diritti davanti al popolo, come re riconosciuto, mi giungerà però solo attraversa la mano di Artaya. Io odio
questa donna che vive solo per se stessa e per i suoi piaceri. La mano di Artaya mi darà certamente l’equiparazione del diritto al
trono, però lei rimarrà sempre la regina, per tutto il tempo che vivrà”.
4.
Arvodo fa un
profondo respiro e ripete:
5.
“Per tutto il
tempo che vivrà! E se un giorno schiacciassi questa serpe? Sarebbe questo un
delitto? Mio fratello stesso non è intontito di lei? Come la prenderà,
vedendomi come suo rivale? Egli dovrà dimenticare, a causa dell’alta meta che
attende sia me, che lui. Ora riconosco chiaramente che con la forza si va solo
probabilmente e faticosamente alla meta, mentre l’altra via è sicura e senza
fatica. Allora il saggio sceglie sempre il sentiero percorribile e non quello
scabroso. – E Muhareb, il cavernicolo, che cosa farà? Nulla, come non ha fatto
nulla durante tutti questi anni. Perché mi preoccupo ancora di questo
cavernicolo? Che preghi pure sul cadavere di Fedijah, soltanto questo egli
riconosce come sua destinazione. La mia è quella di regnare, strappare di mano
lo scettro al debole Areval, per diventare un principe come non ce n’è stato
ancora nessuno!”
6.
Arvodo
s’infiamma a questo pensiero. La sua decisione è presa ed egli, impaziente,
guarda verso l’orizzonte, al cui bordo scintilla, nello splendore del mattino
irrompente, la fortezza reale della capitale.
* * *
7.
Per comprendere
il resto, è necessario inserire qui alcune spiegazioni sulle condizioni
cosmiche del pianeta come sono state sondate, dopo diversi tentativi della medium. Il pianeta Mallona orbitava intorno al Sole ad una distanza di circa 300 milioni di miglia. Esso
possedeva, come già detto, un’atmosfera ampiamente più densa, per questo vi
dominava una pressione atmosferica più forte che da noi. Poiché l’asse del pianeta
non era inclinato in un angolo di 23½ gradi come quello della Terra, bensì di
meno, ciò aveva per conseguenza che le zone del pianeta erano sottoposte
ampiamente a meno oscillazioni di temperatura. In relazione con l’atmosfera più
densa, che concentrava l’effetto dei raggi del Sole, era evitato con questo
che, nonostante la grande distanza dal Sole, la distribuzione di luce e calore
fosse meno che sulla nostra Terra. Al contrario, le stagioni erano sempre
uguali come nelle nostre zone temperate. Solo all’equatore c’era un calore
quasi costante, il quale faceva dell’ardente cintura di Mallona un deserto, ben
evitato dai suoi abitanti.
8.
I continenti di
Mallona erano situati principalmente verso la metà settentrionale
dell’emisfero; aldilà delle zone roventi il paese era ancora inesplorato e
anche disabitato. Gli abitanti evitavano di penetrare in quelle regioni che non
offrivano loro nessun mezzo di sussistenza. Erano ancor meno inclini alla
navigazione, da passare per mare attraverso l’ardente cintura e stabilirsi di
là della stessa. Il motivo di ciò stava nelle tempeste che ogni anno, sia nei
periodi autunnali sia in quelli estivi, rendevano i mari insicuri come sulla
Terra, e danneggiavano e distruggevano facilmente le piccole imbarcazioni in
uso. Per scopi di viaggi le loro vetture rendevano inutili le navi, che
tuttavia erano usate su piccoli bacini e sui fiumi.
9.
Su Mallona
dominava una profonda avversione verso le aeronavi e il loro uso. Nessun
abitante osava tanto facilmente affidarsi agli insicuri elementi, poiché
bastava il sicuro suolo per il veloce spostamento. Aeronauti e uomini di mare
che, di quando in quando, usavano i natanti dei quali ben conoscevano la
costruzione, erano considerati una specie di dementi caduti in preda ai demoni
dell’acqua e dell’aria, ed erano diventati dipendenti dagli umori degli
invisibili elementi. Una paura superstiziosa circondava la loro attività,
attribuendole parvenza soprannaturale, basata su un patto con i poteri
invisibili. In tal caso non era consigliabile mettere le mani addosso ai
natanti e ai loro possessori, per non far adirare gli utili elementi.
10.
Queste
circostanze fecero sì che Muhareb potesse vivere sulla costa inesplorata, non
troppo lontana dalla residenza del re. Inoltre, che Upal rimanesse in possesso di
un’aeronave, indisturbato, giacché nessuno avrebbe osato distruggere la stessa
sull’altura rocciosa, anche se ne fosse stata scoperta l’esistenza.
* * *
11.
Arvodo sfugge
ai miei occhi, e lo sguardo si rivolge nuovamente alla costa sulla quale dimora
Muhareb.
12.
Essi
velocemente emergono davanti a me. Vedo la macchina volante di Upal nella baia
giacente sulla sabbia bianca, lui stesso con Muhareb davanti all’ingresso della
caverna in appassionato colloquio. Vedo il giovinetto pescare su una piccola
barca. Mi sento attratta dai due, per essere testimone della loro
conversazione. Adesso distinguo precisamente le voci e comprendo il senso del
loro discorso.
13.
Upal domanda: “Posso sapere perché hai respinto il generale? Egli sembra davvero di buone intenzioni e d’animo
nobile!”
14.
Risponde Muhareb: “Non è, né l’una né l’altra cosa. Una bella coltre esteriore nasconde i moti di un
cuore che ha solo bisogno dell’occasione per manifestarsi peggio che Areval. È
facile essere buoni, se manca l’occasione per agire con cattiveria. Forte è la
sua volontà, tuttavia usata solo per eseguire ciò che porta vantaggio. Queste
anime, quando si trovano davanti alla decisione di rinunciare a qualcosa per
amor di un premio interiore, cadono. Il veleno che tutti gli abitanti di
Mallona hanno assorbito, distrugge anche lui, ed egli non trova in sé la forza
per distruggerlo!”
15.
Upal domanda pieno di stupore: “Un veleno che tutti gli abitanti di
Mallona hanno assorbito? Quale veleno?”.
16.
“Il veleno della depravazione, al quale Maban cercò di contrapporre
l’ultimo mezzo: l’obbedienza! Se
gli abitanti di questo mondo si fossero piegati, se avessero difeso le
istituzioni dello Stato e compreso lo spirito che vi si trovava, sarebbero stati salvati, e sarebbero felici. Sagge leggi,
adempiute volontariamente secondo il loro senso educativo, conducono un popolo
alla spirituale ed esteriore libertà. Accade invece il contrario quando le
leggi escogitate sono travisate, quando servono per la conservazione del potere
repressivo, per l’inganno e per fini personali: allora esse conducono al
declino, alla rovina.
17.
Presto io ho riconosciuto dove i popoli di Mallona dovranno giungere se
non percorreranno la via dell’ordine che Maban aveva indicato. Lì c’è la
salvezza, pur se ardua è la via per raggiungerla. Duro deve poter essere il
liberatore, egli non deve usare nessun riguardo nemmeno verso la propria carne
e sangue, se si tratta di estirpare errori riconosciuti. Lì mancò Maban! Egli
distrusse di nuovo, con la condiscendenza, dove aveva costruito. Quello che i suoi
contemporanei sopportavano ancora di malavoglia, sarebbe potuto divenire caro e
prezioso alla generazione successiva. Egli però non doveva lasciar agire il
focolaio della distruzione che conosceva e che viveva in Areval. L’ha fatto, e
per conseguenza la caduta è stata più profonda, come mai i nostri popoli
sprofondarono prima.
18.
Ora il disastro
si avvicina a passi veloci. L’ora della fine non è più lontana. Nel re si fonde
l’anima del popolo: il sovrano, infatti, è un prodotto del suo sentimento.
Nessun popolo libero, puro nel suo sentimento, tollera un tiranno. Solo uomini
di sentimento servile possono diventare schiavi. Il seguito del sovrano può
dominare con lui se il popolo si piega. Se il popolo non lo vuole allora esso presto produce vittoriosi combattenti per la libertà. –
Ma il sublime pensiero conduce alla vittoria solo se
nel petto degli uomini non tutto è ancora morto. Deve essere ancora possibile,
sull’altare del cuore, accendere una fiamma di sacrificio consacrata alla
suprema Potenza onniregnante che ci chiamò in vita: a quello Spirito universale
cui siamo debitori di ringraziamento, e dobbiamo render conto del nostro
volere, pensare e operare! La fiamma interiore è il faro per la direzione del
nostro operare. Essa consuma ciò che è impuro. Da una scintilla può diventare
una fiamma splendente. Se l’egoismo ha distrutto quest’altare, presto la fiamma
del sacrificio arderà soffocante. Allora sarà finita con il futuro di un
popolo: i migliori si estingueranno, uccisi dalla potenza del male vincente. Questo trionferà per breve tempo, si befferà e schernirà la voce
ammonitrice degli ultimi giusti, nella sua smisurata sete di potere crederà di
poter colpire in faccia anche la potenza dell’Universo, e nel folle accecamento
scaverà a se stesso la propria tomba”.
19.
Muhareb ha
parlato con l’entusiasmo del veggente, Upal ascolta senza fiatare. Dopo una
pausa, l’oratore continua:
20.
“Già suona al mio orecchio il raspare dei badili tombali. Ci sarà silenzio, totale silenzio,
solo quando il morto sarà sotterrato. La desolazione mai più si animerà di
nuovo. In me è morto il figlio del re, perché non fu possibile concedermi di
salvare il popolo. Da questa solitudine io ho cercato uomini nel cui cuore
l’altare non fosse ancora crollato, e non ho trovato nessuno.
21.
A me, al
primogenito figlio del re, stanno a disposizione tutte
le invenzioni che il popolo stolto ha disprezzato. Di queste è nascosto
qualcosa nelle caverne qui intorno. Ho imparato a stimare altamente il genio
nell’uomo che assoggettò a sé le forze della natura. L’uomo, per mezzo dello
spirito dimorante in lui, è il potente sovrano in ogni ambito della natura.
Questo lo eleva oltre le debolezze del suo corpo, e
gli spiriti degli elementi si rendono sottomessi ai suoi piedi. Su Mallona,
soltanto pochi hanno riconosciuto la forza incommensurabile dello spirito che
ci fu donato, per divenire noi stessi creatori nella sfera data. Attraverso la
dominazione delle forze della natura, l’uomo può penetrare sempre più
profondamente nella Sapienza del Padre universale. Noi dobbiamo dominare gli
elementi. Non per egoismo, bensì per imparare a conoscere e
ad amare sempre di più il Legislatore. Il popolo disprezza il dono
celeste. Superstizione, indolenza, sensualità e paura non permettono che
diventi loro proprietà, ciò che lo spirito dei savi invece trovò.
22.
Innumerevoli
scoperte sono state fatte e, nonostante ciò, ora il popolo si allontana da ogni
innovazione. Esso ha paura delle conquiste dello spirito, e non vuole essere
disturbato nella sua comodità. Là in quell’insenatura, l’acqua fluisce in una
caverna nascosta. Ben custodita, vi troverai una nave veloce, con la quale i
mari possono essere solcati in sicurezza. Nessuno ha mai
voluto salirvi a causa della superstizione, e per paura che i demoni
dell’acqua inghiottissero il temerario; così questa grande invenzione è rimasta
senza valore. A me però essa serve qui da anni, per visitare luoghi lontani
sconosciuti, per osservare con i miei stessi occhi l’agire dei popoli. Perciò
non mi è estraneo quello che accade intorno. Riconosco come lo spirito
nell’uomo si spenga sempre di più, come sia morta nelle anime la fede nello
scopo della vita. Con quest’interruzione di ogni sviluppo è subentrato
l’irrigidimento; ciò che è stato conquistato, va di nuovo perduto; il giudizio
e l’annientamento sono in agguato.
23.
Ti sei fidato
di Arvodo e gli hai mostrato perciò i tesori all’interno della montagna. In te
vive ancora l’ardimento. Hai odiato Areval come il distruttore del bene e hai
creduto che Arvodo si mostrasse propenso ai tuoi desideri, come vendicatore del
tuo destino. Ma tu sei per lui solo un mezzo: egli non
ha nessun sentimento per te, e nemmeno per me. Anch’io avrei dovuto essere per
lui il mezzo redditizio per scopi che presto si riveleranno. Dopo che è stato
respinto da me, infatti, troverà ora presso Areval ciò che egli cerca:
soddisfacimento della sua sete di potere che, irresistibile, irromperà dal suo
interiore! – Non tornare indietro da lui, il tuo destino sarebbe suggellato.
Hai cercato un amico e hai trovato un nemico che ti distruggerà. Ho richiesto
la tua venuta per dirti questo, ma sia libera la tua decisione!”
24.
“Arvodo
dovrebbe essere falso?”, domanda stupito Upal. “Non è
egli il capo segreto dei fedeli che si sono consacrati, per far vincere di
nuovo il diritto e portare a termine i progetti di Maban? Io faccio parte del
patto. Egli lo sa e dovrebbe distruggermi? Sono suo schiavo e mi sono piegato a
lui!”
25.
“Ciò che ieri
era a noi ancora estraneo, può essere già oggi decisione e azione. Ieri lui non
ha voluto quello che oggi gli appare necessario.
Seguimi, impara a conoscere Mallona con i miei occhi! Io ti darò luce, e i veli
dell’oscurità cadranno davanti alla tua conoscenza! Devo compiere l’ultimo
viaggio. L’ultimo tentativo di scuotere gli spiriti, mi è stato raccomandato.
Sii il mio accompagnatore. Seguimi! Lo vuoi?”.
26.
Deciso, Upal
balza in piedi ed esclama: “Lo voglio!”
[indice]
1.
Ora si spingono avanti
delle nuvole, non vedo più la sponda del mare. L’immagine cambia. Dalla nebbia,
che vela la mia vista, si formano lentamente chiari contorni.
2.
Un vasto salone
s’inarca verso di me, è la grande sala di ricevimento del re Areval. Tutti i
nobili del regno sono qui riuniti e aspettano l’entrata del re. C’è tensione
sui tratti degli uomini che stanno intorno ad un sontuoso trono, e lanciano
sguardi furtivi e meravigliati al sommo sacerdote Karmuno. Costui sta immobile
presso i gradini del trono, gli occhi rivolti ad una
grande porta dalla quale deve entrare il re. Finora Karmuno è sempre stato il
sostegno del re, quando si mostrava ai grandi del regno. Adesso è cambiato.
Areval non ha più bisogno di lui, sia come medico sia come consigliere. I
grandi sussurrano e si rallegrano di questa disgrazia, tuttavia essi temono
sempre l’uomo, un giorno così potente. Sono noti il
suo dinamismo, la sua potenza come sommo sacerdote del regno, la sua
intelligenza e, non meno di tutto, la sua viltà.
3.
Ora passa un
movimento attraverso l’adunanza. La grande porta si apre di scatto, entrano
guardie armate a passo di marcia – la guardia del corpo del re – preziosamente
vestite, e si dispongono in due file, dalla porta fino al trono. Davanti ai
gradini sta Karmuno.
4.
Areval entra a
passo fermo, non si scorge più nulla in lui della precedente malattia. Alla sua
destra cammina il generale Arvodo, ai due seguono i viceré di Monna e Sutona, a
questi seguono Rusar, fratello di Arvodo, con i principali capi dello Stato. Il
corteo giunge lentamente fino ai gradini del trono. Karmuno sale due di questi
e si rivolge al re. Il corteo si ferma. Chiara, ma fredda come l’acciaio
tagliente, la voce del sacerdote riecheggia attraverso il salone:
5.
“Grande re, tu
hai convocato i nobili di Mallona affinché udissero che cosa hai deciso per il
bene del Paese e dei suoi abitanti. Il potente Spirito dell’Universo ha
illuminato il tuo sentimento per scegliere il giusto. Secondo l’antica usanza
dei Padri io qui ti domando, come rappresentante dell’eterna Divinità: «Sei
sicuro che la decisione che sei intenzionato ad annunciare qui, sia scaturita
dall’eterna Volontà, alla quale noi tutti siamo sottomessi?»”.
6.
Areval risponde
con fermezza: “Ne sono certo!”
7.
“Sei tu
disposto anche in seguito a servire solo questa Volontà?”.
8.
“Lo voglio!”
9.
“Allora
mostrati nello splendore della Sua volontà e comunica il Suo messaggio al
popolo in ascolto!”
10.
“Lo farò!”
11.
Queste parole
rappresentano un’usuale cerimonia, escogitata per unire inseparabilmente il
potere mondano e quello spirituale. In essa c’è una notevole forza per il
collegamento degli animi: lo si scorge dalle
espressioni degli ascoltatori che sono ormai ansiosi di ascoltare il messaggio
veniente.
12.
Areval non ha
più degnato di uno sguardo Karmuno che sta a fianco.
Sale sul trono e dice:
13.
“Uomini di Mallona, fedeli del mio trono! È piaciuto al demone della morte mandare un fedele
vassallo nel regno delle ombre. Nustra, il nostro stato vicino, è priva da due
giorni del governatore. Perciò, sapendoci uniti con la volontà dell’eterna
Divinità, siamo disposti a nominare un nuovo viceré e a concedergli il potere
nel Paese. La nostra scelta è fatta, resta ancora da annunciarla.
14.
Rusar, figlio
di Mutro, uno dei più nobili che ancora serviva Maban, fratello del nostro
generale Arvodo, vieni
avanti!”
15.
Sui volti dei
presenti si mostra stupore, solo Arvodo e i viceré non sono sorpresi. Rusar
stesso lo è tuttavia più di tutti; titubante si avvicina e s’inginocchia al
trono. Areval continua a parlare:
16.
“Rusar, quale
governatore di Nustra alzati e prestami il giuramento di fedeltà!”
17.
Karmuno recita
ora una lunga formula del giuramento che Rusar ripete. Areval lo tira su e,
avvicinandolo a sé, lo incorona con un anello d’oro adorno di una pietra-aurea.
Adesso i viceré di Monna e Sutona si congratulano con lui, anche nel salone tra
i presenti c’è una certa animazione. Risuonano alte esclamazioni, gioiosi
accoglimenti per la nomina. Sembra che Karmuno voglia parlare. Areval ordina
silenzio all’adunanza e, prima ancora che il sommo sacerdote possa prendere la
parola, comincia ad esprimere lui stesso la
conclusione della cerimonia. Egli dice piegandosi: “Il volere
della Divinità, al quale io m’inchino, è adempiuto. Su!
Rusar, mostrati al popolo nella tua nuova dignità!”
18.
Con lo sguardo
fiammante, ma lo stesso sorridendo, il sommo sacerdote si è inchinato
profondamente come tutti i presenti, indietreggiando. Nella generale
eccitazione, non tutti hanno notato che il sommo sacerdote avrebbe dovuto dire:
“Il volere della Divinità, cui il re s’inchina, è adempiuto!” – e lui, come
rappresentante della Divinità, sarebbe dovuto rimanere in piedi, mentre il re e
i presenti si dovevano inchinare profondamente. Quelli però che conoscono il
cerimoniale, ora sanno anche che Areval, con quest’eccezione dell’antico
costume, ha gettato al sommo sacerdote il guanto di sfida.
19.
Rusar, guidato
dai viceré, attraverso il passaggio formato dalla guardia del corpo, si reca
fuori dal salone. Segue Areval con Arvodo. Entrambi si ritirano subito nelle
stanze interne del castello. Lentamente si spegne il chiasso provocato dalla
formazione di un imponente corteo trionfale, preceduto da un araldo che
annuncia al popolo la nomina del nuovo viceré. Mentre Rusar gode tutti gli
onori, Areval e Arvodo si consigliano nella stanza del
re.
20.
Li vedo soli.
Il benevolo cambiamento nel modo di fare di Areval si manifesta ora ancora più
chiaramente che durante il grande ricevimento. Da quando egli sa, dal generale,
che Muhareb è vivo, le precedenti allucinazioni sono scomparse. La
consapevolezza di un imminente pericolo l’ha portato allo sviluppo della
massima energia. Egli vuole allontanare la sciagura che minaccia il suo trono e
medita sui mezzi per difendersi dall’eventuale ritorno del fratello.
21.
Arvodo ha
capito perfettamente di guadagnare il re totalmente per sé, e sostituirsi a
Karmuno. Egli sa che, per questo, il sommo sacerdote lo odia a morte, ma è
abbastanza intelligente da mostrare sempre un’apparente cordialità nei suoi
confronti. Tuttavia oggi il modo di agire di Areval gli ha mostrato che il re
intende eseguire un’intenzione nascosta, intenzione
che lui vuole scoprire. Egli attende solo il momento favorevole in cui poterne
intuire i segreti pensieri. Areval parla ora chiaro e
schietto: “Sei contento del tuo re, Arvodo? Tuo fratello è viceré come
desideravi tu. Io ti devo molto, e anche per te dovrà
esserci la ricompensa. La mia volontà è che tu ottenga presto la mano di
Artaya. Allora ti riconoscerò. Tu sarai l’uomo che fa per me, e che mi aiuterà ad oscurare la gloria di Maban”.
22.
L’espressione
di Arvodo non rivela la profonda soddisfazione del suo cuore. Con voce calma risponde: “Il mio re sa che la mia devozione è
illimitata. Comanda, signore, che cosa devo
fare!”
23.
“Solo una
domanda, Arvodo! Quali sentimenti tu credi che nutra il sommo sacerdote Karmuno
verso di te? È tuo nemico?”.
24.
“Se il sorriso
a fior di labbra è un segno d’amicizia, allora egli è il mio migliore amico, ma
io non mi fido della facciata esterna. Egli invidia il favore che il mio re mi
concede. Chi vede nella sua anima e riconosce ciò che giace
nella sua profondità?”.
25.
“Sicuramente
niente di buono per me e per te. Con te ho spezzato le catene che mi legavano a
lui. Si sforzerà di forgiarle di nuovo. Io conosco questo dominatore di tutti i
templi del regno. Dipende da lui evocare lo stato d’animo nel popolo e far sì
che gli obbedisca la schiera dei sacerdoti in tutti i paesi. Se volessi essere
veramente re, unico monarca in tutti i paesi, dovrei annientare l’intera razza
che gli ubbidisce. Devo spartire con lui il dominio di
Mallona e vedo arrivare il giorno nel quale scoppierà una lotta con lui fino
alla fine”.
26.
Sinistro,
Arvodo guarda il re: “Ha pensato, il mio re, come si
dovrebbe condurre questa lotta?”.
27.
Areval si china
verso di lui: “Finché dipendevo da lui nella mia malattia, era una cosa
impossibile, ma adesso che sei tu al mio fianco, è
possibile. Il potere dei templi deve essere rovesciato. Il popolo guarda a
questi con timore superstizioso e il potere dei demoni gli sembra più grande di
quello del re. Io devo dimostrare che gli dèi mi
ubbidiscono, che nel re si unificano tutte le forze. Karmuno per lunghi anni si
è preoccupato di minare il potere del re, diffondendo la dottrina secondo cui
esso sarebbe sottoposto al potere della Divinità che si rivela soltanto nel
tempio principale di Mallona. Tu sai come tutti vanno in pellegrinaggio alle porte
del santuario per avere consiglio e come, un responso
favorevole o sfavorevole, entusiasmi o pietrifichi gli animi. Perfino i miei
soldati non ne sono liberi. È incerto quanti oserebbero agire
contro il verdetto della Divinità di Karmuno, oppure fare ciò che comanda il
re”.
28.
“Perciò la cosa
migliore sembra quella di vivere in pace con Karmuno, piuttosto che
provocarlo”.
29.
“E continuare ad esserne schiavo? No, mai più! Lui oppure io, insieme non possiamo governare. L’impero o il tempio: uno deve cadere.
Non senza riflettere, oggi mi sono rifiutato di terminare il cerimoniale
nell’antica forma. Voglio mostrare che il re non ha bisogno di mediatori, per
agire nel nome della Divinità. La Divinità dimora anche in
me, oppure da nessuna parte”.
30.
Gli occhi di
Areval sono incandescenti. Il rancore coltivato così a lungo contro il
sacerdote si esprime ora chiaramente dai suoi tratti. Presto
però egli domina l’eccitazione e bisbiglia a bassa voce ad Arvodo: “L’eremita
al mare finora non è stato pericoloso, ma chi è al sicuro dalle spie di Karmuno?
Se egli scopre il segreto, allora lo saprà usare contro di me. La mia stessa
sicurezza richiede un’azione rapida. Arvodo, provvedi affinché l’eremita sia
arrestato dai più fedeli della guardia senza farsi riconoscere! Poi lo si porti a Sutona; nel castello di Ksontu sarà custodito
bene e concluderà là i suoi giorni. Egli non mi deve scuotere il regno. Non
lui, e non Karmuno! – E adesso vieni con me da Artaya. Il re
ti condurrà dalla sposa!”
31.
Areval si alza
e, appoggiato leggermente ad Arvodo, lascia la stanza.
32.
Un leggero
rumore alla parete desta la mia attenzione. Il mio sguardo penetra la stessa e,
all’interno del robusto muro scopro uno stretto spazio segreto. Karmuno
abbandona questa postazione da spia, dalla quale origlia le più segrete
conversazioni del re nella sua stessa stanza.
[indice]
1.
Dalla capitale Mallona si
dipartono strade direttissime verso le diverse città dell’impero, vie di
collegamento sulle quali si percorrono, senza difficoltà, su mezzi veloci,
lunghe distanze in breve tempo. Ad Oriente di Mallona
vedo la strada principale che conduce al vicino regno di Nustra. Più veloce dei
mezzi ora io scivolo dolcemente attraverso l’aria e ammiro l’abilità artistica
con cui è stata costruita questa strada. Nulla è in grado di ostacolare il
corso rettilineo. Fiumi, valli, precipizi sono superati da ponti e montagne
sono state fatte saltare in aria a causa della strada. Sul fondo livellato i
mezzi non subiscono nessuna vibrazione. In verità queste strade sono un
capolavoro, contro il quale mi appaiono manchevoli le nostre vie di transito.
2.
Quanto più mi
allontano dalla capitale, tanto più fantastico diventa il paesaggio. Vedo
sorgere all’orizzonte possenti catene montuose, giganteschi monti innevati
splendono dinanzi a me nei raggi del Sole. Un imponente mondo alpestre, come
confine di due continenti, simile agli Urali tra l’Europa e l’Asia, mi
s’innalza davanti, quasi volendo arrestare la mia intrusione. La strada
continua a elevarsi e inerpicarsi, evitando talvolta i giganteschi ostacoli ad incredibile altezza. Voragini e valli sono superate da
ponti con stupefacenti arcate. Nell’altezza da capogiro, vicinissima a nevai e
ghiacciai, la strada ora serpeggia alle massime altitudini che deve
oltrepassare. E in mezzo al silenzio di un irrigidito mondo di ghiaccio, essa
conduce il viaggiatore in sicurezza e senza pericolo su un altopiano coperto di
neve, il confine che separa Mallona e Nustra.
3.
Io ammiro
l’arte degli ingegneri per aver eseguito tali costruzioni, le quali
indubbiamente sarebbero impossibili sulla nostra Terra. Il peso delle masse non
permetterebbe tali costruzioni ad archi, come qui si vedono. Crollerebbe tutto
su se stesso, se si volessero costruire ponti ad arcate di tali estensioni.
4.
La minor forza
d’attrazione del pianeta Mallona rende solo qui possibile eseguire queste
realizzazioni. Come nella pura aria montana sento chiaramente le altre
condizioni cosmiche. E anche la pietra primordiale del pianeta mi sembra essere
sostanzialmente diversa da quella della Terra. Essa mi sembra più leggera nella
sua struttura; masse più leggere[7],
come i prodotti del periodo cretaceo e triassico, che qui coprono le cappe di
neve, e si levano nere dai ghiacciai bianco blu. Qui
però non resisto più a lungo. Mi sento spinta
incessantemente oltre la fine dell’altopiano e poi giù verso Nustra, al regno
di Rusar, il cui mezzo di viaggio, come quelli dei suoi numerosi
accompagnatori, mi seguono.
5.
Adesso l’altura
è superata. Il paese si estende vasto dinanzi a me. Verso Nustra i monti si
abbassano bruscamente e numerosi campi fertili, boschi verdeggianti, laghi
sfavillanti, dolci catene di colline stanno ormai davanti al mio sguardo
estasiato. Esso va a valle in corsa vorticosa. I mezzi scivolano giù per il
rettilineo ondulato, simile ad uno scivolo d’immensa
lunghezza. In breve tempo il viaggio verso la valle è concluso, e ora continua
attraverso un territorio pianeggiante e fertile, verso la capitale del paese
che porta lo stesso nome. Il Sole è già alto all’orizzonte quando compaiono in
lontananza le costruzioni di Nustra e si è fatta sera quando Rusar, col suo
seguito, entra nell’ampia rimessa.
6.
Nustra si è
adornata per il ricevimento del nuovo viceré. Ovunque sfavillano cataste di
legno, e grandi mazzi di fiaccole-manga illuminano chiaramente le strade e le
piazze principali. La via che porta al palazzo del sovrano su un colle è
particolarmente illuminata a festa. Una folla, lietamente eccitata e riccamente
ingioiellata, si muove per le strade e saluta con scroscianti esclamazioni di
evviva il viceré che sta entrando. Rusar sta su una vettura sfarzosa, vestito
di un abito intessuto d’oro e accoglie le acclamazioni ringraziando. Sembra
felice per tutti gli onori e si rallegra della simpatia del popolo. Il corteo
scompare dietro le porte aperte del castello reale. Nustra possiede di nuovo un
sovrano.
7.
Vedo una vasta
sala parata a festa. Rusar, i viceré di Monna e di Sutona siedono su un rialzo
e guardano alla folla movimentata di cortigiani e nobili del vicereame, ai
quali il nuovo sovrano offre un ricevimento. Qui mi sembra di essere
trasportata ai tempi del sontuoso impero romano. Le tavole si piegano sotto le
pietanze servite. Gli ospiti non sono più completamente padroni dei loro sensi
a causa delle bevande inebrianti. Danzatrici mostrano le loro arti e contorcono
i corpi slanciati in danze sensuali ed eccitanti. Si
esibiscono giocolieri che cercano di intrattenere gli spettatori con salti
spericolati. Qui si genera un’orgia come non se ne può immaginare una più
selvaggia, e nelle occasioni di festa, già da lungo tempo, accade in tutte le
parti dell’intero regno di Mallona, per il divertimento dei grandi.
8.
Nemmeno a Rusar
è assolutamente estranea una pratica del genere. Areval, infatti, cercava di
scacciare le sue efferate visioni attraverso sfrenati baccanali[8],
ai quali egli partecipava non senza quella stimolante
cupidigia in cui la gioventù ricade così facilmente. Il viceré di Monna, al
lato destro di Rusar, è di ottimo umore. Egli ha appena chiamato a sé una bella
danzatrice e, tenendo la fanciulla in braccio, dice a
Rusar: “O nustror, i fiori del tuo paese sono amabili, tuttavia te ne posso
mostrare di non meno belli appena ti piacerà di visitare il mio paese. Promettimi di farlo, per contemplare le meraviglie del mio giardino
d’amore”.
9.
Rusar risponde
tranquillo: “Noi sappiamo, monnor[9],
quale raffinato intenditore tu sia in questioni d’amore, ma ho ancora poco
desiderio per questi. Il dovere del sovrano è di rendere felice il suo popolo!”
10.
Esplodendo in
una sonora risata, il viceré stringe a sé la fanciulla
ed esclama con voce balbettante: “Non rendo io felice il mio popolo? Vedi così comincio con i figli del popolo”.
11.
Il viceré di Sutona, chiamato il sutor, ride altrettanto forte: “Chi non saprebbe che ti
sforzi per diventare il padre dei figli del tuo paese! Anche il nustror si eserciterà
ancora in questi stupendi doveri”.
12.
In
quest’istante risuona una musica fragorosa. La fanciulla
si svincola dalle braccia del viceré e corre dalle altre danzatrici, le quali
si sono ordinate per un girotondo e ora danno inizio ad una danza che provoca
il massimo immaginabile in sfrenatezza ed eccitazione dei sensi. Un generale
delirio afferra gli ospiti. Essi battono le mani seguendo il ritmo, esclamano
approvazione e si mischiano alle danzatrici. Presto, tutto gira vorticosamente,
tra urla ed esclamazioni di piacere.
13.
Disgustata da
quest’immagine, mi distolgo. Ho dato un profondo sguardo alla scelleratezza
degli abitanti di questo pianeta. È sufficiente…
14.
Adesso
l’immagine si cambia. Nebbie passano davanti e, poco a poco, si formano altre
figure. Adesso è più chiaro.
15.
Riconosco
Karmuno e Rusar, fratello di Arvodo, in una piccola stanza del castello di
Nustra. Karmuno ha seguito in segreto il nuovo viceré, e pieno di zelo parla
con insistenza a Rusar. Buio e pallido il giovane fissa lo sguardo a terra,
mentre il sommo sacerdote cerca di persuaderlo. Adesso sento anche le parole, e
le comprendo:
16.
“Via con tutti
i dubbi, io sono per il successo. Quale amore fraterno abbia per voi Arvodo, lo
riconoscete dal suo modo di fare. Egli vi sottrae l’amore di Artaya. Oppure
credete che mi sia rimasto estraneo ciò che vi agita? Il potere di Arvodo, che
egli esercita da un po’ di tempo sul re, lo conduce alla meta riconosciuta.
Egli vuole diventare re di Mallona! Adesso vi ha fatto viceré di Nustra, perché
la vicinanza del fratello gli è d’ostacolo. Egli sposerà
Artaya, e la sua mano lo renderà erede al trono”.
17.
Passionale,
Rusar s’accende d’ira: “Questo non lo deve fare!”
18.
Con fredda
espressione il sacerdote dice: “Volete voi impedirlo, quando Artaya stessa
desidera questo legame, e altrettanto Areval?”.
19.
Mandando un
gemito, Rusar sospira: “Lei mi ha fatto credere che il suo cuore si fosse
rivolto a me, e ora…”.
20.
“Il fratello le
piace di più. Niente di nuovo, signore, con questa donna.
Artaya conosce solo se stessa. Se sapesse che il cuore di Arvodo è infiammato
per lei, sarebbe presto stanca di lui. Ma così lo deve
conquistare; lei non ha pace finché non vince sull’uomo. Lui sarebbe il primo a
non piegarsi davanti al suo sorriso, e questo la sua vanità non lo tollera. Voi, signore, diventereste il suo schiavo, e gli schiavi sono messi
da parte appena non si ha più bisogno di loro”.
21.
Rusar digrigna i denti dall’irritazione: “Io non sarò mai uno schiavo di
questa donna. Sia ucciso l’amore
per lei, e viva per lei solo odio!”
22.
Karmuno sorride
di nascosto e i suoi occhi brillano trionfanti. Sottovoce sussurra a Rusar: “Io
conosco un mezzo per potervi vendicare di questo tradimento!”
23.
“E come?”.
24.
“Lo scoprirete
quando incontrerete Arvodo!”
25.
“Egli adesso è
più potente di noi tutti e, è mio fratello!”
26.
“È il vostro
signore che non vi risparmierà, nel caso gli sembrasse necessario!”
27.
“Quale mezzo
conoscete voi?”.
28.
Rusar guarda il
sacerdote con aria interrogativa, questi lo fissa gelido negli occhi e risponde
a bassa voce:
29.
“Muhareb vive”.
30.
Come morsicato
da un serpente, Rusar sobbalza. Pieno di terrore egli fissa
il sacerdote e balbetta: “Muhareb vive? Impossibile!”
31.
“Perché
impossibile?”.
32.
“Perché mio
fratello poco fa è tornato da un viaggio durante il quale ha avuto prove della
morte di Muhareb. Egli ha visto e ha parlato con l’uomo nelle cui braccia Muhareb è morto!”
33.
“Così vi ha
detto Arvodo e voi gli avete creduto. Non avete sospettato che il fratello ha
mentito per amor dei suoi scopi segreti, scopi che io conosco!
Muhareb è vivo, e io conosco la sua dimora!”
34.
“Voi conoscete
la sua dimora? Dove sta?”.
35.
“Signore, i
segreti non si rivelano subito. Vedete, Arvodo vi ha
ingannato. Areval non teme il Muhareb morto, ma tanto più quello vivo. Da
Arvodo egli ha saputo della sua esistenza e Arvodo sa
sfruttare bene la sua paura. Adesso sapete come vostro fratello ha il potere
sul re. – Togliete al re la sua paura di Muhareb e poi si
troveranno anche i mezzi per far cadere Arvodo”.
36.
“Karmuno, io vi
conosco, voi già possedete i mezzi e sperate di impiegarli. Voi non siete mai stato un amico di Arvodo. Adesso non lo
sono più nemmeno io, perciò parlate”.
37.
“È necessario
che Muhareb cada, o che sia riconosciuto come legittimo re. Per cosa vi
decidereste voi?”.
38.
Rusar domanda
cauto: “Si deve stabilire questo già adesso? Forse non è
consigliabile né l’una né l’altra cosa. Agite in modo che le
vie rimangano aperte”.
39.
Rallegrato, Karmuno si avvicina a Rusar: “Vedo che mi comprendete. Se siamo alleati, guideremo noi i destini di
Mallona! Afferrate ora con mano ferma le redini del governo. Il clero del paese
sarà informato da me per sostenervi. Ciò che succede presso Areval non ci
rimarrà segreto. Se io voglio, i muri hanno occhi e orecchi. Né
Areval né Arvodo sfuggono a questa rete”.
40.
“Ma, nel frattempo, cosa succederà con Muhareb?”
41.
Astuto, Karmuno sorride: “Un figlio di re che si seppellisce nella
solitudine, diventa inabile per il trono. Abbiamo bisogno del suo nome, non della sua persona. Lasciate dapprima
sorgere a Nustra la voce che Muhareb vive ed è stato
visto. Del viceré di Monna siamo sicuri, egli seguirà i nostri piani. Anche là
il nome di Muhareb minerà l’autorità di Areval, ancor di più poi in Mallona
stessa. Solo gli avvenimenti ci dimostreranno quanto grande è il potere che
conferisce il nome di Muhareb, allora decideremo. I suoi
fedeli saranno i nostri”.
42.
“Voi conoscete
anche quest’alleanza?”. Domanda Rusar con stupore non celato.
43.
“Al sommo
sacerdote di tutti i templi, nulla può essere estraneo! Non a tutti spetta il
frutto di ciò che lui ha seminato. I più astuti, quelli che sanno aspettare,
possono fare il raccolto. Arvodo non ci ha pensato, ma lo
verrà a sapere”.
44.
Rusar ha
ascoltato Karmuno con stupore. Nei suoi pensieri si forma chiaramente
l’immagine di questo sacerdote che sembra onnisciente, il quale dominava
illimitatamente il re, finché Arvodo gli contese palesemente questo potere.
Costui aveva preso provvedimenti anche per questo caso e possedeva certamente
una rete di spie, confidenti e complici. Egli intuisce il pericolo di
un’alleanza con quest’uomo, ma riconosce anche l’impossibilità di sottrarsi a
lui. In una specie di resistenza dice: “E se ora rivelo ad
Arvodo ciò che mi avete confidato? Se rivelo a lui di
cosa siete a conoscenza?”.
45.
Sorridendo
freddamente e guardandolo in maniera eloquente, Karmuno
taglia corto: “Provateci!”
46.
Rusar sa,
Karmuno per lo spavento non indietreggerebbe davanti a nessun ostacolo. Egli si
alza e, costringendosi ad un sorriso, dice: “Con un
tale tentativo non voglio perdere l’amicizia di Karmuno. Un sapere comune
comporta un agire comune. A ciò sono pronto!”
[indice]
1.
Sono di nuovo a Mallona e
sto davanti al tempio principale dell’impero. È una costruzione oltremodo
grandiosa. Colonne che si ergono in alto circondano l’edificio principale, e
davanti a ciascuna colonna splende una grande fiaccola manga. Il tempio è come
un gigantesco cubo, non mostra nessuna finestra, ma solo una grande porta
d’accesso decorata con figure in rilievo di significato simbolico. Sopra
la porta vedo la statua colossale di una meravigliosa
donna: la rappresentazione della bellezza, per la cui adorazione Maban un
giorno costruì questo tempio.
2.
L’intero
edificio colpisce grazie al suo aspetto imponente. Esternamente è senza sfarzo,
tuttavia fanno impressione i rapporti di grandezza, il colonnato e il flusso di
luce che di notte scorre giù dalle colonne illuminando a giorno l’edificio,
così come i più vicini dintorni. Noto che il tempio porta un secondo rialzo a
cubo molto più piccolo che serve da altare. Qui, in particolari giorni festivi,
sono accesi imponenti fuochi dell’offerta e, dalla specie di fiamma accesa, il
sommo sacerdote Karmuno annuncia poi la soddisfazione o l’insoddisfazione della
Divinità.
3.
Entro
attraverso la grande porta nell’interno del tempio. Solenne silenzio e oscurità
mi circondano. Sullo sfondo vedo luci multicolori che illuminano debolmente il
santuario del tempio. Là sono erette statue di donne di perfetta bellezza che
s’inclinano tutte verso un punto centrale, punto che è
tracciato da un podio in pietra con sei gradini.
4.
Cosa significa questo
gruppo di statue? – Mi è data la risposta:
5.
“Tu vedi qui rappresentato il numero delle buone caratteristiche nell’uomo. Ogni singola figura personifica una di queste: la
bontà, il perdono, l’indulgenza, l’amore, la misericordia, la fiducia, il
valore, ecc.
6.
Tuttavia esse
s’inclinano tutte verso il principio vivificante della forza vitale d’azione,
dalla quale soltanto dipende la loro esistenza. Su questo podio, nei giorni
dell’offerta, appare la figura mobile di un uomo gigantesco che, avvolto dal
vapore nebuloso di fumi aromatici, si mostra per breve tempo alla moltitudine
come la suprema Divinità Schodufaleb. Le statue circostanti sono poi sostituite
da belle fanciulle viventi che, senza toccarsi,
rimangono per lungo tempo nelle posizioni assegnate. Quando
compare il gigante, anche loro diventano mobili, si accostano a lui e l’intero
gruppo sprofonda poi sul pavimento”.
7.
Karmuno sa costruire e sfruttare al meglio il suo inganno da prete. Questo tempio
è fin troppo spesso testimone di orge della specie più bassa, orge che si compiono nei bui vestiboli in onore della Divinità.
8.
La forza dello
spirito mi attrae al podio. Vi metto il piede e – m’immergo. Sono adesso in un
passaggio debolmente illuminato e giungo ad un alto
portale. Si apre. Giungo in uno spazio più grande, nel quale stanno degli
uomini armati. Essi sono dipendenti di Karmuno, guardiani del tempio e
servitori, i quali sono sempre pronti ad eseguire
anche i suoi ordini cruenti. Poi giungo ad una seconda
grande porta, e anche questa si apre. Entro in un locale stupendamente adornato
nel quale alcuni sacerdoti aspettano e passano il tempo giocando. Da come mi
pare, essi fanno la guardia davanti ad una piccola porta rivestita di ferro: i
loro sguardi, infatti, si rivolgono spesso a questa, come se aspettassero che
da lì debba entrare qualcuno.
9.
Anche questa
porta per me non è un ostacolo, essa si apre e mi trovo davanti ad una seconda.
Devo aprirne sei di tali solide porte, prima di giungere in un locale più ampio
e chiaramente illuminato.
10.
Su un posto
elevato troneggia Karmuno. Intorno a lui, in cerchio, siedono undici sacerdoti,
uomini di mezza età, dagli occhi dei quali traspaiono fermezza e scaltrezza.
Ogni tre di loro formano il sommo ceto sacerdotale del paese da loro stessi
rappresentato. Sono penetrata nel più segreto consiglio del tempio che si
riunisce in questo luogo protetto per ricevere gli ordini di Karmuno. Questi
adesso parla e dice:
11.
“Sommi
sacerdoti dell’impero! Io vi saluto nella più segreta camera del consiglio del
nostro santo tempio. Siamo qui riuniti come custodi
del popolo, come mediatori della Divinità e, come amici e confidenti. Come tali,
vogliamo consigliarci su ciò che esige il nostro interesse nel prossimo futuro.
Ciascuno faccia rapporto veritiero sulle condizioni
del proprio paese sotto la nostra influenza. Mansor, sommo
sacerdote di Nustra, comincia tu col tuo rapporto”.
12.
Un grosso uomo
dall’aspetto imponente, dal naso acutamente curvo e occhi intelligenti che però
brillano perfidamente, si alza solenne dalla sua sedia e dice:
13.
“Amati fratelli! Non è
cambiato molto a Nustra da quando eravamo qui riuniti l’ultima volta, tuttavia
devo riferire buoni progressi sulla via designata. Il popolo di Nustra è facile
da guidare, appena gli si lascia la sua comodità. Esso è attaccato alle
abitudini, e per questo, molti ritengono le vecchie, sempre meglio che le nuove.
Perciò sono ancora altrettanto infatuati, come lo erano una volta, per Maban, e
lo ritengono un dio che a suo tempo è disceso per il bene del popolo. Voi lo
sapete, fratelli, quanto ci è stato difficile mettere le nostre idee al posto
di quelle predominanti di Maban, per guidare i sentimenti del popolo, come lo
esige il nostro interesse. Ora quest’opera, grazie alla pigrizia degli spiriti,
è riuscita. Adesso a Nustra si pensa come vogliamo noi.
14.
Tu, supremo
della nostra lega, saggio Karmuno, volevi che fosse creata l’atmosfera per Rusar,
il nuovo viceré: ciò è accaduto! Dai templi dell’intera Nustra i nostri fedeli
servitori hanno annunciato la volontà della Divinità: che Rusar sia
soddisfatto! Grazie ai nostri preparativi, per lui bruciano sugli altari le
fiamme del sacrificio alte e splendenti. Rusar, se si mostrerà generoso e
seguirà le indicazioni di questo sommo Consiglio, potrà rimanere il più felice
governante di un popolo felice. Che
il nostro dominio a Nustra sia scosso, non c’è da temere”.
15.
Karmuno domanda
meditabondo: “Gli abitanti di Nustra parlano ancora molto del figlio di Maban,
Muhareb?”.
16.
“Un intero
ciclo di leggende si è tessuto intorno alla persona del principe. La sua
scomparsa è interpretata in tutti i sensi. Una volta è stato assassinato,
un’altra volta sarebbe annegato, altre volte lo
avrebbe rapito il demone Usglom. Poi si sostiene che, a causa della bontà del
suo essere, sia stato rapito non dal demone, bensì da Anarba, la dea della
bellezza, e che viva nel suo giardino incantato come prigioniero, in giovanile
freschezza. Il suo nome basta per riempire gli abitanti di Nustra
di profondo rispetto!”
17.
“Va bene, più
tardi parleremo ancora di lui. Tutti i posti dello Stato a Nustra sono ancora
occupati dagli uomini a noi fedeli?".
18.
“Lo sono”.
19.
“Ti ringrazio. Ora riferisci tu, sommo sacerdote di Monna, come vanno le cose
presso di voi nell’impero?”.
20.
Un uomo un po’
corpulento, sul cui viso tondeggiante può essere letta la gioia del piacere, si
alza e parla:
21.
“Salute sia
sempre al nostro tempio e ai suoi fedeli servitori. Se c’è un posto su Mallona
dove va tutto bene per noi, è proprio nel regno di Monna. Voi sapete, fratelli
miei, che il monnor conduce una vita di abbondante godimento e teme ogni serio
lavoro. Volentieri egli lascia le redini del governo a quegli uomini che non
disturbano i suoi piaceri. E poiché sono riuscito a
dimostrargli che negli ambienti del nostro tempio sussiste indulgenza con le
sue debolezze e noi siamo in grado di portare per lui le sue preoccupazioni,
così il monnor si è dimostrato ben disposto di affidare al tempio il maggior
carico del lavoro”.
22.
“E tu porti
questo carico?”. Lo interrompe Karmuno, freddo e indagatore.
23.
“Per l’onore
del tempio, il suo servitore ha preso volentieri su di sé il grande carico,
poiché tale esso è. A piene mani il monnor distribuisce
denaro al popolo. Chi lo ossequia non ha bisogno di lavorare. I mezzi
affluiscono a lui in quantità insospettata: negli ultimi tempi, infatti, la
pietra-bianca si è trovata in quantità incredibile nelle regioni del fuoco del
nostro Paese che si estendono lungo il mare. Egli sarebbe
obbligato a consegnare tutta la pietra-bianca coniata alle casse dello Stato,
tuttavia ne trattiene per sé la maggior parte”.
24.
“Chi è il
coniatore capo in Monna?”, domanda Karmuno.
25.
“Volto, uno dei
servitori più fedeli del nostro tempio”.
26.
“Lo so. Su tua
disposizione suo fratello divenne sovrintendente dei tesori di pietre-bianche
estratte dalle montagne. Egli tuttavia consegna allo Stato
solo la metà, l’altra metà la ricevi tu e la nascondi nel tempio di Monna”.
27.
Queste parole
producono un grande stupore nella cerchia dei presenti. Il sommo sacerdote,
rimasto quasi senza parole, finalmente balbetta: “Su questo, supremo, io volevo
appunto riferire, giacché al tuo occhio nulla sfugge”.
28.
“Io mi chiamo
Karmuno, colui che vede lontano!”, osserva freddamente
il sommo sacerdote, e accentando in maniera tagliente, soggiunge: “Adesso
riferisci altro!”
29.
Il sommo
sacerdote di Monna è intimidito. Egli è incerto su quanto Karmuno è venuto a
sapere sulla sua attività, poiché non era sua intenzione chiarire questo.
Adesso sente che se fosse sorpreso a mentire, ciò gli
potrebbe essere fatale, per cui si decide a non tacere nulla. Con voce sicura
prosegue:
30.
“Nel tempio
sono ammucchiati grandi tesori di cui Areval non sa nulla, che però sono a
disposizione del Consiglio del tempio, non appena si prenderà una decisione in
merito. È anche rimasto segreto che il tempio sfrutti per sé
una miniera particolarmente ricca, i cui ritrovamenti affluiscono solo a noi
con l’aiuto di Volto e di suo fratello”.
31.
“Da dove prendi
gli operai?”, domanda Karmuno.
32.
Osservando con
sguardo scrutatore il sommo sacerdote, l’interrogato risponde: “Sommo, tu lo sai”.
33.
Karmuno fa
cenno col capo e dice: “Parla a causa degli altri”.
34.
All’inizio
titubante, ma poi sempre più sicuro, il relatore prosegue:
35.
“È ormai da circa un anno che in Monna una setta, alla cui attività noi
non avevamo attribuito troppa importanza, ha cominciato a diffondersi
fortemente, e per noi in maniera pericolosa. Rammento ai fratelli che si trattava di gente la
quale sosteneva che il nostro tempio della bellezza fosse diventato un focolaio
del vizio, e che l’alto significato ad esso proprio,
di essere sotto Maban un luogo di elevazione, sarebbe stato profanato, poiché
le sacerdotesse del tempio sarebbero diventate venali prostitute. Voi sapete
che noi abbiamo deciso di punire tali dicerie e abominevoli calunnie nel modo
più severo, con la morte.
36.
Poiché ora
accadde che in una piccola località sorse un uomo il
quale sosteneva che la Divinità, apparsa ogni anno visibilmente nel nostro
tempio – e voi, amici miei, certo non ne dubitate, poiché è stata vista spesso
coi vostri occhi” (un sorriso cinico e un moto dileggiante d’approvazione
coglie l’adunanza a queste parole), “non sarebbe veramente mai entrata nelle
mura del tempio stesso. Essa, infatti, non dimorerebbe nei cumuli di sassi
fatti da noi stessi, ma nel petto dell’uomo. – ‘Cercate
la Divinità in voi! Purificate voi stessi, il tempio primordiale della
Divinità! Siate voi stessi sacerdoti del santuario interiore!’. – Così suonava
la nuova dottrina sorgente. Essa trovò seguaci nella classe più povera con
estrema rapidità e presto procurò a noi, propriamente i veri sacerdoti, odio e
disubbidienza. Riunioni segrete erano tenute dai suoi nuovi seguaci. Il profeta
girava nel paese ed era protetto e nascosto dai seguaci. Il malcontento verso
di noi minacciava di sfociare in aperta ribellione, se la pericolosa setta non
fosse stata sradicata e distrutta.
37.
Sono contento
di poter riferire qui che questo è riuscito. Da alcune spie ho saputo presto dove si tenevano le riunioni. Ho lasciato che si
rallegrassero nell’illusoria sicurezza, e un giorno le fedeli truppe del monnor
hanno snidato questi traditori dai loro nascondigli
insieme al loro profeta. Nessuno è sfuggito al tempio, e ora essi scavano come
suoi schiavi nella regione del fuoco di Monna alla ricerca dell’inestimabile
pietra-bianca. Questi sono gli operai dei quali ha domandato l’illuminato sommo
sacerdote!”
38.
Questo discorso
trova generale approvazione. Il sommo sacerdote di Nustra domanda ancora: “Che
cosa è accaduto con l’infame calunniatore e rivoltoso?”.
39.
Indifferente,
il suo collega risponde: “Poco tempo fa è stato bruciato!”
40.
“E il pericolo
in Monna è totalmente eliminato?”.
41.
“Totalmente! Da
quando le caverne del demone Usglom ospitano i fanatici, ognuno è convinto
della loro infamia. In Monna regnano nuovamente la calma e la precedente fede”.
42.
L’adunanza è
particolarmente contenta di quanto ha sentito. L’occhio acuto di Karmuno passa
dall’uno all’altro. Si fa silenzio nell’ampia sala, il lieve borbottio di
approvazione tace quando egli dice:
43.
Fratelli, è
giusto che i tesori che si ammassano nel tempio del paese di Monna non
ammuffiscano là. Ogni sommo sacerdote ne ha parte, come anche i due sacerdoti
subordinati che stanno a lui più vicino. Discuteremo più tardi sul loro
migliore impiego. Siete soddisfatti così?”.
44.
Risuonano
gioiose esclamazioni di entusiasmo che manifestano il desiderio di far scendere
la salute della Divinità Schodufaleb sull’illuminato sommo sacerdote di tutti i
Paesi. Karmuno ha di nuovo forgiato le catene per legare a sé le anime dei
presenti. Egli conosce l’avidità e il suo potere.
45.
“Sommo
sacerdote di Sutona, adesso riferisci tu”, dice Karmuno sedendosi, mentre cessa
immediatamente l’umore gioioso.
46.
Dalla fila dei
sacerdoti si alza un uomo dal cui volto traspare un valore spirituale. Calmo,
impenetrabile, quasi come una maschera appaiono i suoi tratti. Quest’uomo si
domina perfettamente; la sua bocca potrebbe ridere, mentre il suo cuore sanguina.
Dai suoi occhi scuri, profondi come il mare, vedo un’invincibile forza di
volontà. Una lunga barba si avvolge a riccio intorno al nobile profilo marcato,
con la bocca sottile e saldamente chiusa. Quando si alza con tranquillo garbo,
mi colpisce il suo aspetto regale. In verità, questo è un uomo il cui aspetto
esteriore lo fa sembrare degno di un trono. Adesso parla lentamente con voce
melodiosa.
47.
“Non ho nulla
di nuovo da riferire a questo alto Collegio. Che cosa
dovrebbe accadere di nuovo agli abitanti di Sutona, a questo popolo montano che
sta un centinaio d’anni indietro rispetto a Mallona, Nustra e Monna? Il popolo
propende a ciò che ha ricevuto attraverso di noi; non vuole nient’altro ed è
soddisfatto!”
48.
Karmuno ha
guardato l’oratore con un po’ di diffidenza, e ora lo interrompe:
49.
“Sappiamo che
il sutor è un gigante nel corpo, ma dotato del cervello di un bambino.
L’esperienza insegna che anche i bambini diventano ribelli e si rivoltano
contro i loro genitori. Non lo hai mai visto in Sutona?”.
50.
“Mai, sommo, e
in Sutona non lo vedrò mai!”
51.
Quest’uomo sa
mettere nell’espressione della sua voce una tale pienezza di convinzione che
queste parole soffocano subito qualsiasi dubbio in tale possibilità. Karmuno
evidenzia solo in tono tagliente: “Tu vegli, non è vero, sul popolo e sul
sutor?”.
52.
Rivolgendo
l’occhio completamente al sommo sacerdote, l’interrogato dice con
impressionante calma e sicurezza:
53.
“Io veglio,
sommo, e veglierò!”
54.
Karmuno china
il capo. Anche gli altri sacerdoti col loro movimento fanno intendere che
considerano in maniera evidente Sutona come inferiore e non pericolosa. Il
sommo sacerdote di Sutona si siede.
55.
Karmuno adesso
si alza e bisbiglia al sacerdote che sta seduto alla sua destra, il suo fidato
scrivano, alcune parole. Costui prende da una borsa un gran numero di fogli
simili alla pergamena. Al sacerdote che siede a sinistra
dà ciò che pare un ordine, dopo di che costui si dirige verso l’uscita. Egli si
assicura che le diverse porte siano ben chiuse e che nessun ascoltatore
indesiderato possa sentire ciò che Karmuno si propone di comunicare al
Collegio. Torna indietro annunciando che vi è massima sicurezza. Ansiosi, i
sacerdoti guardano a Karmuno, la cui espressione promette loro importanti
comunicazioni. Egli dice:
56.
“Nobili fratelli e confidenti, illuminati sommi sacerdoti dei nostri paesi! Voi avete sentito quale apparente calma e quale
pace regnino su tutti i continenti di Mallona. Sapete che disordini e
ribellioni contro i nostri insegnamenti – che la Divinità stessa ci ha
rivelato, affinché i popoli potessero vivere in pace – sono stati da noi puniti
e soppressi. È meglio che singoli pervertitori
periscano totalmente, piuttosto che avvelenino il pensiero dei popoli.
57.
In seguito a
ciò vi ricordo che la mia casata, sotto il governo di Maban stesso, dovette
sopportare delle persecuzioni, perché al re, altrimenti grande, non sembrava
giusto che nel Consiglio dei sacerdoti si sostenesse la convinzione che al
mediatore tra la Divinità e gli uomini spettasse fede incondizionata e, alle
sue parole, illimitata forza di legge. Allorché una
grande schiera di sacerdoti si associò a questo saggio insegnamento, Maban ci
bandì. Areval ci richiamò e, vedete, una felice pace regna
nei paesi da quando noi stiamo accanto al re, il quale ha trovato in noi i suoi
più fedeli compagni, e in me il suo più leale consigliere”.
58.
Sono dati segni
di approvazione. Karmuno prosegue:
59.
“Deve rimanere così anche in futuro? Vedo nelle vostre facce che voi tutti lo desiderate, e anch’io sono di
quest’opinione. Vedete però, un pericolo sta in agguato dietro di noi. La
frustrazione del nostro successo non è più lontana, se non rimaniamo uniti come
lo siamo stati finora per evitare la rovina. Perciò ascoltate:
60.
Voi tutti
sapete che re Areval, durante la presentazione di Rusar, negò a me, al sommo
sacerdote, la supremazia mediante la formula a voi ben nota. Io ho cercato la
causa più profonda del suo agire e ne ho trovata la vera ragione. Due parole
soltanto e riconoscerete la grandezza di quella sciagura che ci minaccia:
Muhareb vive!”
61.
Un’esplosione
non poteva provocare un effetto più paralizzante di
questa notizia. Solo il gran sacerdote di Sutona non mostra nessun segno di
agitazione. Esclamazioni di stupore, di spavento, domande eccitate provocano
una confusione di voci, in cui quella forte del sommo sacerdote diviene
impercettibile. Quando l’eccitazione si placa, Karmuno prosegue:
62.
“Il figlio del
re, il cui nome ancora oggi gli abitanti di Nustra sentono
con un brivido di riverenza, appartenendo a lui con anima e corpo nel caso egli
sviluppasse la forza per legarli a sé – vive! Egli potrebbe strappare il potere
del re ad Areval: esso, infatti, appartiene a lui, all’erede al trono un giorno
scomparso. Tuttavia, grazie alla Divinità, Schodufaleb lo ha
disposto così: Muhareb non ci sembra pericoloso, invece Areval sì! Ascoltate
ciò che sono venuto a sapere:
63.
Come eremita
sconosciuto e misero, Muhareb viveva sulla sponda del mare. Egli ha abdicato.
Io ho esplorato il suo nascondiglio. L’ho fatto cercare, e i nostri fedeli
servitori del tempio lo dovevano catturare di nascosto. Tuttavia la sua dimora
è vuota, come ho visto io stesso. Da lì è scomparso, e dove sia andato, mi è
sconosciuto. Egli deve essere trovato, e io lo
troverò! Lasciate fare a me. Non temo che egli aspiri di nuovo al potere, lo
avrebbe dovuto già fare prima. Tuttavia la cosa peggiore è che Areval sappia
che suo fratello vive. La consapevolezza di essere innocente della morte di Muhareb, ha restituito forza ad Areval e, con ciò, la sua
capacità di resistenza verso di noi. Perciò quell’irriverenza verso di me,
perciò ci è resa più difficile l’ultima vittoria, alla
quale eravamo già così vicini.
64.
Noi però al
posto della regalità vogliamo stabilire il dominio spirituale assoluto del
tempio. Se governa lo spirito, di cui noi abbiamo cura, e che riconosciamo come
il migliore, allora ai suoi rappresentanti spetta anche il potere esteriore. Il
mondo sia sottomesso al nostro spirito, non viceversa. Il nome di Muhareb ci
serve per assicurarci questo potere. Guidato con intelligenza, il malcontento
contro Areval crescerà, se il popolo viene a sapere
che Muhareb vive! Ben inteso, egli viva solo fino a quando ci servirà, e
sparisca non appena dimostri sete di potere!
65.
Ecco, prendete
questi fogli: essi contengono le istruzioni che ognuno dovrà adempiere nel suo
Paese. Se saranno eseguite così come indicato, la vittoria non mancherà.
Ciascuno legga con zelo e in pace questa sera, e porti a termine quello che gli
dice il foglio. Ci riuniremo qui di nuovo domani per la seduta e decideremo fermamente
ciò che serve al tempio. Ne siete soddisfatti?”.
66.
Da tutte le
parti risuona una generale approvazione. Un vivace, appassionato borbottio
attraversa la sala per lungo tempo. Karmuno lascia che gli animi eccitati si
calmino, poi abbandona il suo posto e dice con volto smaliziato:
67.
“Siete affaticati, fratelli, e bisognosi di riposo. Perciò chiudo la seduta!”
68.
Ancora
approvazione e sorrisi soddisfatti dei presenti. Karmuno preme ad una decorazione della parete. Una parte di questa si
sposta indietro mostrando un’uscita segreta. Lui e i sacerdoti s’introducono
nel passaggio e, attraverso successive porte, giungono in una vasta stanza,
preziosamente arredata. Tavole riccamente imbandite con cibi,
invitano al godimento, e morbide poltrone invitano al ristoro.
69.
Ora si apre una
stanza attigua e una schiera di bellissime fanciulle
si riversano ridendo e scherzando verso i sacerdoti. Sono le “dee” del santo tempio della bellezza. La ben custodita, sicura stanza
è il giardino d’amore dei suoi sacerdoti che qui fanno sacrifici…
[indice]
70.
Alla stazione di Nustra,
in un punto centrale di strade che sboccano nella città per i noti veicoli, c’è
molto movimento. I viceré di Monna e Sutona si congedano da Rusar per ritornare
alle loro residenze. Visite di re sulla nostra Terra mostrano non meno
formalità e sfarzo che qui. Vedo file di soldati e un seguito formidabile dei
sovrani, funzionari e curiosi che si accalcano intorno alla stazione di Nustra.
Qui non esistono rotaie, ma molte sbarre si stendono
attraverso la rimessa, in mezzo alle quali i veicoli possono entrare e uscire
senza impedimenti. L’intero traffico è regolato proprio come in una stazione
sulla Terra. In un luogo particolarmente protetto c’è
una lunga fila di vetture coperte. Sono il seguito cortigiano dei viceré.
71.
Il monnor è
appena salito sulla sua spaziosa vettura, dopo essersi congedato da Rusar e dal
sutor. Una musica si fa sentire, e tra esclamazioni di ‘evviva’, fuori dalla
rimessa esce prima un corteo di tre vetture, poi il monnor nella sua sfarzosa,
e infine una fila di sei veicoli nei quali si trova il seguito. La colonna
imbocca la direzione est e presto giungerà al mare dove, grazie ad una lunga serie di ponti che collegano le isole, non
incontrerà nessun ostacolo per raggiungere il continente Monna.
72.
Rusar parla
animatamente col sutor. A una certa distanza scorgo la maestosa figura del
sommo sacerdote di Sutona. Quest’ultimo già a tarda sera è giunto da Mallona,
proveniente dalle riunioni del Consiglio dei sacerdoti, per accompagnare a
Sutona il suo sovrano. Egli è circondato dai sacerdoti di Nustra di grado
elevato, e parla tranquillamente col sommo sacerdote del Paese.
73.
Ora vi è di
nuovo movimento: si avvicina il momento della partenza. Il sutor si congeda da
Rusar e sale sulla propria vettura. Questa è una specie di vettura salone che
permette un po’ di movimento, provvista di sedili e tavoli pieghevoli e, da
tutte le parti, provvista di veduta panoramica. I lati e la parete anteriore sono
protetti da un materiale simile al vetro che è flessibile come la mica. Il
materiale è un prodotto sconosciuto, trasparente, infrangibile, in grado di
sostituire il nostro vetro. Il conducente della vettura si trova su un alto
sedile posteriore, protetto dalla corrente d’aria da una visiera di materiale
simile al vetro. Indossa un casco, cosicché non può guardare all’interno della
vettura, tuttavia può guidare la stessa comodamente attraverso leve e ogni
genere di congegni.
74.
Il sutor ora si
rivolge al sommo sacerdote del suo Regno. Un movimento della mano gli fa capire
di salire sulla vettura del re. Il sutor si rivolge ancora una volta a Rusar,
lo abbraccia e torna indietro. Adesso si sente una
musica, saluti con le mani da tutte le parti, esclamazioni e grida. Lentamente
la fila di vetture esce dalla rimessa, volgendosi però verso sud, ugualmente
verso il mare.
75.
Secondo il
nostro calcolo del tempo, il corteo del sutor potrà essere stato per strada da
circa un’ora. Mi sorprende che la sua vettura viaggi molto separata dalle
altre. Il corteo che lo precede e che lo segue mantiene una notevole distanza
dalla vettura regale: in viaggi del genere, questa è una particolare
disposizione del sutor, il quale vuol restare il più possibile indisturbato dal
suo seguito. I due passeggeri sono seduti finora silenziosi uno di fronte
all’altro, lanciando sguardi indifferenti al paesaggio abitato. Adesso gli
abitati sono diventati sempre più scarsi e i viaggiatori possono essere sicuri
che sguardi curiosi non li infastidiscano oltre. Delle vetture che vanno in
senso opposto, il sutor è sicuro: in simili viaggi regali, infatti, le vie da
stazione a stazione sono chiuse per il traffico comune, finché il sovrano non è
passato.
76.
Il sutor si rivolge adesso al suo sommo sacerdote e dice amichevolmente:
“Ora basta col dovere. Siamo
sulla via di casa verso Sutona e possiamo di nuovo ricordarci della nostra
dignità di uomini. Deponi la tua maschera
dell’inavvicinabilità, mio Curopol. Sii di nuovo amico, non
sacerdote!”
77.
Come se queste
parole espresse con affetto avessero sciolto un incantesimo, dal volto del
sommo sacerdote scompare quell’aspetto mascherato. Gli occhi, che finora
sembravano freddi e insondabili, assumono un’espressione di mitezza, la bocca,
chiusa fermamente, sorride. L’intera figura si distende e con
la sua profonda, sonora voce, questo splendido uomo dice: “Non appena lascio
Sutona, nel mio interiore m’irrigidisco come ghiaccio. Solo la tua parola fa risplendere nuovamente il sole della patria”.
78.
“Va
diversamente a me, Curopol? È un bene che noi di Sutona siamo rimasti integri
dal servilismo degli altri. Schodufaleb ci protegga da loro!”
79.
Malinconico e
serio, l’interpellato guarda il sutor e, con tono angosciato, dalle sue labbra
risuona:
80.
“Schodufaleb è
diventato sordo alle nostre preghiere. Nemmeno Sutona salva più ciò che è
abbandonato alla rovina. Da noi stessi andiamo alla malora”.
81.
“Lo so”,
risponde il sutor, “e non meritiamo nulla di meglio! La mia permanenza là, in
quei paesi, mi ha di nuovo riempito di ribrezzo. Un alito
pestifero, un odore di fradiciume ed esalazione di marcio sale da lì, dove ogni
sentimento tendente al superiore, è morto. – Essi ridono di noi, e non
comprendono che la venerazione della Divinità ci dà ancora un valore interiore
che loro hanno perduto da molto tempo. E che l’energico sutone, su Mallona, sia
ancora il solo che sente scorrere nelle sue vene un
sangue puro, non rovinato da voglie e passioni!”
82.
“Sì, non rovinato, ma anche incapace di esclamare contro i nemici della
sua purezza un tuonante ‘stop’.
Una volta il sutone era temuto per il suo operare pieno di forza, così
dichiarano i nostri canti e le antiche tradizioni. Non tollerava il male,
onorava la Divinità e la sua azione. Egli è sprofondato giù da quell’altezza.
Il suo corpo è ancora pieno di vigore, ma debole è la
sua volontà. Oseresti tu, o sutor, andare contro Areval con i tuoi sudditi, per
proteggere i beni spirituali di Mallona? Rispondi negativamente, tu sai bene
quanto me che la fine del nostro popolo sarebbe
sicuro; oggi, infatti, il sutone non è più temibile appena scende dalle sue
montagne.
83.
È vero che le
gigantesche montagne della patria ci proteggono dalle invasioni rapaci dei
vicini, ma una spedizione bellica dei nostri sarebbe di poco successo. Il
sutone si dissecca facilmente nelle miti pianure e,
presto, si lascia catturare dai lusinghieri suoni del piacere. Nel Paese il
sutone è ancora oggi potente, il potere dei monti mantiene pura la sua anima.
Se scende dalle sue montagne, presto diventa snervato e debole. L’isolamento è perciò
ancora l’unico mezzo per conservare il nostro popolo. Restiamo
così, finché piace a Schodufaleb e – finché Egli non lascia ancora sopravvenire
su di noi la rovina”.
84.
Il sommo
sacerdote ha accentato seriamente le ultime parole e con gesto di approvazione
il sutor domanda:
85.
“Che cosa ha
deciso di nuovo la banda dei sacerdoti, per accelerare la rovina che tu hai
previsto già da molto tempo?”.
86.
“Signore, Karmuno è il demone Usglom incarnato in agguato nelle
profondità, altrimenti il suo senno non avrebbe pensato qualcosa di così
mostruoso. Già da qualche tempo
il tempio domina in tutti i paesi e si arroga ogni potere nel mondo. Karmuno ha
diffuso lentamente la dottrina secondo cui la Divinità si manifesta a Mallona
solo attraverso i sommi sacerdoti; che si rivela solo a loro, e che ogni
mortale deve ubbidire solo alla volontà che parla attraverso il sacerdote. Ora
vuole consolidare ulteriormente il dominio su tutti gli animi. Egli impone che
ogni mortale si scelga un sacerdote al quale affidare tutte le sue preghiere,
tutti i suoi desideri, le sue azioni e i suoi pensieri, affinché costui le
sottoponga alla Divinità per la decisione.
87.
Che piano
gigantesco sia questo, tu fai presto a capirlo. Su Mallona non potrà accadere
più nulla che Karmuno non lo venga a sapere. Imporre la costrizione delle
coscienze, l’istupidimento e la schiavitù dello spirito, sarà presto il compito
di colui che è chiamato ad accendere nei cuori la luce
della Divinità. Karmuno ha escogitato perfette regole affinché il sacerdote
possa raggiungere più facilmente il suo scopo. Con gioia saranno eseguite le
disposizioni, esse, infatti, assicureranno il dominio di ogni singolo nel
proprio distretto, e nello stesso tempo alta ricompensa con la più severa
attuazione!”
88.
“E tu, Curopol,
come eseguirai queste regole?”.
89.
“Io saprò
togliere loro il veleno, renderò innocue le punte e provvederò che gli abitanti
di Sutona rimangano ciò che sono stati finora, dovessero nel frattempo
fisicamente perire. Io sono e rimango ‘sutone’, non schiavo di Karmuno!”
90.
“Schodufaleb,
protegga la tua impresa! Io ti sosterrò con gioia come ho fatto finora. Che
cos’altro hai appreso nel Consiglio dei sacerdoti?”.
91.
“Karmuno ha
annunciato che Muhareb vive: una notizia a noi già nota da molto tempo, che lui
tuttavia vuole sfruttare per i suoi scopi. Egli pensa di istigare gli animi
attraverso questo fatto contro Areval, e di guidarli a suo piacimento”.
92.
“Muhareb non
ambisce al trono di re!”
93.
“Karmuno lo sa,
e per questo osa tale gioco”, risponde Curopol.
94.
Riflessivo, il
sutor domanda “Hai parlato e visto Upal, colui che ha
trovato la pietra aurea?”.
95.
“No, signore.
Upal è scomparso. Nessuno, neanche i suoi genitori sanno dove
egli si trovi. Perciò temo che i vecchi siano in pericolo, e sono preoccupato
per il destino di questo coraggioso. Egli è l’unico che possiede il terribile
segreto per la produzione del materiale esplosivo Nimah, che un giorno il suo
antenato scoprì e lo affidò a Maban. Da allora questo segreto di Stato è
custodito, e solo in caso di bisogno potrà essere prodotto da fidatissimi.
Voglia Schodufaleb evitare che un giorno dobbiamo
chiamare da noi Upal, per difendere il nostro paese”.
96.
Dopo una lunga
pausa di mutismo, il sutor si alza e domanda:
97.
“Che cosa pensa
il clero sul nobile Numo che insegnava in Monna, e osava dichiarare la verità
sul tempio?”.
98.
Curopol risponde indugiando: “Signore, è avvenuto come io temevo. Tutto ciò che è nobile è
stato annientato, la verità soffocata e scacciata. Solo
menzogna, inganno e schiavitù hanno su Mallona ancora prospettive di
successo. La cattiveria trionfa dappertutto e perciò nemmeno il castigo è più
lontano. Come, e attraverso che cosa essa arriverà, lo sa
solo la Divinità; tuttavia colpirà anche noi; noi, infatti, siamo tutti
partecipi alla grande colpa”.
99.
“Tu mi eviti,
Curopol! Rispondi: che cosa è stato del nobile Numo?”.
100.
Sommessa e
commossa suona la risposta: “Lo hanno bruciato!”
101.
Come morso da un serpente velenoso, il sutor si accende d’ira: “Bruciato,
Numo, questo nobile, la cui bocca esprimeva solo verità, il cui cuore batteva
per tutto ciò che è buono, l’amico dei poveri e degli oppressi? – Ucciso? O misera umanità, vergognosi sacerdoti
che soffocano il meglio solo per servire se stessi! Questi seguono il vizio,
praticano ogni cattiveria, deridono la Divinità! Maledizione a questi
carnefici! Curopol, io non afferro ciò che dici: è proprio
vero?”.
102.
“È vero!”.
Suona sommessa la voce.
103.
Mandando un
gemito, il sutor si getta sui cuscini della vettura e lacrime scorrono sulle
sue guance. Dura a lungo prima che si riprenda. Poi si rivolge a Curopol e dice
sottovoce:
104.
“Adesso sento
chiaramente la verità delle tue continue profezie sull’avvicinarsi della
punizione. Con Numo è morto l’ultimo tentativo della Divinità di allontanare la
rovina da Mallona. I popoli sono impantanati nei vizi, gli animi morti. Il bene
è soffocato; il male trionfa. Su Mallona regna peste, putrefazione e morte!
Nessun soffio di vento fresco scaccia il suo asfissiante respiro e noi, – noi
precipitiamo altrettanto nella rovina. Periremo a causa di noi stessi. Siamo troppo
deboli per succedere al cedente giorno. Dunque benvenuta notte! Coprici con i tuoi veli, annientaci,
uccidici!”
105.
Le ultime
parole del sutor diventano un sussurro. Curopol guarda con profondo dolore nel
cuore del suo amico e signore.
106.
La vettura nel
frattempo ha raggiunto la costa del mare. Audaci costruzioni di ponti si
lanciano da un’isola all’altra e portano ormai i viaggiatori verso la patria
Sutona. L’immobile intrico di rocce forma una corona attorno alla costa di
Nustra; sono comodi nascondigli per imbarcazioni che forse con la tempesta
temono le onde del mare. Non si vede però alcuna vela, nessuna nave, poiché le
alte arcate dei ponti collegano più facilmente e senza pericoli i continenti.
107.
In
quest’istante la vettura del sutor passa sopra un’arcata che, in gigantesco
slancio, dall’ultima roccia di Nustra, dal mare si stende sopra verso Sutona; allorché dietro un blocco smembrato spunta fuori
un’imbarcazione, nella quale siedono tre persone. Curopol la vede. Un movimento
istintivo verso il sutor fa sì che costui sollevi lo sguardo. Anche lui scorge
l’imbarcazione e si spaventa. Curopol indica l’imbarcazione
che scompare dietro le rocce e, respirando faticosamente, la sua bocca manda
fuori: “Muhareb, Upal! Con loro si avvicina la
vendetta!”
[indice]
1.
Nelle descrizioni della
veggente che in un certo qual modo riviveva nuovamente il passato, trasportando
gli avvenimenti contemplati nel presente, dopo l’ultima immagine subentrò un
arresto. Si vedeva chiaramente nella mimica della faccia che lei vedeva, sì,
degli avvenimenti, ma taceva ostinatamente su di loro. Infine comunicò a tratti
alcuni fatti, ma proibì di trascriverli finché lei stessa non lo avesse
richiesto.
2.
Dopo alcuni
giorni, in cui nel frattempo continuarono frequenti tentativi, lei riferì
quanto segue:
3.
Adesso scrivete
di nuovo ciò che ho visto. Sono terribili e incredibili gli avvenimenti di cui
sono stata testimone. Se volessi descrivere tutti i particolari, nessuno mi crederebbe e ci si burlerebbe di me. Perciò dico
solo a grandi linee quello che allora accadde.
4.
Karmuno e la
sua banda di sacerdoti aveva saputo diffondere
eccellentemente la voce del ritorno di Muhareb. Egli era esaltato come figlio
di Maban, avendo ereditato le caratteristiche del padre, e avrebbe potuto
portare l’impero di nuovo al più alto periodo aureo. La speranza in tempi
migliori trovò un’illuminazione tanto più buia, quando fu noto che Areval
voleva sottrarsi ad ogni influenza del tempio, al
quale proprio Maban aveva conferito una così alta importanza.
5.
Le voci
sorgenti che il legittimo sovrano Muhareb sarebbe ricomparso, all’inizio
trovarono incredulità. Specialmente Rusar non voleva pensare a questa
possibilità, nonostante Karmuno gli avesse dato personalmente comunicazione su
questo fatto. Egli tuttavia conosceva troppo bene il sommo sacerdote. La sua
intenzione apertamente espressa, di servirsi del nome di
Mahareb per i suoi scopi, faceva sospettare che lui avrebbe istruito una
persona che per Karmuno recitasse il ruolo del principe ritornato. Quando però
un giorno Upal comparve davanti a Rusar e gli spiegò non solo la verità su
Muhareb, ma anche le intenzioni di suo fratello Arvodo, allora l’ira soverchiò
l’ingannato e giurò al re, come al suo generale, una terribile vendetta.
6.
Egli fece
pressione su Upal per indicargli il nascondiglio nel quale Muhareb si teneva
ora nascosto. Upal lo fece, e all’improvviso Muhareb fu sorpreso da Rusar con
un gran seguito che gli rendeva omaggio come legittimo re. Quando Rusar lo ebbe
trovato nella piccola capanna al mare, osservando con stupore quell’uomo
venerabile, gli domandò indugiante: “Sei tu Muhareb, figlio di Maban?”. Con la
dignità dell’uomo cosciente del proprio valore, che si aspetta l’onore a lui
dovuto, questi rispose semplicemente: “Io lo sono!”, mentre i suoi occhi si
posavano penetranti su Rusar. E quando egli s’inchinò dinanzi a lui, per
rendere omaggio al suo legittimo re e signore, Muhareb non lo impedì, ma
accettò l’omaggio e in silenzio seguì il viceré. Appoggiò il braccio sulla
spalla del suo giovane accompagnatore e, con lui e con Rusar, salì volentieri
nella sfarzosa vettura che li portò nella capitale di Nustra.
7.
Io ho visto
Muhareb nello splendore regale, il prezioso diadema adornava la sua fronte,
l’anello splendeva a un dito della sua mano destra. Una travolgente maestà
usciva dalla sua persona e affascinava il popolo di Nustra, il quale gli
rendeva omaggio entusiasta. Tutti gli onori gli furono tributati; egli dimorava
nel palazzo di Rusar, ma rimaneva di poche parole e dai suoi occhi si poteva
vedere quanto poco il suo cuore fosse toccato da tutto quello splendore.
8.
Poi vidi
Muhareb circondato da una grande moltitudine di popolo. I grandi di Nustra e
gli inviati di Monna e Mallona erano adunati; Muhareb parlò a lungo e
insistentemente davanti a questi, come un profeta che è pieno del suo mandato
divino. Egli mise in guardia il popolo dalla sua avidità di piaceri e dalla sua
effeminatezza. Dimostrò loro la caducità dello
splendore terreno e la necessità di tendere agli imperituri beni spirituali.
Spiegò di non essere venuto a predicare la disobbedienza verso suo fratello,
bensì l’ubbidienza verso la Divinità e il Suo Ordine. Quest’Ordine tuttavia il
popolo l’aveva già abbandonato da lungo tempo e lui, come figlio di re che ha
deposto il potere terreno per conquistare quello spirituale, voleva mostrare le
vie tramite le quali ognuno potesse giungere a quest’ultima meta della vita.
9.
Il discorso fu
d’imponente effetto. Il popolo era commosso e mancò poco che adorasse Muhareb
come il visibile rappresentante della Divinità Schodufaleb. Muhareb tuttavia li
esortò a rientrare in se stessi e a riflettere su ciò che aveva detto,
respingendo con decisione ogni ulteriore onore.
10.
Vidi anche
Karmuno che, travestito e irriconoscibile, aveva ascoltato questo discorso. Nel
Consiglio dei sacerdoti di Nustra, egli spiegò che il tempio dovesse ora
utilizzare il movimento suscitato da Muhareb per legare il popolo al tempio
ancora più saldamente che finora. A questo scopo sarebbe stato intanto
necessario sostenere i discorsi di Muhareb. Egli doveva essere ascoltato,
affinché poi si potesse agire come richiedeva l’interesse del tempio. Il giorno
dopo, i sacerdoti predicarono il pentimento nel regno di Nustra e cercarono di
indirizzare la pia fiducia degli abitanti verso il tempio principale di
Mallona, dove avrebbe troneggiato visibilmente la Divinità.
11.
A Mallona io ho
visto re Areval e Arvodo. Entrambi erano irritati al massimo per gli omaggi di
Rusar. Areval ordinò di trattare gli abitanti di Nustra come ribelli, qualora
non gli avessero consegnato Muhareb. Gli abitanti di Nustra tuttavia neanche ci
pensarono a dar seguito all’intimazione. Rusar si richiamò, nei confronti di
suo fratello, al giuramento prestato al loro padre morente.
12.
Arvodo non comprendeva
perché Muhareb, quel giorno sulla sponda del mare, avesse rifiutato ciò che
adesso con evidenza faceva volentieri in Nustra: mirare al dominio di Mallona!
Se Muhareb diventava sovrano, allora cadeva Areval e con lui il generale. Egli
perciò istigò Areval contro suo fratello, e ben presto l’esercito di Areval si
armò per una spedizione bellica contro Nustra.
13.
Muhareb
rabbrividì quando udì della spedizione vendicativa. Egli certamente sapeva con
quali mezzi spaventosi Areval avrebbe potuto diffondere morte e devastazioni,
grazie al terribile esplosivo Nimah. Upal era pronto ad affidare a Muhareb il
segreto del suo antenato accuratamente custodito, la produzione del Nimah, per
debellare la violenza con la violenza. Muhareb però
non voleva nessun spargimento di sangue. Aveva altri
scopi che il potere. Egli diede a Upal gli ordini necessari e, un giorno,
Muhareb scomparve. Il velivolo di Upal lo portò via di nascosto con il suo
giovane accompagnatore.
14.
L’astuto
Karmuno si comportò del tutto indifferente. Approvò soltanto le disposizioni di
Areval, pensando tra sé che con la campagna militare
avrebbe tanto prima annientato il fratello a lui così scomodo e avrebbe avuto
Areval in suo potere. Egli conosceva troppo bene i nervi sovreccitati del re
ancor sempre interiormente malato, e sapeva di aver bisogno solo di una spinta favorevole, possibilmente in assenza di Arvodo, per
dominarlo di nuovo completamente. Questo momento arrivò.
15.
Le caverne di
Wirdu negli ultimi tempi non avevano più dato i proventi come di solito. Areval
aveva comunicato al generale e confidente Arvodo, le preoccupazioni dei
funzionari, i quali consideravano questa forte flessione pericolosa per le
casse dello Stato. Arvodo tranquillizzò il re e gli riferì delle scoperte di
Upal, scoperte che lui stesso aveva visto. Da quel
momento Areval si considerò come vincitore del demone Usglom, guardiano dei
tesori, il cui odio contro la sua stirpe non aveva più bisogno di temere.
Nonostante il terrore interiore, egli nutriva il desiderio di vedere gli
incommensurabili tesori, e Arvodo glielo promise.
16.
In verità
Arvodo credeva di trovare dal mare l’insenatura solitaria, dalla quale un
passaggio l’avrebbe condotto all’interno della Terra, anche senza ulteriore aiuto. Gli mancava tuttavia Upal con il suo velivolo
come guida sicura. Perciò lo fece cercare, ma non lo trovò. Convocò i genitori,
e quando questi, conformemente a verità, dichiararono di non saper nulla della
dimora di Upal, fece gettare gli anziani in prigione.
Adirato, promulgò che Upal, lo scopritore della pietra-aurea, ovunque lo si trovasse, fosse fatto prigioniero come disubbidiente.
17.
Quest’ordine
indignò i fedeli, cui apparteneva anche Upal, i quali finora avevano
riconosciuto in Arvodo il loro fraterno superiore. Oltretutto Upal era considerato
un favorito della Divinità, altrimenti non avrebbe mai trovato la pietra-aurea.
Contro Arvodo sorse perciò un’atmosfera minacciosa, da cui ancora una volta
Karmuno seppe trarne presto profitto. Egli fomentò il nascente odio, quando il
generale lasciò la capitale per marciare contro Nustra.
18.
Non lontano
dalla sede del re, alle rive del lago, si trovava la splendida residenza di
campagna di Areval, dove egli si rifugiava per godere piena tranquillità. Qui
si sentiva sicuro, nessun intruso, infatti, si poteva avvicinare a questa
tranquilla sede di riposo, pena la punizione del lavoro nelle caverne di Wirdu.
Areval faceva piacevoli passeggiate con sua figlia Artaya nel solitario parco
della residenza di campagna. Nessun servitore li accompagnava. Qui Areval si
sentiva totalmente sicuro; il vasto parco, infatti, era circondato da un alto
muro. Presso un limpido laghetto, circondato da alti e fitti cespugli, Areval
oppure Artaya usavano a volte fare il bagno. Accanto al laghetto si trovava un
grande prato, circondato da boschetti impenetrabili.
19.
E quando i due
volevano visitare il prato, restarono stupiti. Nel mezzo del campo stava la
strana macchina volante di Upal e, quando essi si avvicinarono, si sentì un
rumore nei cespugli. Uscì l’alta figura di Muhareb. Accanto a
lui il suo giovane accompagnatore. I fratelli stavano uno di fronte
all’altro: Areval pallido e col respiro ansimante, Muhareb in maestosa
grandezza di spirito, gli occhi scuri malinconicamente rivolti al re.
20.
“Sono venuto a
metterti in guardia, fratello”. Risuonò energico dalle
labbra di Muhareb. “Tu mi perseguiti, ma io non sono
tuo nemico. Hai mandato il tuo generale contro i tuoi sudditi ribelli, o come
credi che siano. Questi tuttavia non sono da punire. Si sbagliano coloro che a
Nustra credono che io aspiri al trono. Il mio scopo è salvare le loro anime,
come vorrei salvare la tua. Perciò desisti dallo
spargimento di sangue, e chiama indietro Arvodo!”
21.
“Chiamare
indietro Arvodo?!”, si schernì il re. “Raffinata e
astuta pensata! Nel frattempo Rusar guadagna tempo per occupare tutti i passi
montani. Gli abitanti di Nustra si fanno gioco del mio potere. Non mi fido di
te che dimori nelle caverne di Wirdu, e con Usglom, il nemico mortale della
stirpe di Furo[10],
hai concluso un patto per rovinarmi!”
22.
“Nulla mi è più
lontano della tua rovina, fratello! Il passato l’ho perdonato e dimenticato. Il
trono che tu adesso occupi, non lo desidero! Fedijah
riposa nel regno di Usglom, i suoi tesori (di Usglom) la circondano; egli si è riconciliato con la stirpe
di Furo. Lo spirito di Fedijah esige riconciliazione tra noi”.
23.
Con la menzione
di questo nome, Areval sobbalzò. I suoi occhi si dilatarono, il suo respiro si
arrestò. Guardava intorno a sé come demente e bisbigliò
frettoloso: “Che Fedijah riposi nel regno di Usglom, lo so da Arvodo. Lei esige riconciliazione – tu dici – da me?”.
24.
Muraval, il
giovane accompagnatore di Muhareb, guardava con compassione l’impaurito re. E
come se questo sguardo avesse una forza magnetica, Areval si volse verso il
giovane. Quando gli occhi dei due s’incontrarono, Areval mandò un urlo,
barcollando indietro, e si appoggiò ad Artaya che gli stava più vicino.
25.
“Muhareb, chi è questo giovane? Dal suo viso mi vengono incontro gli occhi di Fedijah. Così mi guardò
lei quando mi respinse, così mi perseguita ancora oggi
il suo sguardo nei miei sogni e da sveglio. Chi è costui con
gli occhi di Fedijah?”.
26.
Imperturbabile,
grave e calmo Muhareb rispose:
27.
“Il figlio tuo
e di Fedijah! Io l’ho allevato, io lo porto al padre!
Egli è l’erede di quest’impero, – tuo figlio!”
28.
Come se delle
mazzate avessero colpito il re, così fu l’imponente effetto di queste parole.
Areval crollò sotto il loro effetto; il suo senno malato non poté afferrare
subito ciò che era stato detto. Vide di nuovo emergere i fantasmi una volta
scacciati: essi stavano davanti a lui in palpabile violenza. Una folle paura lo
colse. Violento, raccolse le sue forze e lanciò contro il fratello queste
parole:
29.
“Menti, mostro!
Tu sei venuto solo per rovinarmi! Stai facendo con me una buffonata, un inganno
che io annienterò. Arvodo, dammi la tua spada! Le
forme che tu hai ucciso rivivono di nuovo. Io stesso le voglio uccidere!”
30.
Areval aprì
bruscamente la sua sopravveste, sotto la quale portava sempre nascosta una
corta spada, la estrasse e scagliò l’arma contro il giovinetto che stava lì
tranquillo. Colpì fin troppo bene. La punta della spada si conficcò
profondamente nel petto di Muraval. Anche Artaya lanciò un urlo quando un fiume
di sangue sgorgò dal petto del giovane, il quale crollando fu afferrato da
Muhareb e Upal…
31.
Areval fissò
assente e irrigidito il morente, mentre le intense grida d’aiuto di Artaya
echeggiavano nel parco. Da lontano risposero forti richiami. La vigilante
servitù accorse per essere sul luogo in pochi istanti.
Allora Muhareb e Upal afferrarono il corpo senza vita del giovane, lo portarono
in fretta sul velivolo e lo adagiarono con cautela nella navicella.
32.
Già si udivano
i servitori irrompere attraverso i boschetti, accorsi in fretta alle grida
d’aiuto di Artaya, quando il velivolo si alzò. E Muhareb, ritto in piedi, col
volto che faceva paura, gli occhi pieni di dolore e collera rivolti
al re, tuonò verso costui: “Maledizione a te, re Areval, e ai tuoi! L’ira del
Padre universale ti strangoli, strangoli l’assassino del figlio!”
33.
Veloce il
velivolo si alzò e scomparve. Areval si accasciò svenuto. –
* * *
34.
Quando Rusar
sentì che suo fratello si avvicinava con un esercito per punire lui e gli
abitanti di Nustra a causa della ribellione, non rimase inattivo. Rapidamente
furono occupati i passi montani che da Mallona conducevano a Nustra. Era
impossibile scendere nelle pianure di Nustra, non prima che le poche vie
percorribili e l’unica scorrevole, fossero nelle mani del nemico.
35.
Rusar sapeva di
quali terribili esplosivi era dotato l’esercito di Arvodo, e che egli poteva
opporre efficace resistenza solo se fosse stato bloccato l’accesso dalle
montagne. Dalle alture anche lui, per mezzo di macchine catapulte, poteva
lanciare potenti ordigni esplosivi, sebbene questi non possedessero la forza
distruttiva del Nimah. La produzione dello stesso era rimasta un segreto di
Stato di Areval. Solo la forma più leggera era conosciuta e utilizzata
generalmente come forza motrice per le macchine. Solo le alte personalità dello
Stato ne conoscevano l’azione più potente, e l’effetto dirompente più terribile
che Maban una volta aveva impiegato, rimaneva segreto.
36.
Presto gli
eserciti di Rusar e di Arvodo furono uno di fronte
all’altro, ma nessuno riuscì a raggiungere il successo. Con efficacia furono
difese le alture occupate per tempo, alle quali le truppe di Arvodo non osavano
avvicinarsi. Dovevano essere impiegati altri mezzi per punire Nustra, ma le
necessarie macchine non furono immediatamente disponibili. Dovevano prima
essere fabbricate nelle officine di Stato, e così molto tempo inattivo
trascorse, mentre nel frattempo nella capitale Mallona accadevano decisivi
avvenimenti.
[indice]
1.
Areval era completamente
crollato per il violento scossone dei suoi nervi: per la maledizione del
fratello e per l’assassinio del suo stesso figlio, il quale era un frutto del
suo criminoso attentato a Fedijah, un giorno rapita con violenza. Ora venne il
momento in cui Karmuno lo dominò come prima completamente. Il sommo sacerdote
aveva proibito ai servitori, sotto severissima pena, di dire una sola parola
dell’accaduto nel parco. Solo Artaya conosceva quanto successo e lo aveva
riferito a Karmuno. Costui seppe immediatamente renderle chiaro quanto fosse
importante, nel suo stesso interesse, di tacere sulla faccenda, essendoci forse
un erede al trono, la cui morte era incerta.
2.
Ma dove si erano diretti
Muhareb e Upal? Sapere questo era importante per il sommo sacerdote, come
altrettanto importante era sapere se Muraval avesse ricevuto solo una ferita
grave o fosse morto. Egli sospettava che il rifugio di Muhareb fosse sulla
sponda del mare, e quest’opinione fu confermata quando Areval gli riferì la
scoperta di Arvodo dei meravigliosi tesori nelle caverne di
Wirdu.
3.
Subito egli
ordinò che un gran numero dei più fedeli servitori del tempio – i quali da
lungo tempo avevano dimenticato di aver paura degli dèi,
dei demoni e del Padre universale – si apprestassero a penetrare nelle caverne
di Wirdu per fare una visita al rifugio di Muhareb. Sotto la sua guida essi
giunsero dal mare al piccolo paradiso. Trovarono quella che una volta era stata
la dimora del figlio del re, ma era vuota! Nulla rivelava che fosse stata
abitata negli ultimi tempi. Fu trovato anche il passaggio all’interno della
montagna, il luogo nel quale in passato era giaciuto il corpo pietrificato di
Fedijah; ma anche questa grotta era vuota, non vi era più traccia delle
preziosità naturali di un tempo.
4.
Con sguardo
cupo e pieno di presentimenti, Karmuno ordinò di penetrare più profondamente
nelle caverne di Wirdu. Furono collocate innumerevoli fiaccole-manga che
illuminavano a giorno le imponenti caverne. Le tracce ancora visibili
nella sottile sabbia rivelarono chiaramente quale via era da imboccare; essa
conduceva in tutti quei luoghi che un giorno Upal aveva mostrato ad Arvodo. Ma anche qui c’era il vuoto. La preziosa pietra-aurea, il
bianco Rod era scomparso; brulla roccia, masse spaccate che si ergevano
ovunque, ma non accennavano ai tesori del demone Usglom.
5.
Karmuno trovò
anche il posto dove era stato il velivolo di Upal.
Egli guardò in su, nel gigantesco camino, il quale si poteva raggiungere solo
per mezzo di una tale macchina e si dovette convincere che i tesori che si
trovavano là in alto, per il momento, restavano irraggiungibili anche per lui.
Col cuore infuriato, dovette ritornarsene con i suoi senza aver concluso nulla. Maledisse l’astuto Upal che, come
sicuramente presumeva, lo aveva preceduto. Karmuno fu costretto a contenere la
sua ira; contro questi fatti non serviva altro che pazientare.
6.
Areval
s’infuriò quando Karmuno gli comunicò che non erano state trovate le minime
tracce né di Muhareb né dei tesori. Nel suo cervello malato covava un pensiero
che cominciò a dominarlo sempre di più, finché alla fine si raccolse in un
ordine terribile.
7.
Posseduto dalla credenza che suo fratello complottasse col demone Usglom
la sua rovina, e che Usglom avrebbe interrato i tesori alle più grandi
profondità dimorando con Muhareb all’interno della montagna, per rovinare lui e
la sua casa, in terribile furore un giorno gridò: “Li voglio affogare entrambi,
perché sono io il dominatore di Mallona! A me appartiene tutto questo mondo! Io sono signore del mondo superiore
come del mondo inferiore. Usglom, tu, antico nemico
della mia stirpe, io ti annienterò!”
8.
Egli ordinò: si
doveva far saltare in aria le rocce col Nimah e far entrare il mare nelle
caverne di Wirdu. In tal modo voleva vincere Usglom e Muhareb, il nemico
secolare e il nemico del trono.
9.
Karmuno tentò
invano di distoglierlo da questo proposito, ma la folle idea era più forte.
Alla fine Karmuno cedette, poiché credeva che quest’impresa non avrebbe avuto
gravi conseguenze, oltre al fatto che le caverne si sarebbero riempite d’acqua.
In segreto tuttavia sperava che il re, con la presunta vittoria su Usglom, avrebbe finalmente trovato la sua rovina.
10.
Artaya soffriva
molto sotto la tirannia di suo padre. Solo lei e Karmuno il re tollerava intorno a sé, sicché a causa di questa situazione,
la donna spontaneamente si legava sempre più al sommo sacerdote, il quale
sapeva compiangerla e le dava consigli su come affrontare, nel miglior dei
modi, gli attacchi del re. Inoltre sapeva presentare Arvodo come un uomo che
voleva regnare solo lui attraverso di lei, il quale le
avrebbe strappato di mano lo scettro e non ci avrebbe neanche pensato di
lasciarla partecipare al potere.
11.
Tutti questi
furtivi suggerimenti la fecero riflettere molto, se non fosse meglio diventare
la moglie del sommo sacerdote, di cui lei conosceva molto bene potere e
influenza. Karmuno, abile in tutti gli artifici, ossequiava la bellezza di
Artaya. E poiché si avvicinava la festa della bellezza, in cui era festeggiata
per un lungo tempo la fanciulla più bella come dea
visibile della bellezza, egli lasciò intuire che Artaya nel suo regno
sacerdotale forse avrebbe potuto ottenere la vittoria. La vanitosa creatura fu
inebriata dal pensiero di poter ottenere questo premio, premio
che in Mallona era considerato il massimo onore cui una donna potesse essere
elevata.
12.
Karmuno era ora
sicuro della sua preda. Gli fu facile guadagnare il re malato. Arvodo era
trattenuto al piè dei monti dal suo esercito, nessuna notizia gli giungeva
dell’accaduto. Il giorno della grande festa della dea della bellezza,
fu aggiudicato l’ambito premio ad Artaya. Karmuno ottenne la mano della
principessa. Il tempio trionfò.
13.
Lontano, sulla
sponda del mare, risuonavano poderosi colpi per la posa delle mine, il cui
brillamento doveva procurare al mare un accesso nelle caverne di Wirdu…
[indice]
La medium terminò il racconto di quanto aveva visto e spiegò di
non poter più riferire altre immagini. Tuttavia, quando si mise l’anello sulla
fronte nel modo consueto, pure le rappresentazioni cominciarono di nuovo come
se lei fosse personalmente presente agli avvenimenti.
.....................
1.
La forza che mi dà la
possibilità di vedere quanto succede a Mallona, mi attira verso il sud del
pianeta, dove si trova il grande regno di Sutona. Sorvolo il mare da Nustra e
giungo alle audaci strade artistiche: un portentoso ponte, i cui archi si
lanciano da isola a isola, finché non si raggiunge la terraferma di Sutona. In
parte ho conosciuto questa strada quando ho accompagnato il sutor nel suo
viaggio.
2.
Ora emerge il
continente di Sutona. Una vasta superficie di spiaggia deserta,
poi segue una regione disabitata, per metà brulla, per metà steppa. Il terreno
diventa collinare. Riconosco differenti località. Adesso noto un vasto fiume
che scorre tranquillo e spinge le sue acque al mare. Una grande città si trova
su questo fiume. Qui mi sorprende una vista insolita. Vedo delle imbarcazioni.
Gli abitanti di Sutona utilizzano il fiume come via per grossi carichi, sul
vasto e profondo fiume spingono anche zattere. Nel sud riconosco imponenti cime
tondeggianti, una strada carrozzabile si eleva fin là. Seguo la stessa e presto
mi circonda un paesaggio montano che diventa sempre più imponente. I monti
salgono ad un’altezza gigantesca, le cime sono
abbracciate da veli di nuvole. Il calore quasi insopportabile della steppa è
sempre più attenuato da un fresco vento del sud che cala dalle sterminate
montagne meridionali.
3.
Le possenti
masse montuose si avvicinano sempre più. La strada passa
attraverso una vasta valle. Alla mia destra scorre veloce il fiume sul
quale scivolano le imbarcazioni guidate da esperti abitanti di Sutona. Adesso
si avvicina la capitale, disposta in una conca valliva. Monti giganteschi
coperti di neve e ghiaccio formano lo sfondo di un mondo alpino, come non è
possibile vederne sulla Terra e contro i quali i monti coperti di neve delle
catene montuose di confine tra Mallona e Nustra, sono
un nulla.
4.
Contrariamente
al raffinato modo di vita degli altri continenti, vedo gli edifici della
capitale in semplice costruzione. Senza dubbi si può riconoscere che i suoi
abitanti danno più importanza alle necessità pratiche della vita che ai piaceri
e al ben vivere.
5.
Sono attirata
sempre più all’interno del paese. La capitale è dietro di me. Il fiume ora
scroscia impetuoso sui blocchi di roccia e si perde lateralmente in una valle,
mentre io seguo la carrozzabile che diventa sempre più stretta. Disordinati
gruppi di rocce ricoprono spesso la strada; cascate d’acqua precipitano ora a
destra ora a sinistra da notevoli altezze. L’intera regione è disabitata,
nessun essere vivente turba la
maestà di questa solenne natura.
6.
Adesso la valle
si apre. Improvvisamente si erge un alto cono montuoso, circondato da
insuperabili montagne gigantesche e sopra questo monte, nella chiara luce del
Sole, risplende un castello imponente, come costruito da mani ciclopiche, che
guarda in giù minaccioso nel vasto paese. Questo è il castello di Ksontu. Qui
ritroverò il sutor e verrò a sapere che cosa ne è stato di Muhareb.
7.
In un alto,
ampio salone con grandi aperture per le finestre, vedo il sutor seduto ad un tavolo coperto di fogli. Curopol, il sommo sacerdote e
confidente, sta accanto a lui e porge degli scritti che egli firma e
restituisce. Adesso questo lavoro è terminato e il sutor domanda:
8.
“Quali notizie
ha portato il messaggero da Mallona?”.
9.
“Signore, Karmuno ha vinto.
È erede al trono. Artaya diventerà sua moglie. Egli ha disposto, nel nome del
tempio, che si cerchi con zelo Muhareb, e ha messo una ricompensa per colui che porterà notizie certe!”
10.
“Come stanno le
cose con Muhareb?”.
11.
“Come sempre,
signore, vedete voi stesso!”
12.
Curupol mostra
una porta chiusa, va verso la stessa e scosta il tappeto un po’ di lato. Il
sutor segue e vi guarda attraverso.
13.
Egli vede
Muhareb stare presso un’alta finestra ad arco, dalla quale lo sguardo può
spaziare liberamente nella valle e sullo splendido paesaggio montano. La stanza
non è molto grande, ma alta e arieggiata. Immobile sta
la venerabile figura del vegliardo. Gli occhi sono rivolti alle nuvole e
scintillano nello splendore del rapimento mistico, le mani sono saldamente
strette sul petto. Nessun dubbio, Muhareb nel suo spirito non è nel castello di
Ksontu, egli vive nelle lontane regioni della libertà ultraterrena, dove il
corpo ancora non può seguire.
14.
Dopo che i due hanno osservato con serietà e compassione il vegliardo
immobile, il sutor si volge via. Curopol lascia cadere il pesante tappeto e
dice con tono attenuato:
15.
“Sta a lungo
così giorno e notte alla finestra, da quando Upal portò qui lui e il giovinetto
morto. Solo qualche volta scende alla cripta in cui riposano i corpi di Fedijah
e di Muraval. Non parla, mangia e beve solo l’indispensabile e tuttavia, il suo
spirito non è morto. Egli vive in regioni migliori, e là
vivrà eternamente quando qui infurierà la vendetta”.
16.
“Dov’è Upal?”.
17.
“Ha intrapreso
l’ultimo volo a Mallona. Ci porterà notizie da lì. È possibile che lo vedremo
oggi stesso. Temo che ci porterà brutte notizie”.
18.
“Perché temi
questo?”.
19.
“Perché credo sicuramente che Karmuno abbia fatto ispezionare già da
qualche tempo le caverne di Wirdu per cercare Muhareb; credo che gli siano noti
i segreti di Upal e avrà scoperto che lui si è preso in tempo i tesori di Wirdu. Dove deve essere fuggito Muhareb, dove deve averlo portato Upal. Se Karmuno non riceve notizia
attraverso i sacerdoti di Nustra e Monna, allora saprà che i fuggiaschi sono da
cercare solo in Sutona. È impossibile che il velivolo possa nascondersi a lungo
nei cieli dell’impero senza essere visto.
20.
Karmuno sa che
Upal oserà tutto. Non ci vorrà molto che altri velivoli attraversino l’aria.
Per vincere la resistenza degli abitanti di Nustra, Arvodo aveva preteso la
rapida costruzione di velivoli, affinché questi, facendo cadere il Nimah
dall’alto, uccidessero i difensori dei passi. Come Upal, si troveranno altri
temerari. Stimolati dall’alta ricompensa, questi faranno ciò che ordina
Karmuno. Siamo anche qui sicuri dal tradimento?”.
21.
“Qui,
nell’antico castello di Ksontu, non vive nessun traditore. Io
apprezzo la prudenza di Upal, il quale sa prendere le vie su cui nessuno vede
il temerario”.
22.
“Il Padre
universale conceda che rimanga sempre così!”, risponde Curopol che prende le
carte firmate, saluta e si allontana.
23.
Si è fatta
notte. Chi è stato in alta montagna sulla nostra Terra, sa quale magico fascino
si stende su una montagna nelle calde notti d’estate che splendono nel bagliore
della Luna. Nebbie bianche e delicate salgono dai precipizi in figure
fantasmagoriche, somigliando a cortei di spiriti che si arrampicano alle
altezze e scompaiono nell’etere buio. Il silenzio dell’Universo si diffonde
sulla natura sonnecchiante; regna un profondo silenzio sui monti. La luce
incerta della Luna non permette di riconoscere i particolari e inganna con
certe comparse il viandante che percorre solitarie vie le quali, guardate più
da vicino, spesso cadono nel nulla. Così è anche qui.
24.
Alle spalle del
castello spunta il disco pienamente illuminato di una luna. Una seconda luna
piena sta un po’ più in alto. La falce della terza luna sta in occidente.
Adesso vedo come dal disco lunare più alto passa una figura simile ad una T latina. Così deve apparire il velivolo di Upal a
grande distanza. Sulla torre del castello la sentinella si muove. Anch’essa ha
notato l’apparizione e lo comunica al fedele servitore del sutor.
25.
Vedo che sulla
vasta piattaforma del castello sono fatti dei preparativi. Si accendono fiaccole-manga. Adesso dall’alto lampeggia un
raggio di luce, poi ancora un altro. È un segnale che dà Upal.
Trascorre un lungo tempo d’attesa, ecco che nell’aria si sente un frusciare,
prima lieve poi sempre più forte. Il velivolo si abbassa lentamente e presto,
silenzioso e immobile, sta sulla piattaforma.
26.
Dalla cabina
scendono Upal e due uomini avvolti in mantelli. Curopol si è presentato e
saluta Upal. Questi indica i suoi accompagnatori, e
presto i quattro si recano all’interno del castello. In una sala chiaramente
illuminata il sutor riposa su un divano. Svelto Curopol entra con Upal. Il
sutor si alza di scatto, agitato, e lo saluta. “Signore”, gli indirizza la
parola Upal. “Porto con me altri due uomini il cui
volto voi sicuramente non immaginavate di vedere. Ecco, essi
sono qui!”
27.
Curopol
introduce gli uomini. Quando questi sollevano le teste abbassate e la chiara
luce illumina i loro volti, il sutor si stupisce: davanti a lui, infatti,
stanno Arvodo e Rusar!
28.
“Signore, noi
siamo profughi, siamo perduti se tu non ci proteggerai”, dice con voce agitata
il generale.
29.
“Com’è
possibile?”, domanda il sutor meravigliato. “Siete qui entrambi, i fratelli di
sentimento ostili? Che cosa è successo; che cosa ha fatto Areval?”.
30.
“Nulla!”,
risponde sinistro Rusar. “Ma tanto più Karmuno! Noi siamo vittime della sua astuzia!”
31.
“Raccontate che
cosa è successo!”, esclama il sutor.
32.
“Dobbiamo essere noi i messaggeri della propria vergogna? Lascia parlare Upal, egli sa
come si sono svolti i fatti”, si difende Arvodo.
33.
Ad un cenno del viceré,
riferisce ora Upal:
34.
“Signore, il generale mi aveva cercato, facendo imprigionare i miei vecchi
genitori, quando non poterono dichiarare dove io fossi. Quando tuttavia Arvodo partì contro Rusar, li fece
liberare. Io lo seppi e perciò mi misi in marcia verso Mallona per portali al
sicuro. Travestito, giunsi nella capitale che gozzovigliava nello sfarzo della
grande festa del sacrificio. Per me fu una festa di morti: trovai il mio
vecchio genitore morto, la madre morente.
35.
Non potevo
essere in lutto, piuttosto dovevo rallegrarmi che il Padre universale li avesse
presi sotto la Sua protezione, poiché per questo le mie forze non ce l’avrebbero fatta. Lei morì nel giorno della festa del
sacrificio, e già nello stesso giorno fu sepolta. Non potevo indugiare, le spie
di Karmuno, infatti, stavano in agguato per arrestarmi, nel caso mi avessero
scoperto. Perciò dovetti lasciare alle mani di buoni amici gli ultimi servizi
d’amore.
36.
Il giorno della
festa del sacrificio, Artaya fu eletta regina della bellezza. Karmuno la
incoronò e quello stesso giorno lei divenne sua moglie. Areval confermò Karmuno
come l’erede del suo impero e fece richiedere al generale il suo anello che gli
concedeva lo stesso potere del re. Karmuno, con astuzia, aveva fatto diffondere
ovunque in Nustra che gli abitanti sarebbero stati perdonati se si fossero
sottomessi volontariamente il giorno della festa. Il popolo, rallegrato di
sfuggire agli orrori di una guerra, fu con ciò guadagnato, e nell’esercito di
Rusar scemò il coraggio di combattere. Quando Karmuno fu re ereditario,
l’esercito di Arvodo fu richiamato. Agli abitanti di Nustra fu concesso il
perdono e Rusar deposto dal suo incarico di viceré, perché, per primo, egli
aveva estratto la spada contro Areval, piegandosi a Muhareb.
37.
Arvodo si
oppose con ira all’ordine del rimpatrio; egli, infatti, voleva contendere la
corona all’astuto sommo sacerdote. L’ubbidienza dell’esercito però gli fu rifiutata,
e così Arvodo divenne un generale senza truppe. Entrambi i fratelli dovettero fuggire, entrambi messi al bando dall’astuzia di Karmuno. I
fratelli s’incontrarono sulla cima della montagna. Essi potevano vedere come le
truppe, che prima comandavano, si affratellavano e andavano a Mallona per
rendere omaggio al nuovo re ereditario. La guerra era finita prima ancora che
cominciasse.
38.
In Mallona è
successo anche qualcosa di strano. Areval – nell’illusione che Muhareb vivesse
ancora nelle caverne di Wirdu – ha fatto saltare in aria un affluente per
mettere le caverne sott’acqua. Doveva essere celebrata una
grande festa che significasse la vittoria della stirpe di Furo sul mortale
nemico Usglom”.
39.
Spaventato,
Curopol domanda: “L’ha fatto?”.
40.
“L’ha fatto! La
roccia è dura, ma deve cedere al Nimah. Là dove una volta viveva Muhareb e le
gallerie vanno nelle profondità, si è sfondato uno stretto canale e dato
accesso all’acqua”.
41.
“Questi
pazzi!”, mormora Curopol. “E le conseguenze di tale agire?”.
42.
“Dapprima esse erano solo insignificanti. Areval era soddisfatto che un piccolo fiume si
riversasse dal mare nel regno di Usglom, e ha festeggiato la vittoria con una
festa come mai se n’erano viste prima. Si dice che da quel giorno lo spirito di
Areval si sarebbe ottenebrato a tal punto che non sarebbe stato più visto.
Karmuno è al potere da solo sull’impero. Un re sacerdote è adesso sovrano.
Possa essere solo a vantaggio di Mallona!”
43.
“Quando è stata
la festa?”, chiede il sutor.
44.
“Pochi giorni
fa!”
45.
“Solo da così
poco tempo! Anche l’esplosione è avvenuta nello stesso giorno?”.
46.
“No, signore,
era il giorno precedente, ma io temo che avrà ancora brutte conseguenze”.
47.
“Perché dici
questo?”.
48.
“Ancora una volta volevo visitare le caverne per andare a prendere le
ultime cose preziose dalla ciminiera del vulcano. Non riuscii però a penetrarvi. Quando volli
avvicinarmi alla montagna, vapore e gas velenosi scaturivano dal fumaiolo.
Entrarci era impossibile. Ho anche notato che l’intera regione dei crateri era
attiva in modo più violento che finora. L’afflusso delle acque che ha creato
l’esplosione, si è allargato e, dal monte stesso, là dove penetra l’acqua del
mare, fuoriesce vapore cocente. Io ho sentito. L’ho sentito sibilare
profondamente all’interno della montagna.
49.
Usglom non si
arrende così presto! Perciò sfuggii quella regione che avevo cercato con cura,
dove raccogliere una sostanza di cui ho ancora bisogno per la produrre del
Nimah. E poiché sapevo di poterla trovare anche sulla sponda presso la montagna
di confine, corsi là con il velivolo. Un caso fortunato che vi abbia trovato i
fratelli. Li raccolsi, e venni qua a Sutona con loro”.
50.
“Cercate
rifugio?”, si rivolge il sutor ai fratelli, interrogandoli.
51.
“È così! Ce lo concedi?”.
52.
“Certamente,
però capite voi stessi che la mia protezione è molto limitata. Non potete
rimanere qui apertamente. Posso però nascondervi, e nel castello di Ksontu sarete al sicuro!”
53.
“Non lo sarete,
se la mano del Padre universale non vi proteggerà!”, risuona una voce
penetrante dall’ingresso della stanza. Tutti guardano là stupiti e vedono
Muhareb stare alla porta. La sua alta figura è piegata, il suo passo, come se
portasse un grave peso. Upal corre verso di lui per sostenerlo, ed egli accetta
grato e sorridente il suo aiuto. Si ferma davanti ad Arvodo, guarda seriamente
in faccia il generale e dice in tono pieno di rimprovero:
54.
“Dove ti ha
condotto l’ambizione? Hai costruito sulle tue forze! Hai confidato nelle
promesse! Non sapevi che la passione non è la base sulla quale il saggio
costruisce? Dov’è rimasta l’onestà, la forza della parola, l’adempimento del
dovere, la compassione, la fiducia e la fede nel Padre di ogni essere? –
Spento, ammutolito è il sentimento nel petto per il
bene, la verità e l’onestà. Chi inganna, costui vince solo finché l’inganno distrugge
anche il vincitore. Tu l’hai sperimentato e ne sei stato distrutto, come il
nostro intero popolo ne sarà distrutto. L’ora della ricompensa si avvicina,
essa è già qui!”
55.
In
quest’istante risuona un inquietante tuono lontano che riecheggia profondo e
incessante. Un leggero tremito che ognuno percepisce chiaramente, attraversa il
suolo. Il rimbombo scompare e i presenti si guardano spaventati. Solo Muhareb
rimane indifferente, all’improvviso si leva dritto ed esclama con occhi
luccicanti:
56.
“Padre universale,
chiamami Tu! Non voglio più vedere l’ultima miseria. Le generazioni qui sono
depravate, esse vanno in rovina, non erano più degne del Tuo Amore. Tu hai
cercato di scuoterle, ma esse dormivano. Tu le punisti con un sovrano, come lo
meritavano, ma non sentirono il flagello e rimasero indolenti. Tu le asservisti
tramite coloro che si chiamano ‘Tuoi sacerdoti’ ed ecco, l’oscurità che questi
diffondono tutt’intorno, fa loro bene. Esse non
vogliono la Luce e si sforzano di soffocarla. Ora la pazienza è esaurita, la
punizione si avvicina e ad altri sarà dato ciò che Tu volevi spargere qui in
ricca pienezza. – Anche il Tuo servo è diventato debole, l’ultimo uomo puro,
infatti, Muraval, che io ho allevato per il Tuo servizio, è morto. Nulla ormai
trattiene la Tua Ira. Oh, accoglimi, non farmi vedere
l’ultima cosa spaventosa”.
57.
La voce di
Muhareb s’irrigidisce in un leggero sussurro. Il suo volto splende come in una
luce ultraterrena. Gli occhi rivolti verso l’alto, sembra
come se questi vedessero un altro, meraviglioso mondo. Così rimane immobile,
ritto per un breve tempo senza parole. All’improvviso fa un profondo respiro, i
suoi tratti si rilassano, il suo corpo crolla. Upal lo afferra e lo lascia
scivolare dolcemente a terra. I presenti si avvicinano. – Muhareb è morto!
[indice]
1.
Vedo la capitale Mallona.
Posso osservare un’immensa agitazione del popolo. L’intero orizzonte sud
occidentale è occupato da dense nuvole di fumo, dalle quali lampeggia
profondamente rosso infuocato. Si sente un persistente leggero tremito del
suolo, un cupo, sotterraneo fragore, al quale spesso seguono colpi più forti.
Diversi alti edifici sono crollati.
2.
Una grande
moltitudine di uomini sta intorno al palazzo reale di Areval e manda
maledizioni contro il re che ha sfidato il demone Usglom e non l’ha affogato
come lui credeva. Gli altari del sacrificio delle divinità s’infiammano di offerte per implorare aiuto dai buoni dèi protettori.
Inutilmente, l’imperversare nella regione dei crateri diventa sempre peggiore,
i terremoti si susseguono sempre più rapidi. Vedo Artaya e Karmuno. Lei vuole
fuggire dalla catastrofe, ma Karmuno non lo permette.
Come rappresentante della Divinità, deve rimanere nel tempio, oppure il popolo
si ribellerà totalmente. Adesso lei è la Divinità personificata. Se fugge,
significa che la Divinità si è allontanata dal tempio principale. Artaya si
difende, ordina, vuole la sua libertà. Karmuno, questo demone in sembianze
umane, la deride pieno di scherno e la rinchiude forzatamente nel tempio della
bellezza. Ordina a due servitori di colpirla a morte al minimo tentativo di
fuga; Artaya deve mostrarsi al popolo come dea ogni giorno, lei
però trema per la sua vita.
3.
Karmuno tiene
consiglio con i suoi sacerdoti. È deciso che Arvodo, Rusar e Muhareb con Upal
debbano essere assolutamente catturati. Karmuno vuole elevare Nustra a
residenza del re, la vicinanza del cratere gli rende adesso impossibile la sede
in Mallona. Egli non dubita che lì il fenomeno naturale si acquieterà, ma non
si sente più sicuro nelle sue vicinanze. Il nuovo trono imperiale, che presto
gli spetterà, se lo vuol poi godere con calma, insieme con i suoi. La sua
intenzione trova consenso unanime.
4.
Qui accade
qualcosa di spaventoso. All’improvviso trema l’intera regione. Con terribile
fragore nella regione dei crateri si sprigiona verso l’alto un flusso di fuoco;
uno spaventoso terremoto scuote la capitale. La maggior parte delle case, anche
il tempio della bellezza, crolla. Esso seppellisce sotto le sue macerie Artaya,
la schiera dei sacerdoti e una quantità di abitanti che si erano rifugiati lì.
Terrore e terribile sgomento pervadono i sopravvissuti. Tutti fuggono a
casaccio, l’unica preoccupazione è di salvar la vita. Karmuno e Areval
abbandonano la fortezza imperiale con pochi fedeli. Riescono a raggiungere una
delle vetture veloci e, a folle velocità, fuggono verso Nustra. Non appena
hanno abbandonato la città, con un nuovo scossone la fortezza imperiale
precipita su se stessa.
5.
Vedo il
continente Nustra, là non si avverte nulla della fatale catastrofe. Karmuno
giunge a Nustra con Areval. Là sono arrivate nuove notizie spaventose.
Messaggeri e fuggiaschi giungono da Monna. I crateri quasi spenti di Monna
sulla costa del mare hanno cominciato di nuovo ad
imperversare e, all’improvviso, l’intera costa si è inabissata.
6.
Un immenso
flusso ha inondato il paese in furia scrosciante, raggiungendo la capitale e
mettendola sott’acqua. Il monnor è perito nei flutti che precipitavano da
quella parte a velocità pazzesca; la stessa sorte ha subito quasi tutta la
popolazione della parte meridionale. Solo la cima meridionale più elevata di
Monna è rimasta inviolata. Areval ascolta queste notizie con l’espressione
fissa dell’idiota. Poi comprende e ancora una volta, in questo spirito
rovinato, raccoglie l’ultima energia:
7.
“Voglio vedere
se sono io o no, il vincitore!”, urla. “Dai monti di Sutona
voglio vedere la vittoria della mia stirpe. Tu,
Karmuno, mi accompagnerai”. Quest’ordine giunge molto opportuno al sommo
sacerdote; anch’egli, infatti, ritiene che la montagna di Sutona potrebbe
essere il luogo di rifugio più sicuro.
8.
Vedo Upal nel
suo velivolo librarsi attraverso l’aria. Egli è in cerca di notizie per
abbracciare con lo sguardo ciò che accade nei Paesi. Dall’alto, questo gli è facile. Anche lui è deciso a difendere o a distruggere
il ponte che conduce a Nustra, in caso di pericolo.
9.
L’onda
dell’alta marea che ha sommerso Monna ha colpito anche la costa settentrionale
di Sutona, ma non l’ha danneggiata. Le basse zone costiere disabitate sono
state sì inondate, ma il territorio ascensionale ha ostacolato immediatamente i
flussi.
10.
Nel cuore di
Upal arde la vendetta. Egli vede chiaramente davanti a sé il crollo del popolo.
Le ultime parole di Muhareb hanno acceso in lui una specie di gioia di morire;
sa che la sua vita è alla fine. Tuttavia, non vuole finirla senza essersi
vendicato di coloro cui attribuisce la colpa di tutta quella disperazione.
11.
Perciò
sorveglia la strada d’accesso di Nustra e vede la sua previdenza ricompensata.
Riconosce la vettura regale che si avvicina veloce, e suppone che in essa ci
sia Areval in fuga. Veloce come un uccello rapace, il velivolo si lancia
dall’alto. Nella vettura questo è stato subito notato. Il veicolo si ferma, a
notevole distanza si avvicinano altre vetture al seguito del re. Upal indovina
l’intenzione di Areval: vuole distruggerlo possibilmente con il loro aiuto.
Dirige la sua navicella incontro alle vetture che,
ancora molto lontane, stanno avvicinandosi, e da un’altezza sicura lancia un
oggetto luccicante nel mezzo del ponte.
12.
Risuona una
terribile esplosione. Il ponte vacilla, un arco è saltato e sprofonda nei
flutti agitati del mare. La vettura di Areval è ora separata dai suoi
soccorritori. Upal spinge il suo velivolo alla massima velocità. Veloce come
una saetta, la vettura regale corre verso la terraferma, ma
Upal la supera. Di nuovo lancia un ordigno esplosivo che colpisce il ponte.
Ancora una terribile esplosione, e la continuazione del viaggio è interrotta.
13.
La vettura è costretta
a fermarsi. Adesso il velivolo si avvicina. Volteggia fuori dal ponte e Upal
vede i volti stravolti di Areval e di Karmuno guardar fuori dal mezzo.
14.
“Abbandonate la vettura”, ordina ai due,
“oppure vi sfracello!”
15.
Il re e il
sommo sacerdote ubbidiscono. “Tu torna indietro fin dove
puoi!”, ordina al conduttore. Tremando, quest’ultimo ubbidisce. Upal ora dirige
il suo velivolo sul ponte e a breve distanza sta davanti agli ex più potenti di
Mallona.
16.
Upal
tiene d’occhio i suoi nemici. Afferra dal fondo della navicella una specie di
laccio e lo getta su Karmuno. Prima che costui si possa sottrarre al cappio,
con un veloce movimento, questo già scivola attorno al suo corpo. Un colpo
secco, e Karmuno crolla saldamente legato. Adesso Upal salta giù dal suo velivolo,
si precipita su Areval che sta lì impietrito e lo afferra con possente forza.
Lo solleva in alto e, gridandogli: “Tu affoghi Usglom, io affogo
te!” scaraventa il re oltre il bordo del ponte nei flutti del mare.
17.
Con furibonda collera si dirige ora da Karmuno, lo lega ancora più
saldamente con corde, e grida sogghignando: “Con te non deve andare così in
fretta. Troppo calda fu sempre
la tua ingordigia. Voglio perciò provvedere al tuo
raffreddamento!”. Porta il prigioniero nel velivolo e s’innalza nell’aria
con lui, a Sutona.
18.
Anch’io adesso
mi libro in alto nell’etere e con lo sguardo abbraccio i vasti paesi. Mallona è
un deserto. Sibila, rumoreggia, rimbomba e scricchiola in quelle regioni dove un tempo era cercato il Rod e la pietra-aurea.
Montagne sono precipitate e il mare si riversa liberamente nelle terribili
voragini di fuoco che già ho descritto quando misi il piede per la prima volta
su Mallona. Una spaventosa lotta degli elementi si è scatenata. Soffocanti
vapori si sprigionano e, con un ululato tempestoso e a folle velocità,
esalazioni scatenate passano sul suolo terrestre. Con alito velenoso esse uccidono ogni cosa vivente.
Anche a Monna infuriano gli elementi scatenati. Sembra che esista una relazione
tra le regioni dei crateri. All’interno del globo terrestre spinge e pressa. La
solida crosta del pianeta tiene ancora, nonostante l’immensa sollecitazione dei
vapori sviluppatosi.
19.
L’atmosfera
diventa sempre più buia, sempre più impregnata di veleni. Adesso, da entrambi i
focolari si accumula un’immensa massa di vapore; essa si estende e ricopre il
continente Nustra. Le masse di vapore s’incontrano, confluiscono e si
precipitano adesso su Nustra. Batte l’ora di Sutona.
20.
Ancora una
volta il mio sguardo penetra la fortezza di Ksontu. In muto sgomento vedo stare
il sutor, Curopol, i due fratelli e i servitori sulla torre della fortezza, e
guardano verso nord. Là, all’orizzonte, s’innalza un’oscura muraglia di nuvole
che lentamente si avvicina aumentando. Ecco che sibila nell’aria: il velivolo
di Upal passa sopra la fortezza, vola verso il più vicino
ghiacciaio. Sale sempre più in alto, incontro ai
nevai.
21.
Giunto lassù,
Upal prende il sommo sacerdote legato nelle sue braccia come un fanciullo, lo adagia sulla neve e dice pieno di collera:
“Adesso rinfrescati, o potente! Chiama i tuoi dèi, chiama i tuoi sacerdoti! Niente ti potrà
più salvare!”
22.
Ritorna al
velivolo e lo fa volteggiare in basso. Karmuno non ha emesso un grido. Invano
cerca di liberarsi dai legacci. Poi diventa quieto e si prepara a morire.
23.
La scura nuvola
si avvicina sempre di più. Una terribile afa e ardenti vapori la precedono. Ecco all’improvviso un sibilare e uno scrosciare. Un uragano
si scatena con soffio velenoso e uccide all’istante tutto ciò che vive. Alto
nell’aria, il velivolo di Upal è scaraventato qua e là come una piuma, le sue
parti sono fatte a pezzi.
24.
Su Mallona non
esiste più nessuna vita.
[indice]
1.
Fluttuo nello spazio,
lontana da Mallona. Il pianeta è circondato da vapori, tanto che non si può
vedere nulla della sua superficie. Ecco all’improvviso un saettare. Fiamme
spuntano dai vapori e vedo come il globo terrestre esplode in mille pezzi. Le
lune che lo circondavano perdono la loro orbita e vagano in giro nello spazio assieme
alle macerie del pianeta. I resti dell’immenso corpo celeste sfrecciano da
tutte le parti, simili a stelle cadenti. Alcune parti cadono anche su altri
pianeti del nostro sistema solare, e potranno così raccontare di quella
terribile tragedia avvenuta nello spazio.
2.
Adesso vedo
scendere giù una figura splendente, come sorta dal nucleo
di Mallona. Essa si libra verso il Sole. Un radioso diadema a raggi formato da
sette stelle gli adorna il capo, la mano tiene una palma della pace, infinita
bontà e mitezza rivelano il volto. La figura mi fa un cenno e dice:
3.
“Comunica ciò che hai visto!
Un giorno Mallona doveva diventare il portatore del sommo Amore. Doveva
generare una stirpe umana che avesse una libera autodeterminazione propria,
affinché conseguisse i più alti beni dello Spirito e diventasse simile a Dio.
Soltanto là dove l’umano può divenire un angelo o demone, fiorisce la libertà
dello spirito. Se esso riconosce l’Amore del Padre universale e la Sapienza
delle Sue Leggi, allora vince la morte e ottiene la vita eterna. Se disprezza
entrambi, lo colpirà sicuramente la rovina. Solo una Forza regna nell’Universo,
solo un Amore pieno di sapienza! Esso conosce le vie e i mezzi migliori
dell’eterno piano della Creazione.
4.
Ora un altro
pianeta è scelto per diventare portatore del sommo Amore. Guarda laggiù, tu lo
conosci bene, è la tua patria terrena. In quest’ora sorge là il primo uomo, al
quale Io pongo profondamente nel cuore il seme spirituale della somma dignità
umana. Nulla gli impedirà di progredire al massimo grado della cultura, se non
dimentica l’Amore. Allora la nuova stirpe raggiungerà la libertà spirituale e
trionferà su ogni male!”
5.
La figura si
cala giù, e io vedo la Terra venire sempre più vicina.
Riconosco la sua superficie e vedo il periodo evolutivo che oggi si chiama era del terziario. Riconosco nelle regioni selvatiche
delle specie di animali estinti da molto tempo, vedo l’orso delle caverne e
anche l’uomo primitivo.
6.
Ecco che all’improvviso ad
Oriente arde una luce rosea. Un lieve fremito percorre l’aria e mi sembra come
se una voce mi sussurrasse:
7.
“Là nel lontano
Oriente adesso è nata una coppia, la prima, le cui anime hanno ricevuto il seme
dell’eterno Spirito. Da questa sorgeranno i popoli che un giorno dovranno camminare nella Luce della Verità”.
[indice]
La veggente ci rivela ancora un’immagine. Lei vide un paese straniero
che, dalla costruzione delle piramidi, riconobbe come l’Egitto.
1.
Proprio allora si
scavavano le fondamenta per la costruzione di un tempio. Lì si urtò su un
terreno duro e si trovò un gigantesco blocco che sembrava terracotta. A fatica
il duro materiale fu aperto battendolo e tolto pezzo per pezzo.
All’improvviso l’interno rivelò uno scheletro mezzo bruciato, e furono scoperti
i resti di un uomo di gigantesca figura, saldamente adagiato nell’argilla
duramente forgiata con il fuoco. Sacerdoti vennero per ispezionare il singolare
ritrovamento. Sotto la loro direzione, il blocco fu accuratamente esaminato.
2.
Lo
scheletro fu liberato dal suo duro involucro. Portava alla mano destra i resti
di un anello metallico, al quale era ancora incastonata una gemma. Questo segno
sconosciuto rimase per molti anni come reliquia nel tempio. I Romani portarono
poi la pietra in Italia e nelle migrazioni dei popoli fu portata via e nascosta
sottoterra. Dopo molti anni la trovò un uomo che la fece di nuovo incastonare
in un anello e la lasciò in eredità alla sua famiglia, come rarità.
3.
Quest’anello ci
ha parlato dei tempi passati e dello scomparso pianeta Mallona, la cui
esistenza finora nessuno aveva sospettato.
4.
“Sarà vera la
sua storia?”, – qualcuno sarà tentato di domandare. L’importante è che la
conoscenza di Mallona contenga un ammonimento che ognuno potrà trovare dopo
aver saputo della sua fine e ora segua lo sviluppo dell’odierna umanità con lo
sguardo desto dello spirito…
[ altri riferimenti / citazioni di Mallona su altre rivelazioni ]
* * * * * * *
[indice]
[1] Migliaia di
anni fa: in un'altra rivelazione comunicata nel 1840 a Jakob Lorber
fu detto che la distruzione del pianeta Mallona risale a circa cinquecento anni
prima di Abramo. (vedi T.D.N.
cap. 16,20-21)
[2] Sostanza che emette luce per una reazione chimica
[3] Pietra
bianca, mezzo di pagamento
[4] La loro
massima divinità
[5] La medium
spiega successivamente che si tratta di un
potentissimo esplosivo in grado di distruggere interi territori.
[6] La giovane medium non conosce questo velivolo, poiché nel 1911 – quando
fu fatta questa straordinaria esperienza attraverso la “vista psicometrica” –
sulla Terra non esisteva ancora tale mezzo. Anche se già nel 1887 fu costruito
un piccolo modello, fu soltanto nel 1930 che il primo prototipo di elicottero
si alzò in aria e percorse un chilometro ad un’altezza
di solo 18 metri. Nota dell’autore della prefazione.
[7] La giovane medium non conosce questo velivolo, poiché nel 1911 – quando
fu fatta questa straordinaria esperienza attraverso la “vista psicometrica” –
sulla Terra non esisteva ancora tale mezzo. Anche se già nel 1887 fu costruito
un piccolo modello, fu soltanto nel 1930 che il primo prototipo di elicottero
si alzò in aria e percorse un chilometro ad un’altezza
di solo 18 metri. Nota dell’autore della prefazione.
[7] Osservando le
lunghissime arcate dei ponti, la medium ipotizza che la massa del pianeta
Mallona sia minore di quella della Terra – nonostante il volume sia maggiore –
e dunque trae la conclusione che le arcate non crollino perché il suo peso
specifico è minore, come pure la forza di gravità, in quanto
quest’ultima è in rapporto alla massa e non al volume. La medium aggiunge inoltre che la distanza dal Sole è di 519,4 milioni
di Km. e che l’asse è meno inclinato di quello terrestre. Le percezioni della medium indicanti la minor forza gravitazionale,
spiegherebbero il motivo perciò tale pianeta si disintegrò in migliaia e
migliaia di asteroidi invece che in pochi pezzi.
[8] Riti
orgiastici in onore del dio Bacco, il dio del vino.
[9] Il vicerè di
Monna